di Jane
Riuscire a conciliare famiglia e lavoro rende più soddisfatti e, soprattutto, più produttivi sul lavoro. Sembra essere questa la formula vincente proposta dalla Regione Lombardia insieme ad Altis (Alta Scuola Impresa e Società) per risolvere l’eterno dilemma che coinvolge uomini e donne che lavorano, ma che riguarda in particolare le donne. Molti ne sono convinti, e ritengono che quella formula sia una soluzione realizzabile. O almeno, che sia un tentativo che aziende, società e altri luoghi professionali di un certo livello dovrebbero porsi tra le principali iniziative.
Per esempio, una donna sposata con figli, con una professione di un certo tipo (che richiede una certa costanza di presenza e di prestazione) a cui non vuole o non può rinunciare, ma che allo stesso tempo quando è sul posto di lavoro si sente in colpa per il tempo che toglie ai figli, o che si sente stressata per le corse necessarie e magari improvvise alle scuole o agli asili, o che è pensierosa per la salute del suo bambino, o per qualsiasi altra ragione, o che si sente triste perché non lo vedrà fino alla sera, bene, questa donna sarà anche più stressata, più distratta, più inquieta, e, di conseguenza, meno brillante sul lavoro, meno concentrata. Insomma, meno produttiva.
Il danno è quindi triplice: verso la famiglia, trascurata e abbandonata a sé; verso il luogo professionale, che non ottiene il rendimento ottimale da parte del lavoratore e ci perde in termini di produttività e costi; verso la donna, divorata dai sensi di colpa, stressata, non gratificata e non soddisfatta. Questo non è ovviamente un processo logico e scientifico necessario, ma credo non sia molto lontano dalla realtà, e certamente qualcuno che si trova in una situazione simile potrebbe testimoniarlo, o anche smentirlo. Ma tant’è.
Quale soluzione è possibile in una situazione del genere? Qual è la formula vincente per evitare i tre danni di cui ho parlato sopra? La soluzione più drastica sarebbe quella che inviterebbe le donne a stare a casa e a smettere di lavorare. Così facendo, la famiglia ne avrebbe dei benefici, forse, ma il luogo di lavoro perderebbe una lavoratrice magari valida. La donna sarebbe meno stressata e senza sensi di colpa, forse, ma non sarebbe magari gratificata né tanto meno soddisfatta. Tra una donna che non ha mai lavorato ma si è sempre occupata della famiglia ed una donna che smette di lavorare per dedicarsi al 100% alla famiglia, c’è molta differenza e temo non sia immediata la scelta risolutiva drastica di abbandonare la professione, soprattutto se quest’ultima è anche una passione che gratifica. Ma è pur vero che la famiglia è il capitale più prezioso che c’è. Insomma, non è una questione di facile soluzione.
Forse però, la via d’uscita possibile, che sembra essere degna di considerazione, o quanto meno che sembra essere un ottimo tentativo che favorirebbe i tre soggetti coinvolti (famiglia, donna, lavoro) è quella proposta da Altis e Regione Lombardia: è stata costituita una divisione su welfare aziendale e innovazione sociale, che si occupa di elaborare modelli di conciliazione famiglia-lavoro e di fornire formazione e consulenza per quanto riguarda il tema dello sviluppo di un sistema di welfare aziendale. L’hanno chiamato Work Family Balance. Lo scopo è quello di sostenere i collaboratori (i lavoratori) nella ricerca e nel mantenimento dell’equilibrio famiglia-lavoro.
Per esempio, l’iniziativa consiste, in concreto, nella realizzazione di asili nido aziendali aperti ai figli dei dipendenti, anche di altre aziende, e ai bambini delle collettività circostanti. Una mamma potrebbe vedere il suo bambino in qualunque momento durante la giornata, senza sacrificare né la famiglia né il lavoro, e senza avere gli stress e le preoccupazioni di chi è lontano dal nido e non può vedere il suo piccolo. Questa idea è già stata realizzata da Sas, Banca Popolare di Milano ed Eni. Lo scopo di queste soluzioni è di far sì che le persone siano libere di scegliere come impiegare il tempo tra i loro interessi familiari, personali e sociali. L’equilibrio sta nel conciliare questo con il mantenimento, da parte delle imprese, dei principi di economicità, da cui non si può prescindere.
La logica del Work Family Balance dovrebbe servire sia al benessere sul lavoro (meno stress, meno pensieri, meno sensi di colpa, meno preoccupazioni) sia alla crescita del benessere sociale (più famiglie, più crescita sociale ed economica). Attraverso il contributo delle aziende che vanno incontro alle esigenze naturali di chi tiene famiglia, potrebbe davvero essere più facile raggiungere e mantenere un equilibrio. I tre protagonisti della vicenda ne beneficerebbero e migliorerebbero: aziende più produttive, famiglie più serene e avvantaggiate, donne lavoratrici più serene e concentrate, in una parola, più equilibrate. Forse, allora, conciliare si può.
E’ ovvio che si possa: un’organizzazione del genere è prevista ab illo tempore in Francia ed in Germania, e colà funziona benissimo.
Concordo.
Secondo voi perché da noi no: problema politico, aziendale o sociale? O delle persone? O delle mamme italiane?
Sono domande sincere, abist ironia verbis!
L’impressione è che una certa politica (anche dei cattolici) nel dopoguerra abbia fatto eccessivo affidamento sulla supplenza delle famiglie: ma queste prima su sono inurbate e poi sbriciolate, senza poter fare affidamento su valide politiche di sostegno.
Personalmente sarei a favore di politiche di forte sostegno alla necessità dei bambini di non essere sistematicamente affidati ad estranei: anche a costo di dover ripensare le modalità del lavoro femminile.
Solo la presenza di un nido aziendale può risolvere tutto il problema? E le problematiche adolescenziali? Facciamo anche il liceo nell’azienda?
Off topic
Per Paolo Pugni: Se vuoi sfondare con i commenti ai tuoi post hai capito quali argomenti devi trattare… il “percolato” funziona sempre!
Grande, buona giornata!
Scusa: rispondo solo ora… il sesso funziona sempre per l’audience!
Io sono favorevole al coinvolgimento quando possibile delle nonne. Alle mamme un part time dopo almeno un anno di maternità.
oggi sono d’accordo con LGT
Scusate se non centra con il post di oggi!
Per babyduckling: se sei ancora da queste parti, ho lasciato un’ultima risposta ai tuoi commenti al post di ieri.
Naturalmente i problemi non si risolvono tutti con un nido aziendale(che comunque aiuta parecchio). Una maggior diffusione del part-time secondo me sarebbe assai auspicabile, per non parlare del fatto che in molte professioni gran parte del lavoro può essere svolto da casa…
Ieri parlavo con degli amici francesi che hanno 3 bimbi di cui uno ha la sindrome di Down (assolutamente atei tra l’altro…) e mi dicevano che sarebbe stato impossibile decidere di fare tre figli prima dei 35 anni se lo Stato non avesse previsto: congedo di maternità di un anno per ciascun figlio, aiuti finanziari sostanziali per asilo e baby sitter ecc.
“assolutamente atei, tra l’altro” (so lo fosse possibile)
@Alvise:
Personalmente, pur non avendo il dono della fede, mi faccio mille, dolorose domande.
Ma ho tanti amici che si ritengono certi della natura totalmente “materiale” dell’essere umano.
Non so da dove gli venga questa certezza, ma non ho motivi per non credere che loro ne siano convinti.
io per esperienza personale, osservando i miei figli, mi sono resa conto che almeno fino ai 24 mesi i bimbi hanno bisogno della mamma. Poi il reinserimento al lavoro dovrebbe essere graduale. All’asilo? coi nonni? ci sono pro e contro in entrambe i casi. All’asilo ci sono regole che a casa coi nonni di solito non ci sono. Io non lascerei 8-9 ore al dì un bimbo coi nonni: 1.perchè credo che sia una responsabilità per loro troppo pesante (hanno già fatto i genitori) 2.perchè quando si assumono un ruolo educativo noi siamo sempre pronti a coglierne i limiti e non sarebbe giusto lamentarsi con loro che si sono resi disponibili. I nonni hanno diritto di essere nonni raccontando storie del loro passato, giocando, dando anche le caramelle, coccolando. Sono di questa opinione: se fai i figli te li devi smazzare tu. Se devi delegare il compito educativo ad altri, questi altri lo devono fare di mestiere, concordando coi genitori metodi e tempi. Poi se una donna non può fare a meno di lavorare vada pure, ma nelle emergenze ci deve essere: prendete ad esempio le malattie. Chi può negare che le carezze e le cure di una mamma siano insostituibili? Eppure vedo molte donne che non possono assentarsi dal lavoro in molti di questi casi. Mia sorella quando ha delle necessità si rivolge subito a uno dei nonni. Certo, ottimo tampone nelle emergenze, ma la mamma è la mamma.
Dico la verità: questo continuo ritorno dell’argomento della conciliazione lavoro-famiglia, pur nei lodevoli tentativi di risoluzione, mi fa sempre più convinta che ormai non si consideri più la famiglia, i figli come una fonte di benessere sociale. Il punto centrale è il denaro. Poi attorno si cerca di costruirci il resto. Forse sono poco realista, non so…
certo il denaro serve per vivere, il lavoro è costruire il mondo, ma in tutto questo gli esseri umani mi sembrano più degli strumenti che il fine.
“Forse sono poco realista”.
Secondo me sei molto realista…La maggior parte delle mie amiche lavora…vanno sempre di corsa … e si lamentano di questo continuo correre e del fatto che non hanno sufficiente tempo da dedicare ai figli. Una lagna continua… sicuramente motivata… però sempre lagna è….
…Ma perchè poi queste stesse donne quando c’è un ponte o qualche festa un po’ più lunga o alcune addiruttura nel periodo delle ferie dicono “Non ce la faccio più a stare appresso ai figli …queste ferie sono un incubo…” e poi la classica frase “meno male che domani ritorno a lavorare… almeno lì mi riposo!!!”
Ma …fare un po’ pace col cervello proprio no?????
oboe, dalle mie amiche che lavorano non sento più lagne rispetto quelle che stanno a casa coi figli: tutte ci si stanca, tutte si vorrebbe fare di più, tutte ci piace ogni tanto fare le vittime, tutte potremmo imparare un po’ di più il sacrificio nascosto e silenzioso
Mi sembra che questo continuo confronto fra chi lavora fuori casa e chi lavora in casa (perchè di lavoro si tratta) non faccia bene a nessuna delle due categorie.
Oh Fefral, che dirti? A me lascia perplessa il fatto che una lavora , vuole stare tanto con i figli e poi quando ne ha la concreta possibilità si rompe.. si scoccia. Come mi ha lasciato perplessa una mamma che si lamentava perchè desiderava tanto lavorare perchè la casa e l’accudimento dei figli le andavano stretti. Ora lavora e si lamenta pure di più!!!
Non so… è come se a volte la vita non nostra, la vita degli altri avesse un fascino particolare, una gratificazione superiore. Facciamo il possibile e spesso l’impossibile per avere quello che non abbiamo (chi non lavora aspira ad un lavoro perchè… basta essere casalinghe frustrate.!!!..chi lavora poi sembra che è l’unica ad essere occupata e ti dice “Beata te che non lavori, così almeno ti cresci figli”…. Salvo poi sbuffare quandoo si deve occupare dei suoi…..Bohhhh….
Parli di imparare il sacrificio silenzioso e nascosto e sono d’accordo. Aggiungo che dovremmo imparare, ma tanto, a benedire la nostra vita così com’è.
I LIKE IT VERY MUCH!
mi piace moltissimo!
Grazie Giuliana! Lo “smack” è poco!!!! Questo commento è molto concreto e sensato..
Ops! Sono la solita imbra….
Il commento sopra è per “io per esperienza personale…”.
Senza togliere nulla ai commenti successivi.
Posto molto interessante e molto difficile. Io ho lavorato fino ad una settimana prima del parto e poi quando mio figlio aveva appena 3 mesi sono tornata a lavorare, quasi subito a tempo pieno. dico quasi subito perché sarebbe difficile fare una quantificazione esatta, essendo almeno sulla carta una libera professionista, non ho un orario da rispettare se ci sono scadenze o cose da fare. Mi aiuta moltissimo mia suocera, ma condivido quello che dice la Giuliana: tra l’altro un coinvolgimento pesante dei nonni autorizza ingerenze più ampie sulla gestione della casa, della famiglia, che personalmente ho fatto molto fatica ad accettare. Io per limitare la preponderanza di mia suocera che voleva sempre esserci lei (ma io questa profferta di aiuti l’ho vissuta come una prepotenza) mi sono imposta e sono riuscita a prendere una tata per il primo periodo
Post molto interessante e molto difficile. Io ho lavorato fino ad una settimana prima del parto e poi quando mio figlio aveva appena 3 mesi sono tornata a lavorare, quasi subito a tempo pieno. dico quasi subito perché sarebbe difficile fare una quantificazione esatta, essendo almeno sulla carta una libera professionista, non ho un orario da rispettare se ci sono scadenze o cose da fare. Mi aiuta moltissimo mia suocera, ma condivido quello che dice la Giuliana: tra l’altro un coinvolgimento pesante dei nonni autorizza ingerenze più ampie sulla gestione della casa, della famiglia, che personalmente ho fatto molto fatica ad accettare. Io per limitare la preponderanza di mia suocera che voleva sempre esserci lei (ma io questa profferta di aiuti l’ho vissuta come una prepotenza) mi sono imposta e sono riuscita a prendere una tata per il primo periodo
scusate, qualche problema con il pc oggi. Comunque, compiuti i 13 anni il bimbo è andato al nido a tempo pieno, venendo ripreso a turno dalla nonna o dalla tata (assetto ancora in forza oggi che si va alla materna). Io però mi sono imposta di fare cadere la penna tutte le volte che in studio vedo che la situazione è sotto controllo e a limitare le trasferte. Certo, salto parecchie pause pranzo, ma preferisco uscire un po’ prima, magari anche per fare un po’ di spesa.
13 MESI non 13 anni…sono un po’ tuonata oggi, sara’ il freddo che è arrivato improvvisamente..eh eh
‘ccipicchia, che freddo! 🙁
Rispondo alla domanda di Paolo: per esperienza personale fortunatamente conclusa(comune a quella di molti amici che tutt’ora fanno i pendolari tra Piacenza e Milano) per fare carriera in Italia, in una società medio-grande come era la mia, devi starci fino a tardi.
Non importa quanto e come lavori, spesso conta quanto ci sei, le serate (anche fino alle 10-11 di sera) ad aspettare che il capo smettesse di chiacchierare con altri dirigenti perchè tu dovevi “assolutamente” mandare via quel fax entro sera.
In Italia non esiste pianificazione, ottimizzazione del tempo, si inizia una riunione su un argomento e si divaga chiacchierando della famiglia e PERDENDO ORE DI TEMPO; in un contesto del genere è impensabile che entrambi i coniugi possano fare carriera, uno dei 2 deve tornare a casa ad un orario decente (ed è ovvio che sia quello la cui carriera è già ostacolata dai pregiudizi).
In Germania (esempio) al più tardi alle 18 tutti (dal direttore al fattorino) escono dall’azienda ma nelle 8 ore che vi passano la produttività è elevatissima, nelle riunioni non ci si smuove dall’ordine del giorno, ferreamente definito anche negli orari affinchè i collaboratori possano partecipare solo alla parte che li interessa e non perdere tempo su aspetti che non li riguardano, neanche se nel frattempo sono subentrati imprevisti (sono tedeschi ;-)).
MI PIACE 🙂
oro colato!!!
però andrei piano sul magnificare la crucconia. detto da uno che mezzo crucco è( anche se nn parlo una parola di tedesco. lingue barbare- parolacce a parte per rispondere-ogni tanto( mitica una del Gotz von berlichingen-non trovo la dieresi- di goethe) per le rime – non ne parlo….
porca alemania…
Es gefällt mir auch 😀
il tedesco , il commento od il gotz-aridaje con la dieresi….
Concordo con Giuliana che per i primi 24 mesi la presenza della mamma è preziosa e di fatto insostituibile: essere costrette a passare 8-9 ore al giorno lontano dai figli piccoli non giova a nessuno: ne soffre il bimbo, ne soffre la mamma, ne soffrono anche le aziende. Una persona lacerata di solito non rende molto sul lavoro.
Dovrebbero essere previsti tempi più lunghi di maternità, ma soprattutto non mi stancherò mai di tessere le lodi del part time. Le mie colleghe mi confermano che lasciare i bimbi coi nonni o al nido per 4 o 5 ore la mattina non solo non è traumatico per loro e per i loro figli, ma aiuta un giusto graduale “distacco” ( e sottolineo GRADUALE: so che un neonato non ha bisogno di essere “distaccato” da sua madre, ma per un bambino di 2 anni passare QUALCHE ORA con altri bimbi secondo me è non solo accettabile, ma addirittura raccomandabile.)
mi piace, Erika!
io non lavoro, ma a 2 anni i miei bimbi sono andati al nido per frequentare l’ultimo anno. E’ stato un grosso sacrificio, economicamente, ma credo che ne abbiano guadagnato molto in autonomia. Soprattutto il piccolo: se quest’anno lo avessi schiaffato di punto in bianco alla materna, non so come l’avrebbe presa… Ribadisco che i primi 24 mesi sono fondamentali per il rapporto mamma-figlio. Io non ho avuto l’aiuto dei nonni che sono tutti lontani. A volte è difficile correre da una parte all’altra della provincia, specie in casi urgenti, e accollarsi i figli piccoli con passeggino e borse al seguito, e i nonni o zii farebbero comodo. Ma quando ti abitui lo fai e basta. Poi dopo aver visto famiglie giovani che si appoggiano in tutto e per tutto ai loro genitori e quando arrivano le vere difficoltà non sanno affrontarle insieme…. Bè, il cambio non lo farei proprio! preferisco incollarmi i bambini e fare un po’ di fatica adesso. E poi quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare!
Per quanto riguarda il lavoro, sottoscrivo Alberto. Anche in uffcio bisogna ottimizzare i tempi. In Germania fanno così? infatti… quando andai al mare in Veneto 4 anni fa vidi un sacco di famiglie tedesche che avevano minimo 2 figli ciascuna! E poi cosa aspettiamo a chiedere ‘sto benedetto part-time??? e soprattutto a concederlo, care aziende, cari politici, cari sindacati….trovate il modo fiscalmente più adeguato, ma fateci fare figli e vivere dignitosamente. E possibilmente, fate in modo che le donne che scelgono di fare le casalinghe, come la sottoscritta (ma nel mio paese siamo tante) non si sentano guardate come delle nullafacenti sul groppone della società!
@Giuliana: quello che dici è verissimo.
Io non ho ancora figli e un impiego. Tu hai (2 o 3? scusa, non ricordo) bambini e non lavori fuori casa.
Chi tra noi due sta contribuendo di più al benessere e al futuro della società?
Amo il mio lavoro, ma sicuramente è più importante il tuo.
Non so. A me sembra che anche i ragazzini (medie, primi anni di superiori) avrebbero bisogno di una maggiore presenza famigliare. Ormai sembra la norma che rientrino in case vuote, con schermi, cellulari, computers a disposizione, che nessuno sappia se escono, dove vanno, se hanno mangiato, se hanno studiato, che vedano i genitori solo la sera, quando gli adulti sono probabilmente stanchi e pieni di cose da fare (cucinare, fare la spesa, gestire la casa, un po’ di meritato riposo…).
Quanti 12-13enni vivono così?
Certo, la presenza dei genitori diventa di qualità diversa: meno cure fisiche, più dialogo, ma a me la storia del tempo di qualità desta parecchi sospetti. Mi sembra la scusa di noi adulti che concediamo il nostro tempo con il contagocce, ma OVVIAMENTE sono frammenti di “qualità” altissima…
Personalmente credo che i bambini abbiano bisogno intanto di una gran QUANTITA’ di tempo; tempo anche per non dirsi nulla, dirsi sciocchezze, perché l’intimità che permette loro di aprirsi mi sembra difficile da ottenere con il cronometro in mano: “ecco, hai il tuo quarto d’ora di QUALITA’, c’è qualcosa di importante che vuoi dirmi?”. Magari io esagero, ma spero che si capisca quel che voglio dire…
vero!
io parlo dei bambini piccoli perchè finora i miei hanno 3 e 5 anni. Ma sono certa che la pubertà e l’adolescenza portano altri problemi. Non di cura, ma di dialogo. E’ quello il periodo in cui ormai hai imparato a vestirti da solo, a mangiare tutto il piatto senza essere stimolato ogni 30 secondi, ma spesso ci si tiene dentro le riflessioni, le domande, le esperienze. I miei piccoli mi dicono tutto, per ora. Ma tra 8-10 anni? lo faranno ancora? credo che dipenda solo da me, da noi anzi, da noi genitori, se concederemo il tempo giusto al momento giusto.
MI PIACE
Parlando dei bambini che vanno già a scuola e all’asilo ritengo sia preferibile avere almeno un genitore a casa nelle ore pomeridiane. Le case sono belle se ci sono i bambini dentro (fratelli, cugini, amici).
Spazio per i compiti, per il gioco, per la musica o altre attività creative. E’ molto bello ed educativo preparare i biscotti insieme, ai ragazzi piace. Mio figlio di 12 anni l’altro giorno si è messo con un suo compagno a preparare dei dolcetti per il the per tutti. I nonni sarebbe bello potessero partecipare alla vita famigliare almeno qualche ora al giorno per condividere la loro esperienza, sentirsi utili, giovani e meno soli. Le case vuote o austere mi danno tristezza.
bello! Ricordo ancora come era bello tornare a casa e trovarci la mamma, che era andata in maternità quando io avevo 16 anni. Ero un’adolescente, ma come mi godevo la sua presenza. Niente di che. Lei era lì, a casa. E questo mi dava una tranquillità e una pace, ecco la parola giusta, una pace incredibile. Intuii allora ciò che riscontro ora con la mia casa: la mamma è il punto di equilibrio di tutta la baracca. Sta dietro le quinte e manda avanti gli altri, sulla scena. Ma se non c’è il palco traballa…
MI PIACE 😀
Sì, hai ragione, è proprio una senzazione di pace, di sicurezza, di calore domestico, di “home” e non di “house”.
Erika:
dicevo (se lo fosse possibile) perchè per voi sembra che non sia nemmeno concepibile che esistano degli atei proprio atei in quanto essendoci per voi Dio prtendete che sotto qualche forma (anche solo per dichiararene l’inesistenza) ci sia necessariamente sempre Dio nella mente degli uomini e allora mi sembrava starno quando dicevi che conosci degli atei allo stato puro ( o non sono neanche loro allo stato puro?)
forse perchè,gratta un poco, sotto un ateo, il più delle volte,viene fuori: o un agnostico o un deista…
E se aguzzi bene la vista
Sotto-sotto ci trovi un deista!!!
lo dicevo ke proprio irrecuperabile non eri…
pro sit tibi
prima o poi, c’arrivi(tié, fa anke rima….)
Un nido aziendale per tutti, grandi e piccini, bello, caldo, sicuro, accogliente, morbido,
con la pappa aziendale inclusa (nel nido) aaaaaah!!!!!
praticamente il paradiso….
In Germania danno 184 euro per il primo e il secondo figlio, più di 200 per il terzo e poi nn so. Al mese e fino ai 18 anni di età. Se fossi rimasta in Italia, con lo stipendio di mio marito sarei dovuta per forza tornare a lavorare. Io amo il mio lavoro, sia chiaro, ed è la cosa che mi manca di più in assoluto ora che sono all’estero. Ma con tre bimbi così piccoli sarei tornata con un part time, che mi sarebbe andato via tutto per pagare i tre nidi. Insomma, avrei dovuto lavorare per poter pagare le strutture che mi avrebbero permesso di lavorare: una pazzia!!! Senza contare la babysitter per le malattie eventuali (qua in Germania se il figlio si ammala la mamma può stare a casa basta che poi porti sul lavoro un attestato del pediatra). i soldi che lo Stato tedesco ci dà per i bambini corrispondono ad un mio part time in Italia. Inoltre lo stipendio di mio marito ci permette, senza navigare nell’oro, che lavori solo lui (gli stipendi in media qui sono più alti, per fare un esempio, gli assistenti sociali sono tra quelli che guadagnano meno e prendono al netto 1.700 euro, se hanno a carico una moglie 1.900!). Ho così il privilegio di stare a casa. E certo, la fatica è averceli incollati tutto il tempo, ma è una fatica benedetta, e non mi sento affatto frustrata, anzi! Non c’è il tempo di annoiarsi, e si possono fare molte cose belle, con e per loro. Mi piacerebbe tornare a lavorare,prima o poi, ma di certo non a tempo pieno, proprio perchè condivido quello che dicevate prima sul “tempo di qualità” per i propri figli, a 2 anni come a 12. E poi perchè sarà anche una conquista ‘sto lavoro per le donne, ma se lavori nessuno ti toglie gli altri pesi che sono i figli, un marito e la casa da gestire e magari anche da godere! Sulle lamentele: persino qua si lamentano perchè “i soldi che dà lo Stato per i bambini coprono a malapena la scuola e poi il cibo costa caro”… davvero non si rendono conto, ‘sti crucchi!!!:)
Praticamente con 3 figli si ha lo stipendio di un part time in italia?????
Qui la progressista Emilia Romagna non considera i figli nel calcolo del reddito per le fasce di reddito del ticket della sanità 🙁
La questione è di competenza dei singoli Länder,a seconda del Land ci sono contributi più o meno elevati. Poi c’è molta più organizzazione in tutto: dagli asili aziendali e negli uffici, anche pubblici, al sistema degli appuntamenti.
di un part time di insegnante alle scuole private, eh… ma è comunque tanto! inoltre prendiamo qualcosa anche per me che sono a casa… ancora non ci credo…
ah, e la maternità è coperta per 3 anni, il primo al 100%dello stipendio, gli altri 2 all’80%… !!!
anche se non so se è così in tutti i Land
Anche in Francia si prende un sussidio di circa 200 euro a figlio, in più ci sono molti servizi finanziati dallo stato.
I soli nidi aziendali mi sembrano una soluzione troppo limitata (in termini di fascia di età dei bambini che vengono accolti e anche di lavoratori che sarebbero nelle condizioni di accedervi).
La mia idea è che vadano sostenute le famiglie, soprattutto economicamente: starà poi ad ogni famiglia decidere come usare le proprie risorse (baby sitter, scuola private, scuola pubbliche, mamma a casa, part-time…), allo stesso modo ritengo che si dovrebbe avere un buono scuola, da “spendere” liberamente alla pubblica o alla privata. Dare responsabilità alle famiglie significa aiutarle a prendere le proprie decisioni e responsabilità… e fare in modo che siano in grado di richiedere e procurarsi proprio i servizi di cui hanno bisogno.
Invece qui abbiamo una tassazione per cui siamo assolutamente stritolati…
esattamente come ho scritto nel mio primo commento, primo in assoluto a questo post di LGT.
In Francia, a patto che la scuola privata sia ‘sotto contratto’ con lo Stato, si possono portare in detrazione le rette
sottoscrivo! si chiama sussidarietà!
Idem
@PERFECTIO
Sì, anche a me la storia del quality time fa sorridere. Sono tutte baggianate e non dobbiamo nasconderci dietro un dito. Io lo vedo che quando sto più tempo con lui mio figlio è più tanquillo e contento. Mi piace il mio lavoro, ma a volte faccio fatica a rimanere lucida e tenere tutto in piedi. L’ideale è il part-time, ma purtroppo con il tipo di lavoro che faccio io non è semplice e al momento non posso assolutamente tirare i remi in barca. Ma non appena ne avrò la possibilità cercherò di organizzarmi in altro modo. Anche perché al momento ho messo su una struttura per stare dietro a tutto che sembra un organigramma aziendale..
Scusate, intervengo con un’osservazione che spero non suoni troppo ognunista. Secondo me le persone sono molto diverse fra loro – ovvero ci sono donne/uomini che si lamentano (tanto) qualunque cosa facciano, donne/uomini che si lamentano un po’ meno. Fra le donne che conosco, c’e’ chi preferisce stare a casa e chi proprio no perche’ dopo 2 settimane a casa si trasforma in Jack Nicholson nei panni del guardiano dell’Overlook Hotel (non vi devo dire su quale dei due estremi mi colloco io, ovviamente).
Premettendo che secondo me il gruppo dei lamentevoli e’ abbastanza trasversale fra tutte le categorie sociali e che non ho nulla (ma veramente nulla) contro chi decide di stare a casa perche’ ha figli, io credo che un conto sia lamentarsi a vuoto e un conto sia proporre idee che possano favorire sia le donne che scelgono di lavorare che quelle che scelgono di dedicarsi solo alla famiglia (e far si’ che la cosa sia, appunto, una scelta e non una necessita’).
I problemi evidenziati sia da Alberto Conti che da LGT (fra l’altro, brava LGT, mi sei proprio piaciuta!), secondo me sono un fatto: in Italia, essere in due a far carriera o anche solo a lavorare e’ quasi impossibile.
Domanda: vogliamo tenerci la situazione cosi’ com’e’ o cambiarla? Secondo me vale la pena di fare proposte ed impegnarci nel nostro piccolo per portarle avanti in ambito aziendale. Poi e’ chiaro che ciascuno di noi dovrebbe far questo in azienda e non lamentandosi delle proprie disavventure lavorative con il proprio sfortunato coniuge/fidanzato/amico (anche perche’ i poveracci nel nostro ufficio di influenza non ne hanno, a meno di non stare col proprio capo).
Sono d’accordo col principio “lamentiamoci meno”, ma anche con quello “agiamo di piu’ per cambiare cosa non ci piace, se possiamo”. Piangersi addosso e’ sciocco e fastidioso, ma anche pensare che il mondo debba per forza sempre andare male e che sicuramente se ci imbarchiamo in qualcosa di nuovo, la nostra barca di lupini e’ destinata ad affondare non mi pare ci porti a vivere bene. Questo vale anche per le mamme che stanno a casa: infatti, come mi piace spesso ricordare, i paesi piu’ “family friendly” sono quelli in cui lo stato investe maggiormente a beneficio delle famiglie e in cui lascia alle donne la possibilita’ di scegliere come vivere la propria maternita’: in Francia, ad esempio, c’e’ non solo una maggiore possibilita’ di accedere a buoni asili, ma anche piu’ facilita’ di accedere al part time e dei bei sussidi per le famiglie numerose con mamma casalinga. Non e’ detto che una politica statate attenta ad una categoria di mamme debba penalizzarne un’altra (anzi, normalmente succede il contrario: quando lo Stato elabora politiche famigliari davvero intelligenti, poi TUTTE le categorie di madri ne traggono beneficio). E quindi si’, quoto Fefral: la contrapposizione antagonistica casalinghe/lavoratrici non fa bene a nessuno. Qui non credo che nessuna donna sia cosi’ meschina da augurare male alle altre solo perche’ fanno scelte diverse: persino io sto dalla parte delle mamme casalinghe, se la cosa le rende felici. Solo, migliorare la vita delle altre non mi dispiacerebbe…
PS Saluti da Stoccarda
Hai voglia proporre idee con una classe imprenditoriale grandi e piccoli come c’è da noi!!!
Se potessero le aziende ci farebbero cacare sangue a omini e donne!!!
Allora più tasse e più aiuti. Aiuti ai disoccupati. Come in Germania e in Francia, per esempio, dimodochè anche un disoccupato possa, se vuole, come dite voi, procreare in grazia di Dio. Due, aiuti alle famiglie coi figli (anche sotto forma di asili nido, questa parola nido fa schifo!) (anche asilo fa schifo).(tutto fa schifo). Tre, finito.
Alvi’ metti su un po’ di musica? Sto facendo l’analisi logica!
Saluti da Hamburg!!!
hamburg?! sei a casa mia!!!
Non credo proprio…
Nel senso che dove sono io non è proprio una casa….
neanche la mia, è più un asilo nido o una fattoria a seconda dei punti di vista…
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You too?
FEFRAL
http://www.youtube.com/watch?v=MAXLrNT_xK0
Una visione ampia, non solo al bilancio… E la saggezza di capire che se chi lavora sta bene ed è motivato e soddisfatto, il suo lavoro ne beneficerà. E nonostante i tanti benefici che dava ai dipendenti, tra cui gli asili gratuiti appunto, la Olivetti di allora faceva enormi profitti ed era una delle più avanzate imprese elettroniche del mondo!!! La dimostrazione che il benessere economico non passa per il taglio dei costi (almeno non quelli che si traducono in un beneficio umano).
Olivetti assunse tanti laureati in letteratura, arte e filosofia! Non solo ingegneri…
http://www.youtube.com/watch?v=YluDh9LPby4&feature=related
Questo rende meglio l’idea…
Ma quanti marxisti-materialisti ci sono ancora in giro che continuano a ragionare con l’occhio e il cervello incastrati nel proprio ed altrui portafoglio!
E avversano proprio quello che sarebbe il MODELLO VINCENTE:
una donna che, se deve LAVORARE, lo possa fare IN AUTONOMIA, plasmando gli orari alle esigenze dei suoi cari ( bambini in crescita, vecchi genitori in decrescita), IN CASA, PRESENZA operosa e silenziosa ma INDISPENSABILE. Come Maria.
Avete presente certi vecchi film in cui la madre di famiglia, vedova o abbandonata, ha la sartoria in casa? Ecco, è questo il mio ideale, che ho vissuto. Ho potuto crescere da sola e bene un figlio, proprio perchè avevo il laboratorio di restauro in casa. Sacrifici, certo, ma anche una immensa soddisfazione, gioia e pace.
Gli studi seri dicono che solo a tre anni il bambino comincia a socializzare e a partecipare attivamente alla vita di gruppo; prima è una forzatura, è un po’ un parcheggio. Quindi fate di tutto per evitare il nido. Io all’epoca non lo sapevo, anzi ero entusiasta di averne trovato uno molto buono, dato che avevo appena cominciato a lavorare in soprintendenza. Oggi farei di tutto per evitare questa scelta. Fino a tre anni l’ambiente domestico è l’ideale.
Comunque, poter seguire da vicino i figli, l’esserci, è fondamentale, per loro e per voi.
Ad esempio, conoscerete i loro amici perchè verranno a casa vostra; e quelli sono momenti in cui, se si osserva, si conosce tanto di un bambino e di un ragazzo. Saprete davvero quanto studiano e quanta tv guardano. Ma soprattutto consentirete loro di guardare voi che, pur con tutti i difetti, sarete modello, esempio e testimone di amore.
Ad una condizione, però: vi dovrete togliere dalla testa l’immagine della manager, aggressiva e rampante, che deve dimostrare di saper fare come i maschi. Ma a noi che ce ne importa? Siamo consapevoli che si tratta di un modello imposto dalla cultura del potere per rendere le donne schiave del proprio egoismo, invidia, consumismo, concupiscenza?
Viva la mamma lavoratrice autonoma: artigiana, traduttrice, pittrice, commercialista, ecc,ecc
Persona libera e responsabile, futuro dell’ umanità.