La strada stretta

Qualche giorno fa tra i commenti al post “Memento Amori” ne è spuntato uno lunghissimo di Roberto  Brega che abbiamo trovato molto interessante. Abbiamo quindi pensato di riproporvelo sotto forma di post (è stato un po’ modificato e tagliato per renderlo con un tono più generale ), perchè siamo sicuri che offra tantissimi spunti di riflessione e di confronto, e in fondo il post parla anche di questo.

Ma chi ha detto che chi ha la Fede debba essere sempre “pacifico-sereno-quieto”… balle!

A me ‘sta frottola m’ha fregato per parecchio tempo.

Ok, m’ha fregato anche perché, a un certo punto, mi “faceva comodo” che mi fregasse, spinto “in una ideologia cristiana cattolica”, e da essa piombato in una tiepidezza spirituale viscida come sabbie mobili, dalla quale ero passato nel peccato mortale. Ma avevo una serenità d’animo che non si può immaginare. La strada ampia, quella comoda e rilassante e leggermente in discesa… beh, è quella la strada della perdizione. La strada della salvezza è stretta. E’ proprio piena di strettoie per attraversare le quali ti ci devi spremere dentro a forza. Il che inevitabilmente fa male. La frase che ho letto giorni fa nei commenti “l’inquietudine interiore è incompatibile con la fede vera” mi aveva perciò fatto saltare due spanne sulla sedia (anche se poi era seguita una precisazione).

Tu pensa un ateo (o agnostico che sia) che diventa cattolico, e non lo sa proprio che cosa dovrebbe aspettarsi di provare o non provare. Tutti gli raccontano, in tante salse diverse, questa storiella della “serenità”, ma senza precisargliela tutta, senza raccontare tutto, magari per la preoccupazione di offrire sempre “il lato migliore”, trascurando la lotta spirituale, o magari perché manco loro hanno le idee chiare, o per tante altre ragioni, che ne so, anche le migliori di questo mondo…. E qual’è il risultato? Il risultato è molto semplice: che il povero ex-agnostico di turno si convincerà che restare tiepido sia la cosa giusta. Poi, dato che la strada ampia della perdizione è, diciamocelo francamente, veramente una strada ampia e, a viste umane, bella comoda, la nostra natura incrinata dal peccato presterà volentieri orecchio a certe inclinazioni, e voilà, il pasticcio è fatto.

Qualcuno, sempre nei commenti, ha anche scritto “Meno male essere atei”. E perché no? Se non ci fosse la vita eterna, senz’altro meno male essere atei o agnostici. Perché scandalizzarsi o dispiacersi di una frase del genere? Apprezzo l’onestà e la condivido con una precisazione: sì, se NON c’è la vita eterna è meglio essere atei. Questo lo dice anche San Paolo. Se non c’è la vita eterna, la resurrezione dei morti, noi siamo i più ridicoli, patetici, imbarazzanti tra gli esseri umani. Cosa c’è di strano in questo?

Il retropensiero, tutt’altro che irragionevole, potrebbe essere il seguente: ma io dovrei buttare per aria quel che sono per cercare qualcosa di incerto che non si sa neanche se c’è, vagliando non si sa in che modo tra le varie “offerte” religiose sparse per il mondo. Tanto vale che viva la mia vita come trovo sensato e come mi garba; vengo poi rassicurato che se faccio il bravo, la posso sfangare lo stesso, e altrimenti, all’inferno tutti e smettetela di rompere. E se Dio c’è, ebbene, poteva rendere tutta questa faccenda del riconoscerLo e dell’ubbidirGli un po’ più semplice di come l’ha fatta, se proprio ci teneva così tanto a noi, e se Egli c’è (quando sarà il momento) non mancherò certo di farglielo notare!

A me pare che non faccia una grinza, come ragionamento. Un po’ empirico, forse, ma con un suo senso, ma è un ragionamento tutto “in orizzontale”. Dimentica la vita eterna, o meglio: dimentica che c’è la morte e dopo di essa: dissoluzione, oppure eternità. Ed è da sottolineare un altro punto: se c’è la dissoluzione, a essa non si può sfuggire, è ovvio. Ma anche se c’è la vita eterna, a essa non si può sfuggire. Anche in tal caso, non è un destino al quale ci si possa sottrarre, che ci si creda oppure NO. E infatti, a voler essere davvero individui ragionevoli, una volta collocati nella posizione agnostica, l’unica cosa razionale da desiderare è il non esser mai stati tratti dal nulla. E’ esistere la condanna peggiore, ma NON perché ci potrebbe essere, alla fine della nostra vita, la nostra dissoluzione, dal nulla nel nulla. No, è proprio perché potrebbe anche NON essere quella la parola ‘fine’. E’ lì che comincia a tirare aria grama.

Per questo la prima risposta che a me viene alla domanda “ma a che cacchio serve la fede?” è “beh, non finire all’inferno mi sembra già un buon inizio” E per non finirci, noi abbiamo un bisogno disperato di essere redenti. Qua tutto sta o cade. Non basta amare i propri figli Non basta, perché NIENTE basta. E a me la contemplazione dell’inferno che mi (ci) aspetta ha sempre fatto tantissimo bene. Tanto che trovo veramente contrario alla carità fraterna dire a un mio fratello o sorella in umanità “vai tranquillo, che tanto è facile che ti salvi comunque…”

Invece, io non so, forse per uno strano complesso di inferiorità che un paio di secoli di fasulla storiografia ha cacciato in testa ai cattolici, sembra che adesso si debba far di tutto per convincere chi non crede che la Fede non serve tanto per la vita eterna, ma essenzialmente per la vita terrena, e quindi sostenere a tutti i costi che la vita di cattolico debba essere una serena e (interiormente) quieta passeggiata, mentre è una lotta quotidiana, interiore ed esteriore. Non so gli altri ma io, se potessi, questa lotta me la risparmierei più che volentieri e infatti me le sono inventate tutte per risparmiarmela. Lo stratagemma di dirmi “ah beh, ma così sto meglio, sono sereno, non mi arrabbio mai, accetto pressoché qualunque discorso da chiunque” era il mio (segreto) cavallo da battaglia. Era pure vero!

E adesso? E adesso invece no. Quando c’è da combattere, devo combattere. E’ cosa dalla quale non mi posso più esimere (che poi spesso lo faccia lo stesso ricorrendo al silenzio è un altro paio di maniche… ). Ed è una cosa che mi fa -sistematicamente- male, sia che “vinca” sia che “perda”. Infatti non accetto la storia che non si possa arrivare allo scontro, che non ci si possa anche dare qualche sana legnata sui denti – seppure, è sempre bene farlo con uno stile elegante, se possibile. Il pacifismo, l’irenismo, è un’antica eresia che non appartiene al mondo cattolico che invece ha sempre partorito, tra gli altri, sia guerrieri veri e propri che “guerrieri” della ragione, polemisti, apologeti, ecc. Basta leggere il vigore con il quale credenti e non, battagliavano e polemizzavano, mica tanto tempo fa (un secolo o due, un’inezia, insomma).

Per logica conseguenza, discordo anche su questo punto (letto sempre nei commenti):

“che sollievo e che gioia essere atei. Di tutto si ha l’impressione tranne che alcune persone credenti siano in pace con sè stessi ”

Questa è una frase che mi intristisce un po’ e mi fa pensare. Che fallimento la nostra fede se è questo che si percepisce da fuori!

Non solo questo è inevitabile, come ho cercato di spiegare più sopra, io lo trovo del tutto naturale. Né un successo né un fallimento, questo è quanto. Perché le cose stanno così? Tanto vale chiedere al Signore il senso dei Suoi decreti. Ma non è questo il cuore della nostra fede.

Crediamo o no che il Signore sia nato in una stalla per vivere una vita anonima, una breve predicazione costellata da più insuccessi che successi, finito morto nel modo più ignobile tra due ladri, seguito da un codazzo di poveracci vili e litigiosi che non capivano niente o quasi di quel che succedeva? Perché Dio si nasconde in questa maniera?

Allo stesso identico modo, è necessario uno sguardo che vada oltre per oltrepassare le nostre miserie e scorgere Chi si è posto alle nostre spalle. La pretesa che la nostra fede debba “percepirsi al di fuori” e sia un fallimento nel momento in cui non lo fa, trascura il “modus operandi” del Signore. Possiamo anche arrivare a dire “noi avremmo fatto diversamente”, ma chi siamo, noi, per mettere in discussione i disegni di Dio? “Scandalo e follia per il mondo”. Sì, chi non crede guarda, legge e sbuffa. Anche molti cattolici, va bene. Io nonostante tutto riesco a vedere il senso che lega questo “cozzar di spade”. E ci vedo l’amore. E se potessi far vedere a chi non crede cosa mi brucia dentro, sì, penso che potrei convertire il prossimo camminando semplicemente per strada. Ma non è così che va! Si dà pure il caso che SO che è giusto così, ma non sono in grado di spiegarlo.

Mi farò quindi aiutare da Vittorio Messori e da un estratto del suo libro che parla proprio del sepolcro vuoto, “Dicono che è risorto”.

Non noi – cittadini di una cultura secolarizzata che maschera la sua indifferenza, il suo scetticismo sull’esistenza della Verità, dietro il termine, dal suono nobile, di tolleranza – non noi, siamo giudici credibili per capire quale grandezza possa esserci, malgrado tutto, dietro alla occhiuta difesa di una lampada, di una panca, di una lisa mattonella di pavimento.

Cose “meschine”? Certo, ma solo per chi non creda fino in fondo che questo è il più sacro dei luoghi, che qui davvero sono state riaperte le vie del Cielo: e che, dunque, se una “gelosia” è mai giustificata, qui è quel caso.

“Meschinerie”, certo: ma per chi ormai, anche se si professa credente, sia ormai convinto che tante, e tutte egualmetne valide, siano le verità; e che sia addirittura offensivo verso gli altri tenere fermo sull’esistenza di una Verità con la maiuscola. La Verità che quel Nazareno qui risorto ha rivelato non solo con le sua parole, ma con ogni suo gesto, con quel suo corpo che ha toccato proprio queste pietre, impregnandole per sempre della Sua Essenza divina.

“Meschinerie”, certo: ma per chi più non comprenda che è proprio quell’amore per una Verità definitiva e assoluta che ha ispirato nei credenti – quando ancora obbedivano al comando di Gesù di “credere senza esitare” – l’orrore invincibile per quelle deviazioni dal Vero, per quei mali dell’anima, per quei micidiali virus dello spirito che sono scismi ed eresie. Come tollerare (si è pensato qui, da parte di ciascuno) che gente “inquinata” dall’errore goda di diritti proprio attorno a questa roccia dove ha patito e ha mostrato la sua potenza divina Colui che disse di sé “Io sono la Via, la Verità, la Vita?”.

Ormai ciò non vale più per le sole diverse confessioni cristiane. Probabilmente MAI come in questi nostri tempi la Chiesa Cattolica, Corpo mistico di Cristo, è aggredita internamente e preda di convulsioni terribili, di una lotta feroce contro il “fumo di Satana” che l’ha penetrata (e cioè essenzialmente il modernismo, “sintesi di tutte le eresie” come scrisse San Pio X). Perciò sì, molti nella Chiesa si sentono abbandonati e scoraggiati e coloro che sono andati più a fondo intravedono una lotta quale forse non se n’è mai avuto l’eguale.

E’ per questo, cari amici non-credenti, che ci vedete così. E’ una lotta che voi, del tutto comprensibilmente, non capite e che vi pare una “roba da matti”. E’ giusto che vi appaia così. Diamine, come potrei non saperlo! Se solo sapeste! L’amore è l’amore e l’immondizia non comincia all’improvviso a profumare per il solo fatto che scopre di essere amata!

Eppure qui c’è davvero un problema. Perché chi si rifiuterà di aver a che fare sul serio con questa “roba da matti” perché, giustamente, ha capito che sotto molti aspetti la sua vita gli si complicherebbe, chi magari, come mia madre, ogni tanto dice “meglio non farsi troppe domande che poi magari finisce che le trovi le risposte”, coloro che si presenteranno davanti a Colui che ci ha creati e saranno capaci di dire soltanto: “non ho avuto davvero voglia di ficcare le mani in quel vespaio, perché avevo capito che per farlo sul serio mi sarebbe toccato di faticare tanto, mi sarebbe stato penoso per un sacco di ragioni, e ho preferito passare la mano.”, ecco, cos’accadrà a questi? In fondo fanno la loro scelta definitiva, salvo poi cercare di nasconderla in un goffo gioco di prestigio raccontandosi e raccontando di “non aver ricevuto la Fede”.

Si gioca alla roulette russa con il proprio destino eterno senza neppure darsene pensiero.

. E’ vero che la Verità che ci sta sopra ci sorpassa infinitamente e non finiremo mai di scoprirla, com’è vero che (spesso) non la possiamo riassumere in brevi formulette. Ma di Verità ce n’è tanta, noi ne possediamo parti essenziali e la possiamo conoscere e annunciare. Non è vero quindi che un cattolico “non può pensare di possedere la verità”. Noi dobbiamo essere CERTI di possedere la Verità. Non -tutta-. Differenza non da poco. Tutta la Verità, ce l’ha solo Dio.

Ma io non mi preoccupo di ridurre al minimo la Verità per “non litigare”, per disinnescare qualsiasi occasione di scontro, seguendo il retropensiero che tra i seguaci di Cristo lo scontro sia “uno scandalo” sempre da evitatare perché altrimenti l’ateo di turno dirà “meno male essere atei!”, perché l’ateo o agnostico, non certo per sua “cattiveria”, ma proprio per com’è fatto, ci chiederà sempre qualcosa di più di quanto noi gli si possa concedere, fino ad arrivare a dissolvere la nostra Fede. Questo perché l’ateo non può capire l’amore appassionato per la Verità che salva, e il desiderio di difenderla. No, l’ateo non capirà mai l’amore, la grandezza e il dolore che stanno dietro alla difesa di una miserabile, “lisa mattonella”.

Specialmente i figli di un tempo che non riconosce alcuna legittimità a esistere a una Verità Unica e con la maiuscola. Questo fa scandalo “per sé”, a prescindere. E’ una pelle che è stata cucita addosso a tutti noi, e che male strapparsela di dosso!

Ciò che non è bene del nostro scontrarci, è lo scontro suscitato dal nostro orgoglio, dalle nostre impuntature, dalla paura nei confronti delle tante voci abusive dentro la Chiesa che ci hanno, ahimé, portato a diffidare della preparazione dottrinale dei nostri fratelli, nonché l’idea che tocchi a noi “salvare Madre Chiesa”.

Se invece lo scontrarsi è suscitato dall’amore per la Verità, lo scontro ci può stare, e anzi in una certa misura non può non esserci. E l’ateo che ci guarda dirà sempre “Cacchio, meglio essere atei!” E’ inevitabile. Perciò tanto varrebbe prendersela col Signore! Ma se Lui ha stabilito che le cose debbano andare così, se ha stabilito di nascondersi dietro le piccinerie della nostra mente e del nostro cuore, come un tempo si nascose in una mortale carne umana, noi chi siamo per dire che sia sbagliato? Ecco che allora anche il voler tacitare sempre e a tutti i costi qualsiasi scontro non è la strada giusta. Ma per sentire l’armonia dietro a una cacofonia, essì!, ci vuole davvero un orecchio addestrato. Tolkien sì che lo sapeva – e seppe esprimerlo nel modo più poetico che io abbia mai visto.

Per l’appunto, è una bella menata… e in fondo non si può dire che non l’abbia sempre saputo…

52 pensieri su “La strada stretta

  1. per completezza, essendo io quella che ha fatto fare un salto sulla sedia a roberto, copio qua sotto un collage dei miei commenti con qualche piccola aggiunta in cui spiego cosa intendo per pace e qual è l’inquietudine che secondo me è incompatibile con una fede vissuta fino in fondo

    “che sollievo e che gioia essere atei.Di tutto si ha l’impressione tranne che alcune persone credenti siano in pace con sè stessi ”
    Questa frase presa da un commento di Francesca nel blog di Costanza Miriano, blog frequentato prevalentemente da cattolici, mi intristisce un po’ e mi fa pensare. Purtroppo quello che scrive questa persona a volte è vero. Che fallimento la nostra fede se è solo questo che si percepisce da fuori!
    Da una parte la fede non risolve i problemi pratici della vita delle persone, quindi se io ho una giornata di merda tra lavoro, famiglia, robe burocratiche da risolvere, conti da fare per pagare il mutuo, bambini insopportabili a causa del caldo…. e tutti i problemi che ognuno di noi può avere ogni giorno per il semplice fatto di non vivere in un eremo in pizzo alla montagna non mi si può rinfacciare “ma come, la fede non ti aiuta?”
    Tuttavia esiste, e noto tante volte anche io, un’inquietudine interiore che è incompatibile con una fede vera, con la consapevolezza che esiste un Dio Padre che mi ama e si preoccupa di contare anche l’ultimo capello del mio capo, che mi perdona se faccio cazzate, che non aspetta un mio passo falso per rinfacciarmelo, che mi accoglie e mi consola. Questa fede non dovrebbe mai farmi perdere la pace, anche di fronte agli attacchi più feroci del “male”.
    Eppure quella di Francesca è un’impressione che ho anche io, e talvolta so di dare anche io a chi mi osserva. Non parlo delle ansie normali di ogni vita frenetica e complicata, e neppure della tensione buona che mi impedisce di accontentarmi, ma tante volte proprio tra i cattolici trovo gli amici più inquieti, più agitati, più insoddisfatti. E tante volte sono io a sentirmi così, insoddisfatta, irritabile, irascibile. E questo non va bene.
    Se mi accorgo di aver perso la pace, mi allontano e mi chiudo un po’ in me stessa. E vado a fondo a cercarne le cause. Ma non sempre me ne accorgo in tempo e allora comincio, come dice Renato, a “saltare da un pensiero all’altro, da un desiderio all’altro” e a trovarmi perennemente insoddisfatta.
    Non penso però che dipenda dalla fede in sè. Però è possibile che ci sia il rischio che un credente a volte pretenda dalla fede qualcosa che deve invece trovare soluzione nel buon senso, nell’intelligenza, nella buona volontà… insomma nella nostra umanità. Chi non ha fede è “costretto” a far leva su tutto ciò e quindi a tante cose arriva prima e meglio del credente. Chi ha fede a volte pensa di poter saltare qualche passaggio. Ma non è così che funziona.
    Anche per questo a me interessa molto il dialogo con chi non ha fede: mi aiuta a mantenermi coi piedi per terra e a non vivere con la pretesa di vedere miracoli ovunque.
    Non si può essere santi senza essere prima di tutto molto umani. E tante volte imparo l’umanità retta e bella dai miei amici atei. In tante cose ho da imparare da chi non crede e non lo dico per piaggeria, avrei tanto da raccontare in questo senso.
    Anche su temi tosti, come la fedeltà e l’indissolubilità del matrimonio. Il sacramento eleva qualcosa che è già buono di per sè. Il valore della fedeltà, della monogamia, è scritto nella natura umana. Natura poi ferita dal peccato, siamo d’accordo. Ma io ho trovato esempi di fedeltà proprio in amici atei che mi hanno a volte dato delle lezioni esemplari in tal senso.
    Ma non mi basta. L’umanità retta e buona non mi basta. La fede mi apre gli orizzonti. E mi toglie quella pace falsa e menzognera propria dell’animale sazio, facendomi provare invece fame di infinito. In questo senso posso condividere l’obiezione di chi dice che la scoperta della Verità non lascia affatto tranquilli, anzi! Provoca e spinge all’azione, ci stimola a cercare di migliorarci. Non ci permette di rimanere seduti ad aspettare senza far nulla.
    Ma la pace di cui parlo è un’altra cosa. È quella di chi si sa figlio di un Dio che è padre e che tiene contati tutti i capelli del nostro capo.
    Quella che a volte mi succede di provare quando prego, quando ricevo Gesù nell’eucarestia. Quando guardo negli occhi i miei figli e vedo in loro Gesù. Quando nonostante sembra andare tutto storto ma io ho fatto tutto quello che potevo fare so che va bene così, e mi abbandono in Dio. La pace che arriva dall’abbraccio di Dio. Questa è la pace di cui parlo. È rara, preziosa, difficile da trovare e da mantenere. Ma è quella la conseguenza di una fede vissuta fino in fondo.
    Una pace così sarà completa solo dopo la morte. Ma gia in vita è il segno della presenza di Dio in noi.
    Questa pace del cuore contrappone il credente al fanatico ed è compatibile con un temperamento focoso, con un’ira giusta e non violenta, con quella tensione interiore che dipende dalla consapevolezza di non essere perfetti ma perfettibili e quindi ci porta a non accontentarci di come siamo ma a cercare di migliorarci.
    Non solo questa pace è compatibile con “la spada” di cui parla Gesù, ma è condizione necessaria perchè questa spada vada a tagliare quello che deve essere tagliato e solo quello.

    1. e aggiungo la risposta che avevo scritto a roberto in coda al suo commento

      Sul discorso che la fede serve per la vita eterna (e qua anche per il cento per uno, ma quello è un di più), per quanto mi riguarda non ci piove. Resta il fatto che la fede è un dono, e onestamente non mi sento talmente degna di questo dono da poter dire che chi non ce l’ha in realtà è che non lo vuole.
      Non possediamo tutta la Verità, ma la Verità possiede noi, e la nostra fortuna è esserne consapevoli e abbandonarci a questa verità. Una verità scomoda, certo, ma quando riusciamo ad abbracciarla davvero non puoi dirmi che non c’è pace! Se non c’è pace, come nella maggior parte della nostra vita, è proprio perchè questo abbandonarci alla Verità è parziale. Quindi c’è qualcosa che non va. Qualcosa su cui andare a fondo, da capire.
      Quello che scrivi sullo scontro lo condivido, e non ho paura dello scontro, nè con chi si dice ateo, nè tantomeno coi miei fratelli cattolici, con cui spesso sono in disaccordo ( ).
      Tuttavia ritengo che il modo migliore che abbiamo per difendere la nostra madre Chiesa sia lottare prima di tutto dentro di noi, combattere contro il nostro peccato, vivere la carità, amare, cercare la santità.
      Poi anche, se necessario, la discussione, la dialettica. L’apostolato per me è prima di tutto essere apostolo, cioè amico di Cristo. Poi, solo poi, è andare in giro a raccontare la buona novella.

  2. Adriano

    Diciamo che comunque avere la certezza (mossa da “prove” o ‘solo’ dalla fede, poco importa) che ci sia una vita dopo la morte dà comunque una certa serenità, a prescindere dai conflitti all’interno della Chiesa e di tutto il resto. E mi pare di aver trovato questa serenità (legata anche alla sicurezza di sentirsi dalla parte giusta) in tanti commenti qui dentro… Alla faccia delle accuse di “non essere in pace con sé stessi”.

    Che ne dite poi della scommessa di Pascal, per cui in realtà conviene credere rispetto a non credere?

    1. a me la scommessa piace molto, e se fossi atea penso che finirei per dar retta a Pascal, provando a vivere come se credessi.
      Ma la fede non ce la diamo noi. E’ un dono che possiamo solo accettare con umiltà.

  3. Angela

    Quante volte ci si sente dire: “E poi vai in chiesa!!!!”. Questa cosa è fastidiosissima perché chi la pronuncia è ovviamente deluso da qualche nostro comportamento. Considerato che chi va in chiesa è fatto di carne ed ossa come chi non ci va, quali sono le aspettative di chi non va ma spesso sta con il dito puntato in attesa di una mancanza da parte di chi ci va? La mia esperienza personale mi porta a dire: chi va in chiesa “deve” dire sempre sì ad ogni richiesta anche la più assurda; deve essere buono con tutti, ma poi confondiamo il buonismo con l’essere buoni; deve sacrificare sé stesso per lasciar godere gli altri; deve essere sottomesso ai capricci degli altri; etc. E’ un po’ come si fa con il figlio più grande quando quello più piccolo “rompe”: “Lascialo perdere! Lui è più piccolo e tu sei il grande!”.
    Credo che la fede non sia proprio quella cosa che si vede da questo. Se si è veramente con Cristo, dentro c’è una sicurezza che da serenità e anche gioia, perché si è nella Verità, anche se non la si possiede né la si possiederà mai totalmente. Non cerchiamo di farlo altrimenti cadiamo nell’orgoglioso peccato di Lucifero.
    L’uomo e la donna di fede, però, hanno occhi “diversi”, occhi “vivi”, anche se sono nella sofferenza. A questo proposito mi piace segnalare questo testo di fratel Carlo Carretto:

    Se tu bevi quel vino che Dio stesso ti offre, sei nella gioia. Non è detto che tale gioia sia sempre facile, libera dal dolore e dalle lacrime, ma è gioia. Ti può capitare di bere quel vino della volontà di Dio nelle contraddizioni e nelle amarezze della vita, ma senti la gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è gioia sempre. Dio è gioia perché sa trasformare l’acqua della nostra povertà nel vino della Risurrezione. E la gioia è la nostra riconoscente risposta. Sì, il discepolo di Gesù deve vivere nella gioia, deve diffondere la gioia, deve “ubriacarsi” di gioia. E questo sarà sempre il suo vero apostolato.

  4. Mario

    A Dio nulla è impossibile, ma ci ammoniscono le parole di Sant’Agostino: Dio ti ha creato senza chiedere il tuo consenso, ma non ti salva senza il tuo consenso.
    Una parte di noi (il famoso “uomo vecchio”) vorrebbe che la salvezza ci fosse garantita “gratis”, senza alcun bisogno di un impegno da parte nostra. Questo vorrebbe dire che la nostra libertà non entra nel nostro destino ultimo, ma è una specie di balocco con cui passiamo il tempo in questa vita in attesa di una felicità che deve comunque venire nell’altra.
    Il fatto è che Dio è comunione, e non ci può essere comunione senza che ci sia un movimento anche da parte nostra. Il Paradiso è entrare in questa comunione.
    E, sì, la nostra parte costa parecchia fatica e sofferenza in questa vita, e per la maggior parte di noi, probabilmente, ancora di più nell’altra, in Purgatorio.
    Dobbiamo proprio desiderarlo, e dobbiamo proprio chiedere a Lui che ci dia una mano, altrimenti non possiamo farcela.
    Però, secondo me, il movente principale per accettare questa sofferenza, e l’umiliazione di non poter comunque fare nulla da soli, non è quello di evitare l’Inferno (che peraltro sarebbe più che sufficiente, se uno ha letto le testimonianze dei veggenti di Fatima che l’hanno visto e per l’orrore hanno offerto la loro vita per salvare più anime possibile).
    No. Se il Cristianesimo è innanzitutto l’incontro con una persona viva, Gesù Cristo, è da questo incontro che viene la forza ed il desiderio di stare con Lui a qualsiasi costo.
    Questo incontro è per tutti coloro che desiderano una vita piena. Per tutti coloro che sono disposti ad aprire il Vangelo e chiedersi: “Ma cosa significa questo per ME, per la MIA vita, OGGI”?
    E se da un lato è vero che sono le testimonianze dei veri cristiani che attirano le persone al cristianesimo, dall’altro è anche vero che spesso bisogna darsi un po’ da fare per conoscere queste testimonianze. Per alcuni, il Regno dei Cieli è il tesoro trovato inaspettatamente nel campo, ma per altri, forse i più, è la perla preziosa che ha richiesto lunghi anni di ricerche… In entrambi i casi, comunque, viene il momento in cui, per averlo, dobbiamo essere disposti a dare tutto…

  5. nonpuoiessereserio

    Dico solamente bravo admin per aver dato il palcoscenico che si merita a questa bellissima riflessione di Roberto.

    1. (E bravo Admin anche se mi aiuti a trovare la partecipazione di stamattina di Costanza alla Rai – ero in ospedale e me la sono persa…ora sono a casa e non la trovo registrata da nessuna parte.
      Un aiutino? )

    2. admin

      Grazie Luigi, e in bocca al lupo.
      Per la puntata di unomattina credo che si debba aspettare almeno domani.

  6. michela

    Carissimi, tutti, quanto mi aiutate !
    Sono oramai alcuni mesi che vi leggo ogni giorno. Prendo senza dare, perché da dare ho veramente poco..
    Oggi mi sento veramente di ringraziare innanzitutto Costanza, per il libro che ha scritto e di incoraggiarla perchè ha fatto e sta facendo un gran bene, sono sicura che tutto questo è opera e volere di DIO, non ho dubbi, e poi anche tutti coloro che intervengono perché sempre ( eccetto qualche rara eccezione) ricevo aiuto, sostegno e spunti di riflessione. GRAZIE DI CUORE

  7. Velenia

    Un sacerdote conosciuto tanti anni fa diceva che non può essere solo la paura dell’Inferno a farci seguire Gesù,per quanto,aggiungeva,è l’unica paura ragionevole che un uomo possa avere.Stamattina, mentre accompagnavamo i Bassotti a scuola (i due più grandi iniziavano rispettivamente 1°media e 1°liceo),il secondo si è lasciato andare a riflessioni teologiche “scusa papà quando la nostra vita non c’entra con Gesù diventa un Inferno,e così anche all’Inferno,mica è Dio che ti ci manda sei tu che ci vai,se proprio non vuoi stare con Lui,mica ti può costringere e portarti in Paradiso-
    Più della seconda parte della sua riflessione mi ha colpito la prima,senza di Lui,la nostra vita divente un Inferno.Si può avere esperienza di ciò che non vedo solo partendo da ciò che vedo.Posso avere certezza della Resurrezione della carne per come la vita rifiorisce già qui quando Lui è presente.
    Non so perchè tanti cattolici si scandalizzino della promessa del centuplo,l’ha promesso Gesù,mica Velenia che è una poveraccia.E’ solo perchè sperimento il centuplo quaggiù che posso avere certezza dell’Eternità,caro Roberto.La speranza è una certezza sul futuro in nome di una realtà presente.
    Questo non toglie nulla,nè la croce,nè l’inquitudine,quella sana inquitudine che non mai star tranquilli(vi auguro di non essere mai tranquilli,diceva che mi è stato padre nella fede).Gesù quando promise il centuplo promise anche persecuzioni,quindi tutto torna.
    Ciononostante è vero che è conveniente essere cristiani,è conveniente diceva Mounier davanti alla figlia disabile gravissima “per la trasfigurazione del tempo,delle ore,dei giorni”.
    E’come un sapore più intenso delle cose,più intenso e perciò più vero.Occorre però andare fino in fondo alla domanda del proprio cuore e non anestetizzarlo, quello che vedo a volte,anche in me e in tanti cattolici,è la paura di andare fino in fondo alle esigenze vere del cuore,accontentarsi di risposte parziali,guardare il mazzo di fiori e non chiedersi chi ce lo ha fatto trovare sullo zerbino di casa la mattina.
    Di gente contenta,veramente contenta in giro ne vedo poca,quella poca che ho visto quando ero giovane ho iniziato a seguirla e mi ha portato sin qua.
    Chi non crede non ha visto o non ha voluto vedere? Boh,il grande Leo Moulin che è stato,secondo me,uno dei più grandi difensori del cattolicesimo senza mai convertirsi nel suo”Itinerario spirituale di un agnostico” dice -Il Mistero della Fede è grande,il Mistero della mancanza di Fede altrettanto grande”.

  8. FRATE LEONE

    “Chi mi vuol seguire rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
    In questa parole credo stia la sintesi di quello cui porta la fede. Qui non si tratta di avere ragione o torto né di avere parole più soavi o suadenti rispetto ad altri o di convincere a suon di parole.
    Qui si tratta semplicemente di verificare se credere o non credere sia la stessa cosa.
    Io non credo che esistano gli atei ed i credenti, che vedo piuttosto come categorie cui ci piace appartenere perché l’uomo ha bisogno di catalogarsi per essere, per esistere.
    Credo invece che tutti sono alla ricerca di qualcosa,fondamentalmente di tacitare quella insoddisfazione, quel non senso, quell’amarezza che domina le giornate.
    (Personalmente, per esperienza, credo che l’insoddisfazione nasca dal desiderio di vita Eterna che il Creatore ha lasciato in noi, quel desiderio di infinito che solo l’incontro con lui può colmare).
    E comunque che fra queste anime ci sono alcune che trovano e altre che stanno ancora cercando. So per esperienza personale che Cristo è la Verità, non ve ne sono altre. E come si fa a vederlo, a dimostrarsi? Da come si vive. E’ importante come si vive, non possiamo nasconderci dietro un dito, sparare magari sermoni encomiabili e poi freddare un collega di ufficio con una raffica di improperi. O meglio, è possibile che accada, è umano ; salvo però chiedergli perdono. Il cristiano è colui il quale sette volte cade, e altrettante si rialza.
    Non per sentito dire, ma per esperienza. Non è uno bravo o in gamba, ma uno consapevole della sua debolezza e per questo umile, anche se fermo. Non ha paura di chiedere perdono se sbaglia, non se ne sente sminuito, perché sa di essere debole e di avere la necessità tutti i giorni di essere rigenerato. Per questo occorre lavorare costantemente su se stessi, rinnegando il proprio io costretto a vivere per se stesso, come dice san Paolo. Vivere per se stessi è l’inferno.
    La vita Eterna è esperienza del Paradiso qui. Io ho una sola vita, non posso pensare soltanto a quello che sarà al di là. Spero nella vita Eterna, ma bramo di viverla un pezzettino qui. Questo respirare qualcosa che nel mondo non esiste è la dimostrazione, a me stesso, che Dio esiste. Mi ha colpito la frase di Costanza che diceva : il mondo consente tutto ma non perdona, la Chiesa vieta tutto ma è sempre disposta a perdonare. Ma la Chiesa siamo noi, chiesa viva, pietre vive di un edificio spirituale. Allora, cosa stiamo aspettando a fare seguire alle parole i fatti ? Ognuno di noi ha la sua vita ed è quella che parla. Io oggi posso dire che vivo perché ho fatto esperienza nei fatti concreti che Dio c’è. Che la verità sulla vita è l’amore, e che l’amore è Cristo morto e risorto vincitore della morte. Che io sono incapace di amare e posso soltanto ricevere questa capacità, ma che amare nella dimensione della croce, cioè amare il nemico, è la Vita Eterna. Pensiamo ai conflitti che ci sono nel mondo apparentemente irrisolvibili. Se, e sottolineo se, una parte o ambedue smettessero con il rancore e l’odio, se accettassero di perdonare , si potrebbe cominciare a ricostruire. Se in un matrimonio che non funziona ci si ferisce e ci si continua a ferire, solo il perdono può fermare quel percorso di separazione e di odio che rischia di diventare irreversibile.
    La mia esperienza è che l’incontro con la Verità mi ha obbligato ad analizzare la mia vita, e questo pian piano mi ha portato a vedere cose di me che prima non vedevo, cose che ferivano, atteggiamenti, soprattutto egoismi, soprattutto il credere di avere dei limiti insormontabili oltre i quali non potevo andare senza perdere irreversibilmente qualcosa di me. Vedere sgretolarsi questi limiti e non sentirmi sminuito mi ha ridimensionato, imparare che lì dove si riduce il mio spazio, li dove il mio parere non è più definitivo e vincolante c’è il riconoscere nell’altro di essere altrettanto capace di validità e puntualità, ma anche e soprattutto lo specchio della mia incapacità di amare se non me stesso ; e poterci perdonare a vicenda , questo è il Paradiso. E non posso credere che, se è possibile sperimentare qui le tante intime gioie che ho sperimentato e sperimento ancora oggi dopo 22 anni di matrimonio e 6 figli, dopo la morte non mi possa aspettare la vita che non finisce.
    Poter avere un dialogo aperto con i figli, in mezzo alle incomprensioni ed alle ribellioni che esistono, poter trasmettere loro la fede pregando insieme, raccontando i momenti in cui Dio ha agito nella mia vita senza vergognarmi (insieme a mia moglie), anzi con gioia, sapendo di giocarmi tanto soprattutto tutti i giorni in credibilità ed autorità, e vederli pian piano crescere nella fede combattendo ma non facendosi travolgere dagli eventi, anzi spesso confidandosi con noi grazie a quella sincerità di fondo, questa è vita Eterna.
    Ovviamente non è sempre così, ma in mezzo alle battaglie ed ai combattimenti di tutti i giorni ( che ci sono e anche grandi) ed ai peccati, che anche sono tanti, di fondo resta l’esperienza della bellezza del condividere non per capacità personali ma per averlo ricevuto. Dunque io oggi vivo questo, e non ho timore di raccontarlo per gratitudine al Signore e alla Chiesa che si è chinata su di me e mi ha curato quando ero pieno di tante ferite e pieno di me da non vedere altro. Che non mi ha giudicato, ma solo accolto.

  9. giuliana z.

    Devo essere sincera: secondo me ha ragione Velenia. La paura dell’Inferno non può essere l’unica cosa a farci seguire Cristo. E’ come per un fumatore incallito leggere sul pacchetto di sigarette “il fumo uccide” “nuoce gravemente alla salute”. Ha mai smesso il fumatore di essere tale davanti alle minacce di morte? al solo paventare di schiattare sotto un tumore al polmone? Mai. Fa più effetto l’ipnosi. Su tutto il resto concordo con il grande Roberto.
    E d’altra parte, solo se siamo catturati dal grande fascino di Gesù possiamo cominciare a prendere sul serio la nostalgia che sempre cova nel nostro cuore. Chi è l’uomo che si erge come un gigante sul ciglio del burrone dei propri desideri e li vive pienamente come un Ulisse, senza prima o poi essere distratto dal grande rumore del mondo? Il problema non è il rumore del mondo. Tutti ci siamo dentro, ci siamo nati, e sarebbe folle censurarlo, o demonizzarlo. Cerchiamo invece di starci dentro senza esserne fagocitati. Siamo nel mondo ma non siamo del mondo. E questo perchè ci riconosciamo come figli, non come un prodotto della società. Siamo figli dal momento in cui ci sentiamo chiamati per nome, e quando ci sentiamo chiamare, entriamo in un rapporto con quel Tu. Ed è quel Tu che ci ha incaricati di andarcene in giro facendo quel che si deve fare sempre ma con la garanzia che se siamo almeno in 2 a dire quel che Lui ha detto, allorà sarà lì con noi. Certo, non avremo mai in mano tutta la Verità, ma cavolo! possiamo ben dire che la verifica che ne abbiamo fatto a partire da quell’incontro, ci ha resi certi di porre speranza in qualcosa che non ci frega, ma che amplifica il nostro cuore, fino a dover per forza dire a tutti quello che ci è capitato.

  10. paulbratter

    ma Roberto non ha detto esattamente che si ha la fede per paura dell’inferno, ha scritto:

    Per questo la prima risposta che a me viene alla domanda “ma a che cacchio serve la fede?” è “beh, non finire all’inferno mi sembra già un buon inizio”

    è la prima risposta, il “buon inizio”

    1. giuliana z.

      infatti è un buon inizio ricordarsi che l’Inferno esiste, non come vorrebbero alcuni che ne mettono in dubbio l’esistenza ed il funzionamento!
      diciamo che non è la molla che può far scattere la fede.
      Ma credo che Roberto, in effetti, non volesse dire questo! il deterrente funziona con chi si è già fatto qualche domandina sulla sua condotta. 🙂

  11. 1) come è andata oggi a Uno Mattina?
    2) quanti mesi ci date per leggere con attenzione il post e i commenti, specie quelli chilometrici di Ferfal all’inizio, oltre che al quei 2-300 testi di teologia utili per poter elaborare un pensiero e condensarlo in 6 parole (come va di moda)?

    Io ci provo senza grandi pretese, solo perché amo le sfide, e se non saranno 6 prometto non più di 10

    Militia est vita homini super terram

    ah, già, ma non è mia, è di Giobbe… va bene lo stesso?

    1. Fefral

      Pugni che proprio tu mi sbagli il nick non ci sto 🙂
      Ritieniti esonerato dal leggere i miei commenti… non ne vale la pena, e poi gia ne conosci la matrice 😉
      C’è gente molto più in gamba qua dentro per cui vale la pena investire un po’ di tempo.

      1. Alessandro

        “C’è gente molto più in gamba qua dentro”

        O Fefral, questa non l’avevo letta, ma che significa codesto? Se anche uno non ha fatto le scuole teologiche alte, mica vuol dire che non è in gamba.
        Ci sono teologi decorati e gallonati che fanno letteralmente pietà

        1. ma io non parlavo di quelli che hanno studiato alle scuole grosse 🙂
          In gamba sono quelli che senza aver studiato hanno una consapevolezza e una conoscenza di Dio che magari ad avercela tutti 🙂
          ( e comunque non parlavo di te, Alessà’ 😛 )

          1. Alessandro

            allora te e io stiamo sulla stessa barca, quella “ce ne sono altri che sono più in gamba di noi” (faccina-esilarata-ed-esilarante-con-linguettina-sporgente-per-garbato-sfottò-che non-so-come diamine-si fa)

  12. piero

    Ma chi ha detto che chi ha la Fede debba essere sempre “pacifico-sereno-quieto”… balle!

    A me ‘sta frottola m’ha fregato per parecchio tempo.

    fra poco, il 7 Ottobre è la festa di S.Maria della Vittoria, poi SS.Rosario

    LEPANTO!!!!!

    vale a todos

  13. Alessandro

    come dice Paolo Pugni… quanto tempo ho disposizione per mettere assieme qualcosa a riguardo del post di oggi e dei commenti?

    Allora solo qualche flash. Il cattolico si preoccupi di essere cattolico, ma veramente. Si dedichi esclusivamente a piacere a Gesù Cristo. Ingaggi una battaglia quotidiana per rinnegare sé stesso, prendere la croce e seguire Cristo. E’ una quotidiana lotta per la conversione del cuore, senza requie. E’ la santa inquietudine che deve accompagnare la pace del figlio di Dio, quella di sapersi eletti, diletti e salvati dall’Onnipotente: una pace che, senza questa santa inquietudine (che talora può attingere zenit di incandescenza inenarrabili), cessa di essere autentica, e degenera in pace “come la dà il mondo”.

    Il resto verrà da sé. L’ateo si deve accorgere che ha davanti uno che è totalmente innamorato di Cristo. Se un ateo non si accorge che ha dinnanzi uno per il quale Cristo fa tutta la differenza del mondo, allora vuol dire che il cristiano è tiepidino, si sta smarrendo. Esemplificando: se l’ateo si convince che il suo amico cattolico è una specie di filantropo che tira in ballo ‘sto Gesù solo come “padre nobile”, “fondatore storico” di questo filantropismo, allora siamo davanti a un cattolico in disarmo, che deve seriamente preoccuparsi per la propria salvezza eterna.

    Poiché esistono uomini in carne ed ossa e non categorie, un ateo potrà reagire con l’indifferenza, un altro con l’irrisione, un altro con la persecuzione, un altro magari si lascerà frugare fin nelle midolla dal punto di vista nuovo sulla vita che il cristiano gli manifesta con il suo stesso essere, ne sarà attratto. Ma ciò dipende dalla libertà di ciascuno. A chi vuole convertirsi Dio non nega mai il soccorso per farlo.

          1. Alessandro

            ma no, stavo a scherza’, Fefral…

            mo’ mi tocca passa’ l’esame di Roberto 🙂

            a proposito, si dice “l’ho sfangata”, non “l’ho svangata” (mea culpa mea culpa…), come si dice Fefral e non Ferfal (vero Paolo PuNgi?) 😀

    1. Velenia

      Bravo Alessa’,e poi filantropia fa rima con massoneria,non cristiani tentiamo di praticare la Carità che è paziente,benigna non si vanta,non si gonfia.
      @admin,grazie di aver sistemato graficamente il mio commento amputato in due da una tastiera ballerina.

  14. allora FerfRal, l’avevo scritto alla francese, e Alessandro, belli i commenti, belle le riflessioni.
    Vorrei solo aggiungere che è vero che c’è un particolare gusto nel beccare un cattolico in errore, dimenticando che l’avere fede non significa essere santi.
    Scriveva C.S.Lewis, un autore che amo molto, che quando si vede un cattolico che fa cose sbagliate non si dovrebbe pensare “e vai anche in chiesa!” ma piuttosto “pensa come sarebbe se non andasse in chiesa!” Ma vaglielo a spiegare….
    Il che ci deve servire a metterci sempre maggiore impegno per essere capaci di indumini Jesu Christi, agire come se fossimo…
    Che non è cosa da poco…
    Grazie mille

  15. Fk

    A proposito della serenità e della pace del credente, il mio mono-neurone ed io volevamo condividere con voi un testo di San Francesco (senza per questo voler prendere il posto di Frate Leone: comunque per me tu sei un frate o comunque un prete… il tuo linguaggio e troppo “clericale”!). San Francesco dice:

    “E si guardino i fratelli dal mostrarsi tristi all’esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente amabili” – FF 27.

    Mi sembra che Francesco abbia colto, come sempre, il quid del vangelo; egli non esclude che un fratello (frate) possa essere triste (vedi il discorso di Roberto sulla lotta e sul peccato di origine che ci attanaglia) ma mette in guardia il credente a “mostrarsi” triste e oscuro in volto; chi fa questo è un ipocrita perché il suo mostrarsi triste contraddice la fede che dice di aver abbracciato. Io credo che il non credente abbia il diritto di “vederci” sorridenti e “garbatamente amabili”. Credo che abbiamo bisogno, come cristiani, di recuperare questa visibilità…

    1. Fefral

      Fino a un certo punto. Gesù si è lasciato vedere piangere dai suoi amici più cari, non ha nascosto la sua tristezza e la sua paura. Ma poi ha indicato loro la strada da seguire “si faccia non la mia ma la Tua volontà”: l’abbandono.

      1. Fk

        Sì, hai ragione, ma noi cristiani non possiamo sempre stare nell’orto degli ulivi… siamo i discepoli di una Persona Viva caspiterina!!!

        1. FRATE LEONE

          Se uno parla di amore e di perdono (non solo parole, ma piccola esperienza personale…) è un clericale ? Annamo bene !!!

            1. FRATE LEONE

              Scusami, ma non era chiaro a cosa ti riferissi. Tanti usano la parola clericale in modo spregiativo….

  16. Fabio Bartoli

    Insomma va a finire che mi devo sentire in colpa perché sono un uomo felice?
    Perbacco, fatico come tutti, epperò ho sempre pensato che come diceva il grande Bernanos (uno tormentato mica poco) “la grazia è dimenticarsi”. Ecco io vorrei solo dimenticarmi, dimenticarmi di me, nel bene e nel male, imparare ad amare ogni cosa che faccio come se l’avesse fatta un altro ed ogni cosa che fa un altro come se l’avessi fatta io…

    Però devo pure confessare che non di rado mi riesce, e mi riesce quando non ci presto attenzione, quando invece di guardare al mio sforzo invece di concentrarmi sulla mia fatica, guardo al Volto che amo, allora mi scordo da qualche parte, credo che mi lascio indietro a litigare con i miei pensieri, e intanto sono felice e basta e mi ci vuole così poco.

    Sarà per questo che a me tutta ‘sta roba che sembra di crociate e templari non mi garba mica molto… non che non la capisca, né che la critichi, ma solo ricordo che han fatto più san Francesco e i suoi figli con il loro silenzio e la loro mitezza per iberare i luoghi santi di quanto abbian fatto tutte le nazioni del tempo.

    E’ per concretezza, per realismo, non per buonismo (che poi non so bene nemmeno cosa sia, ma vabbé siccome tutti ne parlano scandalizzati deve essere una gran schifezza), perché alla fine dei conti vedo che il silenzio e la mitezza valgono di più della polemica e delle armi, perché l’ascolto e l’amore ottengono cose che mai nella vita ho ottenuto baccagliando.

    Una volta ho sentito dire a un prete saggio (io, quando ero saggio) che il Cristianesimo non è difficile, è impossibile. Oppure è facile. Difficile no. Arrampicarsi sulla montagna che è Cristo a forza di braccia è impossibile, manco se fossimmo un Manolo dello spirito, ma se invece ci lasciamo portare…

    Avete presente la storia di Pietro che cammina sulle acque? Finché tiene lo sguardo fisso su Gesù va dritto e spedito come Usain Bolt, appena comincia a guardare alle onde e al vento… pluf, va giù come un ferro da stiro. Morale? Non guardare a te stesso, manco alla tua fatica, dimenticati come un fidanzato si dimentica di tutto per la sua mòrosa e troverai la felicità ad aspettarti ad ogni angolo di strada.

    Ah tra parentesi, vi leggo da un po’ e mi piacete molto, ma non so se avrò il tempo e la costanza (ahi ahi ahi che infelice giuoco di parole) per seguirvi sempre

    don fabio

    1. Fefral

      Oh pugni…il tuo amico lewis diceva che l’amicizia è il meno geloso degli affetti. E che il numero ideale per l’amicizia non è il 2 ma almeno il 3. Quindi condivi don Fabio con gli altri, ok? 😛
      Notte a tutti.

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