Lunedì 20 gennaio era il blue monday, festività fondamentale della liturgia occidentale del nulla, che ricorda come, passata la spinta propulsiva delle vacanze, svanito l’effetto delle feste natalizie, non rimarrebbe che lo squallido grigiore feriale, nel quale si dovrà tenere duro fino alla prossima pausa. La cosa, secondo gli studi, precipiterebbe una grande quantità di gente in una sorta di tristezza, quando non di depressione.
Se di una quercia indovini l’età contando i cerchi, per una donna bisogna contare i minuti che servono a rendersi presentabile in costume dal momento in cui si sveglia. Che poi bisogna vedere di che periodo dell’anno stiamo parlando.
Se parliamo di una mattina di gennaio, al momento bikini servono, a una quarantasettenne media, duecentocinquantanovemiladuecento minuti, cioè sei mesi. Perché è ben noto che prima di metterti in costume devi metterti in costume, cioè prendere sole e aria e acqua, ma al riparo da occhi che non siano quelli di una delle sei sette amiche che ti perdonano tutto, quelle che ti hanno visto in sala parto o comunque subito dopo, con la ritenzione idrica e i capillari e quelle increspature sulla coscia che negherò fino alla morte di avere mai avuto.
Se agganci un’idea assurda e contraria alla natura (uccidere tuo figlio nel grembo) a un’idea oggettivamente buona e incontestabile (combattere lo stupro) puoi far passare nel sentire comune, con qualche bella battaglia mediatica, pressoché di tutto. Così è successo, appunto, per le battaglie radicali per l’aborto, e pazienza se la storia di Jane Roe – quella che ottenne in Usa la storica sentenza – era inventata, come poi è stato dimostrato. Chi mai può essere favorevole allo stupro? E così usi un caso estremo – anche falso – per innescare un cambiamento di mentalità epocale. Chi non vuole che le donne siano libere di eliminare i propri figli diventa automaticamente una persona a favore della violenza sulle donne.
Così è successo, per esempio, per la campagna che indusse le donne a fumare: una possente campagna pubblicitaria agganciò il fumo all’idea di emancipazione femminile, e pazienza se invece è un’altra schiavitù, a pagamento e dannosa per la salute. Così è successo per la legge sulle unioni civili: chi dice che i figli hanno diritto a un padre e una madre viene considerato contro le persone con tendenza omosessuale. Il passaggio è stato complicato, ci sono voluti anni di campagne mediatiche, ma quasi stanno riuscendo (la sola idea che in Parlamento si possa discutere una legge contro l’omofobia, una cosa che non esiste, ne è la prova). Continua a leggere “Stroncature e altre violenze”→
Qualche giorno fa a mia madre è uscita di bocca una frase incauta. “Ma perché non me li mandi tutti, i ragazzi, qualche giorno a Perugia?” L’ha detto. L’ho sentita. Non so quanto poi ci abbia messo a pentirsene, ma l’ha detto. Segue una lunga contrattazione: la mamma dei quattro in oggetto – che sarei io – è riluttante, il babbo pure: ci dispiace separarci dai figli, ma fa caldo, non c’è scuola, noi dobbiamo lavorare, e così si incastrano impegni e turni e si raggiunge l’accordo. Due giorni e mezzo dai nonni. Porta il babbo, riprendo io così sbaciucchio qualche nipote a caso. Continua a leggere “Questa è la mia vita”→
Per capire una fiaba bisogna cancellare la distinzione tra realtà e fantasia. Le fiabe sono troppo vive, e la vita è troppo fantastica perché tale distinzione possa essere valida. La storia di Cenerentola, in uscita in questi giorni nelle sale cinematografiche nella versione girata da Kenneth Branagh, non fa eccezioni: non è infatti solo un racconto destinato a popolare l’immaginazione di un bambino, pieno com’è di colpi di scena, di personaggi curiosi, di animali parlanti, e non è nemmeno l’ennesimo atto della propaganda maschilista che suggerisce alle donne di tutto il mondo che il massimo cui aspirare è incontrare un principe azzurro e sposarlo. Cenerentola è invece la risposta convinta a questa domanda che prima o poi assale la vita di ognuno di noi: che cos’è l’uomo?
Ci sono tanti “pride” in giro, alcuni alquanto aggressivi e in nome della tolleranza cercano di cancellare, opprimere e sopprimere il diverso e la diversità. Se presento oggi l’ultimo libro di Costanza Miriano, Obbedire è meglio. Le regole della Compagnia dell’Agnello, è perché da esso trapela anche un pride, ma di carattere molto particolare. Un orgoglio umile, un orgoglio inclusivo e dalle braccia aperte.
La realtà cristiana (e di Cristo) era definita da alcuni Padri della Chiesa comeParadosso dei paradossi. E nel gestire un paradosso, spesso ti sfugge una delle sue sfumature, perdi l’equilibrio e cadi in contraddizione.
Una volta arrivavo più puntuale. Adesso sembra che ci sia sempre qualcosa che mi fa essere in ritardo. Deve essere la vecchiaia. E anche il fatto che, guidando mi sono trovato davanti prima l’auto del Torero Camomillo e poi quella di Zio Giuseppe, l’anziano con il cappello di Cuneo ritenuto responsabile del famoso Ingorgo Letale del ’93.
In ogni caso, anche se quando alla fine sono giunto alla sala la conferenza di Costanza Miriano doveva ancora iniziare, tra saluti e acquisto in loco dell’ultimo libro (mancava!) io sono uno di quelli che rimangono in piedi. La sala è strapiena.
Appena saputo della morte di Adelaide Roncalli, mi è balzato alla mente il titolo dell’ultimo libro di Costanza Miriano, Obbedire è meglio, solo che con una piccolissima postilla: il punto interrogativo. Ma obbedire è davvero meglio? Se anche tra molti cattolici il nome di Adelaide Roncalli è sconosciuto, è perché questa donna, ha vissuto così come è morta: nell’obbedienza più totale alla Chiesa, e saldamente ancorata alla verità che quella stessa Chiesa ancora oggi non riconosce. Com’è stato possibile? Continua a leggere “L’obbedienza di Adelaide”→
Mezza cieca lo sono stata sempre (le ore sul Rocci, le nottate a scrivere e prima anche gli allattamenti non hanno certo aiutato), ma di solito dissimulo con una certa classe. A parte quando mi rompo un braccio e una gamba contemporaneamente andando a sbattere su un palo (a piedi).
Ma negli ultimi tempi mi aggiro per le strade strizzando gli occhi, cercando di leggere quello che dicono le magliette delle persone. A volte le pedino, ma è un po’ complicato, perché se le raggiungi da dietro comunque non riesci a leggere, dovresti superare di molto, poi girarti di scatto e sbirciare quando ce le hai di fronte. Voi direste, come mio marito, che se ne può anche fare a meno. Che non è necessario leggerle tutte. Che quella che raffigura tutti i possibili umori di Darth Vader non è imprescindibile (lo so, la faccia è quella, ma mi divertiva l’elenco degli stati d’animo, epperò certo non si può mica prendere la metro nel senso sbagliato per questo).Continua a leggere “Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai”→
Era ora! Dopo anni di slalom, nelle nostre passeggiate in libreria, in mezzo a grattacieli di copie invendute e invendibili di saggi tristi, pessimisti, sepolcrali che pontificano sulla crisi della famiglia, sugli scenari catastrofici che attendono i nostri figli, sulle prospettive funeree comportate dalla deriva morale della nostra società, arriva finalmente sugli scaffali un raggio di sole e di speranza, capace di illuminare il cuore di chi ancora ha il coraggio e la tenacia di sperare che non tutto sia perduto. “Le radici profonde non sono raggiunte dalla brina” scriveva il professor Tolkien.
Costanza Miriano nel suo libro più recente, “Obbedire è meglio”, mette insieme le due tecniche di racconto che prediligo. La prima è raccontare i fatti propri mescolandoli ai fatti degli altri. Sembra strano ma tanti ignorano quali sono i livelli di attenzione. Il primo livello è quando si raccontano i fatti propri (uno si chiede perché, ma è così).
Sul sito di Repubblica dicono “a parte che chi le ha consigliato il titolo è un genio del marketing, per il resto no comment”. Vorrei chiarire che:
a) Obbedire è meglio è preso dal Primo libro di Samuele, che è parola di Dio. Direi che Dio è un genio, sì, come minimo.
b) Di usare queste parole me lo ha suggerito Roberto Dal Bosco, che anche lui è un genio, seppure leggermente meno.
c) Non avevo intenti di marketing, e vorrei chiarire qui una volta per tutte che si guadagna decisamente di più facendo la baby sitter che la scrittrice, quanto al rapporto ore di lavoro/reddito, e che il marketing è l’ultimo, diciamo il penultimo dei miei pensieri (appena prima del calciomercato).
Dopo Sposati e sii sottomessa e Sposati e muori per lei, Costanza Miriano è tornata in libreria con un nuovo libro: Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’agnello (Sonzogno, pp 173, 15 euro). Alla scrittrice e giornalista piacciono i titoli che ribaltano i luoghi comuni. È il caso anche di quest’ultimo volume che, come i precedenti, mostra con prosa scanzonata e profonda che la vera rivoluzione oggi è il cristianesimo. «Sempre più impopolare, perché incompreso», spiega Miriano.
Miriano, lei vive per trasformarsi in agnello, ma questa è una società di lupi. Non ha paura?
Il libro parla della “compagnia dell’agnello”, cioè dell’amicizia cristiana. Per me vivere come Cristo significa vivere al meglio. Si può diventare agnelli solo con qualcuno che lo incarni, che lo segua e che ci faccia vedere che è possibile vivere così. Dio non ci ha consegnato delle regole da applicare da soli. Al contrario, si è fatto parte di me e di te, vive negli uomini che appartengono alla sua Chiesa con cui abbiamo necessità di bere, mangiare, ridere e piangere. È così che passa la paura: io il matrimonio l’ho imparato guardando spose felici che si barcamenano fra figli e lavoro. Dalla bontà di donne che servono docilmente amici, colleghi e parenti. Da donne abbandonate ma fedeli alla famiglia, tanto belle e femminili da fare invidia. Continua a leggere “Se fossimo perfetti non ci converrebbe obbedire”→
A poco più di due settimane dalla pubblicazione Obbedire è meglio ha già dato grandi soddisfazioni: la testa della classifica di Amazon nei primissimi giorni di uscita, ma anche l’attuale sedicesimo posto nella categoria “varia” della classifica generale italiana, la ristampa di altre 5000 copie dopo la prima tiratura di 8000; le recensioni dell’amico Camillo Langone su Il Giornale, quella graditissima e inaspettata del “mito” Annalena Benini su Il Foglio e quelle ancora più inaspettate da testate come Grazia e Vanity Fair e , prossimamente, di D di Repubblica. Ci hanno fatto particolarmente piacere le bellissime parole di Luisella Saro e quelle di Paolo Pugni, ma quella che ci piacerebbe eleggere testimonial del mese è Ila che nei giorni scorsi ha commentato sul blog.
Menzione speciale per l’amico sempre più caro e prezioso, Stefano Testa von Bappenheim, che ha mandato a Costanza questo agnello subito adottato dalle bambine e costretto a dormire sul letto di Lavinia. Povero Obby (abbreviazione di Obbedire), mi sa che non c’entrano, tutti e due…
Ore 19 e 02. Calcolando che la strada è rallentata dai lavori, basta uno in doppia fila che faccia scendere la nonna finta invalida e posso contare ancora in un’ora e diciotto minuti prima che gli ospiti arrivino. Devo solo: preparare la cena, tutta tranne la carne – quella l’ho già bruciata (ho dovuto mettere la muta alla Barbie surfista nel momento decisivo, e secondo me lei era un po’ ingrassata) – apparecchiare (ho solo sei forchette uguali, ma pare che la tavola spaiata faccia molto degagee), correggere due dettati e riascoltare storia, fornire a quattro figli quattro travestimenti da ragazzi a modo, possibilmente della taglia giusta o con una ragionevole approssimazione, più alcune rapide formalità tipo demolire il fortino costruito sul divano con le insegne delle femmine (“io mi lamento per principio” e “vietato ai maschi”), nascondere con poche abili mosse orsi dentro a ripostigli e furetti sotto i letti. Continua a leggere “Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’Agnello.”→
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