di Sara Nevoso
Il ponte Morandi collegava una parte della città all’altra. Era necessario, per alcuni era anche bello perché sullo stile di quello di Brooklyn, per tutti noi Genovesi significava un po’ casa.
Ognuno di noi in partenza per la vacanze se lo è lasciato alle spalle con entusiasmo, tutti al ritorno delle vacanze, alla vista di quel ponte, abbiamo pensato: “siamo arrivati” e con fiducia, con leggerezza, lo abbiamo attraversato.
Alzare lo sguardo fa ancora male, vedere quel vuoto è ancora assurdo, dobbiamo abbassare gli occhi e ripeterci che è successo davvero, poi riprendere il controllo e cercare di spostarci nel traffico sempre più asfissiante.
Oggi ad un mese dalla disgrazia che tutto il mondo ha commentato ci siamo fermati, qualcuno di noi ha pregato, qualcun altro ha mandato un pensiero verso l’alto, alcuni si sono arrabbiati perché è passato un mese ma nulla è cambiato, altri hanno sospirato sperando di tornare indietro per cancellare il 14 agosto.
Uno dei sopravvissuti oggi ha potuto conoscere il suo bambino, si chiama Pietro, nato un mese dopo il crollo che ha sconvolto la vita del suo papà; per loro le sirene e le campane che hanno risuonato in città avranno avuto il sapore di un ricordo terribile, ma anche quello di una promessa meravigliosa.
Le risposte mancano un po’ a tutti, le domande invece affollano la mente di ciascuno.
Non è questo il luogo dove parlare di come la politica, l’ingegneria, la burocrazia abbia gestito e gestirà una catastrofe così “troppo umana” come questa; la domanda che risuona nella mia mente è un’altra.
Come siamo arrivati ad avere così poca cura dei nostri figli? Siamo davvero così stanchi di pensare a costruire per loro un mondo solido nelle sue infrastrutture ma anche nei suoi valori? Quanto crediamo che potremmo poggiare le nostre vite su pilastri che qualcuno ha costruito molto prima di noi? E le vite dei nostri figli, dei nostri nipoti potranno ancora poggiare su quei pilastri?
Se coloro che dovevano occuparsi della manutenzione di quel ponte non lo hanno fatto, rimandando col pensiero che “per qualche anno dovrebbe ancora reggere”, mi chiedo come hanno potuto? Chiunque avrebbe potuto trovarsi su quel ponte alle 11:36 dello scorso 14 agosto. Come possiamo continuare a camminare ignorando dove poggiamo i piedi, come possiamo cascare nell’inganno che quello che conti è solo il presente?
Quando si hanno figli, quando si ama qualcuno, non si pensa forse al suo futuro? Non si ha la paura che le scelte che noi compiamo oggi condizioneranno il suo domani?
Forse è di questo che ci stiamo dimenticando, abbagliati dalla convinzione che la realtà sia dentro uno scatto, dentro un’istantanea che ci ritrae sorridenti, poco importa se la nostra vita è incompleta, se le nostre prospettive sono abbarbicate su un burrone che dà sul vuoto. Quello che conta è il presente, è l’attimo su cui puoi credere di avere il controllo.
Ma se non abbiamo più le forze per costruire il nostro futuro e per raccontare ai nostri figli che il futuro è quanto di più meraviglioso può nascere dalle radici del presente, con che coraggio attraverseremo i nostri ponti? Se coloro che si occupano delle nostre scuole, delle nostre strade, delle nostre case non penseranno al domani, domani che succederà?
I miei bambini stanno crescendo e i momenti in cui mi fermo a pensare a quello che saranno sono tanti, a volte immagino quando avranno le loro vite, le loro case, le loro famiglie e io aspetterò che la domenica vengano a pranzo da noi. Immagino che mi piacerebbe passare la settimana in attesa di quella domenica, magari comprando ingredienti per un pranzo speciale, pensando a come apparecchiare la tavola, a come accontentare i gusti di ciascuno.
Forse dovrebbe essere così, in fondo dovremmo cercare di preparare la migliore tavola possibile per i nostri figli, loro poi lo faranno per i nostri nipoti e la catena di amore incondizionato e di cura dell’altro non si spezzerà.
Dovremmo ritrovare il coraggio di raccontare ai nostri figli che il presente di questa vita non può distoglierci dal futuro di quella che speriamo di vivere per sempre.
Allora i ponti non crolleranno più.
L’ha ribloggato su Giuseppe Bortoloso .
Signora, mi perdoni se oso dare un’interpretazione ad una catastrofe che mi ha sconvolto nel profondo. Vivo in una città collegata da moltissimi ponti, antica Repubblica marinara in passato rivale di Genova. Essendo che la conversione del cuore ogni giorno, mi richiede di amare il prossimo mio come me stessa… mi sto dando una risposta ( forse per placare un enorme senso di colpa). Chiedo perdono se la manutenzione, i sopralluoghi e tutto quanto fosse stato necessario per evitare una cosa del genere non sia stato perfettamente eseguito… anche a me, come a lei, piacerebbe che i nostri figli e nipotini in un futuro prossimo ci riempissero le domeniche di gioia condividendo il pane quotidiano. Ma…eccoci al ma… io mi sento anche responsabile dell’oggi. Il domani non è ancora. Ma oggi potrei fare una buona azione, chiedendo ai miei figli di aiutarmi . Studiando architettura, ingegneria e pensando che anche così potranno amare il loro prossimo come se stessi. Gesù salvaci, Gesù liberaci, Gesù illuminaci. Grazie e spero che capisca la buona fede delle mie parole
Visto che si riparla del ponte, riporto questa notizia edificante che nessun giornale principale, mi pare, si è guardato bene dal riportare. Eppure le convinzioni e le intenzioni di questa persona erano state rese note sin dall’inizio. Non solo: lo stesso camionista oggi è intervistato dal Corriere, dove vengono riportati una serie di dettagli che ritengo puramente di contorno rispetto alla tragedia (è del tutto indifferente sapere se il camion guidato da questa persona sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso), eppure la questione riportata da PrimoCanale non è menzionata.
http://www.primocanale.it/notizie/gi-dal-ponte-morandi-il-camionista-miracolato-mantiene-la-promessa-e-sale-alla-guardia-201270.html
GENOVA – Giancarlo Lorenzetto, camionista sopravvissuto al crollo di Ponte Morandi, ha mantenuto la promessa fatta a Primocanale durante un’intervista proprio nelle ore successive alla tragedia: “Devo la mia vita alla Madonna della Guardia, quando starò meglio salirò sul monte Figogna.
E così ha fatto: Lorenzetto ha portato una foto del luogo della tragedia dove si vede il suo camion rosso caduto nell’alveo del Polcevera e dietro ha scritto a penna: “14 agosto 2018 ore 11.37 devo ringraziare la Madonna della Guardia per grazia ricevuta perchè pur precipitando uscii indenne”.
Lorenzetto aveva raccontato a Primocanale i momenti successivi al crollo: “Non capivo bene dove mi trovavo, ho aspettato i vigili del fuoco, ma sono uscito solo con qualche graffio e una contusione al collo”.
Bellissimo! Grazie!
In un passo del vangelo c’è scritto…..uno sarà preso / sa, e l’altro lasciato…..mi ha fatto riflettere molto.
Non sapiamo ne l’ora ne il giorno, vigilare….sempre e non basta…..
Lorenzetto ora potrà testimoniare la grazia ricevuto.
ciao Fabrizio Giudici.
Sinceramente in simili casi a me viene sempre in mente una Parola del Vangelo:
Non è certo da leggere superficialmente come un preannunciato castigo, ma ci ricorda come la morte può sorprenderci e il come “periremo” non ha a che fare con la causa prima…
Questo non significa essere fatalisti o non ricercare responsabilità dove ve ne sono e ancor più chiedere che certe tragedie si verifichino per incuria, ma ponti, case, aerei, e altro ancora continueranno a cadere, così come la torre di Siloe allora.
Come ci sorprenderà la morte? E quale il senso per chi resterà in vita?
Non a caso l’articolo conclude:
“Dovremmo ritrovare il coraggio di raccontare ai nostri figli che il presente di questa vita* non può distoglierci dal futuro di quella che speriamo di vivere per sempre.
*(e la morte neppure)
“…certe tragedie si NON verifichino per incuria” ovviamente
@ Bariom..
Alla morte ci penso spesso, è l’unica cosa che non poi sapere quando sarà, e ancora meno come sarà.
L’esperienza già nella mia famiglia, di morte giovane,( improvvisa,)
ti fa riflettere tanto ma tanto….e per chi resta ancora in attesa di riabbracciare la persona cara, a Dio piacente.
Nulla è un caso.
Chiediamo a Dio un morte santa, che ci liberi da morte improvvisa e piuttosto ci doni la consapevolezza di quando la nostra ora si avvicina.
…che è il contrario di quello che la nostra cultura attuale ci spinge a chiedere! Ricordo mia mamma che aveva visto suo padre morire a poco a poco e per tutta la vita continuò a dire: “mai come lui!”, preferendo la sorte toccata all’altro mio nonno, morto nel sonno a 88 anni. Quando fu il suo momento, le toccò una malattia che durò circa 8 mesi e l’affrontò con coraggio (anche se non con molta voglia di vivere, visto che dopo i primi due mesi morì mio padre)… Credo che vorrei affrontare la morte con lo stesso coraggio e la stessa fede che ho visto nei miei….
La morte di chi ci ha preceduto (non di rado preceduta da più o meno lunga malattia) affrontata nella Fede e nell’accettazione della croce, può essere una grande testimonianza e di grande edificazione per che “rimane”.
Così è stata per i miei figli (e per me) la morte della loro Madre.
Poi ci sono, tempi, modi e persino giorni (per chi sa leggerli) che mostrano una particolare attenzione di Dio nei riguardi di questi Fratelli e Sorelle e del loro “Dies Natalis”.