Che grazia per un sacerdote essere innamorato di una donna

Articolo tratto da TEMPI

di padre Aldo Trento

Carmen scrive:

Più di un paio di anni fa incontrai un uomo speciale: bellissimo, brillante, divertente e fedele a Cristo. Col passare dei mesi diventammo sempre più intimi, eppure lui non si decideva ad uscire allo scoperto. Una sera ricevetti una telefonata, nella quale questo ragazzo (che chiamerò Giovanni) mi aprì il suo cuore dicendo che si era sì innamorato di me, ma che stava affrontando un serio discernimento con la propria guida spirituale perché pensava che il Signore lo stesse chiamando al sacerdozio. Gli dissi che questa notizia mi faceva molto male, ma che non potevo non essere felice se il progetto di Dio per lui era davvero questo. Gli chiesi di interrompere ogni tipo di rapporto fra noi, perché ci eravamo legati già troppo, e sarebbe stato doloroso rinunciare a lui.

 

Purtroppo però non riuscimmo a staccarci e il nostro rapporto nei mesi seguenti fu morboso: in alcuni momenti non volevo ricevere chiamate da parte sua, in altri avevo un disperato bisogno di sentire la sua voce. Pregai con tutta me stessa che il Signore lo chiamasse al matrimonio, ma lui, nelle nostre interminabili ore al telefono, mi raccontava di come fosse sempre più sicuro della sua vocazione, e di come anche quello che provava per me lo spingesse in quella direzione. Un giorno, dopo una litigata furiosa, decisi di troncare ogni tipo di rapporto. Non ho più sentito il bisogno di scrivergli, e ho respinto, soffrendone, i suoi riavvicinamenti. Sebbene sia riuscita a dare un taglio da più di un anno al mio legame con lui, il mio cuore continua a sanguinare al pensiero di averlo perduto.

Non capisco come sia possibile conciliare un sentimento forte e reale come quello che lui provava per me, con la vocazione sacerdotale. Sta iniziando il seminario in questi giorni e, anche se a tratti sono felice di aver contribuito in modo così radicale al suo discernimento, non posso non chiedermi che senso abbia avere per me l’averlo incontrato. Io gli ho permesso di testare la sua vocazione, ma lui, a parte portare scompiglio, che funzione ha nella mia vita?
Carmen

Una storia bella e drammatica di un uomo e una donna, innamorati l’uno dell’altra ed entrambi innamorati di Cristo. Ma Giovanni aveva un segreto che gli impediva di coinvolgersi con Carmen. Un segreto che si svelò quando entrò in seminario, lasciando in una inevitabile afflizione la ragazza della quale era innamorato.

Come può un uomo “lasciare” la donna della quale è innamorato per iniziare un cammino che, apparentemente, non ha niente a che vedere con la strada percorsa fino a quel momento? Solo un grande e appassionato incontro con Gesù permette che sia possibile questa decisione, la quale non è una rinuncia alla bellezza drammatica dell’amore umano, ma la pienezza della relazione che ha permesso a Giovanni di decidere di entrare in seminario.

Per questo motivo non trovo umano quello che Carmen mi confida. Non posso immaginare il nostro Dio con il “machete” in mano, intento a tagliare i sentimenti umani. Dio non taglia niente, esalta tutto! Questo atteggiamento era la caratteristica educativa di don Luigi Giussani: «Padre, mi sono innamorato, sto male…» e lui: «Che Grazia, finalmente diventerai un uomo». Se Dio ha suscitato in voi questo amore, perché tagliarlo? Non esiste forse un’altra modalità per vivere questa relazione? È disumano e comodo tagliare i sentimenti. Si castrano gli animali, non gli uomini. Per questo don Giussani mi aiutò ad andare al fondo di ciò che mi era accaduto per rendermi conto di ciò che il nostro cuore cercava mediante l’innamorammento: era Gesù. Se avessi tagliato, seguendo la logica clericale, molto presto si sarebbe spenta quella drammaticità, quella sofferenza che permettono al cuore di gridare: «Vieni Signore Gesù». E oggi non sarei un uomo ma uno zitellone. Amare è soffrire e la sofferenza rivela la verità dell’amore. Molte volte mi chiedo perché tanti di noi preti siano freddi, con un volto inespressivo di fronte a chi soffre e la nostra lingua come quella dei pappagalli.

Per questo, cara Carmen, non si tratta di tagliare perché Giovanni, che stando con te ha scoperto drammaticamente una vocazione particolare da parte di Dio, resterà sempre un dono per te e tu un dono per lui. Se oggi vi è chiesta una distanza meramente fisica, è per rimanere sempre uniti, una carne sola secondo il significato profondo di quello che Dio, nella Genesi, disse all’uomo e alla donna. «Padre, se non vuoi perdere la donna che ami, ti mando in Paraguay», mi disse don Giussani trent’anni fa. E il miracolo si compì nella pienezza affettiva che vivo e nella fecondità della vita.

Non pretendo che tu lo comprenda ora, ma il Mistero, come sempre nella storia, ti sta chiedendo ciò che ha chiesto ad Abramo: offrirgli la persona più cara. Ma per un centuplo. «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande», scrive Manzoni.

fonte: Tempi.it 

30 pensieri su “Che grazia per un sacerdote essere innamorato di una donna

  1. Gabriella Redolfi

    Ma scusate a lui resta tutto , l amore per la donna e il sacerdozio e a Carmen non resta che la sofferenza di aver perduto l’amore.
    Solo parole altisonanti quelle di trasformare l’amore da “carnale” (non nel senso stretto) a spirituale. Tutto bello ma nel concreto tanti non ci riescono . Forse Carmen voleva metter su famiglia. Gli èandata per così dire male. Ma non ditemi che non si deve tagliare. Si deve eccome!

    1. Luigi

      “Forse Carmen voleva metter su famiglia”

      Come si ripeteva in altri tempi, più civili, l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re.
      Con la confusione descritta, è certo stato un bene che questo “amore” non si sia concretizzato in una famiglia.

      Ciao.
      Luigi

  2. francesco

    Mah. I miei due penny sulla futura fine ingloriosa della Vocazione di questo seminarista. Inutili tante parole. “Offrite i vostri CORPI come sacrificio vivente”. Se un uomo sposato con sua Moglie continuasse un rapporto d’amore “spiritualizzato” con un’altra donna sarebbe adulterio. Punto. Non vedo la differenza rispetto a questo futuro Sacerdote e Sposo di Cristo.

      1. Confesso di aver capito poco di questo testo, ma – nel poco che ho capito – condivido le osservazioni di francesco e Paolo Pagliaro. Inoltre non capisco perché si parla di “una carne sola” se non c’è stato di mezzo un matrimonio, ma un fidanzamento. Che è: persone che sono state fidanzate con persone diverse sono “una carne sola” con tutti? E poi si fa sempre questo drammone, incolpandone il Creatore, quando un fidanzamento finisce perché uno dei due tronca?

        Spiegatemi un po’ meglio la cosa, perché mi rimane poco chiara.

  3. Una storia sofferta…..ma nella provvidenza …. Dio lo permette, per un bene maggiore….ma quante cose nella nostra vita noi non comprendiamo ??? mi fa pensare che anche questo è un mistero d’amore….un giorno tutto comprenderemo…….ciao !!! a voi….

  4. Paolo Pagliaro

    Scusate, ma non ho capito: cosa vuol dire che “è andato fino in fondo”? E da quando in qua, rinunciare ad un affetto illecito per fedeltà a Gesù Cristo sarebbe “logica clericale”? E chi ha mai sostenuto che, quando si rinuncia a un tale affetto, lo si deve fare senza approfondire la propria vocazione? Boh.

  5. Questa lettera mi ha ricordato la vicenda di Corrie ten Boom (raccontata con grande finezza nel terzo capitolo del meraviglioso libro “Il nascondiglio”), che giunse, in circostanze diverse, alla stessa conclusione di padre Aldo.
    Ne riporto un breve estratto.

    “Corrie”, disse Willem (Willem era il fratello di Corrie ndr) porgendomi il caffè e parlando con un certo sforzo, “Karel ti ha indotto a credere che è… serio? Perché, Corrie, questa cosa non ha futuro. Tu non conosci la famiglia di Karel. Una sola cosa hanno desiderato fin da quando era piccolo, hanno costruito tutte le loro vite intorno a questo, Karel deve ‘sposarsi bene’, penso che dicano così”…
    Fuggii nel giardino. Odiavo quella vecchia casa triste e qualche volta quasi odiavo Willem per il suo vedere sempre il lato oscuro delle cose… Willem ne poteva sapere più di me in fatto di teologia e guerra e politica… ma quando si trattava di romanzi! Cose come denaro, prestigio sociale, aspettative familiari… macché, nei libri scomparivano come nubi al sole, ogni volta…

    […]

    Con l’andar del tempo, le lettere di Karel vennero sempre più di rado. Le sostituii con le mie e proseguii la mia via attraverso l’estate e l’autunno.
    In un magnifico giorno di novembre suonò il campanello. Aprii la porta e lì stava Karel. Al suo fianco c’era una giovane donna che mi guardava sorridendo. Karel stava dicendo: “Corrie, voglio presentarti la mia fidanzata”. Devo aver detto qualche cosa e devo averli accompagnati dentro. Ricordo soltanto che la mia famiglia venne alla riscossa, parlando, stringendo mani, prendendo cappotti e sedie, così che io non avessi niente da fare o da dire. In un modo o nell’altro, la mezz’ora passò e Betsie li accompagnò alla porta. Prima che questa fosse chiusa, correvo su per le scale verso la mia camera, dove le lacrime potevano finalmente sgorgare.

    Più tardi udii il passo di papà che saliva le scale. All’improvviso mi preoccupai di quello che mi avrebbe detto. Temevo di udire le parole: “Presto ci sarà qualcun altro” e che dopo questa bugia sarebbe per sempre rimasto tra noi come un muro. Perché, in qualche parte profonda di me, sapevo già che né presto né tardi ci sarebbe stato qualcun altro.
    L’odore dolciastro del sigaro entrò nella camera con papà. E naturalmente non disse quelle parole false e oziose. “Corrie, disse invece, “sai cos’è che fa più male? È l’amore. L’amore è la forza più potente del mondo e quando viene contrastato fa soffrire. Vi sono due cose che possiamo fare quando ciò accade. Possiamo uccidere l’amore in modo che smetta di far male. Ma allora, naturalmente, c’è anche una parte di noi che muore. Oppure, Corrie, possiamo chiedere a Dio di aprire un’altra strada sulla quale questo amore possa viaggiare. Dio ama Karel, ancor più di quanto lo ami tu; e, se glielo chiedi, Lui ti darà il suo amore per quest’uomo, un amore che nulla può ostacolare, nulla può distruggere. Ogni volta che non possiamo più amare nel nostro vecchio modo umano, Corrie, Dio può darci il suo modo perfetto di amare”.

    Non lo sapevo, mentre ascoltavo i passi di papà che scendeva le scale, che mi aveva dato qualcosa di più che la chiave per questo duro momento. Non sapevo che aveva posto nelle mie mani il segreto che avrebbe aperto camere più buie di questa, posti dove non c’era a livello umano, assolutamente nulla da amare… (Corrie sarebbe stata deportata nel lager nazista di Ravensbruck ndr).
    Il mio compito era di abbandonare i miei sentimenti per Karel senza abbandonare la gioia e la meraviglia che con essi erano cresciute. E così sussurrai l’enorme preghiera: “Signore, io ti affido ciò che provo per Karel, i miei pensieri riguardo al nostro futuro… oh, tu lo sai! Tutto! Dammi in cambio il tuo modo di vedere Karel. Aiutami ad amarlo in quel modo e che anche per lui sia così”. E mentre dicevo queste parole mi addormentai.

    1. @chesterton63

      Forse è una questione di termini, ma non mi pare che il brano riportato dica proprio le stesse cose del pezzo principale. Qui si sta parlando di due cose su due piani diversi: e ho respinto, soffrendone, i suoi riavvicinamenti e non possiamo più amare nel nostro vecchio modo umano, Corrie, Dio può darci il suo modo perfetto di amar.

      1. Io ho scritto “alle stesse conclusioni di padre Aldo”, non della donna che ha scritto la lettera.
        E la conclusione comune, mi sembra, è che l’amore di Dio è più grande della nostra affettività, e, se noi gli permettiamo di farsi strada nel nostro cuore, può renderci capaci di amare in pienezza ed essere pienamente felici anche nel momento (mi verrebbe quasi da dire “proprio nel momento”) in cui, umanamente, la nostra affettività appare mortificata. Credo che la vita di Corrie ten Boom, così come quella di padre Aldo, siano testimonianze molto forti di questa affermazione.
        “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,14).

        1. l’amore di Dio è più grande della nostra affettività, e, se noi gli permettiamo di farsi strada nel nostro cuore, può renderci capaci di amare in pienezza ed essere pienamente felici anche nel momento (mi verrebbe quasi da dire “proprio nel momento”) in cui, umanamente, la nostra affettività appare mortificata.

          Su questo siamo tutti d’accordo (in realtà, a leggere alcuni commenti che ogni tanto compaiono su questo sito, non è vero: ma sicuramente vale per tutti quelli che hanno espresso dubbi su questo post).

          Io ho scritto “alle stesse conclusioni di padre Aldo”, non della donna che ha scritto la lettera.

          Eh, ma è anche sulle conclusioni di padre Aldo che non capisco certe cose. Le cose in ballo sono due (sopra ho scritto: due piani diversi): la prima è la trasformazione del modo in cui l’affettività si estrinseca, ed è chiaro che Carmen non lo comprende ancora; la seconda però è l’atteggiamento che la persona deve tenere nei confronti dell’altro. Padre Aldo sembra opporsi al “troncare”, ma se il “troncare” vuol dire “mantenere le distanze”, è una cosa da farsi assolutamente, perlomeno in molti casi. Uno che si innamori di un coniuge sposato è meglio che non lo frequenti, per evitare di cadere in tentazione; questo vale per tutti i tipi di relazioni illecite. Rimane poi sempre il mio dubbio su quel passaggio a proposito di “una carne sola” nel contesto, che nessuno mi ha spiegato.

          1. Alessandro

            Penso che padre Aldo Trento avrebbe fatto meglio a evitare di dire che Carmen e Giovanni sono chiamati a essere “sempre uniti, una carne sola”, perché “una carne sola” sono – notoriamente – i coniugi che sono uniti secondo il disegno divino.

            Tanto più che padre Aldo, giustamente, non incita Giovanni ad accantonare la sua vocazione sacerdotale né Carmen ad “allontanarlo” dal sacerdozio; anzi, riferisce la propria esperienza, dolorosa ma grandemente formativa, di obbedienza a don Giussani, che, a fronte dell’innamoramento, lo… spedì in Paraguay. Insomma, padre Aldo ha “troncato” eccome.
            Il linguaggio di padre Aldo è più esperienziale che rigorosamente teologico, e quindi può far storcere il naso, può disorientare un po’, in effetti.

            Anche se il senso complessivo di quello che dice padre Aldo è certamente istruttivo: in sostanza – come è stato evidenziato anche in alcuni commenti – padre Aldo afferma che di quell’innamoramento bisogna scoprire che al suo fondo c’è la ricerca di Gesù, e che quella ricerca va assecondata (e non l’attrazione affettiva per colei/colui di cui ci si è innamorati). Trovando Gesù, tutti i rapporti umani ritrovano la propria verità, e quindi trovando Gesù anche il rapporto con chi era l’ “oggetto” dell’innamoramento trova la sua sana autenticità (che non passa per l’intimità affettiva coniugale né per una qualche tentativo di instaurare un succeddaneo dell’intimità affettiva coniugale… tant’è che don Trento, obbedendo a Giussani, se n’è andato in Paraguay, così troncando ogni tentazione di rimanere in contatto diretto con la donna).

            Detto con l’espressione paradossale di don Giussani: «Padre, se non vuoi perdere la donna che ami, ti mando in Paraguay».
            Cioè: se vuoi che il tuo rapporto con quella donna non sia guasto e sprecato, ossia che non vada perduto, non assecondare quell’innamoramento così com’è, “grezzo”, ma lavoraci sopra; e per far questo, va’ in Paraguay, e (certamente: nella sofferenza) avrai modo di scoprire che a fondo di quel sentimento c’è l’anelito di stabilire/ristabilire la giusta relazione con Gesù, trovando il quale (e accettando la sofferenza che comporta il trovarlo) e solo trovando il quale il rapporto stesso con quella donna non si corromperà e non andrà perduto, ma si ritroverà nella sua autenticità (ossia: la vedrai non più come una “potenziale moglie”, per così dire, ma per quella che è, cioè come una sorella in Cristo da amare di quell’amore di cui va amata ogni sorella in Cristo).

            1. Thelonious

              @Alessandro: credo che sia esattamente così come hai detto.
              Grazie della tua sensibilità umana, dote davvero rara in questi tempi.

  6. Luigi igiuL

    Spero di avere il tempo per rileggere con calma il testo e poter scrivere qualche riga a commento. C’è molto più di qualcosa che mi colpisce.

  7. Giusi

    Mah! Io sono rimasta a un proverbio del mio paesello natio: la carne è carne e vicino al fuoco brucia…

  8. Digital

    Alla domanda di Carmen “non posso non chiedermi che senso abbia avere per me l’averlo incontrato” giustamente Padre Aldo risponde così: “amare è soffrire e la sofferenza rivela la verità dell’amore”.
    L’errore che commette Carmen è quello di pensare che solo il lieto fine avrebbe dato un senso alla propria storia d’amore. Invece, è proprio vero il contrario. Infatti, la rinuncia a quella persona le consente di conoscere e sperimentare quello che è il vero Amore e che possiamo definire con 2 semplici parole: donazione incondizionata.
    E’ questa la vocazione a cui tutti siamo chiamati. Poi vengono tutte le altre. Quindi, Carmen, se vuole amare veramente quel seminarista deve lasciarlo andare senza però smettere di amarlo così come fece Padre Aldo molti anni fa, quando segui il suggerimento di Don Giussani e partì per il Paraguay. Giustamente Padre Aldo, a distanza di molti anni, riconosce che quella storia d’amore lo ha fatto crescere e diventare più uomo.
    In merito all’osservazione di Fabrizio, secondo il quale Padre Aldo sembra opporsi al troncare, io farei una distinzione. E’ vero che Padre Aldo suggerisce a Carmen di non troncare ma solo dal punto di vista affettivo ma non fisico. Infatti, lui stesso si staccò dalla persona amata accettando il suggerimento di Don Giussani di partire per il Paraguay ma allo stesso tempo non troncò i suoi sentimenti perché farlo avrebbe comportato per lui rinunciare ad un’occasione di crescita personale. Infatti, la distanza fisica è necessaria per non cadere in tentazione (come dice giustamente Fabrizio) mentre quella sentimentale è negativa perché non ti permette di maturare.
    Quindi, quello che consiglio a Carmen è di continuare a mantenere quella distanza fisica che ha posto tra lei e il suo amato ma allo stesso tempo di continuare ad amarlo lasciando che il suo sentimento abbia il suo corso naturale. Tanto si sa che i sentimenti non sono eterni a differenza dell’Amore, che come ho detto già altre volte non è un sentimento ma una virtù!
    Tutto questo lo dico, per esserci passato da questa prova molto dolorosa ma formativa.

  9. Luigi igiuL

    L’articolo offre molti spunti di riflessione e, per come è impostato, si espone anche a delle critiche. Cercherò di procedere con ordine.
    L’aspetto principale è il tema dell’affettività, ma sembra essere sbilanciato a favore dell’aspirante sacerdote, mentre tiene in poca considerazione quella della donna implicata.
    Per l’uomo, infatti, si dice che è un bene che abbia sperimentato l’innamoramento di una donna e che alla fine abbia prevalso la scelta per il bene maggiore del sacerdozio, senza però aver negato in modo drastico il primo amore. Se ciò fosse accaduto, il rischio sarebbe stato un impoverimento affettivo, una sorta di castrazione spirituale che non fa bene, perché può portare a risvolti negativi con conseguenze peggiori di quelle che qui appaiono.
    Credo che l’autore voglia sottolineare come L’affettività può essere deleteria se negata sic et simpliciter invece che educata perché si tratta di una componente molto importante della persona umana.
    Ovviamente, il riconoscimento e la conseguente scelta di rinunciare alla donna deve portare nella realtà a delle misure prudenziali, quali per esempio la non frequentazione dei due, ma non la negazione. È un percorso più difficile da mettere in pratica, ma è anche quello che garantisce uno sviluppo più armonico della persona, in questo caso del neo-seminarista.
    La “castrazione affettiva” che l’autore lamenta in certi sacerdoti è deleteria sotto diversi punti di vista. Primo, perché porta ad avere sacerdoti incapaci di empatizzare con i fedeli che hanno in cura; secondo – anche se nell’articolo non appare – potrebbe essere causa di crisi future difficili da gestire. Ecco perché l’autore può dire che è un bene che ci sia stata questa esperienza forte e che non sia stata negata totalmente: la consapevolezza di provare qualcosa per una donna e, nonostante questo scegliere di non dare seguito a una relazione di coppia, aiuta a tenere desta l’attenzione sulla propria finitezza e sui propri limiti e questo fa sì che possa avvenire una purificazione che solo Dio può compiere.
    Quando ero religioso, partecipai ad un convegno regionale per persone consacrate e lì una relatrice, rispondendo a una domanda, disse che il problema non è l’innamoramento, ma il modo in cui lo si gestisce.
    Essere consapevoli e restare fedeli al proprio stato (conseguente a una scelta) è essenziale.

    Di contro, rimane per la donna il peso di una scelta subita, ma questo fa parte di un processo che può gestire solo in parte e per quanto riguarda se stessa, senza poter agire sulla decisione del partner mancato. Ma a lei che risposta darebbe l’autore dell’articolo?

  10. 61angeloextralarge

    Ho sempre pensato che una delle cose fondamentali per il discernimento vocazionale sacerdotale o vita consacrata, sia il avere il cuore libero, cioé non innamorato. Mi è stato insegnato questo, per lo meno… da più sacerdoti o Madri di monastero.
    Per la mia esperienza personale, quando c’è attrazione c’è anche debolezza e la tentazione si vince fuggendo…
    Ho conosciuto più di un sacerdote che si è sposato perché non ha avuto la forza di dire no all’amore umano. Poi, ogni caso è a sé, quindi non entro in merito.

    1. Luigi igiuL

      La fuga è doverosa quando si tratta di evitare una prossimità relazionale che può portare al peggio (un sacerdote diceva spesso: “La terra santa e l’acqua santa messi insieme fanno solo fango”). Ma quando si ha a che fare con qualcosa che è nel proprio cuore, da cosa si fugge?
      Il negare e nascondere amplificano ancora di più il bisogno che si avverte e, se non sufficientemente attenzionato, diventa quasi impossibile poi dire di no.
      L’autore dell’articolo non ha sostenuto che il seminarista possa continuare a frequentare la donna, anzi, riportando la propria esperienza ha detto proprio quello che lei e altri state ribadendo: la distanza è necessaria. Ma davanti a Dio, cui non si può nascondere nulla, è necessario stare per e con quello che si è, riconoscendo anche i sentimenti che si provano. Se non c’è questa azione di riconoscimento interiore, se non gli si da un nome, come si potrà rinunciare per il bene maggiore che si è scelto?
      Il cammino in questo senso è più arduo, ma necessario e, soprattutto, deve essere affrontato con l’aiuto di una guida spirituale.

      1. Thelonious

        @Luigi igiuL: sono d’accordo al 100% e infatti mi pare proprio questo il punto.
        Far leva su una condizione umana per arrivare a vivere quella stessa condizione in modo soprannaturale, in modo che non sia ostacolo, ma addirittura un mezzo per vivere più a fondo la propria vocazione.
        E’ proprio questo che sta dicendo padre Aldo: è chiaro che non c’è nessun cedimento ad un amore illecito (infatti don Giussani lo manda in sudamerica) ma il bene che ha tratto da questo è stata una maggiore ricchezza umana nel vivere la sua vocazione sacerdotale (e dunque di totale consacrazione a Dio nella verginità).
        Mi sembra che in tutto questo non solo non ci sia nulla di male, ma sia al contrario segno di una vera grandezza umana e fedeltà vocazionale.
        Certo, se si riduce tutto ad una visione schematica e moralista tutto questo si perde, semplicemente perché si nega una realtà, la si “taglia” nel modo più brutale: la si censura.
        Dio ci salvi dal moralismo.

  11. A

    Mi dispiace, ma questa volta non sono d’accordo con l’autore dell’articolo.
    Forse non è stato Dio, l’artefice dell’incontro, ma il demonio, ma per Carmen, Giovanni non sarà mai un dono, ma solo una ferita, che rimarrà sempre. Che le auguro presto che si cicatrizzi, o non potrà mai trovare un altro uomo da amare veramente. Un uomo più meritevole, perché questo Giovanni, a me, non garba molto. Se davvero aveva già in testa il sacerdozio, avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione e non avvicinarsi, né farla avvicinare.
    Vista da fuori, sembra solo che abbia usato l’altra persona. E questo lo trovo indegno di qualsiasi essere umano, a maggior ragione di un futuro sacerdote.

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