di Costanza Miriano
Quando lessi la prima volta la Mulieris Dignitatem credo proprio che non ne capii praticamente nulla, nella sostanza: avevo diciassette anni, e idee tutte strampalate su come dovessero essere maschi e femmine, sul matrimonio, su una malintesa parità tra i sessi. Mi sembravano belle parole, ma destinate a rimanere su carta.
Dieci anni dopo l’enciclica mi sono sposata, e i successivi anni li ho passati praticamente a cercare di comprenderla. Piano piano, con il tempo, le parole del Santo Padre si stanno traducendo in carne, si sono incarnate nella storia della nostra coppia, hanno dato un nome a ciò che vivevo e anche in parte soffrivo.
Credo che in amore si soffra quando si dimentica che “C’è un paradosso nell’esperienza dell’amore: due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare”. (R.M:Rilke) “Solo nell’orizzonte di un amore più grande è possibile non consumarsi nella pretesa reciproca e non rassegnarsi, ma camminare insieme verso un Destino di cui l’altro è segno”. (C:S:Lewis)
Uomo e donna sono due povertà che si incontrano e si donano. Quella che Lewis chiama pretesa reciproca è destinata a rimanere delusa a causa del nostro peccato, e a causa delle differenze tra l’uomo e la donna. Avere un’identità adulta a mio parere significa proprio accogliere questa verità: cioè che l’altro non potrà mai colmare tutte le attese, anche involontarie, o le pretese che noi riversiamo sulla persona che ci è a fianco. Avere un orizzonte più grande significa invece che le piccole mancanze e delusioni reciproche le possiamo vivere non come crepacci nei quali cercare di non cadere, né tanto meno come rivendicazioni, ma come “giogo soave”, un peso leggero che serve alla propria conversione, che è poi il fine della vita qui sulla terra.
Ogni attesa disattesa – perché l’amore non è quell’unione simbiotica spontanea, gratuita, facile, che prende il nome di amore, almeno nella cultura occidentale dal romanticismo in poi – ogni attesa disattesa, dicevo, dunque non è che lo scartavetramento della vita sul nostro ego, su quella parte di noi che è ferita dal peccato originale e che quindi non funziona, non ci permette di entrare in un rapporto vero e personale con Dio. Ogni uomo e ogni donna sono chiamati a essere sposi prima di tutto del Signore, sia che siano consacrati, e allora è direttamente lui lo sposo, sia che siano invece sposati, e quindi l’altro diventa la via privilegiata per amare e ricevere amore da Dio, che rimane sempre però il nostro sposo. Quello che guarisce i rapporti è ricordare che se il fine oggettivo del matrimonio è quello di generare figli, quello soggettivo è generare se stessi, quindi, poiché esattamente come per le persone consacrate, è il rapporto con Dio che ci definisce, lo sposo è la via per realizzare questa unione con Dio. Amando lo sposo, la sposa, si ama Dio, e questo ci permette innanzitutto di uscire dalla logica “del ragioniere” che sembra prevalere in tante coppie. E poi, ad un livello molto più profondo, l’uomo maschio e femmina è a immagine di Dio, quindi necessariamente il rapporto con l’altro ci dice qualcosa di decisivo su noi stessi.
L’altro dunque, così diverso, che così spesso ci fa arrabbiare, venire i nervi, ci delude, ci ferisce, non è sbagliato, ma è semplicemente il “segnaposto del totalmente Altro”, come lo definisce il cardinal Scola, e ci costringe a una domanda sul senso, ci costringe alla conversione. Ci porta a una forma di amore preterintenzionale direi, che parte cioè dalla rinuncia a tutto o a molto di quanto si era atteso o proiettato sull’altro. Si abbraccia quasi la morte dell’amore come lo si era immaginato, e si accetta di perdere. Si ama non più con lo slancio dell’emozione ma con l’amore di un monaco che scolpisce una minuscola scultura sotto la volta di una cattedrale, qualcosa di piccolo e prezioso che non vedrà quasi nessuno, solo coloro che avranno la pazienza di alzare lo sguardo. Preparare un pasto o accogliere le critiche, accettare cambi di programma, silenzi quando si vorrebbe parlare e parole quando si vorrebbe dormire, allegria quando si vorrebbe piangere e riposo quando si vorrebbe proporre. Nella fedeltà al matrimonio partecipiamo dunque anche noi come parte della Chiesa a un’opera che ci trascende, il regno dei cieli, anche se a noi è stata affidata solo quella piccola scultura là in alto, che nessuno guarderà.
Quando manca questa dimensione c’è un amore solo emotivo e si soffre. E sono soprattutto le donne, per la mia esperienza e per quella di coloro con cui sono entrata in contatto dopo aver scritto i miei libri, in scambi anche profondi, a soffrire. Soffrono perché hanno perso il contatto con la loro identità profonda. Gli ultimi decenni per la donna sono stati davvero di grande cambiamento, e non è il tema del mio intervento quindi non mi attardo su questo. Mi limito solo a dire che se la donna ritrova il suo posto tutto si rimette in ordine. La donna soffre perché in lei c’è quella nostalgia del primo sguardo che si è posato su di lei. L’eccomi dell’uomo che risponde all’eccomi di Dio è essenzialmente femminino. Più interiorizzata – scrive Pavel Evdokimov ne La donna e la salvezza del mondo – più vicina alla radice, la donna si sente a proprio agio nei limiti del proprio essere e con la sua presenza riempie il mondo dall’interno. La donna possiede una complicità con il tempo, perché sa che il tempo è gestazione, è attesa per qualcosa, per qualcuno. È predisposta al dono di sé, e infatti si realizza quando può donarsi, che sia a dei figli di carne o no. Ha nostalgia dello sguardo che si è posato su di lei al momento della creazione, infatti desidera intimamente che qualcuno le dica che è bella, mentre l’uomo desidera sentirsi capace di portare a termine progetti, di risolvere problemi, di proiettarsi fuori di sé.
Per mezzo della donna l’umanità è invitata a trovare la sua vocazione sponsale con il Signore. È sempre una vocazione in cui la Sposa risponde con il suo amore a quello dello Sposo, dice la Mulieris Dignitatem, lo sposo con la S maiuscola, il Signore. Per questo, scrive il catechismo della Chiesa cattolica, la dimensione mariana, la vocazione prima di tutto sponsale dell’umanità, precede quella petrina.
San Paolo nella lettera agli Efesini parla del matrimonio tra un uomo e una donna come di un mistero grande. Accostarsi al mistero del maschile e del femminile ci introduce al mistero di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine. La tensione tra maschile e femminile rimanda alla tensione amorosa fra le tre persone della Trinità, solo che noi uomini siamo feriti dal peccato originale.
In Efesini 5 sono individuati i punti cruciali, i nodi di peccato dell’uomo e della donna. La donna è invitata a essere sottomessa allo sposo, l’uomo a dare la vita per la sposa, in modo che replichino nel matrimonio la dinamica tra Cristo e la Chiesa, quindi senza dominio o sopraffazione, ma in un dono reciproco.
La donna è invitata a essere sottomessa perché al contrario la sua costante tentazione è quella del controllo, di cercare di plasmare, di formattare coloro che le sono affidati. I figli ma anche lo sposo, spesso.
In realtà queste sono qualità di cui l’ha dotata la Provvidenza perché la donna è chiamata a formare, a educare, come diceva anche Benedetto XVI: la donna conserva la consapevolezza che il meglio della sua vocazione è nell’aiutare la vita nel suo formarsi. Che sia sposa o che sia nubile la donna è chiamata a preservare e a fecondare la vita, a orientarla verso la luce. È chiamata a essere promemoria per l’umanità tutta.
Come dice ancora Evdokimov c’è una particolare connivenza tra la donna, essere naturalmente religioso, messa di fronte ai misteri più gravi della vita, e lo Spirito datore di vita e consolatore. Lotta per l’uomo, per la sua salvezza.
In questa vocazione lavora come sempre il peccato, e così la capacità di orientare al bene rischia continuamente di trasformarsi in tentazione di volere che le cose nel mondo vadano come vogliamo noi. Prendiamo un uomo che mediamente ci può andare, e lo vogliamo migliorare, così rischiamo di non permettere all’altro di essere. Finiamo per correggere, riprendere, per non lasciar emergere gli altri con le loro vere qualità.
La donna invece è chiamata proprio a questo, a fare da specchio all’uomo, a rimandargli un’immagine positiva di sé, a mettere il lievito dell’amore nel rapporto. Serve una donna che sappia fare spazio, che non abbia paura di perdere posizioni, che parta da un pregiudizio positivo sull’uomo, che prenda l’impegno di fidarsi di lui e del suo sguardo sul mondo, lealmente decisa a riconoscere di non essere l’unica depositaria del bene e del male – Eva! – non perché debole ma proprio perché solida, resistente, accogliente.
Questo atteggiamento, quando è onesto, limpido, non manipolatorio è un lievito potentissimo perché l’uomo non resiste a una sposa che gli sta lealmente accanto, sottomessa nel senso che rinuncia a imporre sempre il suo punto di vista e comincia a fidarsi, a valorizzare ciò che vede di bello nell’uomo. E così l’uomo comincia a sentire il desiderio di dare la vita come Cristo per la Chiesa. Non una semplice cooperazione di sforzi, ma la creazione di una realtà assolutamente nuova del maschile e del femminile che vanno a formare il corpo del sacerdozio regale. Gloria dell’uomo, come dice san Paolo, la donna è come uno specchio che riflette il volto dell’uomo, glielo rivela e così lo corregge. E così l’uomo si sente spinto a uscire fuori e dominare la terra, e a farlo non per sé ma per coloro che gli sono affidati, per i quali diventa pronto a prendere su di se i colpi della vita.
Il nodo di peccato dell’uomo, infatti, quello per cui san Paolo lo invita a essere pronto a morire per la sposa, è l’egoismo. Il desiderio di tenere qualcosa per sé. Di coinvolgersi ma risparmiando qualcosa, di mettere da parte, di rifugiarsi ogni tanto nel suo spazio privato, senza interferenze. Per l’uomo è faticoso tenere lo sguardo sempre rivolto alla donna, al rapporto, alla casa.
L’uomo infatti ha una diversa accentuazione esistenziale: va al di là del proprio essere, ha un carisma di espansione, aspira alla crescita di tutte le sue energie che lo prolungano del mondo, ha un diverso rapporto con il potere.
Sto facendo, è appena il caso di puntualizzarlo, un discorso non sociologico, ma spirituale: non sto dicendo che sia solo l’uomo chiamato a uscire fuori di casa e a dare il suo contributo per migliorare il mondo. Non stiamo parlando del mondo del lavoro né del potere. Non è un discorso su chi abbia più o meno dignità, è ovvio che siamo su un altro piano, e che diamo per assodato che l’unica dignità che conti nella Chiesa non può essere altro che l’acquisizione dello Spirito, e in questo la donna è privilegiata.
Sul piano dunque spirituale l’uomo esce la donna accoglie, l’uomo si tende verso l’esterno la donna verso l’interno, l’uomo è il muro, il senso della realtà, la donna l’accoglienza, e questo lo si vede sul piano educativo, nel rapporto con i figli, la donna ha il genio della relazione, tesse trame, spesso l’uomo è più bravo nel potare i rami secchi.
Per concludere vorrei ricordare quello che Karol Wojtyla, da vescovo, diceva alle coppie di fidanzati: non dire “ti amo” ma “partecipo con te dell’amore di Dio”. Questo, credo, sia avere un’identità davvero matura.
Testo della relazione per il Seminario per i 25 anni della Mulieris Dignitatem, organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici nel 2013.
E fino ad adesso dove era nascosta questa perla preziosa? Grazie Costanza per queste tue riflessioni, mi aprono la mente e il cuore, mi aiutano a guardarmi dentro per vedere su cosa devo lavorare.
Buona giornata a tutti!
…articolo meraviglioso… Complimenti…
…cominciare la giornata, nonostante fuori piova a dirotto e le nuvole cupe e grigie non lascino intravvedere spiragli di miglioramento, cominciare appunto con la lettura di riflessioni tanto vere e realistiche per la propria vita, come quelle scritte oggi sul blog, non posso che considerarlo un preziosissimo viatico che renderà più entusiasmante l’avventura quotidiana. grazie Costanza
enrica
“Karol Wojtyla, da vescovo, diceva alle coppie di fidanzati: non dire “ti amo” ma “partecipo con te dell’amore di Dio”
Quanta immediatezza in questa dichiarazione!
…oppure dichiarare, a chi si ama: “sento verso di te quella tensione amorosa che c’è tra fra le tre persone della Trinità, solo che, amore mio, noi uomini siamo feriti dal peccato originale.”
Di bene in meglio!
Alvise quanti danni fa l'”immediatezza”! C’è chi passa da un’immediatezza all’altra senza concludere mai niente e disperdendo la propria essenza. La regina delle esperienze è la scelta.
…avrei potuto scrivere “quanta sincerità” oppure “quanta spontaneità” oppure qualsisi cosa e non sarebbe andato lo stesso bene (presumo) solo mettendoci in mezzo lo Spirito Santo e assurdità del genere sarebbe stato “vero” amore?
Cos’è il vero amore per te?
…il vero amore è quello che nessuno sa cosa è!
Che cosa è la felicità? la bellezza? La gioia? il dolore? la noia?
Non lo sappiamo perché siamo limitati. Sono proprio i nostri limiti che dovrebbero portarci a Dio. A meno che non pensiamo di essere delle cose inutili buttate su questa terra in attesa della morte.
…e parecchissimi di noi anche già morti! Come tutti ne abbiamo chiara e evidente testimonianza!
Pure io ne ho visti tanti!
Vi parlero` dell`essere piu` desolante: l`ultimo uomo. Cos`e` amore ? cos`e` creazione ? cos`e` desiderio inquieto ? cos`e` astro ? Cosi` chiede l`ultimo uomo sghignazzando. La Terra allora sara` diventata piu` piccola, e l`utimo uomo vi zompettera` sopra, portando tutto alla sua piccolezza. I piu` furbetti tra loro conoscono le vere cause di tutto cio` che succede: per questo non smettono mai di irridere gli altri. Discutono animatamente con tutti, ma si riconciliano subito, altrimenti perderebbero tutto il divertimento. “Abbiamo scoperto la felicita`” dicono gli ultimi uomini dandosi di gomito. Also sprach Zarathustra.
@filosofiazzero
Lo dice anche una famosa canzone pop: questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine: l`amore non e` altro che il riflesso della kenosi agapica delle ipostasi trinitarie. Lo sapresti in maniera piu` sintetica o immediata ?
…o, in altre parole, un delirio della mente e dei sensi!
Mi piacerebbe contare gli uomini che oggi siano il muro, il senso della realtà ed i potatori di rami secchi, se n’è salvato qualcuno di uomo veramente maschio? Dove hanno collocato le riserve della specie in via d’ estinzione? 😉
E’ vero, siamo rimasti in pochi e anch’io non mi sento tanto bene.
@Vanni: ah ah ah !!
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/13241318_1077897465602635_6008792727761656273_n.jpg?oh=11ec6aa86f2aae3b49c6cc246e95a481&oe=57D34D5D
Chi mi ha chiamnato?!
Chiedetelo a mia moglie se (alle volte) non sono come un muro! 😀 😀
“Dove hanno collocato le riserve della specie in via d’ estinzione?”
A domanda risponde:
Evidentemente nello stesso posto dove hanno collocato le riserve della donna che “accoglie, si tende verso l’interno, ha il genio della relazione” e soprattutto “ha nostalgia dello sguardo che si è posato su di lei al momento della creazione, infatti desidera intimamente che qualcuno le dica che è bella”.
Propongo di mandar fuori una pattuglia esplorante (“Kirby capopattuglia!”).
Magari riusciamo a trovarlo, questo posto dove si concentrano gli uomini veramente maschi e le donne veramente femmine… 😀
Ciao.
Luigi
P.S.: per Giusi. I maschietti sono sempre indietro. Le donne sono cinquant’anni che mettono i pantaloni contro il sessismo! 😉
Allora adesso stiamo a posto!
Anche se in verità gli arabi mettono le palandrane ma non mi sembrano molto “femministi”…….
Qualcuno ha un’idea su come si potrebbe fare per rendere questo articolo “missionario”, cioè per farlo leggere non a noi che seguiamo il blog di Costanza e siamo più o meno tutti d’accordo, ma ai (alle!) rappresentanti di certo malinteso femminismo che ha portato all’attuale sfascio delle famiglie e della società?
Confidiamo nello Spirito Santo.
L’ha ribloggato su maurostabile.
Qualcuno mi sa dire da dove è tratta la citazione di Karol Wojtyla (libro, o discorso)? Grazie
Grazie Costanza
Mi ricorda tanto alcuni scritti di una grande donna mia amica: Edith Stein, alias S. Tersa Benedetta della Croce.
In un suo scritto, per esempio, parla della tri partizione dell’essere umano: dominare, godere e plasmare. L’uomo e la donna sono simili in questo, anche se nel maschio prevale il primo e terzo aspetto, nella femmina invece il secondo. Ed è proprio questo che la rende più attenta all’accoglienza e alla custodia premurosa…
Ma non è l’unico punto in cui compare questo tipo di analisi.
Peccato che non ricordi i titoli…
Ah, per inciso, santa Teresa Benedetta della Croce, era la stessa che si dichiarava favorevole al presbiterato femminile… Pur rimettendo la questione all’autorità del Sommo pontefice e della Chiesa
“Per questo, scrive il catechismo della Chiesa cattolica, la dimensione mariana, la vocazione prima di tutto sponsale dell’umanità, precede quella petrina.” Io questo concetto l’ho trovato scritto nella “mulieris dignitatem” alla nota 55. Ma nel catechismo no. Qualcuno mi sa indicare il numero?
Comunque rimango molto perplesso sulla “teologia della donna” (cfr ad esempio l’udienza generale di papa Francesco del 16 settembre 2015). Credo che ci sia il pericolo che, più che valorizzare le donne, la “teologia della donna” sminuisca i maschi.
Infatti una frase tipo: “diamo per assodato che l’unica dignità che conti nella Chiesa non può essere altro che l’acquisizione dello Spirito, e in questo la donna è privilegiata”, presente nell’articolo, secondo me è molto problematica.
Perchè?
Dire che la donna è privilegiata in certe cose, ed è innegabile, non sminuisce affatto l’uomo. Vuol solo dire che, in certe cose, egli fa maggiore fatica. E viceversa.
A me sembra che la “teologia della donna” cerchi di definire una “vocazione specifica” della donna in quanto donna. E qual’è il problema? Mi spiego con un esempio: è come se si dicesse che l’uomo è un’automobile di lusso, mentre la donna è un’automobile di lusso ma con degli optional in più (la sua “vocazione specifica”). Se così stanno le cose, mi sembra abbastanza ragionevole dedurre che l’automobile con gli optional sia migliore dell’automobile senza optional. Che chiaramente è una deduzione assurda e che nessuno qui pensa.
Ora, la conclusione più probabile è che io non ci abbia capito poi molto della “mulieris dignitatem”…
Altre due osservazioni:
1 un conto è dire che “la donna è privilegiata in certe cose”, un altro è dire che è privilegiata “nell’acquisizione dello Spirito”. Dire, per esempio, che le donne sono più brave a tessere relazioni personali è dire che le donne sono migliori in un ambito piuttosto circoscritto; questo e altri esempi riguardano aspetti marginali della vita. Invece l’ambito “dell’acquisizione dello Spirito”, secondo me, non è affatto circoscritto, è anzi l’ambito fondamentale di ogni persona, quello che riguarda la sua anima
2 infine la domanda da un milione di dollari: ma lo Spirito è misurabile? Se la risposta è no, come credo, che senso ha dire che le donne sono “priviligiate nell’acquisizione dello Spirito”?
C’è Silvana de Mari che sta scrivendo delle cose stupende su facebook su uomini e donne
Silvana de Mari
Oggi ci fermiamo un attimo e parliamo di leonesse. E quindi di leoni.
Ho già accennato che sto per fondare la brigata “due più due fa quattro”, dove combatteremo fino alla morte per difendere l’ovvio. Il mio post dove spiegavo l’assoluta differenza e complementarità tra maschi e femmine, è rimbalzato sul web, raccogliendo numerosi commenti. Rispondo a uno dei più buffi: le leonesse, che sono femmine, sono vere combattenti. Le leonesse non sono combattenti: le leonesse sono semplicemente carnivore. Una leonessa in quanto femmina ha la competitività e l’aggressività molto basse. Se voi vi trovate davanti a una leonessa, la leonessa vi sbrana, ma voi, come il vostro cagnolino che le ha fatto da aperitivo, come la gazzella tanto carina, come lo gnu neonato, non siete qualcuno con cui compete: voi siete pappa. Una dolcissima leonessa vi sbrana senza per questo essere aggressiva, esattamente come la mia dolcissima nonna andava a tirare il collo a una gallina tutte le volte che uno dei suoi figli aveva il raffreddore ( o qualsiasi altra patologia nota) e bisognava fare il brodo di pollo per curarlo ( il brodo di pollo cura tutto). La dolcissima leonessa non sbrana la gazzella, lo gnu, il cagnetto, voi con aggressività, esattamente come la foca non ci mette aggressività a mangiarsi le aringhe, la balena a mangiarsi il krill, e la vacca a mangiarsi l’erba ( siete sicuri che gli steli non soffrano?) L’aggressività, che è potente solo dove c’è testosterone, è quella tra due tizi della stessa specie, non tra un rappresentante di una specie e la sua pappa. La pappa sta nella casella pappa, la competizione con individui della stessa specie sta nella casella aggressività, e qui ci va il testosterone. Sono due caselle diverse. La leonessa non è meno brava del leone a cacciare, ma non è capace di difendere il territorio dove cacciare. Un carnivoro è un carnivoro; quello che mangia e la capacità di procurarselo non hanno nulla a che fare con l’aggressività , che è interspecifica ( all’interno della stessa specie) e la competitività, anche essa interspecifica. La leonessa può muoversi e cacciare e allevare i suoi cuccioli solo all’interno di un territorio, un territorio segnato e difeso da un maschio.I maschi difendono il territorio, come sanno i proprietari di cani maschi e i postini. Difendono il territorio gallo e toro e smettono di farlo se si amputano le gonadi: bue e cappone non difendono il territorio. Mi sto ripetendo perché secondo me questo concetto non è chiaro nella mente di molti. La leonessa Marisa ha avuto i cuccioli dal leone Marco. Può cacciare con serenità nel territorio segnato e protetto da Marco. Quando arriva il branco di iene Marco le allontana, quando arriva il bufalo, ci pensa Marco, non Marisa. Quando arriva un altro leone Pippo , Marco deve cacciarlo. Se Pippo fosse più forte e uccidesse Marco, dopo di lui ucciderebbe i suoi cuccioli, li ucciderebbe davanti a Marisa, che non ha la potenza di fermarlo, così che senza cuccioli lei torni rapidamente all’estro, lui possa montarla e avere dei cuccioli suoi. Lo stesso avviene tra i leoni marini, le foche e un mucchio di altri. Se non c’è il padre a proteggerli, altri maschi uccidono i cuccioli per avere i loro discendenti con quella femmina. Esattamente quello che succede alla fine della guerra di Troia: il figlio di Ettore ucciso e sua madre che diventa schiava. Dove non c’è più il loro padre a proteggerli, i cuccioli aumentano il rischio di essere uccisi. Ho raccontato questa storia per chiarire che l’idea che madre natura è un’arcigna megera. (Che noi uomini siamo tanto cattivi, mentre gli animali sono angelici è una delle ennesime fesserie di questa epoca) e per spiegare che la violenza fa parte della vita. Ci vogliono i leoni maschi per proteggere i cuccioli. e questo vale anche per noi. Io ho sempre saputo che se qualcuno mi avesse toccato, mio padre lo avrebbe fatto a pezzi, anche a costo di morire nell’impresa, e questo era il suo compito. Ora immaginiamo che Marisa sia un’ottima cacciatrice, e dica “Io sono mia” io non ho bisogno di nessuno, io sono stufa, io il territorio me lo difendo da sola, e manda via Marco: i suoi figli non hanno più difesa.
Quando non c’è più un uomo, quando il padre è morto, o se ne è andato, o è stato mandato via, in una di queste disastrose evenienze aumenta il livello di ansia dei figli, a volte cominciano gli attacchi di panico. Noi femmine il territorio non lo sappiamo difendere, non lo sappiamo difendere perché non è compito nostro, e quando il padre non c’è più i figli stanno svegli di notte, perché gli orchi esistono, non è vero che non esistono, non è vero che si fermano a parole. I popoli dove il maschile ha travolto il femminile e lo ha azzittito, il mito della guerra di conquista domina ogni pensiero. I popoli dove il femminile prevale sul maschile non hanno più la capacità di difendere il territorio e credono che la libertà e la vita siano possibili senza combattere. Perché se un uomo ha tutta la sua potenza, se la sua donna non gliela ha tolta col disprezzo, ma anzi l’ha aumentata, stando dalla sua parte sempre facendo il tifo per lui, un uomo è in grado di difendere il figlio. Un uomo è in grado di dare un pugno sul tavolo e dire no, al figlio che vuole farsi di spinelli che vuole andare al rave party. Dove non c’è un uomo, un padre è più facile a un sedicenne con gli attacchi di idiozia che a 16 anni sono la norma dire la fesseria del secolo che è “smetto di andare a scuola, che sono stufo” “smetto di lavarmi” “smetto di uscire dalla mia stanza”. Per favore non mi scrivete che a casa vostra è zia Carmela che la mette giù dura e Zio Ugo è un mollaccione. Stiamo parlando di statistica: il 90 % delle donne è più accogliente del 90% degli uomini. Il 90% degli uomini ha più coraggio e senso dell’autorità del 90% delle donne. Voi siete un’eccezione? Fate parte del 10%. Una minoranza. Dove c’è un uomo e tutta la sua potenza il compagno della madre dell’amichetta non entra nella casa dove c’è la bambina di sei anni e lei non volerà dalla finestra. I pedofili hanno la capacità incredibile di localizzare il bambino che non ha un padre che lo difenda con tutta la sua ferocia. In effetti i grandi paladini della pedofilia hanno avuto come primo scopo l’abbattimento dell’autorità paterna, prima bisogna levare di torno Marco. Chi sono i grandi paladini della pedofilia? Quelli che hanno scritto a suo favore? Jean-Jacques Rousseau, Simone de Beauvoir e ovviamente Jean-Paul Sartre, Daniel Marc Cohn-Bendit detto Daniel il Rosso perché il 68 lo ha cominciato lui.
Prima di rompere un’unione pensateci, e sappiate che aumentate tragicamente il livello di stress dei vostri figli, soprattutto quelli maschi, moltiplicate il loro rischio di tossicodipendenza e uso di psicofarmaci.
Restate insieme, hanno bisogno do papà e mamma, hanno bisogno di entrambi sempre vicino nella stessa casa. Non mollate.
Da quello che ho capito sono brani di un libro sempre suo che si chiama: “La realtà dell’orco”
Silvana de Mari
Mi interrompo per spiegare un passaggio fondamentale. Il femminismo ha avuto due parti, il movimento di emancipazione femminile e il movimento di liberazione. Spesso confusi l’uno con l’altro questi due movimenti sono assolutamente antitetici. Il movimento di emancipazione era un onesto movimento che voleva diritti civili, pari opportunità una volta che la tecnologia li aveva resi possibili.
Prima che la tecnologia li rendesse possibili, questi diritti erano talmente impossibili da essere insensati.
Dove non esista il motore a scoppio, dove non esista l’elettricità, solo un uomo ha la forza fisica per arare e scendere in miniera, e procurare il cibo. Senza un uomo che la nutra, una donna non può sopravvivere. Ma un uomo per poter sopravvivere ha bisogno di non morire di scabbia e enterocolite, ha bisogno di una donna che usi quattro giorni la settimana per fare il bucato. ( fate la prova: fate il bucato senza detersivi industriali e senza lavatrice) , che usi almeno quattro ore al giorno per rendere il cibo commestibile, (provate). Una donna aveva bisogno di un uomo e un uomo di una donna, in ruoli complementari e divisi, cui ognuno dei due era portato biologicamente. (La divisione dei compiti anche oggi è la migliore politica. L’eccellenza nasce dalla specializzazione. Dove tutti fanno le stesse case tutti le fanno male e nasce una competitività esasperata su qualsiasi cosa. In più i maschi sono etologicamente più bravi a guadagnare quattrini) Dove non esistano mezzi anticoncezionali si hanno dieci o quindici figli, dove non esistano antibiotici se ne perdono metà. Quando nel mondo occidentale di culture biblicoevangelica, e solo qui, si sono create le condizioni tecniche che potevano permetterlo ( motore a scoppio, elettricità, migliorate condizioni igieniche), le donne hanno chiesto e ottenuto la parità legale, con movimenti di emancipazione.
Erano movimenti basati sull’amore, l’amore per se stesse, per gli uomini, per la vita, per il mondo, per la famiglia. Il movimento di liberazione è stato un movimento basato sull’odio, sull’odio isterico per i maschi, per la vita, per la maternità, la civiltà ebraico-cristiana, il mondo occidentale e soprattutto per se stesse. Il movimento di liberazione femminile ha odiato le donne con un odio totale, e ha odiato l’essere madre in quanto costituito da persone incapaci ad affrontare la maternità. Le donne sono state presentate come un gruppo etnico, che è un’idiozia. Gli ebrei sono un gruppo etnico. Gli armeni sono un gruppo etnico. Le donne sono la parte femminile di un’unica specie, quella umana: noi siamo la parte femminile e i maschi sono la parte maschile di un’unica specie, che in epoche passate ha fatto leggi discriminanti, ma tutti e tutte siamo discendenti da chi ha fatto quelle leggi, non è che i maschi discendono dai maschi ( cattivi) e noi discendiamo dalla femmine ( vittime). Che le femmine siano una specie a parte, in fondo antropologicamente superiore, è la teoria che sta circolando, ed è demente. In fondo le donne sono più intelligenti degli uomini, ho sentito dire l’8 marzo. Questa squalifica totale rappresentata in molteplici film è una delle cause del particolare disagio dell’adolescente maschio del terzo millennio e della sua incapacità di diventare uomo, restando adolescente a vita: sono un ragazzo di quarantun anni.
Le bizzarre rappresentanti del cosiddetto movimento di liberazione femminile hanno creato una società non vitale, dove i vecchi sostituiscono le culle, i morti sono più numerosi dei nati, dove la solitudine e la povertà spaccano il cuore, dove la desolazione regna come norma. Contro i maschi in una suicida devirilizzazione della società è stata fatta un’operazione immonda, che se fosse fatta contro un popolo sarebbe razzismo. tutte le loro colpe sono ingigantite, occupano tutto le spazio visivo. Ci ossessionano con i numeri delle donne vittime di uomini. Vittime di violenza fisica. Questi numeri esistono certo, ma non possono essere considerati da soli, ingigantendoli e dando l’impressione che tutta la vita delle donne sia martirio. Il vittimismo isterico inchioda le donna al ruolo di vittima permanente e l’uomo a quello di carnefice permanente, a meno che non si scusi della propria virilità, non ci rinunci, non si scusi, non pulisca il bagno con il viakal, fiero di questa sua straordinaria competenza. Ci sono altri numeri che devono essere considerati, come il numero di morti sul lavoro: sono quasi tutti uomini. I lavori peggiori, i più pericolosi, li fanno solo loro. Il giorno in cui la mia casa brucerà, spero che i pompieri siano tutti maschi, che nessun demente ne abbia assunto di femmine, esattamente come qualche demente ha assunto le femmine a fare controllori sui treni, dopo che a uno di loro è stato staccato un braccio con un machete. I miei complimenti per il genio. Insieme ai numeri delle donne vittime degli uomini occorre scrivere anche il numero tragicamente alto dei suicidi dei maschi, nel mondo occidentale spaventosamente superiori a quelli delle femmine. Loro aggrediscono con la violenza fisica. Noi siamo le regine della comunicazione, noi possiamo distruggere con la parola. Il tasso di disperazione di una categoria si misura dal tasso di suicidio. Ma soprattutto quello che tutti stanno dimenticando sono tutti gli uomini morti per una donna. E questi sono mille volte più superiori di quelli che hanno fatto del male, sono centomila volte superiori, e nella narrazione isterica della storia delle bizzarre creature del movimento di liberazione sono scomparsi. Prima le donne e bambini, nel mondo cristiano è così. Gli uomini sono morti per lasciare alle donne i posti sui battelli di salvataggio nei naufragi, per tirarle fuori dagli incendi. Gli uomini sono morti a milioni e milioni e milioni e milioni per scendere nelle miniere così che lei e i bambini potessero avere qualcosa da mangiare, gli uomini sono bruciati vivi nelle acciaierie perché lei e i bambini potessero avere qualcosa da mangiare, sono morti avvelenati nelle concerie, sono annegati mentre inseguivano Moby Dick, perché lei e i bambini potessero avere qualcosa da mangiare. Gli uomini sono morti con le armi in pugno perché gli orchi non arrivassero fino a lei. Io sono assolutamente certa, e su questo sono disposta senza un attimo di indugio a mettere la mano destra sul fuoco, il giorno in cui mi troverò un terrorista davanti venuto a saldarmi i conti delle mie poche e miti considerazioni su una religione molto intelligente e pacifica, mio marito si metterà in mezzo per prendersi il proiettile lui, come sono certa che farebbe il Sahara a piedi per portarmi mezzo bicchiere d’acqua.
Come avrebbe fatto mio padre.
Non sono uomini perfetti, ma uomini disposti a morire per le loro donne certo. Onestamente la destra sulle fedeltà di entrambi non me la giocherei, ma sul loro coraggio di morire per me, si, certo. Lo so. Loro sono uomini.
Grazie, Giusi. Silvana de Mari dice cose intelligenti e le dice bene. Una rara combinazione.
Grazie Costanza, nel turbinio della vita è così facile smarrire la giusta strada, e le tue parole sono come una bussola.
Grazie anche a Silvana, altro faro di questi tempi bui.