Impossibile annunciare il bene senza anche contrastare il male

audience

[…] La difesa e la promozione dei principi non negozibili esige una militanza. Ora, nella mente di tanti cristiani, questo concetto non c’è più. Si pensa, per esempio, che sia più giusto, opportuno e anche più cristiano, presentare la bellezza della fede cristiana piuttosto che prendere di petto le cose sbagliate. Si pensa che la fede, in questo modo, venga percepita come una opposizione, una negazione, un dire dei no a questo e a quello, più che un annuncio. Molti pensano che una coppia di genitori cristiani dovrebbe testimoniare la bellezza di esserlo, più che scendere in piazza per impedire agli altri di non esserlo.

A mio avviso, questo richiamo alla positività dell’annuncio è vero e importante. Prima viene l’annuncio e poi la denuncia. ll positivo ha sempre il primato. Però è impossibile annunciare il bene senza anche contrastare il male.

Senza questa componente, la testimonianza della positività diventa alibi al disimpegno. I principi non negoziabili, poi, sono radicali, ossia la loro negazione riguarda punti essenziali della persona e della vita in società, con danni drammatici e irreparabili se non viene contrastata. Non si può, perché concentrati a testimoniare nella nostra vita il positivo, non vedere che ci sono antropologie in conflitto e alcune dí queste sono disumane. Non ci si può chiudere nella torre dorata della nostra coerenza personale o familiare e lasciare che la società vada alla deriva.

mons. Giampaolo Crepaldi  “A compromesso alcuno” (Cantagalli 2015)

cop

63 pensieri su “Impossibile annunciare il bene senza anche contrastare il male

  1. Pierre

    Non mi piacciono i vostri eufemismi: la vigliaccheria la chiamate prudenza. – E la vostra “prudenza” fa che i nemici di Dio, col cervello vuoto di idee, si diano arie di sapienti e scalino posti che mai dovrebbero scalare.

    (San Josemaría Escrivá, Cammino 35)

  2. Andrea Mondinelli

    Ernest Hello (1828 – 1885), nell’opera L’homme del 1872, così scrive:
    “Lo spirito del male dice: ‘Riposati. Che farai nella mischia? Altri combatteranno abbastanza. Tu che sei savio, non iscomodare le tue abitudini. Il male, continua il diavolo, è sempre esistito ed esisterà sempre nelle stesse proporzioni. I pazzi che vogliono combatterlo non guadagnano nulla e perdono il loro riposo. Tu che sei savio, dà ad ogni cosa la sua parte e non dichiarare a niente la guerra. È impossibile illuminare gli uomini. Perché dunque tentarlo? Fa pace con le opinioni che non sono tue. Non sono esse tutte ugualmente legittime?’.
    Così parla il demonio; e l’uomo separato dalla verità, perché ha paura di lei, che è l’Atto puro, l’uomo, insensibilmente e a sua insaputa, si unisce all’errore […] discende a poco a poco, durante il suo sonno, in quell’indifferenza glaciale, placida e tollerante, che non s’indigna di niente, perché non ama niente, e che si crede dolce perché è morta.
    E il demonio vedendo quest’uomo immobile, gli dice: ‘Tu gusti il riposo del savio’; vedendolo neutro tra la verità e l’errore, gli dice: ‘Tu li domini entrambi’; vedendolo inattivo, gli dice: ‘Tu non fai del male’; vedendolo senza risorsa, senza vita, senza reazione contro la menzogna e il male […], gli dice ‘Io t’ho ispirato una filosofia savia, una dolce tolleranza, tu hai trovato la calma nella carità’, perché il demonio pronunzia spesso le parole di tolleranza e di carità.
    L’uomo vivo, l’uomo attivo che ama e che è unito all’unità, afferra il rapporto delle cose, e unisce fra loro le verità.
    L’uomo morto ha perduto il senso dell’unità. Non unisce più verità fra di loro: non concilia più, per la contemplazione dell’armonia, le cose che devono esser conciliate, le cose vere, buone e belle.
    Ma in cambio, compone una parodia satanica dell’unità; cerca di amare insieme il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto; non sempre si adira, almeno in apparenza, se si affermano i dogmi, ma preferisce che si neghino.
    Non avendo voluto unire ciò che è unito, credere a tutta la verità, conciliare quel che è conciliabile, cerca di unire ciò che è necessariamente ed eternamente contradittorio, di credere insieme alla verità e all’errore, di conciliare il Sì e il No; non avendo voluto amare Dio tutto intiero, cerca di amare Dio e il diavolo: ma è l’ultimo che preferisce”.
    “Che si direbbe d’un medico il quale, per carità, avesse riguardi verso la malattia del suo cliente? Immaginate questo tenero personaggio. Direbbe al malato: Dopo tutto, amico mio, bisogna essere caritatevole. Il cancro che vi corrode è forse in buona fede. Suvvia, siate gentile, fate con lui un po’ d’amicizia; non bisogna essere intrattabili; fate la parte del suo carattere. In questo cancro, esiste forse una bestia; essa si nutre della vostra carne e del vostro sangue, avreste il coraggio di rifiutarle quanto le occorre? La povera bestia morirebbe di fame. Del resto, io sono condotto a credere che il cancro è in buona fede e adempio presso di voi ad una missione di carità.
    È il delitto del secolo decimonono quello di non odiare il male, e di fargli delle preposizioni. Non vi ha che una proposizione da fargli, è di scomparire. Ogni accomodamento concluso con lui somiglia neppure al suo trionfo parziale, ma al suo trionfo completo, perché il male non sempre domanda di scacciare il bene, domanda il permesso di coabitare con lui. Un istinto segreto lo avverte che domandando qualche cosa, domanda tutto. Appena non è più odiato, si sente adorato”.

    1. Lalla

      Questa citazione (per me tutta nuova, come l’opera e l’autore) è straordinariamente profetica.

  3. Mario D'Astuto

    “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv 13,35)
    “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. (Gv 20,17)

  4. saras

    Fantastiche citazioni di Crepaldi, Escrivà e Hello! Un esempio concreto di cui si è un po’ parlato in qs giorni del suo anniversario: don Benzi.Uno che andava da tutti e si è consumato nella carità, uno che davvero la fede la viveva in prima persona e attraeva a Cristo! Eppure ha sempre denunciato le leggi ingiuste e ha sempre preso posizione pubblica senza ipocrisie. Vogliamo parlare di Madre Teresa e delle sue suore? E quanti esempi del genere, in cui coesistono annuncio della luce e denuncia delle tenebre… mi pare addirittura sciocco ribadire una cosa così palese: quando ami un bene è inevitabile contrapporsi a un male…

  5. E’ la vexata quaestio della “testimonianza”. Il cattolico impegnato, quello che fa di tutto affinché dicano di sé che “si dà molto da fare in parrocchia”, che dialoga con tutti perché a suo dire “ama mettersi in discussione” e rispetta tutti perché la sua ragione di vita è “camminare insieme”, ha il pallino della “testimonianza”: ritiene infatti che non servano parole per annunciare il Vangelo, forse perché ritiene così sfolgorante la luce che promana dalla sua persona da convincere (attenzione: non “convertire”, non sia mai!) le folle a seguire il suo fulgido esempio, la sua indefinita “testimonianza di vita”. In realtà, non fa che testimoniare sé stesso, povera banderuola esposta a tutti i venti di dottrina, incline al compromesso per viltà, schiavo del mondo per totale incapacità di abnegazione, cieco e sordo per debolezza di fede.
    E’ solo il Signore che può dare la forza, il coraggio e la tenacia per contrastare il male e l’errore secondo quanto insegna la Chiesa: perché contrastare il male attira su di sé l’incomprensione, il disprezzo e l’odio del mondo.

  6. vale

    Tra gli errori contemporanei non c’è alcuno che non si risolva in una eresia; e tra le eresie contemporanee non ce n’è alcuna che non si risolva in un’altra, già condannata ab antiquo dalla Chiesa.

    Negli errori passati, la Chiesa ha condannato gli errori presenti e quelli futuri. Identici tra loro quando vengano considerati nella loro natura e nella loro origine, gli errori offrono, tuttavia, lo spettacolo di una varietà portentosa quando vengano considerati nelle loro applicazioni. Il mio proposito oggi è di considerarli nelle applicazioni piuttosto che nella loro natura e origine.

    Per quel che riguarda il secolo in cui viviamo basta guardarlo per persuadersi che ciò che lo rende così tristemente famoso fra tutti i secoli non è tanto l’arroganza nel proclamare teoricamente le sue eresie ed i suoi errori, quanto l’audacia satanica che mette nell’applicare alla società presente le eresie e gli errori in cui caddero i secoli passati.

    la Chiesa professa da un lato che la verità esiste senza bisogno di cercarla, e dall’altro che l’errore nasce e muore senza diritti, e che soltanto la verità è in possesso del diritto assoluto. La Chiesa, quindi, pur ammettendo la libertà, lì dove non ammetterla è impossibile, non può considerarla come termine dei suoi desideri, ne salutarla come unico limite delle sue aspirazioni.

    donoso cortes. lettera al cardinal fornari

  7. Pierre

    “Man mano che si sviluppa, l’uomo pensa, sente e quindi opera secondo lo standard creato dagli strumenti di diffusione sociale. Capite che 2000 anni fa gli strumenti di diffusione sociale erano molto più ridotti, molto meno efficaci e più esterni, perciò la gente poteva essere inibita dall’imperatore e dai soldati dell’imperatore, ma tra di loro pensavano come volevano e facevano in fondo quello che volevano, molto più di ora. Adesso l’imperatore penetra te che sei nel letto, nell’intimità della tua casa e leggi il giornale, oppure accendi la televisione. Adesso gli strumenti che la scienza ha trovato per la comunicazione del pensiero sono gli strumenti del potere e gli uomini diventano schiavi, come pensiero, come sentimenti e come azione, come impostazione della vita del potere.
    Mai la schiavitù è stata così vasta, imperante e profonda come adesso. Adesso uno Spartaco sarebbe molto più difficile che emergesse. Nel mondo antico gli “Spartachi” sono stati tantissimi: qualunque uomo un po’ geniale e coraggioso poteva essere uno Spartaco. Adesso, su un milione di persone non c’è uno Spartaco, non può esserci, perché è bloccato.
    La posizione dell’uomo oggi, se vuol salvare se stesso, è invitata a essere ribelle – ribelle! – ad essere “contro”. Mi ricordo un libro di un esegeta che incominciava così: “Gesù è entrato nel mondo in polemica col mondo”, in polemica vuol dire in guerra, contro, ribelle. Il cristiano deve essere per forza uno Spartaco”.

    (don Luigi Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida.)

    “Ma che cosa fa la famiglia di fronte a tutta la forza di una società che ha in mano tutta l’area della famiglia attraverso la televisione? Che cosa fa di fronte alla scuola, in cui un insegnante può fare tutto ciò che gli pare e piace, manomettendo la coscienza del bambino come gli pare e piace (e questa azione è sistematica)? Che cosa fa di fronte alla pubblicità? Una famiglia non può resistere da sola. Perciò la preoccupazione educativa di una famiglia è intelligente e umana nella misura in cui si rassegna a uscire da un comodo, anche meritato, per stabilire rapporti che creino una trama sociale che si opponga alla trama sociale dominante […] Giovanni XXIII indicava la libertà di associazione come uno dei dieci diritti fondamentali dell’uomo. Scrive ancora Giovanni Paolo II: «Siamo mandati come popolo. L’impegno a servizio della vita grava su tutti e su ciascuno» […] C’è un momento della vita in cui, magari attraverso l’esempio di altri, o mobilitati dal senso di impotenza di fronte al dovere di un certo comportamento, la fede appare come qualcosa di interessante non solo per l’eternità, ma anche per questa vita”.

    (don Luigi Giussani, Il miracolo dell’ospitalità)

    “Quanto più lo spirito dell’uomo, guidato dalla Chiesa, si è reso familiare la Verità di Cristo, tanto più questa penetra il suo modo di concepire tutte le cose e di impostare tutta l’esistenza. Si realizza così la cultura cristiana. Essa si avvera a due livelli:
    a) a livello personale, rendendo cristiana tutta la mentalità dell’io;
    b) a livello collettivo, rendendo cristiano l’ambiente e la storia – rendendo cristiana la civiltà.”

    (don Luigi Giussani, Sul senso religioso)

    1. Thelonious

      @Pierre: applausi ! al don Gius ovviamente ma anche a te che hai trovato queste tre citazioni

      1. Pierre

        Applausi a Costanza, piuttosto. Caro Thelonious di citazioni come queste nelle opere di Giussani ne trovi quante ne vuoi, il problema è che si tratta di un lascito scomodo per chi vuole a tutti i costi i favori dell’establishment. Creare “una trama sociale che si opponga alla trama sociale dominante”: e cosa è questo se non il ‘popolo del 20 giugno’ (fra l’altro, per carità)? Giussani ci ha educato ad una fede adulta nell’accezione ratzingeriana, una fede “brandita” che non si fa esiliare dal laicismo nell’intimità (e sterilità) di una soggettiva convinzione, ma cambia l’uomo e gli uomini, l’ambiente e la storia, verte su tutto. Per questo faceva paura alle ideologie dominanti. In “L’io, il potere, le opere” ed.Marietti, don Giussani cita una frase molto indicativa di Czesław Miłosz:

        “chi ama la res publica avrà la mano mozzata”.

        E come disse in una intervista ad “Alba” nel 1977 a chi gli chiedeva perché molti laici e gli stessi cattolici lo avversassero:

        “fare insieme scelte coraggiose e il più possibile coerenti con la fede, dà noia a certi cattolici e a molti laici”.

  8. LETTERA ENCICLICA REDEMPTORIS MISSIO DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
    CIRCA LA PERMANENTE VALIDITÀ DEL MANDATO MISSIONARIO

    INTRODUZIONE

    1. La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

    A nome di tutta la Chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san Paolo. Già dall’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell’urgenza di tale attività, a cui dedico la presente Enciclica.

    2. Molti sono già stati i frutti missionari del Concilio….

    Tuttavia, in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo Documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del Magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede 1.

    Capitolo I

    GESÙ CRISTO UNICO SALVATORE

    4. «Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra – ricordavo nella prima Enciclica programmatica – è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo».

    Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?

    «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6)

    Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini: «Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità». (1 Tm 2,5-7; cf. Eb 4,14-16) Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall’essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari.

    «Noi non possiamo tacere» (At 4,20)

    11. Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell’uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall’alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) I martiri cristiani di tutti i tempi anche del nostro hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli uomini con Dio. Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini il Vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All’interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l’esperienza della chiesa che aprirsi all’amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef 2,14) e «l’amore di Cristo ci spinge», (2 Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l’uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l’uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l’uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati.

    A tutti i popoli, nonostante le difficoltà

    35. La missione ad gentes ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via di estinzione. Essa anzi, sia dal punto di vista numerico per l’aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze umane della chiesa. Le diffìcoltà sembrano insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un’opera soltanto umana. In alcuni paesi è proibito l’ingresso dei missionari, in altri è vietata non solo l’evangelizzazione, ma anche la conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura culturale: la trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e la conversione è vista come l’abbandono del proprio popolo e della propria cultura
    36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell’accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all’apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l’impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che «una religione vale l’altra». Possiamo aggiungere come diceva lo stesso pontefice – che ci sono anche «alibi che possono sviare dall’evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento del Concilio». Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la retta via del sentire cum ecclesia. Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta – qui come in ogni settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». (Lc 17,10)

    Il primo annunzio di Cristo Salvatore

    44. L’annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da Dio. «L’evangelizzazione conterrà sempre – come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo – anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo… La salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso». Tutte le forme dell’attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef 3,3); (Col 1,25) il quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di tutta l’evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui» e apre la via alla conversione. La fede nasce dall’annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. Come l’economia salvifica è incentrata in Cristo, così l’attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero. L’annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona novella», che cambia l’uomo e la storia dell’umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell’uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all’opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l’uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre.

    ………………………………………………….
    Sono ovviamente stralci dall’intero documento:
    http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_07121990_redemptoris-missio.html
    che vedo in qualche modo attinenti a questo post, come al precedente
    http://costanzamiriano.com/2015/11/03/in-cristo-coincidono-verita-e-carita/

  9. Augusto

    L’interessante riflessione di Mons. Crepaldi mi ricorda Mt 13,24-30:
    24«Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?». 28Ed egli rispose loro: «Un nemico ha fatto questo!». E i servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». 29«No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio»».

    Sono certo che, mons. Crepaldi, concorderà se dico che, in questa parabola, il nostro compito nel campo del Regno è ravvisabile in quello dei servi piuttosto che in quello dei mietitori. E che l’annuncio e la testimonianza della Parola (la positività) siano essi stessi il contrasto con il maligno. I servi dell parabola si avvidero della presenza del male, ma, nonostante ciò, il Signore disse loro di lasciare ai mietitori (alla fine dei tempi) il compito di sradicarlo.

    1. ola

      “Sono certo che, mons. Crepaldi, concorderà se dico che, in questa parabola, il nostro compito nel campo del Regno è ravvisabile in quello dei servi piuttosto che in quello dei mietitori. E che l’annuncio e la testimonianza della Parola (la positività) siano essi stessi il contrasto con il maligno. I servi dell parabola si avvidero della presenza del male, ma, nonostante ciò, il Signore disse loro di lasciare ai mietitori (alla fine dei tempi) il compito di sradicarlo.”

      Io l’ho sempre capita come rassicurazione nel caso che non riusciamo a sradicarlo, non come invito a smettere di provarci.

      1. @ola, (per quel che vale) io sono più in linea con l’idea di Augusto.

        Nostro compito non è “sradicare” il male, semmai continuare a far crescere il bene (anche seminandolo noi stessi come seminatori per conto di Dio).
        Il bene è capace di trasformare il male… o non lo crediamo possibile?
        Ma se non lo crediamo possibile allora anche per noi non ci sarebbe speranza… siamo forse “tutto” bene?

        Nel nostro cuore forse non crescono spesso insieme buon grano e zizzania? Siamo così sicuri di essere noi a “sradicarlo” anche in noi stessi?
        Il mio cuore era una tempo certo più zizzania che grano. Oggi non darei gloria a Dio non riconoscendo che io stesso vedo molti più frutti buoni della semina.

        Opporci al male è una cosa (e diverse sono le strade), tentare di “sradicarlo” è altra cosa e la Parola ci ricorda di attendere il Tempo della Mietitura, tempo opportuno, da Dio stabilito e a Lui riservato, perché a volte non è neppure così semplice distinguere il grano dalla zizzania, giacché non a caso è stata scelta la zizzania, che non è una “erbaccia nera e schifosa” che chiunque noterebbe, ma è una “erbaccia” molto, molto simile al frumento.

        1. ola

          @Bariom siamo d’accordissimo che noi non possiamo vincere il male ( quantomeno sicuramente non da soli ) essendo noi stessi decaduti – del resto “il Suo Regno non e’di questo mondo”.
          La questione e’se questo giustifica anche lo smettere di provarci.

          Scrive Monsignor Crepaldi:
          “Senza questa componente, la testimonianza della positività diventa alibi al disimpegno. I principi non negoziabili, poi, sono radicali, ossia la loro negazione riguarda punti essenziali della persona e della vita in società, con danni drammatici e irreparabili se non viene contrastata. Non si può, perché concentrati a testimoniare nella nostra vita il positivo, non vedere che ci sono antropologie in conflitto e alcune dí queste sono disumane. Non ci si può chiudere nella torre dorata della nostra coerenza personale o familiare e lasciare che la società vada alla deriva.”

          A me sembra che questo passaggio risponda molto chiaramente alla domanda.

          1. ola

            Ma del resto il tuo passaggio “Opporci al male è una cosa (e diverse sono le strade), tentare di “sradicarlo” è altra cosa” ripete sostanzialmente la posizione die Monsignor Crepaldi.

            1. Infatti ola…

              Dobbiamo solo ntenderci su ciò che s’intende 😉 e fare i doverosi (ritengo) distinguo.
              Così come applicare le Parabole al giusto contesto (non che qui lo voglia insegnare io… faccio una affermazione di carattere generale).

  10. Pierre

    «Tutto il mondo è posto nella menzogna. Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l’unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco. Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell’autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l’energia di libertà, se non è un’azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora […] l’esito è l’intimismo. L’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito […] La modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro. Per indicare e per definire l’esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l’interesse della nostra persona. La forza della nascita del nostro Movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva».

    (Luigi Giussani, Il rischio educativo)

    «Non esiste un individuo sospeso per aria, esiste una identità incarnata: non può esistere una identità se non nella situazione.[…] il problema è questa autocoscienza della novità che siamo e che vive nella situazione. Allora si potrebbe essere sprovveduti in università (nei corsi, nei consigli di facoltà), ma ugualmente frementi per la novità che si porta in sé.
    Quando cessa l’università è questo fremito d’identità che si deve portare fuori, nella vita della Chiesa, nell’impegno civile, sociale e politico. Allora anche l’impegno politico è impostato come lavoro culturale, perché si ha coscienza di quello che vuol dire lavoro per il bisogno culturale. Si tratta della coscienza di un popolo che approfondisce sempre di più, a contatto con gli avvenimenti, la chiarezza di portare in sé la risposta alla crisi».

    (Luigi Giussani, Nella fede, uomo e popolo)

    «È qualcosa di globale, di assoluto. La fede o investe tutta la personalità umana oppure resta una giustapposizione intellettualistica o, al più, un’intrusione sentimentale. Noi non crediamo alla separazione fra fede e politica. A una fede che non abbia alcuna incidenza sulla vita (e quindi su quella fondamentale espressione della vita che è la politica) io non ci crederei. Una fede di questo genere è un pezzo da museo. Come è un pezzo da museo il culto che viene “permesso” nei paesi socialisti».

    (Luigi Giussani su “L’Europeo”, all’indomani della grande avanzata del PCI alle elezioni)

    «La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo. Questo è il cristiano, nella storia questo è il cristiano, e se non è così non è cristiano. …Resistenti bisogna essere. Come resistenti? Resistenti, resistenza. Rivoluzione: è un rivoluzionario, e un rivoluzionario deve essere combattuto. Qual è l’unica risposta all’omologazione? Fare la rivoluzione».

    (Luigi Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida.)

    «Io non sono di Cl, voi lo sapete: sono molto vicino. Le sono vicino per una cosa sola: perché hanno questo senso dell’amicizia, questo senso dell’umanità, questo senso dell’integrità della fede. Sono tutti di un pezzo, poi anche loro fanno errori, per fortuna. Però hanno questa rocciosità per quel che riguarda l’uomo. […] Oggi mi sembra tutto così minacciato dal non essere, che anche la carne, la carne sbagliata, anche la carne e il sangue che errano, devono gridare, devono alzarsi, insorgere. Credo che il mondo e soprattutto i cristiani hanno la responsabilità e il destino, che è la sola speranza, di tentare di essere contemporaneamente insurrezionali e resurrezionali. Nel frangente di storia nel quale Dio ci ha messi non si può risorgere senza insorgere: insorgere contro ciò che si sta operando contro l’uomo creato e la creazione tutta. Qualsiasi insurrezione che non nasca da una certezza, da un bisogno e da una speranza di resurrezione, cade, diventa oggi più che mai vittima e strumento del potere.»

    (Giovanni Testori, Conversazione con la morte)

    Smetto?

  11. vale

    sul tema della difesa-pur nel dialogo inteso come confronto tra due “ragioni”forti e posizioni chiare.non tanto per fare conversazione e trovare un inciucio- dei”valori non negoziabili”( lo so,dire verità o dogmi ,oggi,suona male…)

    l’articolo di fondo su “la croce” di oggi di mons.luigi negri

    Parlando con molti laici ed ecclesiastici
    mi sono infatti sempre più convinto
    di quanto sia importante che gli Ordinari
    delle diocesi riprendano fino in fondo
    la responsabilità di guidare il loro popolo
    su alcuni questioni fondamentali, fino
    alla determinazione di giudizi e di conseguenti
    atteggiamenti da assumere.

  12. Anonimo 69

    In questa sede sono stati citati Donoso Cortes e don Giussani.

    Del primo è stata citata una frase particolarmente illiberale :” La Chiesa, quindi, pur ammettendo la libertà, lì dove non ammetterla è impossibile, non può considerarla come termine dei suoi desideri, ne salutarla come unico limite delle sue aspirazioni”; del secondo una frase particolarmente liberale: “«La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo”.

    Orbene, non vedete una contraddizione fra quelle 2 proposizioni? A69

    PS: il marchese Donoso Cortes, e Plinio Correa de Oliveira, sono, nell’area spagnola e latino-americana, i pensatori di riferimento del cattolicesimo più conservatore. In effetti essi hanno espresso un pensiero violentemente contro-rivoluzionario ed hanno anche difeso la gerarchia sociale, in quanto dàtaci da Dio e, quindi, “inviolabile” (mi sarebbe piaciuto sapere se l’avrebbero fatto ugualmente se non fossero nati da famiglie nobili e ricche……….).

  13. Pierre

    @Anonimo 69

    Non conosco benissimo Donoso Cortès ma posso dirti che Giussani intendeva la libertà (come altri concetti) tomisticamente: non solo semplice ‘libero arbitrio’ ma realizzazione dell’io attraverso l’adesione a Dio. Giussani è molto chiaro su questo, la libertà vera e compiuta è riconoscere la dipendenza da Dio. L’opposto è invece la dipendenza dalle circostanze e dalla società cioè in ultima istanza dal potere dominante che cerca sempre di atrofizzare il desiderio strutturale nell’uomo che lo porta a Dio. Per questo la libertà è strutturale all’uomo. Donoso Cortès mi risulta essere una sorta di padre del Sillabo. Beh Giussani il Sillabo lo citava spesso per denunciare il modernismo imperante nella Chiesa. Quello che probabilmente differenzia Cortès e altri da Giussani è il tempo. Giussani è un autore pienamente inserito nel proprio tempo, la modernità, e da essa trae ciò che di buono vi è senza scivolare nel soggettivismo modernista. Giussani per questo è più affine ad Augusto Del Noce e al Concilio Vaticano II che non alla scuola contro-rivoluzionaria oggi spesso ripresa dai seguaci del tradizionalismo, che per Giussani è l’errore opposto e speculare al modernismo. Questo non significa che tutta la scuola contro-rivoluzionaria sia da buttare, ve ne sono interpreti tutt’altro che tradizionalisti/integralisti come ad esempio il professor Introvigne. Che gli autori di quella scuola difendessero solamente i privilegi della nobiltà non sarei sicuro, io penso che difendessero i poveri dai sobillatori e che ricordassero ai ricchi i propri doveri verso i poveri. Poi che a fianco al grano crescesse la zizzania è un altro paio di maniche ma vale per ogni epoca.

  14. bri

    @a69
    a me pare che uno dica che la liberta’ e’ il punto di partenza e l’altro dica che nondeve essere il punto d’arrivo

    1. Tranne il caso in cui la libertà, sia Cristo… vero nostro punto di arrivo e nostra vera Libertà, nella Verità.
      😉

      1. @bariom
        l’intento era di dare una risposta “laica” e lineare ad @69, dato che mi pareva sufficiente a risolvere il suo dubbio insinuante
        Tra noi, c’è spazio per ampliare l’orizzonte 🙂

        1. @bri, l’intento mi era evidente…

          Certe mie sottolineature mi sovvengono naturali e le scrivo ricordando a me stesso e anche a chi leggesse qui, magari di passaggio, magari distrattamente, il centro, il fulcro della Nostra Fede.
          Se faccio con chi come te, so bene avere la stessa fede in Cristo, forse sottolineo l’ovvio, ma certo non lo faccio per dire: “eh, eh… Attenzione, hai toppato!” “Risposta/commento sbagliato”…

          Diciamo che vedo questo come un dialogare a più voci, dove il commento mio, avrebbe potuto essere il tuo aggiunto in seconda battuta.

          Mi spiacerebbe questo fosse scambiato per presunzione (non che presuntuoso spesso non sia…), quindi se puoi sopportami… Mi risulterebbe difficile promettere di evitare alla prossima occasione.
          ⚠😉

          1. Bri

            @Bariom
            Figurati che io son l’altro lato della medaglia
            A me spiace se ho dato l’impressione di aver perso l’occasione per dare testimonianza (come peraltro in fondo, in quella risposta ad @a69)
            Quindi, trovavo giusta la tua “integrazione”/sottolineatura/chiosa, e quindi mi son giustificato (più che di fronte a te, di fronte a chi legge nel modo che dici tu) 🙂

            Secondo me, finirà che annoieremo qualcuno con questi rimpalli 🙂
            Da parte mia, continua pure ad essere Bariom, se mi giustificherò nuovamente sarà solo per il bene della discussione e non perchè mi senta ripreso.

    2. Anonimo 69

      @ Bri

      Sarà come dici te, però, nella frase del discendente del conquistador Hernan Cortes, c’è quel “…lì dove non ammetterla è impossibile….” che è un po inquietante (come la figura del suo antenato, del resto).

      Bah! sarà una mia impressione. A69

      1. Anonimo 69

        @ Bri

        Certamente, poi, Donoso Cortes era un uomo interessante e acuto (quando mai ho detto che un reazionario non possa essere interessante?), come lo fu, e ben più di lui, il principe di Metternich-Winneburg. Nelle memorie di quest’ultimo si trovano notevoli perle di saggezza e acutezza. A69

      2. Bri

        @A69
        anche nel caso di quell’espressione, io la intendo così nel suo complesso:
        ci sono ambiti in cui la Chiesa nega la libertà di fare quel che si vuole (e in fondo è lo stesso principio dei divieti stabiliti per leggi civili) e altri in cui riconosce invece che negarla non è possibile e quindi tale libertà va ammessa tenendo presente che però non può essere la libertà stessa il fine della sua conquista.
        A titolo d’esempio si nega la libertà di poter andare contro la vita ma non si nega affatto la libertà di decidere come impiegare il proprio tempo libero (senza costringere alcuno a prestare servizio ai bisognosi).

  15. vale

    donoso cortés si ridusse ,da ambasciatore in francia, a portare quasi solo quel che aveva indosso a furia di elargire elemosine.

    Sosteneva finanziariamente la vedova del fratello e si informava meticolosamente della vita spirituale della sua
    famiglia. Soccorreva in modo sistematico le “Hermanitas de los pobres” e assisteva puntualmente a tutte le loro
    comunioni generali. Iscritto alla S. Vincenzo de’ Paoli e a numerose altre congregazioni, si dedicava a tutt’uomo ai
    poveri, giungendo a mendicare per essi presso le conoscenze facoltose. Trovava sempre il tempo per visitare i suburbi
    parigini ed aiutare economicamente le famiglie bisognose; fu padrino di un’infinità di bambini nati nella miseria. Non
    essendo ricco, finì per indebitarsi.
    A Veuillot che gli chiedeva del denaro per soccorrere una famiglia in gravi ristrettezze
    consegnò senza esitare quel che restava del suo stipendio di ambasciatore. “Mentre mi parlava si stava vestendo, ed ebbi
    occasione di vedere che aveva la camicia logora: glielo dissi, ma mi rispose che non ne aveva altra migliore

    e proprio perché convertito,aveva visto bene l’orrore del liberalismo,del socialismo e degli altri ismi ottocenteschi-nel suo “saggio sopra il cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo” – che daranno vita alle ideologie assassine del novecento.

    ed il fatto che sia stato consultato in occasione del sillabo,quindi su richiesta del Papa regnante al tempo- rende chiaro che certi personaggi,prima di parlarne a caso,farebbero meglio ad informarsi.
    Altro che ricco.
    nobiltà ,sì.ma più che di quella umana, di quella dello spirito,a quanto pare.

    Galindo Herrero informa dettagliatamente dei mezzi apprestati da Donoso nello sforzo di vincere sé stesso: Juan
    Donoso Cortés, Grande di Spagna, Gran Croce di Carlo III, Gran Croce di Isabella la Cattolica, Ufficiale della Legion
    d’Onore, confidente e consigliere di re, deputato, oratore e scrittore famoso, senatore del Regno di Spagna, ambasciatore
    plenipotenziario e testimone di nozze imperiali, portava il cilicio, una camicia di cuoio intrecciato con punte metalliche

    .( visto anche che le principali cancellerie dell’epoca si facevano trasmettere il prima possibile i discorsi del donoso pronunciati al parlamento di madrid.

    forse perché li giudicavano un tantinello più interessanti di certe elucubrazioni di altri.

    tanto per citarne uno “discorso sopra la situazione generale d’europa” riportato dai principali quotidiani del tempo, citato dal kaiser,dallo zar,da schelling e chissà quant’altri.)

    ma tant’è.

    sono gli stessi personaggi che,invece di contestare il merito,contestano la fonte dal quale è stata tratta. se non è politicamente corretta, anatema sit.

    e poi cianciano di assolutismo e relativismo.

    1. @vale: quanto ci scommetti che il bravo A69 ora passerà a decretare che Donoso Cortès oltre che illiberale, reazionario, conservatore, nobilericco e discendente di conquistadores era pure uno squilibrato sadomaso (il cilicio) ? 🙂

      1. vale

        @senmweb

        aggiungerei anche un pedofilo,che nella vulgata collettiva,non stona mai. fa nuance con gli altri. 🙂

  16. Pierre

    “Non si può dire amo i miei figli, permettendo alla società di farne man bassa; non si può dire: amo la famiglia, ci tengo alla mia famiglia, permettendo al costume sociale di distruggerla. Occorre il coraggio di difendere questi riferimenti in pubblico associandosi perché senza l’associarsi la debolezza del singolo o del particolare è travolta da qualsiasi forma di potere”.

    (Luigi Giussani, da un intervento che egli tenne ai responsabili del Sindacato delle Famiglie il 13 giugno 1993)

    1. Francesca

      Grazie Pierre per le citazioni di Giussani che stai postando. Molto azzeccate.
      Non faccio parte di CL (né di altri movimenti specifici) , ma apprezzo la linea di pensiero esposta in questi pochi stralci.

      1. Pierre

        Cara Francesca, la fedeltà al carisma che ci è stato donato non è semplice, perché richiede interesse per tutto e grande curiosità culturale. Papa Francesco ha detto: “don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà”. Penso alla passione di Giussani per il fenomeno della “dissidenza” oltre la cortina di ferro. “Dissidenti” come Václav Havel de “Il potere dei senza potere” (attualissimo soprattutto ora):

        “L’esperienza storica ci insegna che un punto di partenza realmente significativo per l’uomo è generalmente quello che porta in sé l’elemento dell’universalità, che non è quindi un punto di partenza parziale, accessibile solo a una comunità delimitata in un modo o nell’altro, e impraticabile da altre, ma che è invece un punto di partenza per chiunque; prefigurazione della soluzione generale: e che quindi non è solo espressione di una responsabilità dell’uomo verso di sé e per sé, ma sempre, per sua essenza, responsabilità verso il mondo e per il mondo. (…) Patocka diceva che quello che è più stimolante nella responsabilità è che la portiamo con noi ovunque. Questo vuol dire che abbiamo e dobbiamo assumerla qui, ora, in questo spazio e in questo tempo in cui il Signore Dio ci ha posto e non possiamo infischiarcene dirigendo la rotta altrove, magari verso un monastero indiano o verso “la polis parallela”. Che la fuga nel monastero indiano così spesso non funzioni, come punto di partenza individuale o di gruppo, fra i giovani occidentali dipende solamente dal fatto che a un tale punto di partenza manca l’elemento dell’universalità (non tutti gli uomini possono rifugiarsi in un monastero indiano). Un esempio di un punto di partenza opposto è il cristianesimo: è un punto di partenza per me ora e qui, ma solo perché è un punto di partenza per chiunque dovunque e qualunque volta”.

        “(…) Questa immagine contrasta profondamente con il significato reale della posizione «dissenziente» che invece si riferisce all’interesse per l’altro, per ciò che la società nel suo insieme soffre, quindi per tutti gli «altri» che non si fanno sentire. Se i «dissidenti» hanno un briciolo di autorità e non sono già stati schiacciati da un pezzo (…) non è certo perché il governo abbia in grande considerazione questo gruppuscolo esclusivo e le sue esclusive riflessioni, ma proprio perché avverte quel potenziale potere politico che è la vita nella verità radicata nella «sfera segreta», perché avverte da che mondo nasce ciò che questo gruppo fa e a che mondo si rivolge: al mondo della quotidianità umana (…) il primo dato certo in questo senso è che l’aspirazione di partenza, quella più importante, che stabilisce a priori la sfera dei loro tentativi, è semplicemente quella di realizzare e sostenere la vita indipendente della società come espressione «articolata» della vita nella verità, quindi l’aspirazione a servire la verità con fedeltà e decisione (…) un uomo non diventa «dissidente» perché un bel giorno decide di intraprendere questa stravagante carriera, ma perché la responsabilità interiore combinata con tutto il complesso delle circostanze esterne finisce per inchiodarlo a questa posizione: viene espulso dalle strutture esistenti e messo in conflitto con loro”.

        Dissidenti! Per essere fedeli a quel carisma il quale ci ha insegnato che “il limite del potere è la religiosità vera, il limite di qualunque potere: civile, politico ed ecclesiastico” (don Giussani).

  17. Pierre

    «Giussani dà fastidio, dà fastidio ai laici ma come vedremo dà fastidio anche ai religiosi.
    Prima ai laici. Il laicismo europeo è del tutto particolare, molto diverso per esempio da quello nord-americano. Il laico europeo non è qualcuno che non crede, che può darsi abbia smesso di credere, la laicità è la sua fede; e a volte, come molti cristiani di un tempo, è molto militante e oppressivo verso quelli che non condividono questa sua fede.
    Vediamo un po’. Qual è il credente preferito dal laico di oggi? 1. Meglio che non sia cristiano, ebreo è già preferibile e musulmano addirittura interessante. Dobbiamo capirli, quegli ebrei e quei musulmani, dialogare con loro. A volte penso: magari la volontà di dialogare con i cristiani fosse forte come quella con gli ebrei e i musulmani! 2. Il credente preferito è uno pietistico, un po’ new age, che disprezza la ragione, la razionalità e insiste sullo spiritualismo. Uno così è facile accettarlo, con un senso di condiscendenza: povero, dai, lasciamolo stare. 3. Il credente preferito del laico è uno per il quale il credo o la pratica religiosa è una convinzione da nascondere bene, a casa propria o al massimo in chiesa la domenica, e per il quale la piazza pubblica resta sterile da tutta questa scemenza, addirittura disinfestata. La croce nella società attuale è accettata a condizione che sia antica almeno di duecento anni, un’opera d’arte, non un segno di fede viva. Infatti, il credente preferito è quello che non si sa se è un credente. 4. Il credente preferito è quello che, se insiste a scendere in piazza, lo fa nei termini definiti dalla premessa laica di questa piazza, cioè come avversario ideologico di normale amministrazione. C’e un comunista, c’è un socialista, c’è una femminista, allora, che ci sia pure un cristiano. Generi diversi dello stesso discorso.
    Leggendo “Dall’utopia alla presenza”, si può capire perché Giussani, la sua persona, le sue convinzioni e il suo insegnamento fossero così provocatori per i laici, dessero così fastidio. Perché la persona religiosa che lui esige è esattamente il contrario del tipo di credente preferito, perché è uno che insiste sulla ragione come base essenziale alla sua fede, perché è pio ma rifiuta di RITIRARSI IN CONVENTO, perché fa sentire la sua voce, mantiene la sua presenza nella PIAZZA PUBBLICA ma nei termini che definisce lui e con una presenza che non soltanto esprime preferenze politiche, ma testimonia una verità trascendentale.
    Ma Giussani dà fastidio anche al religioso, con Giussani non basta portare un crocefisso, andare alla Messa e poi rientrare nella vita normale, quotidiana. Con i cristiani della domenica lui non ci sta, e non ci sta neanche con il cristiano che definisce un programma politico: che miracolo! Un programma politico che è difficile distinguere dagli opinionisti del Corriere o della Repubblica, cioè dai benpensanti europei, uno che si basa semplicemente, invece che sul vangelo di Marx o di Emmanuel Kant, sul Vangelo di Giovanni, Luca o Matteo. No, per Giussani l’uomo religioso e la vita religiosa si pongono in una categoria diversa dell’esperienza umana. Giacobbe, dice Giussani, dopo la lotta con Dio, in quella serata al tramonto, andò zoppicando tutta la vita: vale a dire, mangiava ed era zoppo, andava con sua moglie ed era zoppo, andava a mungere le vacche ed era zoppo, discuteva con gli altri ed era zoppo. E’ solo se il soggetto è ferito che la verifica diventa verifica della vita, non si può fare la verifica fuori, senza che ci sia conseguenza del sanguinare dentro».

    (Joseph H.H. Weiler)

    1. Francesca

      Pierre, i tuoi post sono uno meglio dell’altro.
      Infatti leggo e non scrivo. E rileggo pure 😉
      Condivido, condivido.
      Lo spirito di TUTTI i cristiani dovrebbe essere proprio quello: “dissidente”, “una categoria diversa dell’esperienza umana”, “sempre testimoniante il trascendente”, “verifica continua dentro-fuori”, “rivoluzionario”…. Insomma è vivo ‘sto cristiano.
      Bello 🙂

  18. …a me, come “laico”, (se qualcheduno volesse usare codesto vocabolo) nel mio piccolo, umilmente, sommessamente, felpatamente eccetra, don Giussani non mi provoca nulla, nessuno (con rispetto) stimolo.

    1. Francesca

      Eh vabbè, si vede che te sei proprio… (come si dice a Roma?)…costipato 😀
      E poi, scusa, si rivolgeva ai “cristiani”…

    2. Pierre

      Comunque Weiler intendeva dire che Giussani dava fastidio sia ai laici-sti (quelli che vogliono ‘esiliare’ il cristianesimo fuori dallo spazio pubblico) sia ai cattolici “comodi” in un vago intimismo spiritualista.

      1. Francesca

        Avevo capito Pierre. Io ho inteso che si riferiva a due categorie di cristiani “intimisti”: i laici e i frequentatori della Messa.
        Cito:
        ” Il laico europeo non è qualcuno che non crede, che può darsi abbia smesso di credere, la laicità è la sua fede”

  19. Francesca:

    “Pierre, i tuoi post sono uno meglio dell’altro.
    Infatti leggo e non scrivo. E rileggo pure”

    …si vede, invece, che non hai letto, perché parla anche dei laici (cosiddetti)!

    1. Francesca

      Appunto Alvise. Se vai a rileggere, mi sembra evidente che non si riferisse ai “laici” come te, ma appunto al laicismo europeo che generalmente NON è (o non era) fatto di laici-ateisti. Ma di laici la cui “religione” è il laicismo, rimanendo questi generalmente credenti-intimisti.
      Fai tu parte di questa categoria?

      1. Pierre

        Per Giussani laico significava “non prete”, da laos, popolo. Cl nasce soprattutto per i cattolici laici in cammino dentro il mondo. Era il laicismo che lui avversava, in quanto ideologia che voleva “privatizzare” il Fatto cristiano, rendendolo non più incidente su tutto, svilendone la vera portata. Dio, se c’è, non c’entra: quindi vivere come se Dio non ci fosse. L’opposto della sfida lanciata da Benedetto XVI.

        1. Non solo per Giussani.
          E’ quello il reale significato del termine *laico*… poi oggi tutti lo usano per dire “non-credente”, “a-confessionale”, “non religioso”.

  20. Pierre

    «Una cultura della responsabilità deve mantenere vivo quel desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il rapporto con l’infinito, che rende la persona soggetto vero e attivo della storia. (…) È impossibile che la partenza dal senso religioso non spinga gli uomini a mettersi insieme… così che l’insorgere di movimenti è segno di vivezza, di responsabilità e di cultura, che rendono dinamico tutto l’assetto sociale. Occorre osservare che tali movimenti sono incapaci di rimanere nell’astratto… ma tendono a mostrare la loro verità attraverso l’affronto dei bisogni in cui si incarnano i desideri, immaginando e creando strutture operative capillari e tempestive che chiamiamo “opere”»

    (don Luigi Giussani, L’io, il potere, le opere)

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