In questi giorni mi chiedevo: ma io cosa posso apportare di utile al Sinodo?
Avevo letto un’intervista del Corriere al cardinal Kasper rimanendo sorpreso dall’affermazione: «Omosessuali si nasce». Certamente un povero prete missionario in Paraguay non può rispondere a un grande teologo, cardinale di Santa Romana Chiesa. Però, partendo dalla mia esperienza pastorale, ho qualcosa da dire: da molti anni vivo il mio sacerdozio accogliendo i poveri, abbandonati da tutti, ma non da Dio.
Alcuni giorni fa è morto l’ennesimo giovane malato di Aids: da mesi stava con noi, si alternavano al suo capezzale il papà e la mamma che domandava all’infermiera quando sarebbe morto, perché si vergognava di lui.
Il giorno della sua morte il compagno di stanza piangeva mentre la madre tirava un sospiro di sollievo; i genitori ci chiesero di non ritirare il cadavere, lasciandolo solo nella cella mortuaria per essere poi seppellito nelle prime ore del mattino. Una cosa incomprensibile per me: i genitori hanno vergogna del proprio figlio perché ammalato di Aids?
«Padre, a quattordici anni sono scappato di casa perché non sapevo più come fare per impedire che il concubino di mia madre continuasse ad abusare di me. Non sapevo dove trovare un rifugio, che fare e a chi chiedere aiuto. E così decisi di fare della stazione delle corriere la mia casa, finché un giorno sono stato avvicinato da due transessuali che mi hanno offerto di vivere con loro. Da quel momento la mia vita ha assunto un altro volto. Finché anch’io sono diventato uno di loro. Dopo anni di prostituzione ho cominciato a stare male. Ho fatto le analisi del sangue e la risposta è stata: Aids! E voi mi avete accolto nella vostra clinica con tanto amore, senza domandarmi di togliermi nulla di ciò che mi faceva sembrare una donna. Io non sono nato con questa tendenza, lo sono diventato per gli abusi sofferti da ragazzo e per l’accoglienza di due transessuali che mi hanno portato a casa loro».
Ognuno di questi figli che ho accompagnato a morire ha una storia particolare con uno stesso denominatore comune: la mancanza della famiglia, gli abusi sessuali sofferti da piccoli e l’incontro con chi da tempo seguiva questo cammino.
Certamente ho incontrato anche chi mi diceva «fin da piccolo sono vittima di questa tendenza che non riesco a togliermi di dosso».
Ma il problema non è la tendenza sessuale, perché se anche avessimo una tendenza differente non sarebbe certamente questa a rispondere al nostro desiderio di felicità, alla nostra sete di amore.
Non ho mai incontrato una coppia di omosessuali che mi abbia detto di essere felice.
Il cuore dell’uomo ha bisogno di ben altro per pacificarsi.
Per cui il problema fondamentale, tanto per gli omosessuali come per i transessuali e gli eterosessuali, consiste nel prendere sul serio le esigenze di cui è fatto il nostro cuore, a cui solo Dio può rispondere.
Il problema principale quindi non è a livello pastorale ma ontologico, cioè della coscienza che io ho di me stesso.
Sono o non sono relazione con l’infinito? Lo sguardo non è più sulla diversità, ma sull’unità dell’io che solo l’incontro con Gesù ci dona.
E la vera pastorale consiste nello sfidare l’io, una sfida che è per tutti, che provoca la libertà a riconoscere che ognuno di noi prima di ogni tendenza sessuale è relazione con il mistero.
È impensabile una pastorale vera se in noi non vibra la certezza del «io sono tu che mi fai».
Ricordo quando alcuni anni fa sono stato invitato a dare una testimonianza presso la Banca Mondiale a Washington sulla fondazione. Giunto lì, mi dicono che la responsabile mi ha tolto l’invito ufficiale perché ha letto sul bollettino parrocchiale un mio scritto in cui non apparivo aperto alle diversità sessuali.
Un esempio chiaro di discriminazione, ma anche di come si guarda ideologicamente alle persone per cui la normalità è trasformata in anormalità e viceversa.
Vivendo in un mondo pieno di perversità è urgente ripartire come i primi cristiani dall’annuncio di Cristo, per poter salvare l’io togliendolo dalla confusione in cui vive.
Solo una Chiesa che non si vergogna di Cristo può ridare all’uomo di oggi una speranza.
«Padre, ne ho fatte di tutti i colori ma il mio cuore era triste. Ringrazio Dio per la malattia perché grazie al vostro amore ho incontrato me stesso»: anche la pastorale se non arriva alla radice dell’io rischia la inutilità.
Articolo tratto dal numero di TEMPI in edicola
Reblogged this on Luca Zacchi, energia in relazione and commented:
Solo una Chiesa che non si vergogna di Cristo può ridare all’uomo di oggi una speranza.
Grazie .
Il padre Trento non ha mai incontrato una coppia di omosessuali che si dica felice; può darsi che abbia ragione perchè io di persone veramente felici (e non “sedicenti” tali, dato che non sempre la realtà corrisponde alle dichiarazioni degli interessati) ne ho incontrate poche nella mia vita. E la cosa non stupisce, anche per il modo stesso in cui si presenta la felicità: a istanti, a momenti, mentre l’infelicità è persistente, durevole.
Mi vengono in mente 2 citazioni illustri: l’ultima aria del Conte d’Almaviva nell’immortale “Barbiere” di Rossini (aria spesso tagliata, purtroppo) in cui il cantante dice:
“Non fuggite o lieti istanti di mia felicità”,
e, il finale di quel grandioso romanzo che è “La certosa di Parma” di Stendhal, il quale suona così:
“To the happy few” (“Ai pochi felici”). A69
E di fatto neppure la Fede promette questo tipo di “felicità”.
errata corrige al post delle 9,23: “Non fuggite o lieti istanti DELLA mia felicità”. A69
@Anonimo69
E’ solo questione di punti di vista
C’è chi crede di doverla cercare e chi di doverla portare
“Padre, ne ho fatte di tutti i colori ma il mio cuore ERA triste …”
In fondo nei rapporti umani è solo questione di scelte da che parte (dell’amore) stare
Nella relazione con l’Infinito e l’Amore la nostra posizione risulta chiaramente e comodamente individuata
Non sembra proprio che l’accedere, o meno, alla felicità dipenda da una scelta chiaramente e comodamente individuata. Ci sarebbero molte più persone felici, se le cose stessero così.
E poi…… il modo in cui si presenta la felicità………… a istanti che sfuggono continuamente…………..A69
@A69
Dovresti capovolgere la logica della tua esperienza
Finchè cerchi di avere quello che invece dovresti procurare agli altri … stai semplicemente cercando dalla parte sbagliata
E come tanti, vedi solo momenti fuggevoli
Chiaro, puoi fidarti come no
Ma in fondo che hai da perdere
PS.
Chiaramente e comodamente individuata non è la parte che si può scegliere. Quella è “fisiologicamente” così
@ Bri
Ma anche attivarsi per gli altri, procurare qualcosa agli altri, “donare”, non è che, automaticamente, dia la felicità. Spesso si va incontro a delusioni, rancori (la gente spesso non ama coloro verso cui si sente in debito). Non si tratta di fidarsi oppure no, ma di conseguire i risultati ragionevolmente sperati.
Eh, caro amico, “il segreto per esser felici” è difficile da cogliere, anche ponendosi in una prospettiva di fede.
A tale aspirazione (raggiungere “il segreto per esser felici), Donizetti innalzò una melodia grandiosa:
Ma anche lui ha avuto buoni motivi per essere infelice (e pure morto di sifilide!). A69
“Spesso si va incontro a delusioni, rancori (la gente spesso non ama coloro verso cui si sente in debito). Non si tratta di fidarsi oppure no, ma di conseguire i risultati ragionevolmente sperati.”
Questo in un’ottica meramente umana.
Se doni gratuitamente, perché gratuitamente hai ricevuto, non esistono delusioni ne ti poni “di conseguire i risultati ragionevoli” (che nelle cose degli umani sentimenti o dell’umana psicologia è pura utopia…).
Questa è la profonda differenza della “ottica di Fede”. La “felicità” sta nel dono gratuito e la “ricompensa” viene da Dio (in questa vita e nell’altra), poco importa se qualcuno non ricambierà con ugual moneta.
Al contrario è proprio la paura di esporsi, di “rimetterci”, di restare ferito, di rimanere deluso, che blocca l’uomo e gli nega il naturale istinto al Dono (che è impronta divina).
Se mi permetti, anche alcune tue scelte personali che hai qui esposto, sono la dimostrazione di ciò.
Hai ragione Bariom, però si ritorna sempre “a bomba” (come si dice in Toscana): il prius, il presupposto logico dei ragionamenti suesposti, è sempre la FEDE, ed una fede, non “a caso”, ma forte e vigorosa. A69
Comunque “donare” senza contropartita, per generosità, liberalità e umanita, è senz’altro una cosa che da’ soddisfazione. A69
Vero… perché corrisponde ad una realtà profonda. Un anelito, quasi un “imprinting”, del cuore dell’Uomo.
La stesso per cui, a volte, un Uomo rischia la propria vita per salvare quella di un Altro (anche fosse uno sconosciuto).
Yesss 😉
@A69 @Bariom
Lieto di aver letto il vostro prosieguo 🙂
grazie
eterosessuale, sposata, 5 figli… posso confermare che l’unica cosa che davvero rende felici è sentirsi amati da Dio, null’altro.
@ Io
vero! anche perchè non basta credere in Dio, per sentirsi amati da Lui. A69
Quant’è vero,purtroppo!!!
E’ da sempre azione di Satana (sin dai tempi dei nostri progenitori) sobillare proprio chi crede in Dio a credere che in realtà Egli non ci ama (chi non crede non si pone certo il problema).
Senza pensare a situazioni particolarmente “mistiche”, possiamo fare esempi di tutti i giorni e ci basta pensare a qualunque avvenimento tragico o che consideriamo avverso nella nostra vita… un dolore, una malattia, un rovescio finanziario, una semplice delusione.
Combattere come Cristo nel deserto, le tentazioni del Demonio è esercizio di fedeltà che rafforza la nostra Fede, la fa crescere e maturare. Non tanto e non solo nel credere in un “dio creatore”, ma in Dio Nostro Padre.
Per passare dal timore all’amore.
Bariom:
…proprio così: “chi non crede non si pone certo il problema” (un problema in meno!)
(il dolore è solo dolore, se è “mistico” che dolore è?) (diciamo, meno misticamente, che attraverso il dolore l’uomo
si tempra e acquista, se è un uomo, la capacità di affrontare il dolore) (ne avrà sempre bisogno!).
Ma talvolta sotto il dolore l’Uomo ci muore o anche uccide! Che uomo è? … un uomo.
Ma anche nel dolore talvolta, incontra Cristo… l’unico che può dare un senso al tuo dolore.
E allora benedetto dolore.
(Non lo dico io sul dolore dell’altro, lo posso dire sul mio e su tanti che me lo hanno testimoniato del proprio)
io:
“posso confermare che l’unica cosa che davvero rende felici è sentirsi amati da Dio, null’altro”
Ma sono cose da dirsi?
“Il problema principale quindi non è a livello pastorale ma ontologico, cioè della coscienza che io ho di me stesso.
Sono o non sono relazione con l’infinito? Lo sguardo non è più sulla diversità, ma sull’unità dell’io che solo l’incontro con Gesù ci dona.”
E chi potrà fare questa sconvolgente scoperta, che l’Infinito mi attende, anzi che mi cerca… mi cerca nel Dio che ha donato Suo Figlio per me, se nessuno glielo annunzia, non porta questa Buona Notizia senza se e senza ma, senza guardare con giudizio a coloro a cui si annuncia, senza avere nel cuore l’atteggiamento della tristissima figura di madre qui raccontata. Forse neppure a lei è stato annunciato il concreto Amore di Dio, forse nel cuore ha solo un moralismo e il Cristinanesimo NON è un moralismo.
“Solo una Chiesa che non si vergogna di Cristo” – e dell’Uomo – “può ridare all’uomo di oggi una speranza.”
Sinceramente non capisco se il fulcro dell’intervento sia la fatidica frase “Non ho mai incontrato una coppia di omosessuali che mi abbia detto di essere felice” o tutto il resto. Mi manca il nesso fra questa frase e il tutto, probabilmente sono lenta io, in tal caso aiutatemi.
Trovo inoltre semplicemente tanto banale, quanto gravissimo, la solita equazione della Chiesa cattolica integralista (Aldo Trento = CL, corretto?), la quale, per parlare di tutte le persone che ogni mattina si svegliano e prima di andare a lavoro percepiscono nettamente la propria omosessualità, sceglie sempre di citare i casi limite: stupri, povertà, violenza in generale. Solita, solita storia ritrita di chi crede di poter interpretare la realtà totale forte di una specifica esperienza particolare.
insomma: se si parla in termini generali, non va bene perché si parla di teoria e non si scende nel concreto;
se si parla a partire dall’esperienza concreta non va bene perché si crede che quell’esperienza sia esaustiva e quindi si generalizza.
In conclusione: non va mai bene.
Se piangiamo, dite che piangiamo
Se ridiamo, dite che ridiamo,
Questa si che è una storia vecchia…
“ Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto! ”.
“persone che ogni mattina si svegliano (…) e percepiscono nettamente la propria omosessualità”
Eccone uno, anzi due, il blogger e l’intervistato http://coraggiodellacastita.blogspot.it/2014/10/gesu-lava-piu-bianco-dialogo-con.html
Nemmeno loro possono “interpretare la realtà totale” che dici….?
(E chi può farlo invece?)
🙂
…non mi sembra che ci abbia nulla a che vedere (se non accidentalemente) la generosità di padre Trento con
le disquisizioni più generali sull’eziologìa sociale della omosessualità) mi sembra invece che padre Trento con queste
“problemtiche” non ci abbia nulla a che vedere.
Non per nulla a un certo piunto il racconto del ragazzo malato di AIDS si interrompe e:
Il cuore dell’uomo ha bisogno di ben altro per pacificarsi.
” il problema fondamentale, tanto per gli omosessuali come per i transessuali e gli eterosessuali, consiste nel prendere sul serio le esigenze di cui è fatto il nostro cuore, a cui solo Dio può rispondere”.
Ecco, questo, per un credente, è un discorso che ha un senso.
Anche un non credente, voglio immaginare, ha le stesse esigenze di cui è fatto il suo cuore con differenza che il non credente non ha nessuna divinità che gli risponda,
Deve abituarsi a rispondersi da sé, con l’aiuto degli altri suoi fratelli mortali di tutti i tempi (Gesù incluso).
Infatti Alvise (come ho commentato sopra) il cuore del discorso è… il cuore dell’Uomo
A proposito di cardinale Kasper e gay.
Intervistato da Il Giornale, il porporato ha detto: “I gay non sono famiglia”:
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ostia-ai-divorziati-se-pentiti-e-i-gay-non-sono-famiglia-1186816.html
Forse perderà un po’ di estimatori tra LGBTecc…