Francesco Evangelii Gaudium
[…] Tra i deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore.
Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo » (cita Giovanni Paolo II, Cristifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 37).
Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?
***
ROMA 10 MAGGIO
ore 12:00 – Angelus
ore 14:00 – partenza della Marcia da Castel sant’Angelo
Percorso: Castel sant’Angelo – Corso Vittorio – Largo Argentina – Piazza Venezia
ore 16:00 – arrivo al Piazzale Bocca della Verità
Non ce la faccio a metabolizzare la posizione cattolica su questo argomento, mi sembra “anti-donna” e “DONNA come un MEZZO e non un valore di per sé”. Sono una ragazza e ho pure l’età (25) in cui comincio ad avvertire un istinto materno – di figli non ne avrò perché credo sia una disgrazia metterli a questo mondo, ma una specie di desiderio di farli c’è comunque – e assolutamente non riesco ad accettare posizioni tanto estreme. Sì valorizzare la vita del nascituro, ma NON valorizzarla più della salute psicofisica della donna, come se la donna fosse un mero mezzo per far nascere bambini. Almeno nei casi estremi (come lo stupro, il rischio per la salute della madre ecc.) l’aborto dovrebbe essere un’opzione accettabile.
E poi non lo capisco sul piano filosofico: se gli altri individui possono utilizzare le nostre “risorse corporali” SOLO ed ESCLUSIVAMENTE con il nostro CONTINUO consenso, perché non si applica la stessa logica agli uteri? Nessun uomo ha il “diritto” a vivere all’interno di un altro uomo se quest’ultimo non CONSENTE a ciò. Non è che io abbia un dovere etico, tanto meno LEGALE, di permettere ad altri individui che ne hanno anche bisogno oggettivo di utilizzare il mio corpo (tipo farmi prelevare il sangue o il midolo osseo o un rene, solo perché qualcun’altro ne ha bisogno per sopravvivere), perché dovrei averlo quando si tratta di un figlio nell’utero, soprattutto se si trova là senza il mio consenso, in seguito a una violenza? E poi magari si trattasse solo di ospitarlo per 9 mesi: ci sono conseguenze fisiche della gestazione, c’è il trauma fisico e per molte donne anche psicologico del parto (ma sembra un tabù, perché quale donna mai oserebbe dire di essersi pentita di aver avuto un figlio? io credo che sia il caso per mia madre, anche se ovviamente una madre non lo può mai ammettere alla figlia), con tutti i rischi annessi, compreso quello di MORIRE (perché la mortalità materna, per quanto rara, sempre esisterà ed è sempre una possibilità). E’ un sacrificio e dovrebbe essere OPZIONALE, soprattutto nei casi di violenze. Se tecnologia mai dovesse svilupparsi fino al punto in cui l’espulsione fisica del bambino dall’utero non comporti la sua morte (immaginate qualcosa tipo utero artificiale o tecnologia simile), ottimo, si conserverà una vita, ma nel frattempo è una violenza contro la donna insistere che lei non possa MAI negare l’utilizzo di sue risorse corporali al suo bambino. Non è che si abbia il diritto astratto di “uccidere il bambino”, ma si ha il diritto di negargli l’utilizzo dell’utero (che nel presente stato dello sviluppo tecnologico comporta la sua uccisione, ma forse non sempre sarà così). Non capisco come si possa difendere coerentemente l’idea che non si è moralmente obbligati a offrire altre risorse corporali ai bisognosi (tipo “donazioni” di organi forzate ecc.), ma che si è moralmente obbligati di prestare l’utero e sottoporsi al trauma del parto anche se il bambino è là contro la nostra volontà.
Ce l’ho provata, davvero, ma non riesco a capire la posizione della Chiesa. Mi sembra che le donne siano trattate esattamente da mezzo e non da fine in se stesso, ed è uno dei miei problemi maggiori con la religione. Le donne hanno meno autonomia sui loro corpi e un obbligo che non ha un corrispettivo per gli uomini. Come osservare questa situazione dal fuori e NON arrivare alla conclusione che la Chiesa valuti le donne di minor importanza rispetto agli uomini e ai bambini? Penso che sia proprio crudele. L’idea di un’IMPOSIZIONE LEGALE di prestare il proprio corpo e di sottoporsi alla tortura del parto la trovo davvero offensiva nei confronti delle donne – e mi rattrista quando vedo le altre DONNE come istigatrici di una re-criminalizzazione dell’aborto.
Come ho detto, non è che non capisca l’amore per la vita e per i bambini in generale, ma vorrei che ANCHE l’autonomia delle donne fosse garantita. Se poi una donna, privatamente, la pensa in modo estremo e anche se rimanesse incinta dopo una violenza non abortirebbe, è una scelta coraggiosa e rispettabile, ma lasciate A ME il diritto di NON essere coraggiosa e di non dover subire traumi fisici e imposizioni legali su chi e quando può utilizzare il mio corpo contro la mia volontà.
Mi scuso per il tono forse troppo polemico, ma è davvero un argomento che mi turba molto; generalmente sono d’accordo con molte cose che leggo qui anche se non condivido il quadro religioso, ma una posizione tanto inflessibile quando si tratta di aborto non la capisco e mi sembra sempre molto crudele, anti-donna e in fondo incoerente.
Esiste una legge umana che punisce col carcere chi si renda colpevole di omissione di soccorso (vien cioè punito chi pur non essendo causa rivendica l’autonomia delle sue scelte, chi ritiene che ogni sacrificio debba essere opzionale )
Esiste una legge umana che consente di far valere tale autonomia e rifiuto a portar sacrificio anche per tramite della morte di un feto
Io vedo in ciò che solo la legge Divina è coerente (e il buon samaritano e il no all’aborto)
Chiedo quindi se si possa ragionare sulla base di un principio che genera incoerenza?
Bri – omissione di soccorso legalmente IMPOSTA è limitata a situazioni in cui tale soccorso non mette in pericolo colui che soccorre, cioè il tuo paragone non è completamente azzeccato (ci ho pensato anch’io cercando di sistemare le mie osservazioni). Per inciso io non abito in Italia, ma non mi è noto NESSUN ordinamento giuridico in cui il reato di omissione di soccorso sia esteso a situazioni che provochino danni fisici o comunque rischio per la persona; inoltre, si tratta di legislazioni relativamente recenti (per es. in Francia durante la seconda guerra mondiale).
La gravidanza e il parto comportanto conseguenze e i rischi fisici, compreso quello di morte, per cui non è lo stesso imporre questo processo e imporre un obbligo minore e più generico di aiutare chi abbia avuto un infortunio o chiamare i soccorsi restando con la persona nel frattempo. Imporre la gravidanza e il parto è molto più estremo.
La contrapposizione è tra l’omissione di soccorso e il diritto tout-cuort a scegliere in autonomia se tenere o no un bambino anche in assenza di condizioni di pericolo
Che poi esiste pura una sfortunata casistica di soccorritori di incidenti stradali che han perso la vita anche quando non sembravano sussistere le condizioni di pericolo: questo perchè comunque, pur se non incombente, un rischio nella generosità è sempre presente: quindi si può dire che l’imposizione legale al soccorso ti espone a pericoli che la legge ti vieta di evitare?
PS. Per non mancar di rispetto alle vittime i cui casi sto piegando al mio ragionamento, aggiungo che non credo che nessuno di loro abbia perso la vita per obbligo di legge, quanto per atto di spontanea carità (cristiana o umana che fosse)
Errata corrige – il dovere di soccorso legalmente imposto (non “omissione imposta” che non ha senso, scritto in fretta, mi scuso)
@ A.
“La vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio. Violando le sue leggi, si offende la sua divina maestà, si degrada se stessi e l’umanità e si svigorisce altresì la stessa comunità di cui si è membri.”
Giovanni XXIII, enc. Mater et Magistra
Inoltre, l’aborto in caso di stupro aggiunge una violenza all’altra a danno di una vita innocente e indifesa.
Una curiosità: quali sono le molte cose con cui “qui” sei d’accordo?
Per finire : forse non si capisce (perché sono più sintetico di te), ma anch’io sono turbato dal modo in cui affronti l’argomento.
Vanni: sono d’accordo praticamente su tutto tranne il divieto dell’aborto anche in casi di stupro e il pericolo per la salute (non necessariamente la vita, ma anche salute nel senso più generico) della donna.
Sono d’accordo che, in linea di principio, la vita umana ha un valore di per sé. Questo forse ti pare poco, ma non darlo per scontato, c’è un sacco di gente che non lo vede affatto così e che rigetta QUALSIASI dovere morale di mantenere il nascituro in QUALSIASI circostanze, elevando così l’aborto a un vero e proprio diritto sempre e comunque e per tutta la durata della gravidanza. Io lo vedo piuttosto come un’eccezione che vorrei garantita per legge, soprattutto – o almeno – nei casi moralmente ambigui.
Inoltre, non nego affatto che si tratti di una vita “piena” (e anche questo non darlo per scontato), solo metto in questione il diritto assoluto di questa vita alle risorse corporali altrui a prescindere dal contesto della sua genesi.
Rigetto pure l’idea che si possa fare TUTTO quello che si vuole con il proprio corpo, per es. non mi piacciono per niente cose tipo utero in affitto, figli generati in modi artificiali e intenzionalmente privati da un genitore, non mi piacciono sviluppi giuridici che mirano a divorziare la maternità o la paternità biologica da quella cd. “sociale”, insomma nutro grandi scetticismi rispetto a tanti “nuovi diritti”, COMPRESO l’aborto-diritto-sempre-e-comunque nell’accezione più ampia possibile in alcuni ordinamenti giuridici (soprattutto aborti tardivi nella fase in cui il bambino può vivere fuori dal corpo della madre).
Ho studiato questi argomenti sia dal punto di vista della tradizione giuridica, sia prospettive religiose, e continua a turbarmi questa inflessibilità della posizione cattolica. Capisco che per voi non sia un optional. Io non riesco a mandarlo giù però, mi sembra un sacrificio troppo grave da imporre alle donne.
Mi scuso per l’incapacità di scrivere in modo sintentico, ma credo sia meglio provare a chiarire dove esattamente sta il mio problema, così magari qualcuno può mostrarmi una via d’uscita verso un altro modo di inquadrare il problema, e in più non sono di madrelingua italiana, quindi meglio spiegarmi “troppo” che non spiegarmi abbastanza… no? Ma in ogni caso se la lunghezza dei miei interventi oltrepassa i limiti di decenza, la smetto e discuto su questi argomenti altrove, nessun problema.
Per cominciare, complimenti per la qualità del tuo italiano.
Poi, quando dico che sono più sintetico non faccio un appunto a te, ma giustifico l’ incapacità di mostrare, in poche righe, come è nel mio modo di esprimermi, il turbamento, che c’è ed è forte, nel leggere il tuo post.
Non sta a me, infine, discutere la lunghezza dei tuoi interventi. Se vuoi continuare a frequentare il blog, per quanto mi riguarda, sei la benvenuta.
Ti allego un illustre parere sull’argomento degli stupri etnici.
http://www.portaledibioetica.it/documenti/000218/000218.htm
Più che essere turbata, io trovo incredibile che si possa affrontare il discorso nei termini posti da A.
Non so davvero come si possa con convinzione e candore parlare di aborto come “opzione accettabile”, né come si possa paragonare la donazione di organi o di sangue a una vita che si sta formando nel seno di una donna, né infine come si possa parlare del parto come di “sottoporsi a una tortura”. Certo il parto è indicibilmente doloroso ma, essendo un gesto naturale, non mi pare che lo si possa descrivere come una crudeltà cui solo donne masochiste (per quanto coraggiose, ci mancherebbe!) debbano essere lasciate libere di infliggere a sé stesse. Il corpo delle donne ha questa naturale conformazione (è fatto come è fatto per questo) ed è altrettanto naturale che una donna concepisca e, di conseguenza -perché altra via non c’è-, partorisca. La vita umana concepita e custodita nel ventre materno non è ostacolo alla libertà della mamma, ma ne è anzi la sua realizzazione più piena, perché ne porta a completa fioritura il potenziale.
Che poi si possa concepire a seguito di violenza o contrariamente ai propri progetti è altro discorso. Non trovo corretto né logico partire dal comprensibile disagio che una donna vive in tali situazioni per mettere in discussione l’inaccettabilità dell’aborto.
La signora A scrive: «… Almeno nei casi estremi (come lo stupro, il rischio per la salute della madre ecc.) l’aborto dovrebbe essere un’opzione accettabile».
Quando si discute sul come affrontare eventualità drammatiche di questo tipo, c’è sempre chi si erge a giudice proponendo le proprie convinzioni come verità assolute, incurante delle opinioni degli altri.
Ebbene, proprio a Roma un paio di giorni fa è accaduto un fatto reale: una tassista è stata aggredita e violentata da un cliente. L’aggressore è stato arrestato e ha confessato.
Come si dovrebbe comportare la signora, dopo aver espletato le procedure previste per casi del genere e aver iniziato immediatamente la PPE, la profilassi post esposizione, prevista per questi casi dal Ministero della Sanità contro il rischio di infezione da HIV?
Attendere con serenità di scoprire l’eventuale gravidanza in atto e portarla avanti con gioia nell’attesa del lieto evento o agire diversamente?
Prima di rispondere anche soltanto mentalmente, suggerisco di non pensare alla tassista ma considerare sia nostra moglie o nostra figlia l’aggredita.
Simone
Miss Pennsylvania spiazza l’America: «Sono nata da uno stupro. Ringrazio Dio di essere qui»
http://www.tempi.it/miss-pennsylvania-spiazza-l-america-sono-nata-da-uno-stupro-ringrazio-dio-di-essere-qui#.VVBa0I7tlHx
Miss Pennsylvania fa benissimo a ringraziare il Signore, ci mancherebbe non lo ringraziasse. Bisognerebbe vedere nella realtà quanto lo abbia ringraziato anche la mamma dopo aver subito la violenza e se davvero lo ha fatto, vuol dire che era convinta che il suo compito fosse di portare avanti la gravidanza a tutti i costi e occuparsi del frutto della violenza.
Chi è convinto di dover sempre e comunque favorire la vita, anche a scapito della propria, fa benissimo a comportarsi come ha scelto la signora americana. Ciò che invece appare inammissibile è voler imporre questo principio a chi convinto non è. Come si fa a costringere una donna che non accetta la violenza a portare avanti la gravidanza e stravolgerle così la vita in modo permanente?
Per questo tutti gli Stati definiti civili consentono l’interruzione di gravidanza a determinate condizioni e siccome abortire non è un obbligo, ogni donna può liberamente decidere per sé.
Simone
“il frutto della violenza” come lo chiami tu, è un bambino innocente che non ha commesso nessuna violenza lui.
In nessun caso un reato viene perseguito per via ereditaria, tanto meno la pena di morte.
Capisco il principio che ti guida e lo rispetto, tuttavia come uomo e padre di due figliole, comprendo anche molto bene le ragioni delle donne che non sono disposte a sconvolgere la propria esistenza a causa oltretutto di una violenza subita.
Non mi sembra sia poi osservata e messa in pratica l’affermazione che “In nessun caso un reato viene perseguito per via ereditaria, tanto meno la pena di morte”, altrimenti avrei serie difficoltà a capire le conseguenze non certo lievi di una colpa piuttosto insolita, commessa dai nostri progenitori nella notte dei tempi e cioè il “peccato originale”.
Simone
Siamo al solito nodo, se non ci si rende conto che l’aborto è sopprimere una vita innocente si può parlare per tutta la vita senza capirsi.Se non sei consapevole che “il frutto del concepimento” è una vita non ci sono possibilità di convincerti di niente. Quindi ti saluto.
Giulio
…ma potreste sempre cercare di cambiare la legge e chiedere la pena di 20-25 anni, o no?
Qualche vita in più la salvereste, o no?
Ma signor Giulio, di solito le persone pro-choice non negano affatto che si tratti di una vita innocente. Certo, c’è la solita domanda di “personalità” o meno, ma è una domanda fuorviante (e pericolosa sotto certi aspetti) – come lo sono gli appelli all’innocenza della nuova vita. La VERA domanda è quella sui limiti dell’altruismo legalmente imposto e sui limiti della libera disposizione del proprio corpo.
Per affrontare la VERA domanda, si deve considerare come la legge e la morale comune considerano altre situazioni in cui A necessita dell’aiuto diretto di B, soprattutto tipologie di aiuto che riguardano l’utilizzo di risorse corporali. A me pare che prevalga sempre il principio della libera disposizione del proprio corpo e la libertà di non aiutare in situazioni potenzialmente pericolose per B. Il B può SCEGLIGERE di aiutare A ai danni e al rischio propri, ma non è legalmente obbligato a farlo: non esiste “donazione” del materiale biologico forzata (se A bisognasse solo di un po’ di sangue e io fossi là con il gruppo sanguineo adatto, comunque non potrebbero OBBLIGARMI a donare del sangue né penalizzarmi per non averlo fatto; che poi io lo farei volentieri di mia iniziativa è altro discorso, ma si tratterebbe appunto di carità spontanea, non di un obbligo legale), non esiste l’obbligo di andare in un edificio che sta bruciando per salvare la gente (uno può scegliere di farlo, ma non può essere penalizzato per NON averlo fatto, per NON essersi esposto al pericolo) – c’è di solito l’obbligo di chiamare i soccorsi ma non di rischiare direttamente la propria vita per altri… e così via. Non conosco le leggi italiane abbastanza bene, ma i principi astratti che regono qualsiasi ordinamento giuridico devono essere coerenti. Se esiste il principio della libera disposizione del proprio corpo che comprende la libertà di non aiutare gli altri in situazioni in cui tale aiuto rappresenta un rischio personale, o un danno corporale anche minore, non lo si può negare in situazioni di gravidanze, almeno quelle problematiche per la salute della donna e non causate dalla libera scelta della donna.
Che poi molte donne comunque sceglieranno di proseguire tali gravidanze sono fatti loro, ma sono appunto delle libere scelte. Scelte che poi saranno probabilmente apprezzate dai figli che ne nascono, ma non si può fare un appello emotivo ai casi in cui una persona ringrazia la madre che l’ha fatta nascere, dicendo che ecco, TUTTE le donne dovrebbero essere legalmente obbligate a fare la stessa scelta.
Anch’io ringrazio mia madre per avermi fatta nascere in quei rari momenti in cui sono capace di una visione non cinica della vita e dell’universo, ma non credo che lei avesse l’obbligo morale assoluto di farlo in tutte le circostanze immaginabili.
“Ciò che invece appare inammissibile è voler imporre questo principio a chi convinto non è”.
Ti faccio un quesito.
Mettiamo che io sia convinto che una persona che conosco non sia degno di vivere, e che magari la sua presenza turba la mia serenità (che so, un vicino psicolabile, metti).
Non chiedo la sua opinione sul fatto che voglia vivere o morire e decido di sopprimerlo, così la mia serenità (mettiamola così), viene ripristinata.
Credi che una terza persona che vienisse a sapere la cosa dovrebbe tentare di impedirmelo, o farebbe una violenza psicologica sulle mie convinzioni e quindi sarebbe inammissibile?
Però rispondendo devi porre la questione unicamente tra me e le mie convinzioni e la terza persona.
Non devi tirare in ballo il vicino psicolabile.
Esattamente come per l’aborto.
La questione come viene posta dagli abortisti è sempre e solo tra chi abortisce e chi vorrebbe impedirlo, come se fosse un dibattito televisivo.
Dell’eventuale diritto di vivere del sopprimendo non ci si pone il problema.
Perfetto, Thelonious.
Inoltre, quanto è scorretto quel “voler imporre”!
Caro signore, anche la sua è una violenza, spero se ne renda conto.
E’ a questa inqualificabile uscita di Simone che mi riferivo nel post precedente.
“Ebbene, proprio a Roma un paio di giorni fa è accaduto un fatto reale: una tassista è stata aggredita e violentata da un cliente. L’aggressore è stato arrestato e ha confessato.
Come si dovrebbe comportare la signora, dopo aver espletato le procedure previste per casi del genere e aver iniziato immediatamente la PPE, la profilassi post esposizione, prevista per questi casi dal Ministero della Sanità contro il rischio di infezione da HIV?
Attendere con serenità di scoprire l’eventuale gravidanza in atto e portarla avanti con gioia nell’attesa del lieto evento o agire diversamente?”
Signor Vanni, ma che dice? Inqualificabile uscita? Violenza?
E di quale violenza vuole accusarmi se in ogni caso non sono io a dover abortire o a decidere sul come deve comportarsi la donna che subisce una violenza. Semmai la vera violenza si realizzerebbe laddove qualcuno obbligasse la donna a portare a compimento una gravidanza non voluta, frutto oltretutto di una violenza. Come dire dopo il danno, la beffa.
A me hanno insegnato che la maternità, per quello che noi maschi riusciamo a cogliere e permetterci di giudicare è una condizione psicologica e morale, prima che fisica. Le femmine della nostra specie, non sono cavalle, non devono essere considerate “fattrici” depositarie di qualcosa di superiore che, nel momento della fecondazione dell’embrione non appartiene più a loro.
Se una donna non vuole diventare madre, nessuno e ripeto nessuno può avere il diritto di costringerla a farlo, soltanto perché è scattato un meccanismo biologico di riproduzione che non è maternità se e fino a quando come tale non è stata accettata.
Se poi ci sono donne disposte a portare avanti il frutto di una violenza lo facciano, tuttavia questa eventualità non obbliga chi non è d’accordo a conformarsi.
Simone
Sono d’accordo.
Non scrivo dal punto di vista di una persona che vuole egoisticamente godere la vita della promiscuità e dell’irresponsabilità per poi sbarazzarsi delle conseguenze di PROPRIE scelte e in situazioni in cui quelle conseguenze non presentano un problema per la salute generale. Scrivo dal punto di vista di una persona che semplicemente non è disposta ad accettare croci in situazioni straordinarie e moralmente ambigue solo perché altri lo ritengono doveroso. Il mio problema con le iniziative pro-life non è che vogliano dissuadere le donne dall’abortire (nessun problema se si limitano a questo e lo fanno in modo non aggressivo), ma esclusivamente le pretese di riforme LEGALI che re-imporrebbero alle donne gravidanze non volute anche in casi estremi.
P.S. Quell’istinto materno è una cosa curiosa. Io l’ho notato attorno ai 20 anni, ma come ogni istinto, lo si può anche non assecondare. Posso attestare però che è roba potente per chi lo ha, non so quale sia l’equivalente psicologico maschile. Razionalmente, lo so che la maternità sarebbe una pessima scelta per una persona come me, ma ogni tanto solo vedere bambini riesce a disorientarmi sul piano emozionale. E’ un disaccordo tra le convinzioni e gli istinti, il mio non voler diventare madre è infatti un andare contro l’istinto, anche se ci sono delle donne per cui non c’è nessun disaccordo e le cui convinzioni e scelte coincidono con la mancanza di quell’istinto. Io l’istinto lo avverto, ma so anche che gli istinti non sono vincolanti e che si può benissimo non seguirli, allo stesso modo in cui ci si può astenere dalla sessualità, non mangiare (entro certi limiti) anche se si ha fame, ballare sulle punte (cosa decisamente innaturale, il processo di imparare la danza classica infatti consiste nel SUPERARE il modo di muoversi “istintuale” per rimpiazzarlo con uno “studiato”), non reagire violentemenete quando si è irritati da qualcuno e via dicendo. La mera esistenza della spinta istintuale in una certa direnzione non obbliga le nostre scelte, così si può anche decidere di non diventare madri.
La violenza consiste nel piegare alle sue argomentazioni un fatto di cronaca con implicazioni così intime e ancora dolorosamente vivo.
La saluto come avrebbe fatto Groucho Marx: “Non dimentico mai un nome, ma, nel suo caso, farò un’eccezione.”
Vietare l’aborto? Come? Cambiare la legge considerando chi abortisce e il loro complici colpevoli di omicidio aggravato? (25 anni di carcere)
Cercare di convincere le persone che è un omicidio? Convertire le persone le quali allora non abortirebbero?
Tutte queste cose insieme?
Theolonius:
La questione nodale è se il diritto alla vita di A costituisce un OBBLIGO POSITIVO per B. O, posto nei termini ancora più astratti (e qui si potrebbe entrare in discussioni che vanno ben aldilà di questioni bioetiche in questioni fiscali ecc.), se il bisogno di A costituisce un dovere per B, oppure quali sono i limiti dell’altruismo imposto dalla legge.
Ripeto: non si parla di altruismi spontanei (Bri parlava di carità cristiana SPONTANEA in alcune situazioni pericolose, andando anche oltre L’OBBLIGO legale di soccorso), ma di obblighi positivi costituiti per la legge.
Certo che B ha sempre il DIRITTO di aiutare A laddove A necessita aiuto – la vera questione è fino a che punto debba avere L’OBBLIGO di farlo.
Dicendo che abortire è sbagliato sempre e comunque perché A ha un diritto assoluto e insindacabile alla vita, nonostante gli inconventienti e il rischio fisico diretto per B nell’esercitare quel diritto, si entra in un territorio pericoloso. Se si nega il principio della libera disposizione del proprio corpo dicendo che la vita è un interesse maggiore rispetto all’autonomia corporale (ed è questo infatti ciò che i pro-life sostengono), si può fare la domanda perché non ESTENDERE IL PRINCIPIO ad altre fattispecie di aiuto-coercitivo. Donde la mia domanda-provocazione: perché solo gli uteri? Perché non estendere il principio di valorizzare la vita di più degli inconvenienti ad ALTRI organi? Perché non creare, che so, l’iscrizione obbligatoria per tutti i cittandini in una base per donazione (meglio, “donazione”) di midollo osseo? Signori, così si SALVANO LE VITE – il vostro inconveniente di trovarvi a dover “donare” una parte non-essenziale del corpo non può essere più importante di una VITA, no?
Se non si è disposti ad estendere il principio fino là, allora o si deve riformulare il principio di partenza (spiegando perché esattamente SOLO nel caso degli uteri necessitati da altre persone non si ha il diritto di disporre del proprio corpo come ben si vuole – e perché questo non costituisce una discriminazine su base sessuale visto che si tratta di un obbligo che potrebbe essere legalmente imposto solo a donne, senza un corrispettivo per gli uomini) o si deve ammettere di essere incoerenti.
Di solito a questo punto la gente dice, “ma non è la colpa tua se uno ha bisogno di tuo midollo osseo, TU non l’hai messo in questa situazione”. Ecco, appunto: e se una donna è stata stuprata è stata lei ad aver AGITO in modo tale da rendere un’altra persona dependente delle sue risorse corporali? Certo no.
Il problema si pone pure per le relazioni perfettamente consensuali visto che è la donna a subire il 100% di conseguenze fisiche per il 50% della responsabilità nell’atto, ma nel caso di violenze è particolarmente grave perché si ha 100% di conseguenze con 0% di responsabilità dell’atto da cui sono sortite le conseguenze.
Quindi non è la questione di chi abortisce vs. di chi vuole impedirlo, ma di se il BISOGNO di A possa costituire L’OBBLIGO positivo (con tanto di sanzioni penali se si sottrae a questo obbligo) per B.
Se c’è qualche pezzo nel mio ragionamento che non va – ma non datemi appelli emozionali, ma mostratemi proprio una mancanza di coerenza logica/legale – io sarei felicissima di sentirlo, perché veramente finora non ho trovato nulla, anche i giuristi con cui ho parlato si arrendono di fronte alla domanda sull’incoerenza della non-estensione del principio sottostante a un ipotetico divieto di aborto totale. Se c’è qualcuno che può proporre un quadro diverso, che parta da principi diversi e che rendano possibile l’eccezione per la non-ammissibilità dell’aborto ma sì ammissibilità di omesso soccorso in situazioni pericolose o di non voler aiutare i bisognosi di altro materiale biologico, sarei davvero molto interessata a sentirlo (e ovviamente disposta a correggere le mie opinioni se tale quadro si mostrasse logicamente superiore al mio).
gentile A, il suo ragionamento è apparentemente logico, ma sostanzialment è sofistico, perché vuole arrivare a conclusioni basandosi sì su ragionamenti, ma elidendo la partenza.
Cioè in sostanza: il feto è vita umana reale o potenziale? o nulla di tutto questo?
Se non si risponde a questa domanda essenziale è inutile buttare sul piano del diritto o di eventuali coerenze o incoerenze logiche. La coerenza logica è ottima, se si parte da un dato reale incontrovertibile, diversamente è solo un esercizio per eludere le domande vere.
Se la partenza è fasulla, si può dedurre tutto e il contrario di tutto.
Ab absurdo, omnia sequuntur
Ecco, leggendo l’ultimo intervento di A., anche a me son venuti in mente i sofisti (e, perdonate, anche la loro boria travestita da umile desiderio di capire e conoscere; infatti, anche i giuristi si arrendono, etc., etc.).
Inoltre, mi fa tristemente sorridere un’affermazione come questa: “e perché questo non costituisce una discriminazine su base sessuale visto che si tratta di un obbligo che potrebbe essere legalmente imposto solo a donne”.
Be’, che dire? Denunceremo la natura (o Dio, perché no?), perché discrimina le donne avendo dotato solo loro di un corpo adatto a concepire e partorire… Cominciamo con la raccolta firme?
Thelonius:
1. La vita umana comincia con il concepimento ed è “reale” in ogni stadio dello suo sviluppo.
2. La “realtà” e l’innocenza di questa vita non può OBBLIGARE gli altri a sostenerla o a custodirla, almeno non in tutte le circostanze immaginabili.
Sono due affermazioni che non contraddicono l’una l’altra. Posso accettare la qualifica “reale” della vita nel ventre materno (come un essere umano indipendente, da un proprio DNA) e COMUNQUE pensare che debba essere la buona volontà della donna a proseguire con la gravidanza, non il legislatore che lo imponga in ogni caso.
Il problema dell’attivismo pro-life NON E’ voler persuadere le donne di non abortire. E’ nelle pretese di riforme LEGALI che penalizzerebbero le donne che anche in situazioni gravi e moralmente ambigue vogliono abortire, nelle richieste di moratorie internazionali per l’aborto e simili iniziative.
L’attivismo pro-life non si ferma alle marce e alle visite di cliniche abortiste. Con QUESTO non ho nessun problema, se non lo si fa in modo aggressivo.
Sul piano etico poi ognuno può pensarla come vuole. Come ho detto, anch’io (e non sono affatto religiosa) vedo l’ammissibilità morale dell’aborto come un’eccezione, non una regola.
Quanto alla questione femminile, Sara, forse questo argomento non mi darebbe tanto fastidio se accanto all’attivismo anti-abortista non ci fosse un processo parallelo che, “gender-neutralizzando” la società in nome della parità, sta cercando di imporre alle donne anche i doveri e i sacrifici tradizionalmente maschili. E su questo gli uomini tacciono, ma è un argomento separato.
Dico solo che se la società ha deciso di abbandonare il vecchio modello di rapporti tra i sessi e di andare in una direzione di maggior individualismo e di diritto sacrosanto di disporre del proprio corpo per entrambi, non si può fare l’eccezione su un argomento come questo che potrebbe imporre gli obblighi soltanto alle donne. A meno che non si è disposti imporre anche agli uomini obblighi analoghi nei confronti delle donne, perché spesso le donne sono soggetto più debole, come ad esempio in casi di emergenze tipo Costa Concordia (dove, appunto, le norme cavalleresche – che, a proposito, non sono MAI state una vera e propria legge internazionale codificata, ma solo consuetudine e anche poco rispettata – NON sono state attese).
Mi chiedo anche quanti attivisti pro-life tra gli uomini hanno mandato le loro mogli a lavorare subito qualche mese dopo il parto (quando le mogli avrebbero preferito stare a casa con il bambino) invece di assumersi i LORO obblighi tradizionali maschili nei confronti delle loro donne, mettendole in situazioni tali da POTER esercitare quella maternità tanto valorizzata (almeno a parole). C’è molta ipocrisia su questo argomento, Sara, molta ipocrisia tra gli uomini che vorrebbero che le donne si assumano i doveri tradizionali MASCHILI (mantenimento economico della famiglia, protezione fisica ecc.) sempre rimanendo all’interno di un quadro etico “di sacrificio” quando si tratta di questioni esclusivamente femminili (compreso l’argomento di aborto), mentre GLI UOMINI hanno largamente abbandonato la LORO parte nel “patto” storico tra i sessi, i LORO contributi e sacrifici specifici, accollandoli alle donne nel nome della parità.
E per questo ci sono donne come me, che hanno detto di NO al “ruolo femminile tradizionale” in una società che non è più disposta a offrire alle donne anche i benefici associati a questo ruolo. Ma questo è già tutto un altro argomento.
“GLI UOMINI hanno largamente abbandonato la LORO parte nel “patto” storico tra i sessi, i LORO contributi e sacrifici specifici, accollandoli alle donne nel nome della parità”.
Mi pare che tu generalizzi un pò troppo, con una verve ideologica tradita dall’uso selettivo e accigliato del MAIUSCOLO.
Nel concreto della mia esperienza di marito e di padre, ad esempio, quello che scrivi tu non lo riesco a verificare in nessuna delle coppie con figli dei nostri amici. Tutti tiriamo la carretta faticosamente, per arrivare alla fine del mese e nell’ottica di un sacrificio condiviso, in nome del futuro dei nostri figli. Ciascuno coi suoi limiti, è ovvio, ma dare letture così unilaterali non aiuta di certo a capire una realtà molto più complessa di quanto descrivi tu.
Mia moglie, ad esempio, è rientrata al lavoro dopo i tre parti, dopo pochi mesi, quelli previsti dalla legge, e non certo per quanto dici tu, ma perché lo desiderava lei, e anche perché ci vogliono i soldi per campare.
L’unica cosa in cui ti do ragione è che la società in cui viviamo (specie quella italiana) sfavorisce le donne, ma non nel senso che dici tu, ma in quello che di fatto scoraggia e sfavorisce la maternità.
Ma contro questo gli uomini non protestano, Thelonius. E’ questo il punto dolente. Si alzano in piedi per vietare aborti – cioè per aggiungere degli obblighi alle donne – ma non si alzano in piedi per aggiungere degli obblighi a se stessi nei confronti delle donne affinché le donne POSSANO essere madri.
Io non sono italiana, ma sono vissuta anche in Italia e mi sembra che molte cose siano meglio sistemate rispetto ad altri paesi (congedo parentale per esempio in alcuni paesi dipende dal datore di lavoro, non è garantito), però capisco perfettamente perché una giovane donna anche in Italia direbbe di NO al nuovo “patto” tra i sessi. Si va in una direzione in cui le donne hanno il doppio set di obblighi (sia quelli tradizionalmente femminili, come la cura dei famigliari, l’investimento fisico nella generazione dei figli, la maggior parte del lavoro domestico, ma ANCHE quelli tradizionalmente maschili, come il lavoro fuori casa e la protezione), ma gli uomini solo uno e anche questo a metà perché l’altra metà l’hanno già assunta le donne.
Se più uomini offrissero il patto tradizionale, credimi che molte giovani donne che al momento giocano al femminismo tornerebbero ad essere mogli e madri. Non tutte, e forse non prima di aver studiato e viaggiato, ma molte sì e non si avrebbero questi problemi con denatalità.
Nel frattempo, perché avere figli per poi lasciarli con i terzi in varie istituzioni fin dalla più tenera età? A te pare normale che una donna non possa restare a casa se lo desidera almeno quando i figli sono piccoli prima che comincino la scuola, e che questa opzione non sia garantita a nessun livello, e che nessun uomo protesti per accollare a SE – agli uomini come categoria – il peso economico di questa garanzia, ma è pronto a protestare quando si tratta di accollare gli obblighi alle donne? All’interno di una società che impone l’etica “sacrificiale” SIA agli uomini SIA alle donne, e che controbilancia i contributi che si aspettano dalle donne con quelli che si aspettano dagli uomini, si potrebbe parlare ANCHE dell’aborto e mettere in questione le libertà individuali nell’interpretazione radicale. Non lo si può fare se gli uomini hanno abbandonato la loro versione dell’etica sacrificiale, ma aspettano dalle donne di non abbandonare la loro.
Che poi all’interno di ogni coppia, a livello INDIVIDUALE, il lavoro domestico ed esterno si divide come i due concordano è chiaro, ma io sto parlando di quello che vedo come tendenze sociali più ampie.
Questa è la ragione per cui c’è tanto “risentimento” nell’aria di fronte a queste iniziative, anche tra le donne che altrimenti si direbbero pro-life: perché semplicemente sembrano ipocrite. Gli stessi uomini che si alzano per limitare la tua autonomia corporale nel nome degli interessi più grandi sono spesso i primi che in un naufragio non utilizzerebbero la loro forza fisica superiore per salvare prima le donne e i bambini, e i primi che giocherebbero a “il denaro è mio e me lo gestisco io” quando si parla di interessi sociali superiori come incentivare la maternità e permettere alle donne l’opzione di restare a casa. Capisci che ipocrisie sono queste? Sì, mia nonna non poteva abortire, ma lei viveva in una società in cui una volta sposata aveva il DIRITTO ad essere mantenuta per potersi dedicare ai bambini se lo voleva e in un clima sociale in cui vigeva il codice cavalleresco per gli uomini (almeno a parole). E ora c’è gente che vuole far tornare le donne ad alcune limitazioni di una volta, ma non far tornare anche gli uomini ad alcune di quelle che erano le loro limitazioni di una volta.
O si gioca al femminismo e al “nessuno DEVE niente a nessuno, anche se soggetto più debole” ma coerentemente (e allora il corpo è mio e non esiste che ci sia un obbligo legale distinto solo per le donne di continuare le gravidanze, e il principio della libera disposizione assoluta vige sia per quell’uomo che non salverà la donna in pericolo sia per quella donna che abortirà il bambino), o si torna TUTTI verso un’etica che assegnava più limiti ma li bilanciava. Io non so quale sia l’opzione migliore, ma non mi piace l’alzare voce selettivamente, come se tutti i problemi derivassero dal fatto che le donne abortiscano. Forse sarebbe meglio chiedersi come si è venuti al punto in cui tante donne (intendo a parte quelle situazioni davvero eccezionali di cui parlavo all’inizio) vanno contro l’istinto più forte.
A., il fatto che ci sia “un processo parallelo che, “gender-neutralizzando” la società in nome della parità, sta cercando di imporre alle donne anche i doveri e i sacrifici tradizionalmente maschili” e il fatto che tra gli uomini ci sarebbe ipocrisia sono questioni importanti su cui è giusto riflettere, ma da esse non discende certo che allora è giusto ritenere l’aborto una opzione accettabile.
Inoltre non sono assolutamente d’accordo sul fatto che disporre del proprio corpo sia un diritto sacrosanto: non disponiamo affatto del nostro corpo, come non disponiamo della nostra vita (né di quella altrui). Credere di poterlo fare è una affascinante quanto rovinosa tentazione/convinzione.
P. S.: se l’ipocrisia che attribuisci agli uomini consiste, come tu dici, nell’accollare alle donne la loro parte in nome della parità, be’, mi viene in mente che c’è un detto che dice: “Hai voluto la bicicletta? Ora pedala!”
Inoltre, non capisco: se si rifiuta il “ruolo femminile tradizionale”, come si può pretendere di continuare a vedersene riconosciuti e garantiti dalla società “i benefici associati”?
Comunque, dici bene, questo è un altro argomento.
Sara:
IO non ho voluto nessuna bicicletta.
IO ho ereditato il mondo che mi hanno lasciato le generazioni precedenti.
Incolpare ME, personalmente (sì, lo so che non lo stai facendo – parliamo tutti un po’ “a categorie” – ma c’è molta gente che di fatto lo farà in discussioni di questo tipo) per gli eccessi di generazioni precedenti non ha senso.
Gli uomini contro cui io parlo sono vivi ORA e agiscono ORA, ma spesso (non sempre) selettivamente, volendo imporre degli obblighi alle donne senza i corrispettivi per gli uomini.
Per molte donne della mia generazione, il rifiuto del “ruolo femminile” (la maternità, la famiglia ecc.) viene DOPO la constatazione che i rapporti tra i sessi non siano più “ottimizzati” per rendere possibile di vivere questo ruolo tranquillamente. E allora SE GIA’ stiamo giocando ai nichilismi e agli egoismi vari, a livello di società intera, è un gioco che posso giocare anch’io. E SE GIA’ abbiamo adottato un’etica con le premesse forse problematiche, posso giocare anch’io a portarle alle conclusioni ultime.
Tu dici che le premesse sono problematiche (la libera disposizione del proprio corpo nell’interpretazione radicale ecc.), e certo si potrebbe parlare di questo, aggiungo solo che SE le si mette in questione, si mettono in questione non solo molte cose per le donne ma anche per gli uomini.
“Tu dici che le premesse sono problematiche (la libera disposizione del proprio corpo nell’interpretazione radicale ecc.), e certo si potrebbe parlare di questo, aggiungo solo che SE le si mette in questione, si mettono in questione non solo molte cose per le donne ma anche per gli uomini”.
Io ho scritto che sono “questioni importanti”, negando che siano invece “premesse” (scrivevo: “da esse non discende certo che…”).
Quella della bicicletta, come hai correttamente compreso era una provocazione che, tuttavia, si addice bene a certe rivendicazioni del femminismo, poiché la pretesa di vedersi riconoscere prerogative maschili, non potendo ovviamente cancellare la naturale differenza tra sessi, può generare la conseguenza che tu illustravi: in nome della parità, si sta cercando di “imporre alle donne anche i doveri e i sacrifici tradizionalmente maschili”.
Comunque, al di là di tutti questi aspetti, mi pare che il problema del nostro disaccordo sulla questione iniziale sollevata dal post, dipenda dal fatto che partiamo da due presupposti diversi. Cito una tua frase: “La “realtà” e l’innocenza di questa vita non può OBBLIGARE gli altri a sostenerla o a custodirla, almeno non in tutte le circostanze immaginabili”.
Ecco: io credo che la REALTA’, proprio in quanto tale, obblighi sempre e penso anche che negare ciò, oltre a essere indice di mancanza di buon senso (o, appunto, di senso della realtà!) sia superbia.
Temo che finché ci troviamo in disaccordo su questo punto, non possiamo che essere in disaccordo anche su tutto il resto, purtroppo.
Se mi dici di credere ANCHE nell’obbligo morale di donare un rene o il midollo osseo a chi ne ha bisogno – un’altra vita niente meno “reale” che dipende dalla buona volontà altrui nel continuare a vivere – allora dovrò concedere che sei coerente. Altrimenti, perché fare un’eccezione per la gravidanza in seguito a una violenza?
All’inizio non parlavo di tutte le gravidanze, ma di due sottocategorie particolari (il pericolo reale per la vita/salute della donna e lo stupro). La mia opinione è che in ALTRE categorie di gravidanze sussiste l’obbligo morale, ma non laddove la donna non ha agito per provocare la dipendenza altrui dal suo corpo (i.e. stupro) e non laddove la gravidanza minaccia alla sua vita/salute. NON credo che l’aborto sia una questione moralmente indifferente, ma credo che debba essere un’opzione legale almeno in questi casi.
Altrimenti si dice che una donna di età fertile può sempre, potenzialmente, trovarsi a dover fare quel processo (gravidanza e parto) anche se a costi personali alti e anche se non ha FATTO niente. Io non sono sessualmente attiva, ma alla mia età se non si ha problemi di salute si rimane incinte molto molto facilmente. Chi alla mia età vuole un bambino lo ha, e subito. Soprattutto chi non ha mai utilizzato contraccettivi o, appunto, avuto aborti, o altre cose “innaturali” che poi per molte donne rendono problematico concepire.
Se ci fosse una legge ipotetica che vietasse l’aborto in ogni caso, capisci che donne come me sarebbero costrette ad avvelenarsi con i contraccettivi di cui non hanno bisogno (non partecipando di LORO volontà agli atti potenzialmente procreativi) come una garanzia che, in caso di una violenza poco probabile (ma per cui il rischio c’è purtroppo sempre), non rimarebbero incinte? Si arriva a tali assurdi in cui una donna che non ha FATTO nulla non può contare tranquillamente che la sua vita non cambi drasticamente. E se facessi un’attività dove il fisico conta, per esempio la danza? Se non volessi NESSUN effetto secondario di gravidanza e di parto sul mio corpo, in una gravidanza mai conseguita attivamente? Se ci fosse un divieto totale di aborto, ogni donna vivrebbe questo pericolo in ogni momento, tranne quelle che hanno fatto scelte mediche drastiche irriversibili. A me sembra un sacrificio troppo grande da chiedere.
La risposta che cerchi A., è fuori dalla legge
È una risposta morale
Nel mio caso, da buon cristiano con le minuscole, su imitazione di Cristo, dovrei sentire l’obbligo morale di donare sempre tutto me stesso, non solo un organo
Nel caso di un’umanità dalla morale laica … pure
Il tutto in nessun modo imposto per legge
Gli atti di generosità devon rimanere spontanei
@ Vanni.
Piegare alle mie argomentazioni un fatto di cronaca con implicazioni così intime e ancora dolorosamente vivo?
Allora è vero che quando si è a corto di argomenti ci si aggrappa sugli specchi, ma sono pochi coloro che sanno muoversi in quelle condizioni senza cadere.
Quasi ogni giorno la cronaca riporta episodi di violenza sessuale gratuita sulle donne, perfino tra le mura domestiche. L’episodio di cronaca ancora “dolorosamente vivo” sul quale mi sono soffermato, mi è servito non per aggiungere violenza, me ne guardo bene, ma come spunto per argomentare sul dopo.
E si scopre che piuttosto che tacere e rispettare le scelte delle vittime, c’è chi pretende di obbligarle, dopo essere state intimamente violate ad assecondare “amorevolmente” l’eventuale frutto dello stupro.
A me appare una vigliaccata, non so agli altri.
Simone