Cose da bambini

 

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di Andrea Piccolo

Gabriele ha quattro anni. Come a tutti i bambini dell’asilo, in occasione delle feste importanti come Pasqua e Natale, ma anche per la recita di fine anno, gli insegnano delle simpatiche filastrocche che lui impara a memoria con solerte diligenza e anche un po’ di divertimento, almeno a giudicare dall’entusiasmo e concentrazione che mette nel declamarle.
Con due settimane buone di anticipo rispetto all’evento che si sta preparando, durante la cena, quando la famiglia è riunita, senza alcun preavviso Gabriele si alza in piedi sulla sedia e, ottenuto il silenzio e l’attenzione di tutti, comincia a recitare la sua poesia; talmente senza preavviso che a volte siamo costretti ad interromperlo per imporgli di trangugiare prima di proseguire, se non per zelo educativo almeno per capire cosa dice.

La scena si ripete il giorno dopo, quelli che seguono e anche successivamente alla ricorrenza per cui la filastrocca era stata preparata. Con alcune varianti ovviamente, intanto perché col passare dei giorni ha sempre più padronanza della poesiola, poi è facile che il giorno della festa all’invito “Gabriele, fai sentire ai nonni la bella poesia che hai imparato” lui risponda con una imbarazzante scena muta.

Questa ripetitività si manifesta anche in altre situazioni: nei momenti in cui gli permettiamo di accendere la TV per guardare un film di animazione, Gabriele sceglie sempre lo stesso DVD per settimane fino al momento in cui ne scopre, o riscopre, uno nuovo; anche in questo caso ci sono eccezioni: il sabato pomeriggio sono a casa e poiché voglio vedere anche io il cartone animato cerco subdolamente di pilotare la scelta del titolo. Va da sé che la novità del sabato a volte diventa la regola dei giorni successivi. Stesso discorso vale per la favola della buonanotte, sempre la stessa ogni sera e giunti alla fine si ricomincia. Quando era un po’più piccolo e gli si leggevano i libretti cartonati, poiché il racconto era molto breve riusciva a impararlo a memoria, così capitava di trovarlo che si concedeva una razione extra di fiaba, mentre raccontandosi la storia ad alta voce sfogliava il libretto girando le pagine al momento giusto.

Chi ha figli sa che Gabriele non è un caso particolare. Fin dalle prime visite di controllo, di fronte a genitori fondamentalmente smarriti e in cerca di “istruzioni per l’uso”, i pediatri spiegano che il bambino è abitudinario e raccomandano ripetitività nei momenti che scandiscono la giornata, in particolare per l’ora del riposo notturno che richiederebbe un cerimoniale non banale e sempre uguale.

Questa caratteristica particolarmente marcata dei primi anni dell’infanzia, che ci si accosti al bambino dal punto di vista antropologico, psicologico, medico o di qualsivoglia altra scienza, è una evidenza talmente indiscussa che anche quel singolare mix di marketing e pedagogia dedito a produrre spettacoli per l’infanzia ne tiene conto: che si tratti degli ormai datati Teletubbies o di recenti programmi di animazione, è evidente uno schema che si mantiene invariato da una puntata all’altra, mentre all’interno dello stesso episodio le situazioni vengono continuamente riproposte e le frasi ripetute identiche più e più volte. Quello che per un adulto risulta rapidamente noioso e facilmente irritante, per un bambino piccolo è il solo modo connaturale di esplorare il mondo e conoscere la realtà. Se non lo si bolla subito come “infantile”, archiviandolo così tra le cose che non meritano particolare considerazione, si può vedere come questo comportamento del bambino, che rimugina e rielabora lungamente e ripetutamente la stessa cosa, non è appannaggio esclusivo dell’infanzia: il giovane che si affaccia al mondo si prepara con innumerevoli e monotone ore di studio e di ripasso, o nella ripetizione di compiti umili e parziali apprendendo un mestiere. Nell’età adulta il quotidiano continua a presentarsi come una routine, un riproporsi sostanzialmente identico degli stessi gesti: sveglia, colazione, tragitto fino al luogo di lavoro, ecc., ma improvvisamente la ripetizione assume una connotazione negativa, diventa abitudine, qualcosa di sfavorevole da cui rifuggire al punto che, per qualcuno, la vita può acquistare senso solo nella misura in cui si riempie di novità. Va notato, ma non possiamo approfondirlo qui quanto meriterebbe, che la novità è gradita ma possibilmente va programmata, l’imprevisto non è generalmente benvoluto; si noti anche che l’imprevisto non è una sorpresa, solitamente anch’essa riservata a giorni e tempi dedicati, proposta con precise modalità e quindi in definitiva, ancora, programmata.

La monotonia diventa il pericolo che più di ogni altro minaccia la stabilità e la durata di un matrimonio, l’insidia che avvelena l’entusiasmo trasformando il lavoro e la fatica di ogni giorno in alienazione, la via di accesso al disamore per le nostre attività più gratificanti. Al progresso di innovazione si affianca un progresso di maturazione per il quale oggi si constata poca attenzione. Con questo non voglio svalutare il cambiamento e la novità, ma semplicemente osservo che il senso di una regolare normalità, così connaturale al bambino al punto da non doverlo cercare consciamente, rimasto ancora vagamente alla portata del giovane studente o dell’apprendista, si dissolve irrimediabilmente negli anni della maturità quando la ripetizione è solo abitudine.

Il senso della regolarità e del ripetere riemerge in qualche misura nell’ultima età della vita, in modo particolarmente evidente in chi diventa nonno: gli estremi si toccano, il cerchio si chiude; le radici alimentano le foglie e il senso profondo dell’uomo germoglia, viene tramandato in una continuità che nei secoli copre di normalità il miracolo della vita.

Questa ripetitività, questo tornare sulle stesse cose, non ha nulla a che vedere con le teorie dei ricorsi e della circolarità della storia: pur essendo comune a tutti si tratta di un carattere individuale della persona: siamo fatti così.

Chi non si spende totalmente nella fuga dal quotidiano ed è disposto a guardare onestamente il fardello che si porta dentro, può riscoprire il senso e il valore di ciò che ripetendosi costruisce solidità invece di abitudine, i gesti che si ripetono ciclicamente scandendo le giornate, le stagioni, gli anni, ritmando lo svolgersi dell’esistenza e il respiro della vita.

Questo respiro ritmico che anima la vita è particolarmente evidente nella preghiera: significativa a questo proposito la pratica del Rosario o la preghiera del cuore spiegata nei Racconti di un pellegrino russo, ma più in generale tutte le preghiere che celebrano i momenti della giornata o le feste si ripropongono sempre uguali, nella struttura e nella forma liturgica. Questo scavare e assimilare quasi ruminando, è un conoscere che non è a beneficio esclusivo del singolo. James Foley, il giornalista martire in Siria il 19 agosto 2014, in seguito a una precedente prigionia scrisse una lettera in cui «racconta di quando iniziò a recitare il Rosario perché “era come mia madre e mia nonna avrebbero pregato”» (http://www.zenit.org/it/articles/il-giornalista-decapitato-dall-isis-scriveva-la-preghiera-porta-alla-liberta ); impugnando la corona del rosario, non solo mostrava riconoscenza e affetto verso chi l’aveva cresciuto ed educato, ma affermava reale una Comunione dei Santi, che attraverso le generazioni tramanda un valore capace di sostenere e dare dignità alla persona, fin dentro le fredde mura di una cella.

La preghiera è ripetizione evidente, ma non la preghiera sola tra ciò che è importante. Anche l’uomo lontano dai sentieri della fede esiste in una comunione di persone che gli danno radici e lo alimentano, consegnandogli una tradizione e il compito di arricchirla rispettando metodicamente la propria natura. Così ogni volta che l’uomo si accosta alla sua più intima identità, anche senza richiamare consapevolmente una qualche religiosità o addirittura rifuggendola espressamente, lo fa ricalcando sentieri già percorsi che lo conducono a una maggiore conoscenza del suo fondamento ultimo; fondamento che accogliendolo e sorreggendolo gli fa fare esperienza di Amore e lo rimanda così agli altri uomini.

Quando l’uomo entra in sé stesso per aprirsi alla sua dimensione trascendente, è come un bambino che prende fiato prima di alzarsi in piedi a recitare la sua poesia, mentre si apre al mondo dei grandi.

2 pensieri su “Cose da bambini

  1. Grazie. Post molto interessante, aggiungo solo che la preghiera è anche un colloquio intimo, un dialogo con il Padre, con Gesù e Maria di cui si ha un estremo bisogno quotidiano per cui anche se ripetitiva…a me personalmente non annoia MAI. Buon cammino.

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