8 – Diario dalla Terra Santa. Portare un pezzo di Gerusalemme a casa

 

14099243540_a76dbda6c1

di Costanza Miriano    foto di  Leonora Giovanazzi

La sera del quinto giorno di viaggio avrei tanto voluto andare al Santo Sepolcro per trascorrere la notte lì, finalmente in silenzio, finalmente senza ressa e rumore e confusione: chiude alle 9 e riapre alle 4 di notte, ed è possibile chiedere di stare lì, a porte chiuse. Io mi ero prenotata. Ma, lo confesso, sono una donna di poca fede, e non ce la faccio. Senza contare che, stanchezza a parte, attraversare la città vecchia alle quattro di notte a piedi – le macchine non passano, impossibile prendere un taxi – per tornare in albergo ci mette un po’ pensiero. A mia discolpa vorrei dire che siamo al sesto giorno di un viaggio pienissimo e senza soste, con una media di tre o quattro ore dormite per notte, e i bagagli da fare. Mi arrendo, lo confesso.

La sveglia suona comunque alle sei, non proprio tardissimo, e la luce su Gerusalemme tinge tutte le pietre di rosa. Una meraviglia questa pietra con cui è costruita tutta la città vecchia, che cambia colore con il sole. La visione lirica è subito turbata da uno sguardo alla camera, nella quale probabilmente mentre dormivo è esplosa una piccola intifada tra i miei calzini sporchi e i libri (vuoi partire senza quattro agili volumetti da leggere?). Il che probabilmente spiega come lo spazzolino sia potuto finire in frigo, forse ieri ho preso l’acqua dopo avere lavato i denti, poco prima di svenire dal sonno. In quelle tre orette in cui ho chiuso gli occhi il contenuto della valigia ha colonizzato la camera dell’albergo, prendendo possesso di tutti gli angoli. Radunare tutto è un’impresa, e non basta salire sulla valigia per chiuderla, ci devo proprio saltare sopra, e giocarmi quel che restava dello smalto trasparente per tirare la lampo (mi sono concessa una settimana senza unghie rosse, il brivido della trasgressione).14262744616_575eb9e6cf_o

Allo scopo di dare un definitivo, letale, tocco di aroma al bagaglio vado a fare un’ultima corsetta – infilare una maglietta bagnata di sudore in un valigia che verrà riaperta dodici ore dopo in certi paesi è punito con la reclusione fino a sei mesi – e decido di seguire le frecce per il monte Scopus, quello da cui si vede il panorama più bello. Ovviamente manco la svolta decisiva, perché mi ritrovo in un quartiere popolare, ed è comunque istruttivo buttare lo sguardo su come vive la gente nelle zone non turistiche.

Doccia, caffè e sono pronta per andare con Leonora alla messa delle 8 al Santo Sepolcro: l’appuntamento è alle sette e mezza, e praticamente sono le sette e trenta sul mio fuso, cioè le 7,40 reali, ma siccome Leonora vive a Milano alle 7,35, dopo avermi bussato invano (sono sotto la doccia), parte. La raggiungo correndo perché ormai è acclarato che io sono le gambe, ma lei è la mente, e senza di lei mi perdo. E poi sei giorni di messe insieme sono il minimo per sancire l’inizio ufficiale di un’amicizia certificata e incrollabile, non possiamo mancare proprio oggi, la sesta.

14099313167_9758ed5314Alle 8 e 4, puntuali come orologi slavi, siamo lì. Per chi – come me fino a tre giorni fa – non sa come è fatto il Santo Sepolcro, bisogna sapere che ci sono diverse comunità religiose che se lo contendono, e quindi vengono celebrati insieme riti cristiani copti, siriani, ortodossi e cattolici, mentre le chiavi ce le hanno i musulmani, se ho capito bene, perché lì avevano costruito anche loro un luogo di culto, non ricordo in quale secolo. Così la messa, celebrata da un coreano in un inglese educatissimo e sommesso, è un po’ diciamo animata dagli ortodossi che cantano lì accanto, intorno all’altare costruito sopra il buco nel quale fu piantata la croce di Cristo, sulla roccia del Golgota, quella che si spaccò al momento della morte. Gli ortodossi sono piuttosto rumorosi con i loro canti, e le fedeli, soprattutto se anziane, hanno sempre un gran da fare con delle buste plasticose e molto fruscianti che aprono e chiudono in continuazione per tirare fuori panni e reliquie con le quali toccano le icone e le pietre. Sempre per chi come me non lo sapeva, sotto il Golgota, al piano inferiore della chiesa, c’è la tomba nella quale Giuseppe di Arimatea depose il corpo di Gesù, e lì, intorno alla tomba, c’è una chiesetta nella chiesa, un po’ come la Porziuncola o Loreto, ma molto più piccola. All’ingresso del complesso, quello che racchiude tutte le cappelle, la prima cosa che si incontra è la pietra della deposizione, quella sul quale il corpo di Gesù fu appoggiato dopo la morte. Va bene, non si capisce molto dalla mia descrizione, ma io ci ho provato: ricordo che io fino alla settimana scorsa immaginavo tutto diverso, prima di arrivare, pensavo che avrei trovato una tomba come quella del film di Zeffirelli e intorno una chiesa grande, luminosa e spaziosa. Non credevo che avrei trovato un groviglio di cappelle e icone e candele e lampade regolato in modo complessissimo tra diverse confessioni (a un certo punto per farli smettere di litigare nel 1852 stabilirono che dovesse valere lo status quo, nulla doveva più essere toccato o spostato, ed è per questo che c’è da allora una scala appoggiata a una finestra, scala che nessuno può togliere).

Queste liti intorno a Gesù non mi sconvolgono, mi ricordano che l’uomo è una creatura fatta di fango e portata al male – uno solo è buono, ed è Gesù. E mi confermano anche che il fascino di Gesù è universale. Tutti, anche quelli che lo considerano solo un profeta, avvertono in qualche modo che questa “è roba buona”, che qui c’è qualcosa di grossissimo. E non mi scandalizzano neanche le signore rumorose che devono toccare e baciare e segnarsi e pregare agitandosi tanto. Alla fine noi siamo fatti un po’ così, a volte abbiamo bisogno di segni, di emozioni, di cose che possiamo toccare.

Siamo tutti sulle tracce di qualcosa, noi che siamo qui, qualcosa che fatichiamo a trovare nella confusione, nel rumore, nella folla. Eppure sono certa che non sia sbagliato cercare qui. Anche nelle nostre vite ordinarie a casa, a Roma, a Milano c’è confusione, rumore, folla. Con Gesù è così. Lui non si impone, sta alla porta e bussa, e aspetta il nostro sì, perché la nostra libertà è vera. A volte è una fatica questa libertà, bisogna fare proprio la fatica di trovare spazio per Gesù, di cercarlo nella confusione, di mettere le cose bene in fila nelle nostre vite. A volte siamo così intelligenti e organizzati nelle cose a cui teniamo, ma nella vita spirituale improvvisiamo. Eppure il nostro quotidiano è come Gerusalemme, nasconde il tesoro, solo che bisogna cercarlo, fare spazio, fare silenzio, buttare tutto quello che non serve anche se non è male in sé, solo per il fatto che ci distrae da Lui. E Lui, il tesoro, lo possiamo cercare in tutte le Gerusalemme del mondo, anche quelle vicino, più spesso dentro casa nostra.14306003793_436d8feea8

Per l’ultimo giro nella città andiamo al muro del pianto, cioè nell’unica parte del tempio rimasta dopo la distruzione del 70 dC. Non mi spericolo a fare l’archeologa, ma dico solo che a metà del grande spazio bisogna superare un altro controllo, dopo quello dei metal detector. Si entra nell’area delle moschee, e i musulmani controllano che i visitatori non portino né libri né segni esteriori di altre fedi. A me fanno mettere uno scialle, a Leonora anche un pareo a coprire i pantaloni al ginocchio (la foto di lei con i due drappi che la coprono, le scarpe da ginnastica e il cappellino da baseball potrebbe valermi svariate migliaia di euro, se decidessi di ricattarla). Per usare un eufemismo direi che non sono affatto ospitali, e le donne riunite in circolo e coperte – alcune hanno anche i guanti, solo una fessura libera per gli occhi – ascoltano una di loro che predica con un tono molto arrabbiato. Ogni tanto un Allah hu Akhbar gridato fortissimo più volte risuona nell’aria. D’altra parte qui siamo a casa loro e bisogna rispettare le loro regole, anche se la reciprocità chiesta più volte da Benedetto XVI vorrebbe che anche loro facessero lo stesso con noi.

Nell’ultimo giretto al mercato faccio il mio gioco preferito: cercare il negozio più brutto e vedere se trovo qualcosa di comprabile. Rimango folgorata da una gonna verde militare e turchese. Veramente le amiche milanesi alla domanda “ma è talmente brutta da risultare bella, oppure fa proprio schifo?” decretano all’unanimità che fa proprio schifo. È il segno. La compro.

14285871585_98b4cb3b9eSeguendo il cardo che divide la città nei quattro quartieri – musulmano cristiano ebraico e armeno – andiamo a pranzo in un posto dove vanno quelli che abitano nel quartiere ebraico, non i turisti. La maglietta sporca di sangue del proprietario la trovo un po’ inquietante, e anche le unghie nere, ma bisogna ammettere che dai piatti viene un profumo incredibile: tutto il cibo qui in Israele è profumatissimo di erbe e spezie.

Un ultimo saluto alla Città Santa e alla Porta di Jaffa saliamo sul pulmino che ci porta all’aeroporto di Tel Aviv. L’ospitalità è stata così incredibile che ogni tanto tutti e cinque ci chiediamo se per caso non si siano sbagliati a invitare proprio noi. Al Ben Gurion una signorina della El Al ci accompagna facendoci passare per le corsie preferenziali, e questa volta i controlli di sicurezza sono velocissimi. E se la El Al è sempre super professionale con tutti, questa volta ci sentiamo davvero dei principi, anche se abbiamo solo un biglietto economy.

Mettiamo insieme quello che ci è avanzato – “io ho ventiquattro soldi”, “io sette”, “io quindici” (il soldo come è noto è la valuta locale) – e facciamo merenda tutti insieme con i biscotti intinti nel latte. D’altra parte siamo in modalità gita delle medie – primi anni di superiori al massimo – e ci salutiamo grati di questa amicizia che ci ha lasciato questo viaggio, un regalo nel regalo (ormai manca solo di fare la pipì insieme mentre l’amica ti tiene la porta). Ci imbarchiamo, si torna a casa, e anche lì siamo pieni di regali, tutti e cinque. Vederli dall’alto, dalla collina del Getsemani, ce li ha resi ancora più belli.

14285825035_2c84e5c558

 

QUI tutte le foto di Leonora Giovanazzi

9 pensieri su “8 – Diario dalla Terra Santa. Portare un pezzo di Gerusalemme a casa

  1. “E Lui, il tesoro, lo possiamo cercare in tutte le Gerusalemme del mondo, anche quelle vicino, più spesso dentro casa nostra.”

    Ancora più spesso, ancora più certo, ci attende lì, nella stanza più segreta e nascosta del nostro cuore…
    ……………………..
    E come è stato entrare e sostare nel cuore del Santo Sepolcro, di fronte a quella pietra che accolse ma non poté trattenere il Corpo di nostro Signore? Raccontaci… 😉

  2. Il mio ultimo pellegrinaggio a Medjugorie mi ha fatto riflettere sui questa confusione dei luoghi Santi. Le altre volte ero andata in periodi poco affollati e mi ero goduta una settimana di “pace”. Nell’ultimo viaggio il troppo caos ed il rumore mi stavano infastidendo, non era quello che mi ero figurata. Finché non ho pensato che la vita di fede è proprio così: dobbiamo viverla nell’oggi, in mezzo al caos, alla fatica quotidiana, assaporando ogni dettaglio e facendo spazio dentro di noi. Dobbiamo diventare noi delle oasi, e più oasi si troveranno, più il clima sarà mite e la vita gradevole.
    Grazie Costanza del tuo racconto!
    Grazie del tuo esempio!

  3. Michela

    Ricordo il pellegrinaggio in Terra Santa, e mi ritrovo nello stesso clima raccontato da Costanza.
    Arrivati al Santo Sepolcro scopriamo che una persona del gruppo si era perduta nel caotico bazar lì vicino, e io,coraggiosamente 🙂 ,mi offro per andare a cercarla. Non c’era una guardia, io che chiedevo a tutti di una signora bionda in quella confusione…
    Ritorniamo al Santo Sepolcro, ma ormai avevo perso le spiegazioni della nostra guida. Quello che mi ha impressionato è stata la sporcizia, c’erano cartine di caramelle per terra proprio vicino all’ingresso della piccola tomba. C’erano gli ortodossi che hanno bloccato una signorina con maglietta senza maniche, e disposta a coprirsi con un foulard, mentre facevano passare giovanotti in canottiera da vogatore e calzoni corti. Questo per dire che in quel luogo senti la divisione tra i cristiani, vedi cose che per noi sono difficili da capire ed accettare eppure…. io lì ci ho lasciato il mio cuore. Forse proprio la durezza della divisione ci dice che lì c’è qualcosa di grande e di incomprensibile che ognuno vorrebbe custodire per sè e per i suoi, e che invece è dato a tutti.

  4. Doc John Bonini

    E’ così, Gerusalemme e la Terra Santa, ti prendono; l’ultima cosa che uno vorrebbe fare è dormire, perché ogni istante che passa ti sembra di perdere qualcosa, di non aver visto, di non esserci stato. Poi dobbiamo fare i conti con il nostro corpo mortale, con la nostra debolezza ma anche con la consapevolezza che Lui lo abbiamo sempre al seguito, e rimane nel nostro cuore.

  5. Lidia

    Grazie, è bello sentire di nuovo il profumo della città più bella del mondo con un po’ di humor.
    I musulmani sulla spianata delle moschee li ho trovati tranquillissimi, a dire il vero, anzi, pieno di bambini che giocavano e venditori di cartoline – per loro comunque è un luogo sacro, come per noi il Santo Sepolcro, e li capisco. Sul coprirsi, a Gerusalemme in Città Vecchia non andavo proprio in giro con meno di maniche al gomito, mi sentivo mezza nuda, rispetto alle ebree ortodosse e alle musulmane (va detto che certe ragazzine ebree nei quartieri più “in” della città nuova, quelli piani di bar e pub vari, vanno vestite con gonne che paiono cinture a voler essere buoni, e mi sono rincuorata quando le ho viste).
    Il Muro del Pianto è giù, nella parte ebraica (dove si va a pregare donne e uomini divisi, e non bisogn(erebbe) dare le spalle al muro), e il metal detector lo passi solo se vieni dalla parte musulmana (se arrivi da Quartiere Ebraico non c’è metal detector, comunque lo passi all’uscita se vai verso la Porta di Damasco).
    Il Muro è la parte di Gerusalemme che mi ha commosso di più, dopo il Santo Sepolcro – Gesù anche lo vedeva, e pregava proprio lì, come noi.
    I riti copti, ortodossi eccetera vanno capiti – in realtà sono MOLTO simili al Rito tridentino, se si studia bene la liturgia. Io, conoscendo il Rito tridentino, capivo quasi tutto del rito bizantino (sarà che parlo sia russo sia greco, perciò sono facilitata, devo dire la verità, per chi non capisce la lingua forse risulta un po’ litania incomprensibile). Non sono ferrata sui riti medio-orientali (maronita, copto egiziano, siriaco, ecc.) ma è vero che sono più “movimentosi” del nostro, e possono risultare un po’ chiassosi…gli ortodossi non sono più chiassosi delle vecchiette medie italiane a certe Messe delle feste patronali, solo che sono di più, concentrati lì a salmodiare 😉
    Giusto i greci ogni tanto sono un po’ “rompi”, quando non fanno passare i cattolici da davanti e devi passare da dietro. I siriaci sono i più sfigati, stanno in una grotta malconcia dietro il Sepolcro, ah e gli etiopi sul tetto, povere stelle. La cappella cattolica è bruttarella assai, ma è un posto dove pregare con pace e con il Santissimo – però vuoi mettere col Golgota (a parte i turisti che si fanno i selfie lassù – e vabbè) – io al Santo Sepolcro ci sarei stata ore e ore e ore…Tra l’altro, se si va dietro, nella cappelletta copta, si può toccare la Pietra della Resurrezione senza dover passare per la fila di davanti, basta curvarsi vicino al copto che sta seduto vicino all’altare. Vabbè, trucchetti da pellegrini 😉 Se ci si mette dietro, appoggiati alle impalcature, si può stare anche abbastanza tranquilli.
    A me in realtà il casino del Santo Sepolcro dà gioia: se Dio accetta quel macello e lo schifo assurdo delle divisioni fra cristiani, accetta anche le nostre difficoltà senza scandalizzarsi.
    Grandissimo il Papa che si è fermato anche al “muro” di Betlemme – tutte le volte che passi quel check-point ti viene un magone assurdo (e io studio ebraico, non sono pro-palestinese a prescindere – ma i muri mi ricordano troppo il ghetto di Varsavia; speriamo che questo finisca presto).
    Povero Dio, sballottato qua e là, preda delle nostre povere liti quotidiane, non solo a Gerusalemme.
    Un saluto dopo tanto tempo, spero stiate bene.

  6. Pingback: Ultime foto dalla Terrasanta e ringraziamenti / Frammenti di realtà. Photoblog

I commenti sono chiusi.