Parla Peter Singer, guru dell’aborto eugenetico e dell’infanticidio

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di Giulio Meotti    Il Foglio  11 marzo 2008

Una mattina di aprile del 1999, decine di disabili manifestarono davanti all’ingresso della Nassau Hall, all’Università di Princeton. Quel giorno il filosofo Peter Singer avrebbe assunto la direzione della cattedra di bioetica più prestigiosa al mondo. Sylvia Nasar sul New York Times aveva appena paragonato il suo ingaggio a quello di Bertrand Russel al City College di New York. Quel giorno i disabili dell’organizzazione Not Dead Yet scandivano il loro oltraggio contro il nuovo Jeremy Bentham, lo chiamavano “l’uomo più pericoloso del mondo”. L’ateo pro life Nat Hentoff nei suoi editoriali chiedeva all’università di cacciare quel “professore dell’infanticidio”. Diane Coleman, la fondatrice di Not yet dead che aveva per anni manifestato contro Jack Kevorkian fuori dai tribunali, ha scagliato un nuovo anatema contro Singer : “Nessuno deve dimostrare di essere persona”.

George Pell, arcivescovo di Melbourne, dove Singer insegnava prima di atterrare nel Massachussets, gli ha dichiarato guerra, chiamandolo “il ministro della propaganda di Erode”. Molti studenti se ne sono andati sbattendogli la porta in faccia, chiamandolo “professor morte”. E’ nata anche una Princeton Students Against Infanticide.

A dieci anni dall’arrivo di Singer a Princeton, le proteste non sono cessate. I disabili portarono copie dei suoi scritti, su tutti l’inquietante Cosa c’è di sbagliato nell’omicidio?. Il congressman repubblicano Steven Forbes aveva scritto una lettera al rettore di Princeton, Harold Shapiro, in cui evocava il programma di eugenetica nazista e chiedeva la revoca dell’incarico a Singer. Quattordici anni prima Singer aveva scritto un libro dal titolo Should the baby live?, in cui affermava che “alcuni bambini con gravi disabilità devono essere uccisi”. Il Wall Street Journal paragonò Singer al segretario di Hitler, Martin Bormann :”Ci chiediamo cosa impedisca a Princeton di arruolare un nazista o un giapponese che non vedeva nulla di sbagliato negli esperimenti sui prigionieri di guerra”. Un deputato del congresso disse che la nomina equivaleva a “mettere Josef Mengele a capo della bioetica”. Sono soltanto alcune delle reazioni legate al nome di Singer. Il professor David Oderberg, invitato dal Foglio a replicare con un articolo alle tesi di Singer, ci ha risposto che “per nulla al mondo accetterei di comparire in una pagine con Singer”. Al suo posto ha risposto Wesley Smith, grande bioeticista allievo di Ralph Nader e difensore di Terri Schiavo.

Nel 1999 con il titolo “Quando è giusto uccidere un infante”, il New York Times pubblicò un estratto del libro di Singer Etica pratica , base del suo insegnamento a Princeton, in cui si sostiene che l’eutanasia può essere applicata anche a un neonato emofiliaco. E’ vero che il neonato emofiliaco potrebbe vivere “in positivo equilibrio tra la felicità e l’infelicità” e quindi ci si potrebbe opporre all’eutanasia. Ma se la sua morte inducesse i genitori ad avere un altro figlio “con migliori prospettive di felicità maggiore per tutti”, l’opposizione dovrebbe cadere. “Da un punto di vista complessivo – afferma Peter Singer – uccidere il neonato emofiliaco non è l’equivalente morale di uccidere una persona. La perdita di una vita felice da parte del primo bambino è superata dal guadagno di una vita più felice da parte del secondo. Di conseguenza, se uccidere il bambino emofiliaco non ha conseguenze negative per altri, da un punto di vista complessivo, sarebbe giusto ucciderlo”.

La storia di Peter Singer, principale fautore mondiale dell’utilitarismo, inizia a Treblinka, il campo di sterminio polacco dove i nazisti annientarono metà della sua famiglia. Uno dei suoi nonni, un grande rabbino, morì ad Auschwitz. I suoi avi a Vienna avevano frequentato Freud, Adler e Schnitzler, provenivano dal milieu colto della cultura mitteleuropea. Singer è stato soprannominato “il filosofo della soluzione finale”, un giornale del Massachussets lo chiama “decano della morte”. Ma sarebbe un errore fatale liquidarlo come un uomo folle, i suoi scritti sono usati nei corsi universitari in Italia, è tradotto da Einaudi, viene invitato al Festival della filosofia di Mantova, il premier spagnolo Zapatero si è avvalso della sua consulenza sul Progetto Grande Scimmia. Inoltre Singer si porta benissimo in alta società con la sua “etica sociale che determina quali vite umane abbiano un valore e quali non ne abbiano”. Nel 1997 Singer fu invitato a tenere una conferenza sulla “dolce morte” in Svezia.

Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal organizzò il boicottaggio perché, disse, “è inaccettabile un professore di morale che giustifica l’uccisione di nuovi nati handicappati”. Secondo il New York Times la sua popolarità è simile a quella di Albert Einstein negli anni Quaranta all’Institute for Advanced Studies. Non c’è teoria filosofica che abbia scatenato più clamore di quella di Peter Singer negli ultimi cinquant’anni.

Vegetariano di sinistra, predicatore della disobbedienza, evoluzionista e socialdemocratico, paladino degli animalisti e teorico della filantropia verso l’Africa ( in Famine, Affluence and Morality ha proposto la carità per superare il debito del Terzo Mondo), sposato con una militante dell’antirazzismo pedagogico, luminare della bioetica che da sempre investe un quinto dello stipendio in opere di beneficienza, Singer ha formulato teorie che con gli anni sono diventate casi da manuale, dal Protocollo di Groningen sulla “morte bambina” alle raccomandazioni del Royal College sull’eutanasia dei neonati handicappati fino al parere del Nuffield Council on Bioethics, secondo il quale ai medici del Regno Unito dovrebbe essere imposto l’obbligo di staccare la spina ai bambini nati prima delle 22 settimane di gestazione. Singer ha anche curato le più importanti voci di Etica dell’Enciclopedia Britannica.

Il bioeticista Arthur Caplan scrive su Time che “è facile demonizzare Singer, ma è un uomo la cui risonanza merita considerazione da tutti”. per questo il Foglio ha deciso di intervistarlo. Singer ha scritto che “nei prossimi 35 anni, la visione tradizionale della santità della vita umana collasserà sotto la pressione dei progressi scientifici, demografici e tecnologici. Potrebbe accadere che solo dei superstiti, un gruppo di irriducibili fondamentalisti ignoranti difenderà l’idea che ogni vita umana, dal concepimento alla morte, sia sacrosanta”. Per questo era importante dargli la parola. Perché Peter Singer è bioetica main stream.

 Iniziamo con il suo retroterra filosofico. Lei si definirebbe un pragmatista?

Certamente, sono un utilitarista e un oggettivista, anche se penso che l’etica debba essere pratica, responsabile.

Lei crede nei valori dell’illuminismo?

Sì, mi considero totalmente illuminista.

Accetta la definizione di razionalista ?

Sì, la ragione è un concetto fondamentale.

Qual è la sua idea dominante nella distinzione tra “persone” e “non persone” ?

Il fatto che un essere non sia una persona non significa che non dobbiamo nutrire preoccupazione per il suo benessere. Tutti fanno questa distinzione fra persone e altri esseri. L’essere un uomo è sufficiente e necessario per essere una persona? Se con “umano” intendiamo un “membro della specie homo sapiens”, è difficile marcare la differenza fra persone e non persone. Come può essere così cruciale questo fatto biologico dell’appartenenza alla specie? Si chiama specismo e lo specista è il più crudele dei razzisti, è uno che traccia una linea, chi è fuori manca di uno status morale. Anziché tracciare una linea di distinzione fra persone e altri esseri sulla base della specie, dobbiamo guardare a caratteristiche morali significative. C’è chi ha proposto la razionalità, altri l’autonomia, altri l’autocoscienza, altri la capacità di comprendere l’altro o desiderare un futuro. Queste sono caratteristiche moralmente significative. Ad esempio, soltanto gli esseri che hanno la capacità di comprendere che esistono possono fare dei piani per il futuro. L’uso del termine “persona” risale ai primi giorni della cristianità, con lo sviluppo della dottrina della Trinità. Boezio enfatizzò la “natura razionale” come il tratto distintivo della persona. Se assumiamo come moralmente significanti queste caratteristiche nella distinzione fra persone e altri esseri, è immediatamente evidente che non c’è fondamento nella linea tracciata fra esseri umani e altri animali. Al contrario, riguardo a queste caratteristiche, alcuni esseri umani non le hanno e alcuni animali non umani le possiedono. I feti umani, i bambini appena nati e gli esseri umani intellettualmente disabili non possiedono razionalità, autonomia, autocoscienza e capacità di comprendere che esistono nel tempo. Mentre gli scimpanzé e i grandi primati hanno queste capacità, almeno un certo grado. Su queste basi possiamo dire che alcuni esseri umani non sono persone , mentre alcuni animali non umani lo sono.

Gli esseri umani secondo lei hanno diritti naturali inerenti?

No, è un concetto sbagliato. I diritti servono per proteggere gli esseri umani, ma non sono naturali.

Lei ha rivoluzionato la bioetica e la discussione sui diritti umani. Qual è stato il suo obiettivo?

Sul piano teoretico, volevo portare rigore e consistenza all’etica. Sul piano pratico, dirigere l’attenzione sulla sofferenza e la sua riduzione. Per questo mi sono concentrato sull’obbligo dei ricchi di fare di più per assistere i più poveri del mondo, quel miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno. Mi sono anche concentrato sulla sofferenza indifendibile che infliggiamo sugli animali, specialmente negli allevamenti, dove costringiamo gli animali a vivere in modo orribile in modo poter avere la loro carne da mangiare, il loro latte, le loro uova. Poi c’è la sofferenza della fine della vita, con l’eutanasia permessa in Olanda, in Belgio, nell’Oregon e presto in Lussemburgo.

Lei ha sostenuto la necessità di porre fine all’esistenza di bambini handicappati e con una prognosi severa.

Con la mia collega, Helga Kuhse, abbiamo iniziato a pensare a questo dopo aver fondato il Centre for Human Bioethics alla Monash University di Melbourne. Ci interessavano i medici sul trattamento dei bambini con spina bifida. Questa condizione è meno diffusa oggi, perché le donne assumono l’acido folico in gravidanza e perché la maggior parte dei bambini con questa malattia vengono abortiti in utero. La ragione del lasciarli morire era la miserevole vita che avrebbero condotto e la cura dei bambini che sarebbe diventata un peso per i genitori. Ma molti di loro non morivano rapidamente, alcuni vivevano per mesi, altri non morivano affatto. Non era una politica desiderabile. La decisione morale era se un bambino handicappato dovesse vivere o morire. Una volta presa la decisione, la morte del bambino, abbiamo pensato che dovesse avvenire in modo umano. La decisione se il bambino debba morire o no deve essere presa sulla dettagliata conoscenza della sua condizione, sulla situazione della famiglia e sulla e sulla possibilità di rifiuto dei genitori. Una questione è se il bambino appena nato abbia lo stesso diritto alla vita di un adulto. Io non lo penso. Gli infanti possono provare dolore e devono essere protetti dalla sofferenza, ma non hanno consapevolezza e non sanno concepirsi nel tempo, nel futuro. Un altro elemento è il legame fra la madre e il figlio. Esiste, anche prima della nascita, ma non è così forte come quello che si forma le settimane successive alla nascita. Quindi se le prospettive del bambino sono povere, sarà più facile per i genitori distaccarsi dal bambino appena è possibile.

 Al quotidiano inglese Independent lei ha detto che ammette l’eliminazione di un bambino disabile se “è nei suoi interessi e della famiglia”.

Se il bambino ha una condizione incompatibile con un anno o più di vita, ma sarà accompagnata da sofferenza in quel periodo, l’eutanasia è nell’interesse del bambino. E deve essere eseguita. Anche se il bambino potrà avere una vita senza eccessiva sofferenza, come nel caso della sindrome di Down, ma i genitori pensano che sia un peso eccessivo per loro e vogliono averne un altro, penso sia ragionevole considerare gli interessi del futuro bambino. I genitori possono a buon diritto dolersi che sia nato loro un bambino malformato. In questo caso l’effetto della morte del bambino sui genitori può essere una ragione per ucciderlo, piuttosto che contro. Se possiamo stabilire criteri per decidere a chi deve essere permesso di morire e chi deve essere invece curato, allora possiamo stabilire dei criteri per decidere chi dovrebbe essere ucciso.

Il 9 aprile del 1982 a Bloomington, nell’Indiana, un bambino nacque con l’ostruzione dell’esofago, risolvibile con un’operazione di routine che gli avrebbe consentito di mangiare. Ma i genitori, quando videro che era affetto da sindrome di Down, si rifiutarono di farlo operare, su consiglio del medico Walter Owens. Baby Doe morì sei giorni dopo. La Corte suprema dell’Indiana definì “medica” la decisione di lasciarlo morire. Perché fu un caso importante?I

Perché fu l’inizio del discorso sulla qualità della vita e sul diritto dei genitori di rifiutare il trattamento medico. Non voleva che il bambino vivesse e io approvai la loro decisione. La sua disabilità fu discriminante per il diritto di rifiutare il trattamento.

Qual è la sua posizione in merito al discorso sulla “qualità della vita”?

Non tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita soltanto perché sono esseri umani. io sono dalla parte dei sostenitori della “qualità della vita”. Il feto non ha autocoscienza e alcun senso della propria esistenza nel tempo. Non può sperare, non sa cosa sia il futuro. Per questo non ha diritto alla vita. Non penso che l’uccisione di un feto o di un bambino sia moralmente equivalente con l’uccisione di un essere razionale e autocosciente. Ovviamente uccidere un bambino non è moralmente indifferente. Ma il torto consiste nel danno alla donna incinta, che ha concepito quel bambino. La morte del feto e del bambino è una tragedia per i genitori, non per il feto o il bambino.

Lei ha scritto che su una cosa è d’accordo con il movimento pro life : non c’è differenza fra il bambino non nato e uno appena nato. Un’idea su cui insiste anche il dottor Eduard Verhagen, teorico ed esecutore dell’eutanasia olandese sui bambini.

Verhagen ha ragione, come può esserci una differenza morale cruciale fra lo sviluppo di un essere umano dentro e fuori il corpo materno?Tutto ciò che dico è, perché limitare l’uccisione nell’utero? Non avviene niente di magico alla nascita. Un bambino prematuro può essere meno sviluppato di un feto in fase avanzata.

Qual è la sua posizione sull’aborto a nascita parziale, quando il medico in fase ultima della gravidanza uccide il bambino aspirandone il cervello?

Non è una tecnica desiderabile, ma è medicalmente necessaria. Non penso che lo stato debba comunque porsi fra la donna e il medico vietando questa tecnica. E’ un metodo da praticare per rispettare la volontà della donna che vuole interrompere la gravidanza.

Esistono ragioni morali per restringere le leggi sull’aborto?

Prima della capacità del feto di provare dolore, alle venti settimane di gestazione, non vedo alcuna giustificazione nel restringere il diritto d’aborto. A venti settimane il cervello non è ancora sviluppato fino al punto di rendere possibile la coscienza. Fino a quel punto il feto è meno sviluppato, meno consapevole delle circostanze, degli animali che ogni giorno uccidiamo per mangiarli. L’unica restrizione possibile è su come gli aborti sono eseguiti, per ridurre il dolore del feto. Non una proibizione degli aborti tardivi, ma maggiore attenzione alle tecniche per eseguirli. Il feto non è una persona, quindi nessun feto ha la pretesa alla vita di una persona.

Per quali patologie è legittima la sedazione terminale del bambino?

E’ difficile specificare le condizioni per le quali si deve praticare eutanasia infantile. C’è la spina bifida, l’epidermolysis e la malattia di TaySachs. Suggerisco per questo di seguire i medici di Groningen, che hanno considerato seriamente i casi medici.

Lei ha proposto una rivisitazione del decalogo biblico. Perché?

Perché dobbiamo squarciare il velo sui conflitti con l’etica tradizionale, compresa la proibizione dell’uccisione della vita umana innocente quando ci sono circostanze in cui farlo può essere la miglior cosa da fare.

Qual è la sua reazione quando la paragonano al nuovo Mengele?

Ho perso tre nonni nell’Olocausto, quel paragone svilisce ciò che fecero i nazisti e mi offende profondamente.

Se dovesse accettare il piano di paragone fra l’eutanasia dei nuovi nati e il programma nazista, cosa risponderebbe?

La differenza principale è che negli anni Trenta l’eutanasia era diretta dai medici per ordine del governo, io voglio che sia una decisione dei genitori in accordo con il medico. L’eutanasia nazista era razzista, diretta a modificare il volk, il popolo, mentre io propongo l’alleviazione delle sofferenze, non da parte dello stato, ma dei genitori.

Lei ha scritto molte pagine su come l’infanticidio era praticato a Roma, a Sparta, in Giappone. E che per questo dobbiamo giudicare relativa la nostra condanna dell’uccisione dei nuovi nati.

Ho detto che dobbiamo guardare criticamente alla tradizione cristiana della santità della vita umana, non è universale. Le passate civiltà ci hanno offerto un altro modello sulla vita e sulla morte.

Lei pensa che non vi sia alcuna differenza fra il feto di sette mesi e il neonato di una settimana di vita?

C’è un graduale sviluppo degli esseri umani e i prematuri e i nuovi nati sono molto simili. Ma io accetto l’idea che ci sia un paradosso in questa distinzione. Molti anni fa, nel 1994, proposi di fare eutanasia fino a un mese dalla nascita. Oggi penso che non dovremmo porre alcun limite temporale, dipende sempre caso per caso. Non c’è differenza fra fare eutanasia al 27esimo o al 28esimo. Il limite è uno solo, più aspettiamo più cresce il legame fra il bambino e i genitori, quindi l’eutanasia deve essere eseguita prima possibile.

C’è alcuna differenza morale fra la selezione prenatale e lo screening genetico sugli embrioni?

Sì, nel senso che è meglio per una coppia e la donna selezionare in vitro il figlio. Sono due tecniche per la scelta del figlio e l’eliminazione di disabilità.

Lei definirebbe l’aborto una procedura di uccisione ?

Sì, non uso mai eufemismi, l’aborto è omicidio. E’ l’eliminazione di un bambino. Ma non significa che non sia moralmente giustificato.

Come può giustificare gli esperimenti sugli embrioni umani e condannare quelli sulle specie animali?

Lo faccio sulla base dell’idea che l’embrione non prova dolore. E’ ovvio, l’embrione non ha sistema nervoso, non soffre per la manipolazione, l’animale sì.

Lei ha parlato di “desantificare” la vita umana. In che senso?

I cristiani hanno stabilito che basta essere un membro della specie homo sapiens per avere rispetto assoluto. Io penso che non sia difendibile come teoria. Dobbiamo ripensare quando accordare protezione alla vita umana.

In Italia c’è stata una grande discussione sulla rianimazione dei bambini prematuri. Il ministro della Salute, Livia Turco, ha detto che è “crudele” rianimarli contro la volontà dei genitori. Lei è d’accordo?

Sono d’accordo con il ministro. Per me deve esserci sempre il consenso dei genitori. I medici non sono liberi di rianimare senza autorizzazione.

Il Premio Nobel Francis Crick disse che non possiamo liquidare l’eugenetica come puro orrore nazista. James Watson la teorizza come strumento di controllo dell’evoluzione umana. Lei cosa pensa dell’eugenetica?

Se per eugenetica intendiamo ciò che fece il nazismo o la sterilizzazione forzata, dobbiamo rigettarla. Se per eugenetica invece intendiamo l’idea che i genitori selezionano le caratteristiche genetiche è un’idea positiva. E’ la diagnosi prenatale. E’ l’idea di riduzione della sofferenza. Molti parlano di ritorno dell’eugenetica, ma nelle società liberali l’eugenetica non sarà coercitivamente imposta dallo stato per il bene collettivo. E’ una scelta dei genitori

Lei quindi è favorevole alla selezione della specie attraverso la scelta eugenetica?

Sì, nel senso che sono per la totale libertà dei genitori di selezionare il proprio patrimonio genetico. Non per il bene della specie, ma a beneficio dei genitori e dei figli. Tutta la tecnologia deve essere al servizio della scelta.

Quando parliamo di vita e morte, perché le categorie del piacere e del dolore sono così importanti?

Ognuno di noi vuole evitare il dolore e ottenere il massimo grado di piacere. Quando vediamo la sofferenza in un bambino o in un animale, vogliamo fermarlo. Io ho sempre seguito questo principio nella mia vita.

Esistono valori morali assoluti?

Sì, ma dipende da cosa significa morale. Per me è sempre ridurre la sofferenza, per questo non sono un relativista.

Cosa prova quando i disabili manifestano contro di lei?

Viviamo in democrazia, ognuno ha diritto alla critica. Ma devono leggere i miei libri. Penso che siano confusi spesso, come sul fatto che non riflettano sulla terminazione di gravidanze con disabilità. Anche a Princeton ci sono dibattiti molto forti, è la natura dell’università.

Perché porre fine alla vita di un bambino handicappato?Perché lo vogliono i genitori o perché è moralmente giusto drenare sofferenze?

Io penso che sia ragionevole non far nascere un simile bambino.

Lei crede nella filantropia?

Sì, è la mia guida nella vita. Come la lotta alla povertà globale.

Sull’eutanasia dei bambini disabili, sulla base di quale fattore ne decidiamo la gravità?

I genitori e i medici insieme decidono, sulla base della prospettiva di vita del bambino, sulla capacità dei genitori di prendersene cura e cosa accadrebbe se avessero un altro bambino e se il primo venisse ucciso.

Lei ha parlato di imminente collasso della santità della vita umana.

Perché ciò che sta accadendo ne dimostra l’inconsistenza ed è sotto i nostri occhi.

E’ a favore della Ru486?

Certamente, è un aborto sicuro e meno doloroso, deve essere permessa ovunque.

In che modo l’evoluzione darwiniana si collega al principio della qualità della vita umana?

L’evoluzione è neutrale, non è morale. Non ci sono valori, è un fatto. La comprensione dell’evoluzione passa dalla natura umana e dalla sua lettura, significa creare una società migliore.

Lei ha scritto che “non possiamo condannare l’eutanasia soltanto perché la praticarono i nazisti”. Conferma quelle parole?

Sì , perché la nuova eutanasia, l’unica degna di chiamarsi tale, è ben differente da quanto fecero i nazisti. Quella di oggi riguarda la libera scelta delle persone.

Lei avrebbe lasciato morire Terri Schiavo?

Sì, il marito aveva diritto a farlo. Era un atto ragionevole perché Terri non provava dolore in quanto non aveva coscienza. Non importa come sia morta. I malati neurovegetativi sono simili agli infanti disabili, non sono esseri coscienti, razionali, autonomi, la loro vita non ha valore intrinseco, il loro viaggio è arrivato alla fine. Sono biologicamente vivi, ma non biograficamente.

Le sue teorie furono giudicate a Norimberga

di Wesley J. Smith

Peter Singer non crede nei diritti umani universali. La prova di questo aspetto poco discusso della sua filosofia si trova in un libro del 1994, Rethinking life and death, in cui si rende conto dell’eutanasia per quello che è : omicidio. Singer è candido nel negare l’eguaglianza umana e sostenere quella che lui definisce “etica della qualità della vita”. Nell’etica della qualità della vita, considerarsi un essere umano non è cruciale per i diritti inerenti, dal momento che Singer pensa che non tutte le vite umane abbiano un eguale valore morale inerente. Soltanto le “persone” godono del diritto alla vita.

La maggior parte di noi pensa che “persona” ed “essere umano” siano sinonimi. Non Singer. Egli eleva gli “animali non umani”, come i cani, gli elefanti e i maiali, allo status di persone, sulla base del fatto che sarebbero autocoscienti. Allo stesso tempo, egli sveste alcuni esseri umani della loro personalità, in particolare coloro che hanno disabilità cognitive e tutti i nuovi nati, perché mancherebbero di caratteristiche rilevanti come l’autocoscienza nel tempo e la capacità di ragione. Come applicazione di questa teoria, Singer abbraccia l’infanticidio.

Dal momento che un infante non ha alcun inerente diritto alla vita, un bambino può essere ucciso se i genitori e i medici decidono che questo sia il meglio. Secondo Singer l’assassinio è una risposta accettabile alle difficoltà di avere un bambino con un difetto dalla nascita. Le tesi di Singer hanno un impatto pernicioso. Se un tempo il sostegno per l’uccisione dei bambini con disabilità era un pensiero minoritario, oggi è rispettabile, perfino dominante , dopo che i medici dell’Università di Groningen hanno ammesso nel 2004 di aver praticato eutanasia su bambini profondamente disabili rispettando i termini di ciò che è stato chiamato il Protocollo di Groningen. Il Protocollo consente ai medici di uccidere o lasciar morire tre categorie di bambini malati o disabili : il bambino che non ha possibilità di sopravvivere, un fatto spesso malamente diagnosticato;il bambino che potrebbe sopravvivere dopo un periodo di trattamento intensivo ma la cui aspettativa di vita è molto negativa;il bambino che non dipende dalla tecnologia per la stabilità fisiologica ma la cui sofferenza è grave e non può essere alleviata. Questo significa che non vengono eliminati via iniezione soltanto i bambini morenti, ma anche i bambini handicappati che non hanno bisogno di cure intensive.

Dopo la Seconda guerra mondiale i medici tedeschi furono impiccati per crimini contro l’umanità per aver ucciso bambini disabili. Tuttavia, sotto la leadership di Peter Singer, l’infanticidio è diventato rispettabile. Se questo trend continuerà, dovremo scusarci per aver giustiziato quei medici.

Wesley J. Smith

112 pensieri su “Parla Peter Singer, guru dell’aborto eugenetico e dell’infanticidio

  1. sweety

    “Ci interessavano i medici sul trattamento dei bambini con spina bifida. Questa condizione è meno diffusa oggi, perché le donne assumono l’acido folico in gravidanza e perché la maggior parte dei bambini con questa malattia vengono abortiti in utero. La ragione del lasciarli morire era la miserevole vita che avrebbero condotto e la cura dei bambini che sarebbe diventata un peso per i genitori.”

    Mia zia aveva la spina bifida: è stata un peso per i genitori? Sì, certo, e anche per suo figlio (si è sposata e ha avuto un figlio sanissimo!), per noi che l’abbiamo dovuta aiutare negli ultimi anni. Un peso talmente grande che è morta (per un’altra malattia) quattro anni fa e noi ancora evitiamo di parlarne, perché al solo pensare che lei non c’è ci sentiamo male. Non ho mai visto un’altra persona così felice di essere viva e che desse gioia solo allo stare con lei.
    Bisognerebbe essere più cauti su questo “portano infelicità”.

    Però mi sorge un’altra domanda: forse però in questo tizio il desiderio di risparmiare sofferenze ai bambini è sincero, lui magari pensa davvero che per loro sia meglio soffrire che vivere una vita da che ne so, sordo-ciechi o celebrolesi.
    A voi non viene mai il dubbio? Io non ucciderei mai nessuno, però certe volte quando sto con queste persone mi si stringe il cuore e penso “ma loro…sono davvero felici? Ok, danno gioia a noi, ma loro?…”. Poi ci vedremo tutti in Cielo, certo. Ciononostante a volte mi prende un magone…

    1. non tutti i casi di “spina bifida” sono uguali.

      “Se la noxa si verifica prima della chiusura del tubo neurale (quarta settimana di sviluppo embrionale) si ha la spina bifida aperta, incompatibile con la vita, caratterizzata da assenza di cute, archi vertebrali, meningi ed esposizione del tubo neurale.

      Altrimenti si può avere, in ordine di gravità:

      il mielocele (cisti dorsale mediana ricoperta di cute e contenente il midollo malformato mancante di dura madre e archi vertebrali);
      il meningocele (cisti dorsale mediana ricoperta di cute e meningi contenente liquor, il midollo è in sede, mancano gli archi vertebrali);
      spina bifida occulta (archi vertebrali fissurati con midollo e meningi normali, cute con ipertricosi, emangiomi, alterazioni della pigmentazione).”

  2. Maria elena

    La prima cosa che ho pensate, che è costui per decidere chi è ragionavelo solo perchè ha letto qualche libro on piu….la seconda che è un serial killer, la terza che troppa poca gente conosce l’amore infinito di Dip..

  3. Eliana

    Ho scoperto di essere una “irriducibile fondamentalista ignorante”! Bello!!! E dire che non me lo aveva mai detto nessuno…
    Anche Santa Gemma Galgani “soffriva” di spina bifida… Quanto avremmo perso se non fosse stata con noi!

  4. “Vegetariano di sinistra, predicatore della disobbedienza, evoluzionista e socialdemocratico, paladino degli animalisti e teorico della filantropia verso l’Africa ( in Famine, Affluence and Morality ha proposto la carità per superare il debito del Terzo Mondo), sposato con una militante dell’antirazzismo pedagogico, luminare della bioetica che da sempre investe un quinto dello stipendio in opere di beneficienza,”

    …proprio il peggio del peggio!

  5. Claudio

    Raccapricciante ma più diffuso di quanto si possa credere. “Vegetariano di sinistra, predicatore della disobbedienza, evoluzionista e socialdemocratico, paladino degli animalisti e teorico della filantropia verso l’Africa”, così è descritto questo signore. A me è capitato e capita di scontrarmi con animalisti che attribuiscono all’ignoranza l’idea che nell’essere umano ci sia qualcosa di più rispetto all’animale. E cosa afferma l’insigne professore? “solo dei superstiti, un gruppo di irriducibili fondamentalisti ignoranti difenderà l’idea che ogni vita umana, dal concepimento alla morte, sia sacrosanta”.
    Per motivi di lavoro e negli ambienti che frequento ho incontrato e continuo a incontrare, come penso capiti a tutti, persone con spina bifida, con sindrome di Down, con autismo in diversi gradi, con lesioni cerebrali. Certo, non voglio essere ipocrita, è facile fare i moralisti a spese degli altri e non posso negare che son ben lieto che non sia toccato a me portare simili croci. Ma come si può pensare di eliminare queste persone e anzi proclamare che sarebbe giusto farlo?
    Secondo il professore, la dolcissima ragazza con sindrome di Down che lavora in un ufficio che conosco, o il sereno e sorridente giovane affetto da autismo (certo, si tratta di casi relativamente lievi delle loro disabilità) che consegna la posta interna in un altro ufficio in cui vado spesso, avrebbero potuto benissimo essere soppressi e anzi potrebbero esserlo anche adesso, se qualcuno pensasse che sono di peso.
    Ma farlo prima della loro nascita sarebbe stato diverso? Moltissime persone che lavorano in questi ambienti vogliono bene a questi giovani e li trattano con il rispetto che è dovuto a loro come a qualunque altra persona. Certamente non verrebbe mai in mente a nessuno di volerli o poterli uccidere. Ma se si fosse trattato, a suo tempo, di aborto selettivo, credo che molte di queste persone lo avrebbero considerato normale. Almeno il professore, certamente luciferino come dice Mario, su questo punto non è ipocrita e dichiara apertamente che prima o dopo la nascita non cambia nulla.

  6. lizabennet

    Mi permetto di consigliare le seguenti letture: Benson “Padrone del mondo”, Huxley ” Il mondo nuovo”, Orwell ” 1984″, Chesterton “Eugenetica e altri malanni”. Tutti scritti all’inizio dello scorso secolo e profetici della deriva sociale e culturale della nostra società. È una cosa che dà da pensare. Sto leggendo la storia di David Reimer e mi fa rabbia che ci siano persone che si fanno grandi con la loro fama accademica e calpestano le persone a fronte di un generico”bene comune”. A proposito di eugenetica consiglio anche “Scritto con il mio sangue” di Irene Vilar.

    1. Claudio

      Grazie per i consigli, ho letto solo 1984 ma rimedierò a Dio piacendo. Forse si potrebbe aggiungere il “Racconto dell’Anticristo” di Solov’ëv, che pure non ho ancora letto? Il succo di qualsiasi ideologia consiste nel voler calpestare le persone a fronte di un generico “bene comune”. E’ per questo che “vegetariano di sinistra, predicatore della disobbedienza, evoluzionista e socialdemocratico, paladino degli animalisti e teorico della filantropia verso l’Africa ( in Famine, Affluence and Morality ha proposto la carità per superare il debito del Terzo Mondo), sposato con una militante dell’antirazzismo pedagogico” descrive veramente il peggio del peggio. Non per le idee cui quelle ideologie dicono di ispirarsi, ma per il fatto che quelle idee, più o meno buone che siano in sé, sono comunque guastate dalla costrizione entro schemi ideologici. Come dimostra l’agghiacciante testo dell’intervista.

      1. vale

        a puro titolo di cronaca il padrone del mondo e il mondo nuovo li trovate gratis in ebook su varii siti.
        li ho anche sul mio computer uno in word l’altro in pdf.
        ma col programma calibre,gratuito , li potete convertire in formati varii per lettori di ebook.
        a chi interessa…..

  7. g.r.

    sono contrario a questo tipo di interviste. Pazienza chi si prende l’incarico di farle, meno pazienza per chi spreca il suo tempo a leggerle e sviscerarle. Col demonio non si parla, non si dialoga, non si questiona. Lo si fugge, lo si evita e basta. Guai a pensare di poter restare distaccati, inattaccabili, da certe argomentazioni: lui, il demonio, è infinitamente più intelligente di noi e penetra nelle sottigliezze del nostro essere, nelle microferite della nostra fragilità umana. In fondo, alla fine, qualcosa resta dentro di noi, un dubbio, una curiosità, un “però”, un distinguo. Il demonio è come il veleno: non ci si accosta e basta.
    Certe persone, esplicitamente “indemoniate”, non vanno prese in considerazione, se non tramite un giudizio unilaterale, frutto del nostro discernimento, dello Spirito – dono immeritato – che ci è stato dato.

    http://nuovoquijote.wordpress.com/2013/03/06/la-favola-nera-delleugenetica-parte-iv-di-giuseppe-rabajoli/#more-140

    Giuseppe

    1. Sara

      Anche a me sembra di sentir parlare il demonio, tanto che mentre leggevo questa intervista mi risuonavano in mente le raggelanti parole: “Forse tu non pensavi ch’io loico fossi!”.
      In particolare, trovo scopertamente luciferina la disarmante lucidità di risposte come questa:

      Lei definirebbe l’aborto una procedura di uccisione?
      “Sì, non uso mai eufemismi, l’aborto è omicidio. E’ l’eliminazione di un bambino. Ma non significa che non sia moralmente giustificato”.

      O l’inganno buonista di risposte come questa:

      Quando parliamo di vita e morte, perché le categorie del piacere e del dolore sono così importanti?
      “Ognuno di noi vuole evitare il dolore e ottenere il massimo grado di piacere. Quando vediamo la sofferenza in un bambino o in un animale, vogliamo fermarlo. Io ho sempre seguito questo principio nella mia vita”.

      O il relativismo malcelato (e addirittura negato!) di questa:

      Esistono valori morali assoluti?
      “Sì, ma dipende da cosa significa morale. Per me è sempre ridurre la sofferenza, per questo non sono un relativista”.

      O la conferma della diabolicità della filantropia, contenuta in quest’altra:

      Lei crede nella filantropia?
      “Sì, è la mia guida nella vita. Come la lotta alla povertà globale”.

        1. Angelina

          Alvise, non ho capito se tu sei d’accordo o no con Singer.
          Dell’embrione, mi pare che haigià scritto che sopprimerlo non è uccidere un essere umano: dei bambini handicappati che dici, ucciderli o no?

          1. Angiolina:

            …no, secondo me un embrione non è un bambino, non sono d’accordo con Singer.
            Dei bambini handicappati non dico nulla. Secondo me è giusto che le madri abbiano la possibilità di abortire
            gli embrioni destinati a essere bambini handicappati.Come è giusto che abbiano la possibilità di farli nascere.

            1. Angelina

              Dei bambini handicappati non dici nulla. Non hai il coraggio di dire chiaramente che non sei d’accordo con Singer. Lo uccideresti un figlio nato disabile?
              Angelina, non Angiolina

  8. paulette

    a leggere questo intervista mi sono sentita male. Ho pensato alla mia terza figlia, nata idrocefalo. Quando sono rimasta in cinta di lei, mi ero convertita da poco ed ero felice di poter pregare il Signore perché fosse santa. E santa è, è l’unica in famiglia che non porta una maschera ed è più libera di tutti noi insieme. Non sa aggiungere due più due ma ha il dono della sapienza e della profezia. Da lei impariamo ogni giorno ad essere sempre più pazienti ed amorevoli. Ho pensato anche a mia madre mentre stava morendo ad Amsterdam. Avevo intuito che si era organizzata per la morte “dolce” e temevo la sua richiesta di aiutarla in questo. Dieci minuti prima di morire mi ha chiesto di chiamare il medico, ho fatto finta mentre pregavo con tutto il cuore. E’ morta serenamente dopo pochi minuti dimostrando che si può morire di una morte infinitamente più dolce di quella procurata.

    1. 61angeloextralarge

      Paulette: grazie! Il tuo commento riaccende quella luce che Peter Singer sta togliendo. Non riuscirà a toglierla! Soprattutto finché ci saranno donne, famiglie come la tua.
      Non voglio leggere l’intervista perché conosco già l’elemento e non ho intenzione d rovinarmi di nuovo lo stomaco. Ringrazio Costanza e Admin per averla pubblicata. Assolutamente da far conoscere.

      1. 61angeloextralarge

        “vegetariano… etc., paladino degli animalisti… etc.” o cannibale di bambini?

  9. Giovanna

    Io ho la spina bifida e la mia vita non è miserevole! Ho tutto quello che da sapore alla mia esistenza; ringrazio Dio e miei genitori. E’ questa persona che ha una vita miserevole, perché non conosce amore.

  10. Scrive Singer:

    “Tutti noi siamo responsabili non solo di quello che facciamo, ma anche di quello che avremmo potuto impedire o che abbiamo deciso di non fare.”

  11. Claudia

    Trovo fuori luogo termini come killer e demonio, come trovo fuori luogo pretendere una posizione filosofica riducibile ad immagini apocalittiche. Mi pare inoltre abbastanza sterile una posizione, come quella portata avanti da g.r, che intenda negare il dialogo con visioni discostanti dalle proprie perchè bollate di eresia. Credo sarebbero più utili critiche positive piuttosto che la riproposizione di slogan medievali che presuppongono l’esistenza di diavoli e indemoniati (diavoli nemmeno troppo furbi fra l’altro, perchè, dovendomi scomodare, fossi stata io Satana, mi sarei scelta un ospite un po’ più influente di un filosofo..che so, un capo di stato magari).
    In ogni caso, perdonate l’ingenuità, ma non capisco bene il perchè di tale diffuso turbamento. Che una morale svincolata dal dogma religioso presenti, come accesso preferenziale quello utilitaristico mi pare di una banalità sconvolgente. D’altra parte una morale laica, non potendosi avvalere di un sistema normativo legittimato da un qualsivoglia ente superiore, conduce inevitabilmente a due soli tipi di scelte: da una parte il riconoscimento della morale come costrutto artificiale, dall’altra il riconoscimento di un sistema di leggi naturali e dunque un modo di vivere connaturato all’essere umano in quanto tale. La prima opzione è relativistica a monte: data la connotazione di artificialità che presenta non può che pretendere di configurare i propri valori come scelta piuttosto che come “fatto” e necessita, di conseguenza, di un criterio fondante che la giustifichi. Ancora di più: in quanto non naturale necessità di una definizione preliminare di bene e male. La seconda opzione per quanto possa presentarsi come assoluta e universale e dunque non relativa, nel perdere il carattere eteronomo delle leggi postive, perde la propria forza normativa. Una legge universale e naturale si rivela necessaria, sostanzialmente trascende la libertà di scelta, è un fatto. Se si presuppone un essere umano sostanzialmente come specie prima che come individualità e si intende un corretto modo di vivere come un agire conforme ad una natura univoca e predeterminata la libertà di scegliere si fa friggere e bene e male tornano ad essere i concetti aristotelici che di capacità/incapacità di sviluppare a pieno il nostro telos interno. Morale molto sterile però.. D’altra parte ricordiamoci che per Platone buono è ciò che funziona bene, che è come deve essere, non difettoso..
    Scartata la legge naturale resta la legge normativa eteronoma (scartiamo anche la legge morale di kant che nel pretendere di essere normativa ma non eteronoma resta talmente formale da essere ben poco utile al suo utilizzo), positiva o divina che sia. Ma siccome non si può pretendere da un ateo che accetti norme imposte dalla Rivelazione (e siccome gli atei ci sono) resta l’unica possibile strada di un’etica positiva, artificiale perchè positiva e frutto di scelta perchè artificiale. sconvolge la svolta utilitaristica e mi domando il motivo (il massimo bene per il maggior numero di individui è un concetto vecchio di secoli), sconvolge poi l’accostamento della morale con il tema della sofferenza ( e qui sono ancora più perplessa perchè la riconduzione della dicotomia bene/male alla dicotomia di piacere/dolore è invece vecchia di millenni).

    Sconvolge il poco rispetto che tali tesi presentano nei confronti della vita, questo mi pare sia il punto fondamentale. Ma qua vorrei correggervi. Non si nega valore assoluto alla vita identificandola come bene primario, si nega che la vita tout court sia bene primario. Da laica posso dire che amo la vita, non la disprezzo, le dò il giusto valore, lo scarto è che vita e qualità di vita non possono esserea mio avviso liquidati superficialmente come concetti indipendenti l’uno dall’altro. questo è il punto focale..

    1. Claudia:
      …mi sembra che tu dica cose da ragionarci sopra e non certo da liquidare
      ……non solo, ma per tornare a antichi discorsi, è contraddittorio porre che esista, di per sé, un diritto naturale, e poi essere noi a stabilire quale sia questo diritto naturale. Diritto naturale è una contraddizione in termini. Dunque, ovviamente, che sia concessa a ciascuno la responsabilità di far nascere o non far nascere i figli.

      p.s.resto rispettosamente in attesa di quarantena per avere gratuitamente e subdolamente mentito sulla la Miriano su Saverio eccetra…

      1. Claudia

        infatti, sostengo che le teorie sul diritto naturale portino a non pochi paradossi, o per lo meno che sia intrinsecamente contraddittoria l’idea di fondarvici sopra una morale

      2. Alessandro

        “Diritto naturale è una contraddizione in termini”.

        Urge dimostrazione. Altrimenti trattasi di asserto altisonante ma del tutto gratuito.

        1. Claudia

          Il diritto esiste solo in comunità civili. allo stato di natura il diritto non esiste perchè manca una giurisdizione o un insieme di regole di fatto a cui tale diritto possa riferirsi.. è un problema di definizione, non di argomentazione

          1. Alessandro

            Claudia,

            non avevo letto prima… dici una grossa ingenuità.

            E’ chiaro che chi sostiene il diritto naturale intende “natura” non come quello stato in cui versano gli uomini prima di dotarsi di un diritto almeno alborale, ma (all’ingrosso) come “ciò che fa di ogni individuo umano un individuo umano, talché assecondare questa natura è moralmente buono e contrariarla è moralmente aberrante”.
            Giocando con la corrente polisemia di vocaboli come “natura” è facile fabbricare speciose contraddizioni in termini.

            1. Claudia

              “E’ chiaro che chi sostiene il diritto naturale intende “natura” non come quello stato in cui versano gli uomini prima di dotarsi di un diritto almeno alborale”, non è chiaro per nulla, le teorie giusnaturaliste intendono proprio quello per natura. E difatti hanno due sbocchi: l’uscita dallo stato di natura con la fondazione di un codice normativo artificiale, oppure lìidea di morale naturale, intendendo però con naturale tutto ciò che non deriva da condizionamenti interni. Tale morale si traduce nell’illegittimitàdi vincoli imposti, riconoscendo come naturale e unque legittima ogni pulsione individuale. l’individuo è lasciato libero da vincoli esterni perchè essi (artificiali) limeterebbero gli impulsi (natuarali). Era la posizione infatti a cui mi riferivo e che consiravo non normativa di fatto.
              lasciando da parte l’appunto, la tua idea di natura e soprattutto l amorale che ne dderiva risponde ad esigenze finalistiche, non la può utilizzare chi il finalismo l’ha escluso (caso che io avevo preso in considerazione: quali fossero le prospettive morali di un ateo).

              1. Alessandro

                “E’ chiaro che chi sostiene il diritto naturale intende “natura” non come quello stato in cui versano gli uomini prima di dotarsi di un diritto almeno alborale”, non è chiaro per nulla, le teorie giusnaturaliste intendono proprio quello per natura”.

                Quali teorie giusnaturaliste? Non scherziamo, per cortesia.

          1. Alessandro

            Nient’affatto.
            Quest’affermazione (nota come legge di Hume o contestazione della fallacia naturalistica) dà per scontato che non possa esistere “in natura” qualcosa la cui essenza sia qualificata dal tendere verso un fine che ancora non è compiuto ma che è inscritto nell’essenza stessa di questo qualcosa. E’ evidente che, così stando le cose, indagando l’essenza di questo qualcosa che C’E’ è possibile scoprire quale sia questo fine, che cosa questo qualcosa DEBBA ESSERE. E’ possibile, cioè, scoprire che un essere contiene in sé un dover essere, e quale esso sia. E scoprendo quale sia questo dover essere, è possibile scoprire quale condotta morale DEBBA tenere questo qualcosa, che è un qualcuno (l’essere umano), per raggiungere il fine cui è destinato in sé stesso.

            Questa è la per nulla contraddittoria sorgente di ogni diritto naturale degno del nome.

            1. Alessandro:.

              …non per nulla dalla natura Locke ha dedotto la democrazia, Filmer l’autocrazia, Cumberland la proprietà individuale e Morelly quella collettiva!

    2. Giancarlo

      @ Claudia.
      Premetto che non so niente di filosofia. Però vorrei capire. Come mai scarti la morale naturale? Perché ci toglierebbe la libertà? Insomma il tuo ragionamento, se ho ben capito, sarebbe questo:
      – “Se noi riconosciamo di avere una nostra natura e quindi attribuiamo un significato al nostro corpo ed a tutta la realtà che ci circonda, allora non possiamo sfuggire alle leggi che discendono da questa natura. Però, queste leggi (di origine naturale) ci pongono dei limiti, cioè ci tolgono la libertà. Infatti, per esempio, se riconosco che l’uomo è maschio e femmina ed attribuisco a questo dato naturale un significato, allora, naturalmente, debbo anche riconoscere che il maschio nasce per diventare uomo e la femmina per diventare donna ed i due sono diversi per permettere loro un incontro carico di conseguenze e di ulteriori significati. Però, in questo modo, la libertà dell’uomo viene oggettivamente limitata. Infatti, come uomo sarò libero di scegliere una donna anziché un’altra, ma non sarò libero di scegliere un uomo o un animale.

      Se invece non riconosco che l’uomo abbia una natura e guardo al corpo umano come a materia del tutto svincolata da qualunque significato, allora diventa ben possibile una libertà illimitata: avrò rapporti sessuali con un uomo, se mi piace, oppure mi toglierò la voglia da solo, se lo preferisco; o, magari, cercherò il piacere con un cane… perché no?. In questo modo davvero la mia volontà può spaziare senza limiti, tranne quelli che io stesso deciderò di darmi. Ed i limiti che io mi darò saranno quelli suggeriti dal mio piacere, da ciò che mi può essere utile. L’unica mia vera ed assoluta legge sarà quella di ricercare il massimo piacere possibile ed evitare, quanto più possibile, qualunque sofferenza”.

      E’ questo il tuo ragionamento, Claudia? Non ti accorgi che, ragionando così, perdi la cosa più importante? Niente ha più significato, tutto diventa piacere o sofferenza.

      Preferisco il significato.

      1. Claudia

        no, mi hai del tutto frainteso..forse mi sono spiegata male io.

        Prima di tutto io non scarto la legge naturale, dico solo che non le si può attribuire un potere normativo nel senso pieno del termine. per legge naturale in senso più proprio si intendono leggi ineluttabili, in questo caso se le leggi sono fatti non puoi evitarle per tua natura e lìimposizione è fittizia. (non posso importi di far battere il tuo cuore giusto? il suo movimento non dipende dalla tua discrezionalità)

        “Se noi riconosciamo di avere una nostra natura e quindi attribuiamo un significato al nostro corpo ed a tutta la realtà che ci circonda, allora non possiamo sfuggire alle leggi che discendono da questa natura.” Fino a qua ok ma poi tu ribalti le conclusioni. Perchè il fautore della legge naturale, a partire da questa premessa, ti direbbe che poichè non puoi sottrarti a queste leggi perchè esse risiedono in te ed ogni tua decisione o desiderio muove da esse indipendentemente dalla tua volonta tu sei fisiologicamente impossibilitato nel sottrarti a tali moventi, quindi ogni tua scelta o decisione risulta naturale. se si decide che ciò che è naturale è anche moralmente giusto, allora ogni tuo desiderio omoto emotivo viene legittimato e con esso si legittima anche la sua traduzione in azione. Infatti chi ammette l’infallibilità della legge naturale o la legittimità della sua azione sostiene che è sempre legittimo perseguire il proprio fine, poichè esso discende da desideri o bisogni di per sè naturali. In quest’ottica, poichè etica e morale sono implicite nella nostra natura l’uomo dovrebbe essere lasciato libero da vincoli esterni, considerati, proprio perchè esterni, artificiali, non naturali e quindi ingiusti.
        Quando dico che la legge naturale non lascia spazio alla scelta intendoproprio il contrario di quello che sostieni tu: poichè ogni scelta è considerata giusta ognuno può fare legittimamente ciò che vuole, e quindi il senso di scelta morale risulta svuotato di significato, pichè l’etica non risulta un insieme di valori a cui scegliere di aderire o meno ma un dato di fatto al quale, per natura, risulta necessario conformarsi (necessario nel senso più forte; perchè se la legge morale è legge naturale ti è impossibile sottrarti ad essa)

        “L’unica mia vera ed assoluta legge sarà quella di ricercare il massimo piacere possibile ed evitare, quanto più possibile, qualunque sofferenza” questo infatti succede nell’ottica di una legge naturale che si identifichi come istinto di conservazione.

        Io sto affermando proprio il contrario invece, la libertà di scelta morale si concretizza proprio nell’autoimposizione di limiti. in assenza di essa non esiste scelta morale (la libertà dal punto di vista etico è infatti a mio avviso la possibilità di autoimporsi razionalmente e cscientemente dei limiti ai propri impulsi, considerando che non ogni impulso o desiderio può essere considerato legittimamente perseguibile solo in quanto esistente).

        La scelta di seguire solo alcuni impusi (tu fai l’esempio dell’accoppiamento fra uomo e donna) preferendoli ad altri, è appunto una scelta, derivata da un sistema di valori. Ogni impulso è naturale nel senso più generico del termine perchè, in quanto impulso, è istintivo, non deliberato e distinto da ogni costrutto artificiale. é nturale perchè non derivato da realtà artificiali insomma.
        Che poi tale scelta derivi dallo studio di un senso finalistico della natura, dalla religione, dalla cultura, da convinzioni sociopolitiche non cambia la sostanza. Facendo una scelta e rinunciando ad impulsi considerati non sani, ti limiti e limitandoti operi una scelta morale.

        Spero di re stata più chiara

        1. Giancarlo

          @ Claudia

          Nel senso che intendi tu anche un carcinoma allo stomaco è naturale, tutto ciò che esiste è naturale. Io, con la parola natura, intendo il principio che guida il movimento di tutte le cose. Le piantine che seguo con cura nell’orto all’inizio di luglio (speriamo!) mi daranno pomodori e questo avverrà non perchè sono indovino ma perchè ogni pianta dà i frutti secondo la sua specie. Se guardiamo le cose nel loro evolvere ci accorgiamo che esse seguono un principio, non mutano casualmente. L’uomo non sfugge a questo principio. Se io sono maschio, questo ha un significato ed il mio pene è fatto per svolgere una funzione ben precisa. E’ verissimo che io posso decidere di usarlo anche diversamente dal fine per cui è stato progettato, ma solo l’uso corretto ha un significato e conseguenze significative. Insomma, possiamo anche dire che gli uccelli volano perchè casualmente hanno le ali, ma la realtà è che gli uccelli hanno le ali per volare; infatti l’intero corpo di un uccello è progettato per volare: se avessero casualmente solo un paio di ali, non sarebbero assolutamente sufficienti per volare. Ora, se è vero, come è vero, che traspare un progetto nell’ordine naturale delle cose, non si capisce perchè dovrei guardare al mondo come ad un ammasso di materia senza significato ed a mia completa disposizione.

          Scusa i miei limiti ma non capisco perchè, distinguendo il bene dal male, dovrei ignorare l’ordine naturale delle cose.

          1. Giancarlo

            Mi farebbe piacere uno straccio di risposta, da parte di Claudia in primis; ma anche da parte di chiunque abbia la capacità e la voglia di confermarmi o di smentirmi.

            1. Claudia

              scusa ma non sono una frequentarice così assidua, non volevo snobbarti.
              Anche un “carcinoma allo stomaco è naturale”, dipende da cosa è causato, non sono un medico ma a grandi linee di direi di sì; ma il punto non è questo. Tu usi come premessa la prospettiva finalistica: “se è vero, come è vero, che traspare un progetto nell’ordine naturale delle cose”. Il punto è che non è vero, o meglio, non è vero per tutti. Quando tu escludi l’esistenza della casualità nel processo evolutivo fai una scelta ben precisa. Contestabile o approvabile, ma indubbiamente scegli delle premesse e le poni come assiomi. Tu dici che gli uccelli hanno le ali per volare, cioè sono stati provvisti di ali perchè progettati per il volo. Ora io ti dico che la scelta che fai, pur legittima intendiamoci, butta via come incosistente la teoria darwiniana dell’evoluzione. celebre è in darwin l’esempio della giraffa, in soldoni si afferma che “la giraffa non ha il collo lungo perché deve mangiare le foglie più alte degli alberi, la giraffa ha il collo lungo perché casualmente si sono c’è stata una madificazione casuale di alcune di esse, le quali avevano il collo un po più lungo. esse hanno avuto quindi più possibilità di sopravvivere perchè tale modificazione è risultata utile, si sono riprodotte e il gene si è conservato”. In ottca darwiniana il gene si conserva perchè essendosi rivelato più utile alla sopravvivenza ha permesso agli individui che lo possedevano di riprodursi in proporzione maggiore rispetto agli altri. Punto.

              Io non sto dicendo che la teoria finalistica sia sbagliata o meno. Dico solo che un ateo contemporaneo è estraneo al finalismo. siccome il mio ragionamento era questo: “per una morale atea l’utilitarismo è uno degli sbocchi preferenziali”, ho spiegato perchè, per un ateo (non per un credente e non per tutti), l’idea di una morale naturale porta a dei paradossi.
              Non sto sostenendo che la natura non abbia alcun fine, interno od esterno che sia, sto dicendo che per un ateo la morale naturale è contraddittoria in diversi punti per le ragioni esposte nei post già scritti.
              Che tu veda dei fini nella natura ok, dico solo che non è scontato vederli e che tali fini, ammesso che esistano non si possono usare a dimostrazione della compatibilità della morale naturale con la prospettiva laica e atea. altrimenti avresti premesse che non sono atee, ma una morale atea non può essere giustificata da premesse attinte da assiomi religiosi.

              1. Giancarlo

                Hai le idee un po’ confuse Claudia. La teoria darwiniana è una teoria che si occupa di scienza, per cui non può dire niente sul finalismo, che è una categoria filosofica.

                Potete negare fin che volete il finalismo, ma non potete negare i fatti: la sessualità, se correttamente vissuta, produce conseguenze molto significative, cioè i figli; se vissuta in modo non corretto non produce alcuna conseguenza significativa (cioè non ha significato), a parte qualche brutta malattia. Il fatto che la sessualità, se vissuta correttamente, sia piena di significato, mentre se vissuta in modo scorretto non abbia alcun significato (conseguenza utile), secondo me indica con chiarezza il finalismo; però sono anche consapevole che vedere il finalismo è una scelta filosofica e che si può scegliere anche di non vederlo. Il prezzo che devi pagare per non vedere il finalismo è la perdita di significato delle cose. Sei sicura di essere disponibile a pagare un prezzo così alto?

                Mah, auguri.

                1. Giancarlo

                  Volevo anche precisare che il Caso, come il finalismo, è una categoria filosofica. Infatti la teoria di Darwin è, in realtà, una teoria filosofica che, sul piano scientifico, non dimostra proprio nulla di nulla.

                  1. Claudia

                    “La teoria darwiniana è una teoria che si occupa di scienza, per cui non può dire niente sul finalismo, che è una categoria filosofica.”
                    “Infatti la teoria di Darwin è, in realtà, una teoria filosofica che, sul piano scientifico, non dimostra proprio nulla di nulla.” e poi sono io quella confusa.
                    Io sarei cauta in cesure nette fra categorie scientifiche e filosofiche, meno che mai a negare le implicazioni sulle seconde data l’accettazione dell’esistenze delle prime. Inoltre non mi è moltochiaro cosa tu intenda per categorie filosofiche. Comunque non parlavo di categorie di alcun tipo. Quella darwiniana (teoria scientifica, la cui accettazione comporta però anche, come per ogni teoria, conseguenze rilevanti sul piano filosofico) era semplicemente una teoria portata ad esempio per dmostrare che il finalismo non è un presupposto universale accettato come indiscusso da tutti (mi sembra poco rilevante decidere quindi se la teoria darwiniana sia dimostrativa o che grado di veridicità presenti, ripeto: non cerco di dimostrare che Darwin ha ragione o che il finalismo è più o meno sensato di altre teorie).
                    Ammetti anche tu che “vedere il finalismo è una scelta”, a questo punto non capisco cosa tu mia stai ribattendo?
                    Io ho detto:
                    1)esiste una prospettiva finalistica ed una non finalistica
                    2) se si rifiuta il finalismo, e si parte da una prospettiva non finalistica appunto, una morale naturale comporta delle contraddizioni (contraddizioni con le premesse, non con la realtà)
                    Ora su 1 siamo d’accordo (cit “sono anche consapevole che vedere il finalismo è una scelta filosofica e che si può scegliere anche di non vederlo”), mi ribatti non sul punto 2 ma sul fatto che il rifiuto del finalismo porta alla perdita di significato delle cose, idea più che legittima ma non capisco che inerenza abbia con quello che stavo sostenedo io. Ripeto, io non stavo dando giudizi di valore su nessuna di queste due possibili prospettive, dico solo che da certe premesse è problematico derivare certe conclusioni, che poi secondo te le premesse siano false è altra cosa che conta poco ai fini del discorso che facevo io e che certo non invalida il ragionamento( io ti dico che A implica B, se vuoi confutarmi devi dimostrami che è possibile avere insieme A e nonB, dire che la premessa A è falsa non invalida l’implicazione)
                    Per il resto, visto che ci tieni ad affrontare il discorso io non credo in una natura finalizzata, ma il mio ragionamento aveva un altro senso.
                    Quando poi dici che la negazione del finalismo comporta la perdita di significato delle cose, secondo me è una considerazione molto forte. Quale significato? quello teleologico? quello religioso? ok questo è ovvio. Non è semplicemente una perdita di significato, è un significato diverso che si dà alle cose.
                    Lo stesso quando dici ” Il fatto che la sessualità, se vissuta correttamente, sia piena di significato, mentre se vissuta in modo scorretto non abbia alcun significato (conseguenza utile), secondo me indica con chiarezza il finalismo”, in realtà stai capovolgendo il ragionamento. al di là dell’accostamento tutt’altro che ovvio di conseguenza utile e significato, il fatto che una cosa sia utile o abbia un significato è un giudizio che tu dai perchè già hai un’idea preliminare di giusto, utile ecc, idee tutte che presentano quella particolare configurazione perchè è presente alla base una teoria che le comprende e le giustifica. Tu non scopri il finalismo perchè esiste un significato nelle cose, tu vedi un significato nelle cose perchè hai scoperto il finalismo. Il fatto che la naturana nei sui processi abbia un preciso significato è un giudizio di valore, in quanto tale necessita prima di una visione del mondo (in qesto caso il finalismo appunto) che lo sorregga.

              2. Baldo

                @Claudia
                Sono un pratico del diritto e per questo sui risvolti filosofici di questo argomento pongo delle domande alle quali non so darmi risposte, ma sinceramente la premessa di Giancarlo, che esista un ordine di natura su cui poter basare una morale, mi sembra la più accettata fino ad oggi, anche a prescindere dall’adesione ad un credo religioso.

                Parto dalla constatazione che da Aristotele in poi (ma forse anche prima) si cerca un ordine di natura su cui basare una morale, che poi, fuori dagli ambiti confessionali, ha trovato espressione nel diritto positivo attraverso le dichiarazione dei diritti dell’uomo d’impronta illuminista, fino ai tribunali speciali per i crimini di guerra, per arrivare poi alle convenzioni internazionali per la tutela dei diritti dell’uomo, che salvaguardano il diritto alla vita, all’integrità fisica, la libertà di espressione del pensiero, la libertà religiosa, ecc… come assiomi di un diritto naturale che si impone alla ragione.

                L’ordine naturale prescinde dalla storia della Rivelazione, perché discende dalla Creazione e per questo è stato l’oggetto dell’indagine anche di chi non ha avuto il beneficio, diciamo così, di essere parte della storia della Rivelazione. Questo perché il diritto naturale è parte di un ordine razionale che, a prescindere dal credo religioso, può essere colto razionalmente, come del resto fa Giancarlo e come sostenuto dal Papa emerito BXVI nel suo discorso al Bundestag del 2011, che invito vivamente a leggere:

                http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110922_reichstag-berlin_it.html

                Mi sembra, quindi, che non sia corretto dire che per un laico non sia possibile appoggiare la propria morale sul diritto naturale, colto secondo ragione indagando sul fine ultimo delle cose. Certo, ateo o non ateo, il diritto naturale deve essere riconosciuto come tale ed è anche possibile rifiutare un ordine naturale e allora si ha una sola strada: basare il diritto sulla propria volontà, secondo criteri elaborati artificialmente, per cui sarà possibile chiamare famiglia le non famiglia; non persona la persona con handicap; non umano l’uomo allo stato embrionale, secondo principi che possiamo anche definire della massima felicità dei più o anche della sofferenza dei meno. In questo senso si dà una parvenza utilitaristica e razionale al diritto, che però quando l’utilità è dei più forti a scapito dei più deboli è solo brutale e arbitraria violenza.
                Da qui forse nasce la ribellione morale alle teorie di Peter Singer, di cui non mi sorprendo affatto.

                1. Claudia

                  non capisco cosa tu sostenga di così diverso da quello che ho detto.
                  che possa darsi un ordine naturale su cui, come dici tu “poter basare la propria natura” è una premessa che posso porre anche io. La differenza fra me e Giancarlo è che nella mia premessa quel “poter” resta tale, nella sua si trasforma in un “dovere” (non in senso imperativo,dovere in senso che essa è l’unica morale teoreticamente valida). Se leggi anche gli altri post (forse l’hai già fatto) noterai che la mia esclusione della morale naturale dall’orizzonte laico non è così netta e soprattutto non è a priori. Dico solo che un ateo, per il quale per ovvie ragioni il finalismo non è accettabile come premessa (può anche diventare accettabile dopo riflessione), che accetti una morale naturale, o rinuncia alla normatività in senso stretto di tale morale o ripesca il finalismo che ha preliminarmente eliminato dalle proprie premesse. Che poi si possa essere atei e credere in un finalismo interno alla natura è possibile, ma sicuramente converrai con me che il numero di atei che vivano in questo secolo e considerino la natura finalizzata escludendo un ente supremo ed esterno che le abbia imposto tale fine è esiguo.
                  Che rivelazione e legge di natura siano cronologicamente e concettualmente non riducibili l’una all’altra è verissimo, ma io non ho mai sostenuto il contrario. Ho detto solo che chi crede nella rivelazione può e deve accettare questo fine interno e adeguare la propria morale ad esso,avendo accettato la rivelazione l’assenso a quest’ordine è implicito, chi non ha un ente supremo, anche ammesso che ravvisi un ordine nella natura non ha alcun obbligo morale a seguirlo: non avendo ancora deciso cosa sia bene o male non vi è nessuna implicazione ovvia che lo porti a vedere tale ordine come positivo e imperativo. L’implicazione è diversa: per te quella morale è giusta perchè esiste un ordine naturale che la legittima, per me è giusta perchè ragionevole, che poi esista un ordine naturale che si muova secondo gli stessi principi non ha avuto peso nel mio giudizio.

                  “Mi sembra, quindi, che non sia corretto dire che per un laico non sia possibile appoggiare la propria morale sul diritto naturale, colto secondo ragione indagando sul fine ultimo delle cose.” questo è vero, ma un laico che faccia ciò (l’ho specificato questo punto in un altro post mi pare, in cui dicevo che al dì là dei contunuti la differenza si ritrova nella forma) quello che tu chiami diritto naturale lo scopre con atto intellettuale, dopo averlo scoperto dà un giudizio di valore, se il giudizio è positivo, pone tale diritto naturale come norma della condotta morale. A questo punto converrai con me però che lui non ha costruito una morale in modo che fosse conforme a ciò che è il diritto naturale.. ha costruito una morale che fosse ragionevolmente valida, che poi questa fosse già implicita nei dettami religiosi o nelle leggi naturali o sia creazione ex novo dell’uomo dal suo punto di vista non cambia, perchè ciò che la legittima è la sua ragionevolezza non la sua naturalità.
                  Inoltre il tuo laico cercando già il fine ultimo delle cose è finalista.. ma non è assolutamente detto cosa scontata

                  1. Claudia

                    che definirlo sia iplicitamente contraddittorio è ovvio, che è stato posto di fatto e pure con risvolti filosofici interessanti (e lo dico da non sostenitrice del diritto naturale) è altrettanto indubbio

    3. Sara

      Come è bello il Medioevo! … quando fra l’altro i diavoli non erano per niente furbi, ma goffi, ridicoli e comici!

      1. Claudia

        Fra roghi e torture dell’inquisiszione, guerre di relegione, pestilenze e vassallaggio feudale deve essere stato un spasso..per chi ama soffrire era sicuramente il non plus ultra

        1. JoeTurner

          Fra roghi e torture (tipo quelle di Abu Graib o di Guantanamo, o della Corea del Nord, o della Cina, o quelle che subiscono le donne indiane, pakistane, iraniane etc), guerre di religione (come in Nigeria, in Sudan, in Afghanistan, in Somalia, in Rwanda, in Burundi, in Siria) e vassallaggio feudale (come quello che il capitalismo finanziario delle multinazionali e delle banche esercita sugli individui e le potenze economiche e militari esercitano sulle nazioni) anche di questi tempi mica c’è tanto da ridere!
          In più abbiamo la più enorme, sconvolgente, ignobile, continua, ignorata strage di tutti i tempi.

          Poi se ne hanno voglia abbiamo qui degli esperti (vero senm_webmrs?) che abbastanza agevolmente potrebbero illuminarti circa le banali conoscenze che hai sul Medioevo (a proposito parli dell’Alto o del Basso Medioevo? Sai, ci sono circa mille anni in mezzo)

        2. Roberto

          Wow, che meraviglioso filotto di luoghi comuni a dimostrare subito di aver a che fare con un’interlocutrice formatasi su Eco e affini e che non ha la più pallida idea di quel di cui sta parlando ma ne parla lo stesso perché sul Medioevo si può sproloquiare dal basso della più tenebrosa ignoranza e va bene così.

          1. Claudia

            Prima di tutto non mi sono formata su Eco e affini, ma tralasciamo..ovvio che era una considerazione banale, era la risposta ad una una provocazione altrettanto banale. Nulla voglio togliere al Medioevo, anzi.. Ho introdotto il termine medievale unicamente in riferimento ai toni, a mio avviso troppo accesi, che identificavano Singer come un indemoniato, con tanto di accenni a Satana e al male assoluto. Ridurre il mediooevo a torture e guerre di religione sicuramente e stuoido, era infatti la risposta ad una provocazione.. fra l’altro mi pare diverso capire che il Medioevo non si riduce a questi aspetti ed accettare che si riutilizzino toni di questo tipo nel 2014 in una discussione di bioetica

          1. Sara

            Robertro, non avevo ancora letto il tuo commento: involontariamente ti ho fatto “eco” (ma migliore di Umberto!).

            1. Sara

              @ Claudia: la mia non era per niente una provocazione! Il Medioevo è stato davvero bello e per quello che riguarda i diavoli, almeno nell’arte e nella letteratura (ma credo anche a livello popolare), c’era davvero la percezione che si trattasse, certamente del Male e di un Male spaventoso, ma anche di angeli caduti dai tratti spesso goffi e ridicoli (si veda Dante, ma non solo). Il diavolo comincia ad essere una cosa “seria”, spaventosa, lugubre e molto più sottile d’ingegno con Tasso e la Controriforma.
              Inoltre penso, tuttavia, che essere nel 2014 e discutere di bioetica non esclude affatto che si possa ragionevolmente (e sottolineo: ragionevolmente) parlare di Satana: con ogni evidenza il diavolo è, oggi e oggettivamente, molto interessato al tema.

              1. Giancarlo

                @ Sara

                Sul medioevo, cara Sara, hai perfettamente ragione: è stata davvero un epoca straordinaria, dove la relazione personale era sufficiente a garantire la fedeltà. Il grande male di oggi è che non si può più fondare la propria fiducia sulla relazione personale; neanche la relazione d’amore oggi è al riparo dal tradimento; figuriamoci gli altri tipi di relazione. Nel medioevo invece la parola data valeva più di qualunque garanzia.

                Ci torneremo alle relazioni personali fondate sul proprio onore. Sarà il trionfo della cristianità.

              2. Sara:

                Il Medioevo non è stato né più bello bello né più brutto di altri periodi , è stato semplicemente un pezzo di storia collegato insieme a tutti gli altri pezzi, con da una parte l’Antichità e dall’altra il Rinascimento, come si è soliti spezzettare il corso dei tempi…

        3. Giovanni da Patmos

          Mi permetto di dissentire. Gli ultimi cento anni hanno conosciuto la bomba atomica, 2 guerre mondiali, i forni crematori, Holomodor, svariate dittature e, last but not least il vassallaggio nei confronti dello spread. Per non parlare dei danni che abbiamo fatto all’ambiente, cito solo il buco dell’ozono e il vertiginoso aumento dei gas serra, e qui per ragioni di spazio mi fermo. Non penso che, fatte queste sommarie premesse (e ci sarebbe molto altro da dire), possiamo considerarci, noi del 21° migliori dei medioevali

    4. Alessandro

      Claudia,

      malgrado le banalità che dici sul Medioevo, segno di insufficiente “laica” spregiudicatezza, mi indurrebbero a non prendere in considerazione il tuo commento, voglio prenderti sul serio e seguire il discorso filosofico che fai. Che vuole essere rigoroso, ma non lo è.

      Scrivi:

      “D’altra parte una morale laica, non potendosi avvalere di un sistema normativo legittimato da un qualsivoglia ente superiore, conduce inevitabilmente a due soli tipi di scelte: da una parte il riconoscimento della morale come costrutto artificiale, dall’altra il riconoscimento di un sistema di leggi naturali e dunque un modo di vivere connaturato all’essere umano in quanto tale… La seconda opzione per quanto possa presentarsi come assoluta e universale e dunque non relativa, nel perdere il carattere eteronomo delle leggi positive, perde la propria forza normativa. Una legge universale e naturale si rivela necessaria, sostanzialmente trascende la libertà di scelta, è un fatto. Se si presuppone un essere umano sostanzialmente come specie prima che come individualità e si intende un corretto modo di vivere come un agire conforme ad una natura univoca e predeterminata la libertà di scegliere si fa friggere e bene e male tornano ad essere i concetti aristotelici che di capacità/incapacità di sviluppare a pieno il nostro telos interno.”

      In sostanza dici: se l’uomo ha una natura e se solo l’adesione alla legge morale naturale consente all’uomo di “sviluppare a pieno il proprio telos (fine) interno”, cioè di realizzare sé stesso (l’alternativa a tale adesione conducendo al traviamento della natura umana, a fallire cioè il pieno sviluppo del proprio fine/telos naturale), allora la libertà “si fa friggere”, perché non è libertà degna del nome quella che, esercitata in contravvenzione alla legge morale naturale, conduce al fallimento chi la esercita.

      Ma faccio rilevare che, perché esista libertà, ossia perché non si scada nel determinismo, è necessario e sufficiente che Tizio possa realmente scegliere A o non-A. E nulla impedisce che, vigendo la legge morale naturale nel senso suddetto, Tizio possa realmente scegliere A o non-A. Conclusione: vigendo la legge morale naturale, la libertà umana c’è eccome, non si “fa friggere”.

      Ti faccio inoltre notare che, se per ipotesi non esistesse alcuna legge morale naturale ed esistesse la libertà umana, Tizio, posto dinnanzi alla scelta tra A e non-A, continuerebbe a giustificare la propria scelta sostenendo (ad esempio): “scelgo A perché è meglio di non-A”, cioè perché A adegua un BENE che non-A non adegua (o che non-A adegua peggio di quanto lo faccia A). Domando: che è questo BENE?

      1) se questo bene è ciò che il complesso delle esperienze pregresse di Tizio gli fa cogliere hic et nunc come tale, allora Tizio non è affatto libero, ma eterodiretto dal complesso di esperienze pregresse che, nel loro vario interagire, sono giunte a fargli percepire hic et nunc come BENE scegliere A e non non-A: allora sì che la libertà si “fa friggere”!

      2) se questo bene è invece ciò Tizio giudica tale indipendentemente da ogni condizionamento necessitante (e quindi liberticida), a Tizio si domandi: “perché per te è bene scegliere A e scartare non-A?”. Non resta che un’alternativa

      a) Tizio ritiene che questo sia bene sulla base di una norma oggettiva: ma in questo caso la legge morale naturale, messa alla porta, rientra dalla finestra

      b) Tizio ritiene che questo sia bene “perché lo decido io”. Ossia: il semplice fatto che io scelga A e non “non-A” rende buona la mia scelta di A.
      A parte che questa prospettiva genera un dedalo di aporie proprio per spiegare come sia possibile l’emissione di un atto libero siffatto, mi preme rimarcare che il regime “perché lo decido io” funziona come segue.
      Tizio, che si ritiene libero e ci tiene alla sua libertà, davanti a una scelta pensa così: “mi verrebbe da scegliere non-A, ma a ben pensarci forse questa decisione sarebbe figlia dei condizionamenti subìti nella mia educazione (nella mia esperienza pregressa, o di condizionamenti istintuali-pulsionali dati, non liberamente scelti), quindi non sarebbe una scelta davvero libera… quindi, per essere davvero libero, DEVO scegliere A.

      Ma la contraddizione è palese: se Tizio, per essere libero, DEVE scegliere non-A, allora Tizio è libero se e soltanto se… è COSTRETTO a scegliere non-A, ossia Tizio è libero se e soltanto se non è libero affatto.
      E qui sì che la libertà si “fa friggere”…

      1. Alessandro:
        …se uno crede di poter trovare o scoprire o prendere coscienza di norme nei fatti o di valori nella realtà, inganna se stesso. Infatti, anche se inconsciamente, egli deve proiettare le norme (da lui in qualche modo presupposte come fondamento dei valori) nella realtà dei fatti, per poi poterle dedurre da questi.. Realtà e valore appartengono a due sfere distinte.

      2. Claudia

        A parte il fatto che pensavo di aver già chiarito che le considerazioni che ho fatto sul Medioevo non volevano essere considerazioni storiche ma unicamente una risposta provocatoria ad un commento altrettanto provocatorio. Mi sarò lasciata prendere troppo la mano probabilmente ma presumo che venisse sompresa l’ironia..
        comunque:
        Ho già risposto a Giancarlo: quando ho scartato la possibilità di una legge morale che fosse normativa, e di conseguenza anche la possibilità di scelta morale mi riferivo alle correnti più estreme (passami il termine) che considerano appunto la legge naturale non come un insieme di regole o precetti da poter/dover seguire ma come fatti..leggi naturali ineluttabili appunto..la critica (che poi nemmeno era una critica) era ad un tipo di morale che vedeva l’operare della legge umana all’interno di ogni uomo e che sulla base di tale operare fosse pronta a giustificare ogni movente ed ogni azione che da tale movente potesse derivare dalla sua pretesa naturalità.

        L’idea che esista una legge naturale, che però non sia vincolate (intendo come necessità fisica non morale) come possa essere quella della rivelazione è altra cosa.. Ovvio che se riconosci una legge naturale sulla base della quale decidere i valori di giusto e sbagliato tramite il mancato o presente riferimento di un’azione ad essa è altra cosa. Ma riconoscere una legge naturale, pre-umana, non artificiale alla quale doversi uniformare necessiti di un presupposto che ne legittimi l’adesione (per riconoscere ad una legge esterna un valore universale devi darle il tuo assenso, ma poiche questa legge è esterna, prima di sottometterti ad essa necessiti di una ragione che te la faccia riconoscere come valida e che la legittimi). Tale presupposto o è un ente superiore (caso che era già stato scartato perchè parlavo delle possibili vie di uscita per una morale atea) oppure trova la sua ragion d’essere in una sorta di fiducia accordata ad una natura ordinata e finalizzata (opzione possibile che ho evitato di considerare data la poca fiducia degli atei contemporanei all’ordine naturale)

        1. Claudia

          Mi spiego ancora meglio (è evidente che non ho il dono della sintesi). Sulla base di cosa chi non riconosce nè un Dio, ne un fine interno alla natura, nè una qualsivoglia potenza ordinatrice riconoscere l’esistenza di un fine interno al proprio esistere? e anche ammesso ciò, come riconoscere quale fra i tanto possibili sia il proprio fine?? e soprattutto anche riconosciuto un certo fine interno quale può essere la ragione ritenuta valida per doverlo seguire? Mancando un Bene od un Ente superiore che si dà all’uomo come tale è necessario definire preliminarmente, con procedura razionale e dunque culturalmente (artificialmente appunto) cosa sia questo Bene da perseguire prima di poter riconoscere una legge naturale e ritenerla un valido criterio per dirigere l’esistenza. Altrimenti, in assenza di tutto questo ad un ateo non rimane che scegliere una legge naturale estremamente generica (senza un criterio legittimo e fondante, fra due possibili opzioni di scelta opposte,non si può dichiarare una più naturale dell’altra). Ma se tale criterio di naturalità deve essere immediato e universale la scelta preferenziale si accorda al moto interno, desideri, razionalità, impulsi ecc..a quel punto ogni scelta è legittima se non condizionata da elementi esterni, ma il senso di morale è alquanto svuotato.. Il riferimento a leggi immutabili ed universale per un credente è sicuramente più saldo e meno problematico che per un ateo che, ve lo riconosco, se da ateo vuole attingere ad una legge morale naturale e necessaria rischia molti più paradossi e aporie.

          1. Alessandro

            Ok, adesso credo di aver capito meglio.

            Ci stai dicendo – se non mi sbaglio – che l’ateo, nell’operare scelte morali, si trova in una condizione quanto mai precaria per non dire drammatica (“in assenza di tutto questo [cioè senza un riconoscimento di un Ente esterno legislatore o di un finalismo interno moralmente vincolante] ad un ateo non rimane che scegliere una legge naturale estremamente generica… il senso di morale è alquanto svuotato”), eccezion fatta per quegli atei (al cui novero ti ascrivi, mi pare) che accettino di appurare “con procedura razionale e dunque culturalmente” quale sia il Bene in conformità al quale dirigere la propria condotta morale (e anche in questa caso l’ateo non si troverebbe in una condizione granché facile, a tuo avviso, perché “se da ateo vuole attingere ad una legge morale naturale e necessaria rischia molti più paradossi e aporie”).

            Non mi è chiaro perché seguiti a chiamare “legge naturale” quella che l’ateo riconosce dopo aver definito “preliminarmente, con procedura razionale e dunque culturalmente (artificialmente appunto) cosa sia questo Bene da perseguire”: poiché questa “legge naturale” afferirebbe a un Bene definito “artificialmente”, cioè non-naturalmente, perché chiamarla ancora “legge naturale”?

            Nel complesso, questo “definire preliminarmente, con procedura razionale e dunque culturalmente (artificialmente appunto) cosa sia questo Bene ecc.” mi pare un’operazione irrealizzabile in modo decentemente soddisfacente.
            A chi non riconosce tutto quello che tu affermi di non riconoscere non resta (scusa la franchezza ma la vedo così), non resta che barcamenarsi cercando di abbracciare una condotta morale che lo faccia soffrire (in tutti i sensi) il meno possibile, ben sapendo che talora la riduzione della sofferenza propria importa inevitabilmente l’incremento di quella altrui, generando non poche difficoltà concrete nel perseguire un bilanciamento soddisfacente (per chi?) tra sofferenza propria e altrui.

            E comunque essere ateo non deriva da un lancio di dadi. Io ad esempio sono credente cattolico non esclusivamente in forza di un giudizio razionale (la Fede, virtù teologale, non può esclusivamente scaturire da un mio giudizio intellettuale e razionale, ma va ricevuta come dono proveniente da Altro da me), eppure non lo sarei se ravvisassi, nel mio atto di credere, alcunché che ripugni al mio intelletto, che sia teoreticamente indifendibile.
            Ritengo cioè che ogni uomo possa essere credente senza rinunciare a essere filosofo (e ovviamente non parlo del laureato in filosofia o del filosofo di professione: ogni uomo deve essere filosofo in quanto esercitante in modo rigoroso il proprio intelletto, la propria facoltà razionale).

            .

            1. Sara

              Bravo, Alessandro!
              Il carissimo parroco con cui sono cresciuta nella fede diceva sempre che se avesse dovuto ravvisare con assoluta evidenza che ciò in cui credeva era irrazionale o in qualche modo contrastante con la ragione (o che, allo stesso modo, se un’altra religione gli si fosse con assoluta evidenza dimostrata più razionale e ragionevole della sua), avrebbe in coscienza DOVUTO cambiare fede.

              1. Alessandro

                Per caso il tuo parroco è Padre Brown? 😉

                “So che accusano la Chiesa di umiliare la ragione, ma è proprio il contrario. Sola sulla terra, la Chiesa sostiene che la ragione è realmente suprema. Sola sulla terra, la Chiesa afferma che Dio stesso è legato dalla ragione”

            2. Claudia

              Ovvio che si può essere credenti senza rinunciare ad essere filosofi (da atea e da laureata n filosofia posso dirti che considero alcuni filosofi della Scolastica uno dei migliori prodotti della Filosofia occidentale),dico solo che è necessario essere coerenti, nelle proprie conclusioni, con le premesse che si pone. Rinunciare alla trascendenza per poi reinserirla forzatamente sotto mentite spoglie sotto forma di legge naturale porta a soluzioni molto poco soddisfacenti se non si considerano bene tutte le implicazioni. dico solo che rinunciare ad una legge naturale come criterio di scelta morale, per scegliere invece una morale artificiale (nel senso di costrutto culturale razionale o storico che sia) è una scelta soddisfacente, anzispesso la scelta privilegiata se si decide di rinunciare a qualsiasi presupposto di tracendenza.

              1. Alessandro

                Ma la domanda radicale è: siamo sicuri che il filosofo che esclude la trascendenza faccia buona filosofia? Non è che l’esclusione della trascendenza discenda anzi da una irrazionale automutilazione della ragione nel proprio esercizio?

                1. Concordo, ed è il senso (stringi stringi) del mio commento sotto… che proprio partendo dalla tua domanda Alessandro – a cui do implicitamente già risposta – inizia con “ciò che non deve fare meraviglia…”
                  Di fatto alcune affermazioni di Singer, che paiono di primo acchito perfettamente “razionali”, portate alle loro estreme conseguenze, sono di una inumana irrazionalità.

  12. Aleph

    Quindi se ciò che fa la differenza non è la vita del bambino in sé ma il legame tra il bambino e i genitori, che problema ci sarebbe ad ammazzare un bambino di 2, 3, 6, 10 anni, ecc… se i genitori non lo vogliono e decidono che il legame, per qualche motivo, non si è creato? Quale sarebbe il limite? Chi lo stabilisce?
    Siamo davvero alla frutta… E a questa gente danno anche le cattedre prestigiose, li mettono a formare nuove generazioni di senza Dio come loro.

  13. Claudia

    Secondo Singer la differenza è la presenza di autocoscienza e la capacità di concepirsi nel tempo e nello spazio.. Non sono singeriana ma lo state travisando: dire che per Singer ammazzare o meno un bambino dipenda dal legame con i genitori è quanto meno un’interpretazione campata in aria.
    Le cattedre nei paesi laici e civili si danno in base al valore intellettuale, non nella prospettiva di formare generazioni di fedeli o atei.

    1. Aleph

      Cara Claudia, mi riferivo a quest’affermazione: “Un altro elemento è il legame fra la madre e il figlio. Esiste, anche prima della nascita, ma non è così forte come quello che si forma le settimane successive alla nascita. Quindi se le prospettive del bambino sono povere, sarà più facile per i genitori distaccarsi dal bambino appena è possibile”. Per il resto, ammetto di non aver letto i suoi testi, in versione originale, quindi è possibile che qualcosa mi sfugga. Lo faro. Sul suo “valore intellettuale” ho i miei dubbi. Non si tratta di essere atei o credenti, ma di mettere l’intelligenza al servizio del bene comune. Se il bene comune è mettere a morte i malati perché non pesino sulla società e sui genitori, non operare un bambino destinandolo alla morte perché Down, ecc… io ho dei seri dubbi sul suo valore intellettuale e sulla capacità di formare le nuove generazioni.

  14. Ancora più atroce, Aleph, mi pare il fatto che questo signore , parlando di legame tra genitori e figli ammentta implicitamente la possibilità che questi bambini siano amati. E giustificandone comunque l’uccisione di fatto uccide ciò che rende l’uomo sacro: l’ amore appunto, la capacità di relazione.

  15. Ciò che non deve fare meraviglia, per quanto il realizzarlo sia terrificante, è una filosofia di pensiero, una visione della vita e dell’Uomo che, completamente sganciata dall’idea di un “bene superiore”, ma anche e soprattutto, di una vita che non si limita al passaggio dalle mani dell’ostetrica (o delle antiche levatrici) a quelle del becchino, si riduce e anzi si “corrompe”, al singer-pensiero.

    E’ come le punta di un iceberg, ma sottende al pensiero di molti, può o meno portato alle estreme conseguenze, più o meno crudelmente e a chiare lettere esposto. Pensiero di tutta una parte di civiltà (ammesso che si possa applicare il termine nel suo senso più alto…), lo dimostrano il seguito e le posizioni che questo signore ha appunto, nella società “civile”.
    Pensiero che ha dell’Uomo, una visione prettamente orizzontale, che dell’Uomo ha fatto il suo unico parametro di giudizio, la sua unica attesa, la sua unica preoccupazione. Non che l’Uomo non esista nelle attese e nella cura di una visione teologico-antropologica, anzi, ma proprio il porre esso come sorgente e fine unico del pensiero, porta alle visioni aberranti che qui vediamo espresse.

    Ben risulta da una delle affermazioni di Singer: “I cristiani hanno stabilito che basta essere un membro della specie homo sapiens per avere rispetto assoluto.”
    Credo che il rispetto, la cura e la difesa del Cristiano per la vita, venga da ben altro che non sia l’appartenenza di un essere alla specie homo sapiens (seppure questa appartenenza sussista parallelamente), ma questo ovviamente a Singe sfugge… o viene debitamente omesso.

    Si può notare anche come tenda a scomparire una visione realmente comunitaria, sebbene si cerchi di dare una giustificazione “sociale” a queste idee, e tutto ritorni al singolo o ad una stretta cerchia di singoli. Scelte quindi utilitaristiche e prettamente individualistiche.

    A volo d’uccello alcune affermazioni lasciano interdetti:
    “Io penso che sia ragionevole non far nascere un simile bambino (portatore di handicap)”

    Facilmente si potrebbe obiettare: “e se lo divenisse in seguito, per malattia o incidente?”.
    Naturalmente con l’introduzione di una misericordiosa eutanasia…

    Se dovesse accettare il piano di paragone fra l’eutanasia dei nuovi nati e il programma nazista, cosa risponderebbe?

    “La differenza principale è che negli anni Trenta l’eutanasia era diretta dai medici per ordine del governo, io voglio che sia una decisione dei genitori in accordo con il medico. L’eutanasia nazista era razzista, diretta a modificare il volk, il popolo, mentre io propongo l’alleviazione delle sofferenze, non da parte dello stato, ma dei genitori.”

    Che l’eutanasia nazista fosse razzista è fuor di dubbio, ma sostenere che non lo sia quella dei “nuovi nati” portatori di qualsivoglia difetto è decisamente un insulto all’intelligenza, anche volendola ammantare di pietismo. Ho usato il termine “qualsivoglia” perché, chi stabilirà poi quale gravità minima potrà avere l’handicap per giustificare la scelta, o richiesta, dei genitori?

    Farebbe sorridere se non si trattasse di argomenti di tale gravità, la distinzione “l’’eutanasia era diretta dai medici per ordine del governo…” e quando lo sarà (Dio non voglia) in ogni paese del mondo come taluni pretendono? E quando da opzione ammessa, dovesse divenire obbligo?
    No, impossibile?! Vogliamo parlare della Cina, dove il problema non è neppure la disabilità?

    E via discorrendo…

    Ma ciò che più deve balzare ai nostri occhi, non è tanto e solo una filosofia di pensiero che è anti-umana o inumana per meglio dire, ma profondamente anti-cristica!

    Perché alla base di ogni tipo di filosofia del genere, sta una visone che rifiuta tutto ciò che, anche solo lontanamente, accetta il termine e l’esperienza dell’umana sofferenza.
    E’ la visione antiteista che rifiuta, rifugge la Croce come strumento di salvezza, lo stesso scelto dal Padre per Suo Figlio a nostro vantaggio.
    Questo è bene tener presente non perché si possa pretendere che una visone atea e illuminista possa o debba abbracciare la visione cristiana della croce e della sofferenza su un piano di confronto dialettico (pur necessario)… non potrà mai farlo! Non senza una profonda esperienza di conversione, perché la croce, la sofferenza è per l’Uomo ateo, uno scandalo (nonché “pietra d’inciampo”).

    Sta quindi ai Cristiani, mostrare nei fatti, nelle scelte la verità e il valore salvifico della croce, della sofferenza e soprattutto che in questa esperienza la croce può divenire “gloriosa”.
    Che oltre la Croce c’è la Resurrezione!

    Che questo Tempo di Pasqua non è passato invano.

  16. Bariom:

    “Sta quindi ai Cristiani, mostrare nei fatti, nelle scelte la verità e il valore salvifico della croce, della sofferenza e soprattutto che in questa esperienza la croce può divenire “gloriosa”.
    Che oltre la Croce c’è la Resurrezione!”

    Sì, hai ragione, sta ai Cristiani!

  17. Aleph

    Mah… preghiamo per lui. Forse tutto questo astio viene dal trauma subito, visto che i nazisti gli hanno sterminato parte della famiglia.

  18. admin.

    …sì, lo capisco benissimo che te non puoi stare dietro ai commenti tutto il giorno, ma questo, nei miei confronti, di persona rintracciabile, vuole dire che le mie risposte , domande, osservazioni eccetra, vengono pubblicate quando non vengono nemmeno più segnalate fra i nuovi commenti e quindi di fatto sono tagliato fuori, così imparo a pronunciare il nome della Miriano invano!
    No, a queste condizioni, di messa in quarantena perpetua (contenti tutti) non posso continuare la mia partecipazione
    al blog,
    Grazie comunque di avermi ospitato e cordiali saluti!

    1. admin

      Caro Alvise
      non è una punizione la “quarantena” ma la conseguenza del venir meno di un rapporto di fiducia: l’andare sempre dietro al primo che passa basta che ci dia addosso, dare manforte a chiunque spari accuse senza neanche verificarle ha fatto sì che tu non goda più del privilegio della replica immediata e non mediata.
      Comunque il blog non è necessariamente un botta e risposta, un susseguirsi frenetico di battute.
      Forse dovresti iscriverti a facebook.
      Cordiali saluti anche a te, è stato (a volte) un piacere .

    2. Alvise personalmente sarei dispiaciuto di “perderti”… sei un po’ come il sale sulle ferite, il “bruscolino” in un occhio che ti impone un po’ di collirio, ma anche il foruncolo sotto il sedere (giusto perché non ti monti la testa) o anche, a volte, simpatico come il famoso gatto attaccato a sappiamo cosa…

      Peraltro fossi stato admin, ti avrei applicato la moderazione (momentanea o perpetua non so), già in una nutrita serie di precedenti interventi, non fosse altro che per i toni o il fraseggio.

      Ciò detto, accetta un po’ di “salamoia”, magari fai ammenda – anche non pubblica (a me non interessa) non è una cosa così disdicevole… 😉 e non preoccuparti dell’eventuale tardivo comparire dei tuoi commenti (o stavi cercando una chat che ti facesse compagnia?).
      Ma non privarmi del “piacere-fastidio” dei tuoi commenti! 😉

    3. Giusi

      Alvise a me dispiace anche se l’attaccarti strumentalmente come una zecca a qualunque contestatore è cosa che ho rilevato e scritto da tempo.

  19. annarita

    Mamma mia, i mostri sono tra noi e fanno pure carriera. I nazisti al confronto erano dei pivelli. Il brutto è che ogni hanno commemoriamo la Shoa, mentre i carnefici di tante vite innocenti girano nei salotti e scrivono saggi, parlano nelle università, fanno carriera, sono stimati e super pagati senza che nessuna autorità si sdegni e mobiliti per internarli. Liberi di agire mentre frignamo per cose accadute 6o anni fa, che razza di ipocriti. La storia non insegna, perchè nonostante i lavaggi di cervello fatti a scuola, nessuno (forse pochi) si accorge che i mostri sono ancora qui indisturbati e agiscono secondo leggi statali. Cosa diranno di noi i posteri? Come saremo giudicati dalla storia? E ancora peggio dal buon Dio?

  20. annarita

    ops! ho scritto hanno invece di anno. Comunque credo sia tutta colpa della legge Basaglia che ha fatto chiudere i manicomi e lasciato in circolo pazzi, che fanno carriera politica, insegnano nelle scuole, a volte si fanno suore (americane solitamente) etc..etc..Non comprendo perchè tutti sti tipi che sono a favore della morte siano così attaccati alla vita. Non so Singer, e tanti altri della stessa idea (qualcuno lo si trova anche in Italia), non conoscono un buon burrone, altino, dove mettersi a fare le capriole, bendati? Però deve essere altino forte, perchè se poi dovessero per disgrazia cadere e rimanere paralizzati, poi ci tocca fare loro quella anestesia definitiva di cui si parlava nell’intervista.

  21. Alessandro:

    …se uno crede di poter trovare o scoprire o prendere coscienza di norme nei fatti o di valori nella realtà, inganna se stesso. Infatti, anche se inconsciamente, egli deve proiettare le norme (da lui in qualche modo presupposte come fondamento dei valori) nella realtà dei fatti, per poi poterle dedurre da questi..

    1. Giusi

      Alviseee!!!! Questa è telepatia! Ti stavo pensando! Non ho capito niente di quello che hai scritto ma non importa. mi appago della tua ricomparsa!

    2. Alessandro

      Bene, adesso ripensa a questa convinzione cambiando punto di vista.
      Prova a pensare a quel fatto che è il tuo desiderare (forse che tu non desideri?) e prova a immaginare se quel fatto che è il tuo desiderio non si può descrivere così: “il mio bene è raggiungere quel fine, se non lo raggiungo è male, DEVO raggiungere quel fine”. Ecco un essere (il tuo desiderio) che reca in sé la notizia di un dover essere.
      Partendo da qui, si può mostrare quanto la c.d. legge di Hume (“dai fatti è scorretto desumere norme, dalle descrizioni non si possono cavare prescrizioni”) non sia sempre e comunque vera.
      Pensaci

    1. Sara

      Dài, Alvise! Sai fare di meglio che fare la vittima! Una volta ti è stato fatto notare che avevi il fascino del maledetto toscano: su, tieni alta la bandiera! Da toscana ci tengo: non mi far fare queste figure…

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