di Costanza Miriano da Il Foglio
Una si trova con anni di trincea sulle spalle, veterana, piena di stellette in onore al merito di avere difeso Benedetto XVI a spada tratta in riunioni di redazione, cene di amici, raduni di parenti e assemblee condominiali, a volte anche con i passanti; si è letta di notte i suoi libri meravigliosi ma densissimi, lottando eroicamente contro il sonno e contro Nora Ephron che ammiccava dallo scaffale; ha elogiato la coscienza, si è introdotta allo spirito della liturgia, ha sfoderato sant’Agostino per tenere testa al collega colto; ha vegliato e pregato in piazza san Pietro per far sentire tutto l’affetto possibile al vicario di Cristo martire mediatico, e poi, così, a un certo punto, di botto, stanca e piena di cicatrici ma con ancora la scimitarra tra i denti, in un giorno solo, si ritrova senza preavviso pericolosamente circondata da amici.
Ma come? Dove sono finiti quelli che dovevo convincere? Dove sono finiti quelli che insultavano il mite Papa dandogli del nazista, e la Chiesa retrograda e ricca (dir male della Chiesa si porta sempre)? Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu del torto, ma ti voglio bene lo stesso.
Adesso che è questo coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici (perché anche io come Groucho non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci una come me).
Insomma, che piccolo fastidio all’inizio il coro forse un po’ superficiale di consensi. E insieme che dispiacere scoprire di non provare lo stesso slancio per certi atteggiamenti e parole del Papa, che pure riconoscevo evangelici.
In questa mancata adesione mi sono trovata in compagnia di tanti cattolici, che pure stimo, e di cui condivido le idee. Il loro dissenso ha cominciato ad essere ampio, e anche sostanziale. Di fronte ai dubbi rispettosi e riservati mi si è stretto il cuore, di fronte a certe loro durezze contro il Papa, invece, ho provato un grande disagio soprattutto se ad esprimerle erano miei amici.
Nel tentativo di trovare il bandolo, proverei invece a capovolgere la questione, non solo perché il Catechismo dice che i fedeli devono aderire al successore di Pietro “col religioso ossequio dello spirito” credendo che lui è assistito da Dio, non solo perché un cattolico non si sceglie in cosa credere, si prende il pacchetto completo, ma perché trovo molto più interessante il punto di vista opposto, almeno sul piano spirituale (mentre mi dichiaro ampiamente priva di strumenti e inadeguata a valutare un pontificato dal punto di vista storico, che è probabilmente, legittimamente, l’aspetto che più interessa gli atei devoti e questo giornale).
Se alcune scelte del Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché. Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi. Quindi: che problema ho io?
È come quando ai miei figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro intima convinzione, perché la filippica che si beccherebbero li allontanerebbe dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.
Cosa ci dà fastidio, dunque, e perché? Il problema è il nostro?
Perché fatico a capire che quando il Papa dice che il bene è una relazione non sta affatto facendo concessioni al relativismo, ma mettendo l’accento sulla carità? Perché dimentico che quando un Papa dice che bisogna obbedire alla coscienza non parla di assecondare pensieri ed emozioni spontanei ma intende certo tendere una mano ai lontani, sapendo che per la nostra dottrina è la coscienza il luogo nel quale “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi”, (Catechismo della Chiesa Cattolica, niente di meno), e che la coscienza va sempre rettamente formata?
Io credo che a volte mi capiti di dimenticare tutte queste cose fondamentalmente perché una figura di Papa sacrale e lontana permette a noi “vicini” di sentirci un po’ migliori degli altri. A noi piace essere figli di Dio, certo. Significa che siamo di stirpe regale, e lo siamo davvero; ma non ci piace, invece, essere fratelli – siamo tutti figli, ma io un po’ più figlia degli altri – perché dei fratelli vediamo tutti i limiti, le meschinità, le scarpe sporche, la puzza, la goffaggine, l’inadeguatezza. Quello che vediamo ci dà fastidio perché ci ricorda esattamente come siamo noi, è come vedere noi stessi in uno specchio: dei tipi sgangherati. Creature. E creature in cui “il mistero dell’iniquità è in atto”.
Il fatto è che la fede nasce da un incontro, mentre il modo in cui tendiamo a intenderla è piuttosto una religiosità naturale che è segno della nostra immaturità, una religiosità che serve a confermarci e non a convertirci.
Ci sono delle persone che hanno fatto l’incontro che cambia davvero la vita, quello con Gesù Cristo. Loro oltre a sapersi figli amatissimi – sgangherati ma amatissimi – si scoprono anche fratelli, e il male degli altri piano piano cominciano a non vederlo più. È perché non risuona in loro. Non rispondono alle calunnie, non si accorgono degli sgomitamenti e delle cattiverie, sembrano quasi scemi. Ma non è così: è che stando vicino a Gesù, anche per poco, anche a tratti, si vedono tutte le proprie magagne, faticosamente mascherate in pubblico.
La fede è sostanzialmente diffidare di sé, aderire a Gesù Cristo, spegnere il nostro ego cialtrone, chiacchierone e millantatore, e anche la nostra bontà da quattro soldi. Fare spazio a Dio. Quando uno ha incontrato davvero Gesù diventa credibile, e il cristianesimo allora non è più una dottrina ma una somiglianza. È così, solo così che è possibile una vera evangelizzazione: per inseguimento. Lasciarci inseguire per la nostra bellezza, pienezza e ricchezza è esattamente il contrario del proselitismo. Quando i nostri mosci inviti a portare la gente a raduni parrocchiali cadono nel vuoto, è perché non siamo attraenti (quando, peggio, non facciamo da tappo: non lasciamo entrare, ma non lasciamo neanche uscire, come se Gesù fosse nostra proprietà, e la religione qualcosa per giudicare gli altri).
Come è potuto succedere che Gesù, uno che camminava per le strade persino prima del catechismo di san Pio X, convertendo con la sua autorevolezza e innamorando con la sua misericordia, sia stato trasformato in uno schema che giudica chi non ci rientra dentro?
È ovvio che sia necessario il Magistero, la Tradizione, cioè la trasmissione del deposito che attraverso i santi e i martiri ci è stato lasciato nei secoli, il Catechismo, il Papa: solo tutto questo ci conferma nella nostra fede e ci garantisce che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia, né una nostra proiezione. È anche chiaro che siamo in un momento storico in cui i cristiani sono da soli, chiamati a difendere, insieme a pochi uomini di buona volontà, l’idea stessa di uomo, maschio e femmina, la vita, soprattutto quando è più fragile, alcuni fondamentali dell’umanità tutta che per la prima volta da parecchi secoli sembrano messi in discussione. Perché poi ci sono anche sacerdoti che spendono la loro vita in confessionale, e che costretti a negare l’assoluzione, si sentono chiedere “ma come, non vi siete ancora aggiornati, col nuovo Papa?”, e devono fare un paziente, eroico lavoro per spiegare che la dottrina non è cambiata di una virgola, né pare in procinto di, visto che le regole che questa Chiesa retrograda insiste a proporre sono perché l’uomo viva.
Ma è altrettanto vero che un rapporto vivo e vero con Gesù ti scomoda in continuazione. È bellissimo, ma è una relazione, e l’unico equilibrio possibile è quello della bicicletta: ci si regge solo in movimento, mentre avere a che fare con delle regole rigide e rassicuranti è sicuramente più facile. Basta fare quello che fa la maggioranza dei cosiddetti credenti: mettiamo al posto di Dio il nostro superIo. In una sorta di sconfinamento nei confronti di Dio, lo mettiamo su quel tasto della nostra coscienza sul quale i genitori quando eravamo piccoli hanno posizionato le regole base, il senso di colpa e della punizione che servono a evitare che i bambini facciano troppi danni, a se stessi e agli altri. L’uomo è anarchico e disordinato, e il superIo che i genitori cercano di costruire serve a mettere ordine. Ma in un rapporto maturo con Dio la dinamica è tutta un’altra, si diventa figli, figli del re, si è davvero, davvero liberi, entra la misericordia e la creatività e lo Spirito Santo, senza la cui forza “nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”. Allora, pur da sgangherati, si diventa anche fecondi, padri e madri (non solo biologicamente): se non si è fecondi, come anche tanti credenti, si perde il contatto con la realtà, e la religione diventa un modo per alimentare e confermare le nostre stramberie o nevrosi o chiamiamole come vogliamo.
Signore abbi pietà di me, delle mie fisse. Signore, perdona me e perdona gli altri che sono proprio come me, questa è la preghiera di chi vuole diventare davvero figlio. Tutti i litigi e le polemiche, le riunioni e i convegni e i seminari inutili vengono dal non avere un rapporto personale e diretto con Dio, un rapporto che nasce dall’incontro con Cristo, molto più pericoloso e avvincente dell’incontro con i cattoliconi che tanto mi piacciono. L’amore di Cristo stringe e assedia da ogni parte. Da assediati si sta un po’ scomodi. Ma “occhio non vide né orecchio udì né mai salì in cuore d’uomo quello che Dio tiene preparato per quelli che lo amano”.
Io credo che il Papa voglia ricordarcelo in un modo potentissimo, e che se a volte qualche stonatura – anche lui è una creatura – ci va contropelo non sia poi così importante.
da Il Foglio
Carissima Costanza, grazie innanzitutto di questa riflessione così vera e umana e di quanto ti metti in gioco personalmente.
Direi che sei troppo buona con il titolista del Foglio, non vorrei farti l’esegesi di quello che hai scritto tu, ma a me sembra che nell’articolo dici l’esatto contrario di quello che il titolo (e ancor peggio il sottotitolo) lasciano intendere.
Purtroppo, come accuratamente dimostrato da Andreas Hofer in una serie di post mirabili su FB, il Foglio ha una sua precisa agenda in questo campo e forse l’errore a monte è stato quello di prestarsi a questo giuoco (toh, è lo stesso rimprovero che fanno quelli che accusano il Papa di aver prima scritto e poi concesso un’intervista a Scalfari… allora mi taccio).
Io credo che sia bellissimo essere spiazzati, credo che Gesù spiazzava continuamente i suoi contemporanei, credo che un Papa “di lotta e di governo”, cioè che sia contemporaneamente profeta e uomo di governo, sia proprio quello che ci vuole nella Chiesa e mi sembra molto interessante che i gesti e le parole di questo Papa se dal punto di vista della predicazione sono pieni di amore e tenerezza, dal punto di vista del governo sono invece forti e improntati ad una esigenza di moralizzazione. Tanto da indurmi il sospetto che chi lo critica per la sua predicazione lo fa perché è rimasto scottato dalle sue scelte di governo, ma non può dirlo apertamente.
Qui ci vuole un mazzo di fiori
https://ecomm.mfah.org/mfah/Documents/Heem%20-%20Glass%20Vase%20with%20Flowers.jpg
Diciamo che questo papa, come a suo tempo Gesù, ha svelato i pensieri nascosti di molti cuori
Se non ricordo male, il Catechismo dice che la coscienza (e non il Papa) è il primo vicario di Dio sulla terra.
Anche se alcune sue uscite mi hanno sorpreso e fatto, sulle prime, dubitare, mi sono poi convinto, seguendolo ed ascoltandolo, che con Francesco, che parla spesso del Demonio, l’ortodossia non è affatto in discussione (né poteva esserlo, come ci spiega Antonio Socci su Libero di domenica). Anzi.
A tutto c’è una spiegazione.
Lui sta davvero uscendo dalle sagrestie per andare alle periferie, in cerca dei lontani, e per riportare la Chiesa, come nei primi secoli, all’essenziale.
Dal primo momento della sua elezione ho pensato che ‘la fine del mondo’ dalla quale questo Papa dice di venire sia proprio, a ritroso, in senso temporale inverso, quella vera, che prepara la Parusìa.
Questa è la Guida che Gesù ha dato alla sua Chiesa.
Un motivo ci sarà …
Visto che è stato tirato in ballo nel post, mi permetto di citare una celebre frase dell’ultimo Pontefice finora canonizzato, San Pio X:”Quando si aprono le porte delle Chiese per far entrare chi sta fuori, bisogna preoccuparsi che non escano coloro che sono dentro”
Cara Costanza, non sempre sono d’accordo su tutto ciò’ che scrivi, ma questa volta hai dato voce a quello che penso su Papa Francesco. Penso che lo Spirito Santo , in questi anni, ci abbia mandato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e quindi Papa Francesco sapendo che era cosa buona. Non mi piacciono i distinguo, le prese di posizioni ma neanche le smancerie e i facili entusiasmi su Papa Francesco. Aspettiamo e disponiamo il nostro animo ad un amore filiale.
“Come è potuto succedere che Gesù, uno che camminava per le strade persino prima del catechismo di san Pio X, convertendo con la sua autorevolezza e innamorando con la sua misericordia, sia stato trasformato in uno schema che giudica chi non ci rientra dentro?” Condivido in pieno questa frase e l’articolo nel suo complesso e spero che sia illuminante per quelli che sottolineano molto spesso le “stonature” del Santo Padre.
Grandissima Costanza! francamente il titolo che ti hanno appioppato è infelice, ma l’articolo è meraviglioso, e per me può pure chiudere in bellezza una polemica che da troppo tempo si trascina, in particolare sul Foglio, che strategicamente e maliziosamente pubblica interventi non dico a senso unico ma poco ci manca….
Ed è così: ci sono migliaia di persone che vivono davvero semplicemente la fede ed il rapporto con Gesù, punto. Senza forse neanche sapere che nell’etere e sulla stampa si aggirano scritti di tale genere, e non perché siano snob o incolti, ma proprio perché hanno altro da fare, tipo lavorare, operare in parrocchia, curare la famiglia, i figli o i genitori anziani, confrontarsi con altre mamme fuori da scuola. Insomma portare l’incontro che hanno fatto con Cristo nei rapporti con le persone che vedono tutti i giorni. Pare che si chiami “vivere”…. e chi vive davvero non chiacchiera, non fa prendere aria alla bocca, non si compiace dei “like” su facebook. Chi vive e vive in rapporto con Cristo si lascia spiazzare dall’imprevisto, compreso questo Papa inaspettato, insolito e diverso ma complementare al precedente. Ama il papa perché c’è, ci è stato donato e che ci piaccia o meno è segno di Altro, chè in conclave mica ci siamo noi…
E poi come hai detto bene tu, ma cosa ci interessa davvero? generare figli o rimanere sempre tappati in casa nostra perché scomodarci un po’ ci infastidisce?……
Effettivamente l’operazione titolo è molto scorretta.
Giuli, Giusi, e…: E perché… Sposati e sii sottomessa… Sposala e muori per lei… Brrrrrr! 😉
Angela credo che tu abbia equivocato: mi riferivo al titolo del Foglio, non a quello del post (e anche Giuly)
😳
meraviglioso. Null’altro da dire. Del titolo non mi preoccuperei troppo, perché l’articolo è chiaro. Chiarissimo.
Io infilerei un rosario di grazie a Costanza per questo articolo!
Personalmente penso che non ci debba sfuggire questo:
“La fede è sostanzialmente diffidare di sé, aderire a Gesù Cristo, spegnere il nostro ego cialtrone, chiacchierone e millantatore, e anche la nostra bontà da quattro soldi. Fare spazio a Dio. Quando uno ha incontrato davvero Gesù diventa credibile, e il cristianesimo allora non è più una dottrina ma una somiglianza. È così, solo così che è possibile una vera evangelizzazione: per inseguimento. Lasciarci inseguire per la nostra bellezza, pienezza e ricchezza è esattamente il contrario del proselitismo. Quando i nostri mosci inviti a portare la gente a raduni parrocchiali cadono nel vuoto, è perché non siamo attraenti (quando, peggio, non facciamo da tappo: non lasciamo entrare, ma non lasciamo neanche uscire, come se Gesù fosse nostra proprietà, e la religione qualcosa per giudicare gli altri).”.
Ecco, papa Francesco è una di quelle persone che inseguiamo per la sua bellezza, pienezza e ricchezza, oltre che per la sua semplicità. E penso non sia un caso che tutti e quattro gli evangelisti riportano fatti dove “una gran folla lo seguiva”: Gesù era inseguito dalla folla, ed oggi papa Francesco è inseguito.
Non che gli altri papi non lo fossero, ma è lo stile che dobbiamo imparare, questo stile che forse permetterebbe una maggior partecipazione ai raduni parrocchiali perchè sarebbero più attraenti e più evangelicamente veri. Non bastano le fette di torta da convidere alla fine degli appuntamenti: dobbiamo cercare di condividere la vita, quella vera, quella piena di contraddizioni e di cadute, che tutti viviamo, credenti e non credenti, pensanti e non pensanti!
Ma i titolisti del Foglio c’hanno lo stesso virus di quelli Reppubblichini o è un vizio spalmato uniformemente in tutte le redazioni?
devono fare un po’ di casino, e soprattutto vendere!
E’ un vizio che affligge il giornalismo fin da quando hanno inventato i titoli (cioè circa un paio di secoli dopo l’invenzione dei giornali). Il titolista è un personaggio diverso dall’autore dell’articolo e “serve” interessi diversi.
Chesterton ha detto tutto quel che serve per capire di che si tratta, in uno dei racconti di Padre Brown (in italiano «La parrucca violacea» o «La parrucca viola»)
http://www.ccel.org/c/chesterton/wisdom/prplewig.html
letto stamane sul “foglio” la seconda lettera ai costanzini e ai mirianidi. condivido. resto ancora dubbioso , checché ne pensi don fabio, che questo innovativo – almenorispetto agli ultimi pontificati- metodo pastorale dia i risultati sperati ed attesi. me lo auguro per il bene della chiesa. ma ci credo poco.( tant’è che sulla saldezza della difesa della fede ,sempre nel “foglio” in un riquadro dell’articolo della sciùra Costanza, il tanto vituperato Muller-con la dieresi-ribadisce la dottrina di sempre sulla comunione ai divorziati rispondendo così anche a quelli che a Friburgo sembravano aver aperto le porte a qualcosa di innovativo.) in genere, i facili e subitanei entusiasmi si spengono rapidamente….
Cosa ne penso di Papa Francesco? Lo reputo un uomo senz’altro di buone intenzioni. Però, ahimé, se devo essere onesto fino in fondo (e naturalmente sono abituato a comportarmi così), devo ascrivermi al coro di chi rompe l’idillio del “sogno di Papa Francesco”. Mi spiego. Come dovrebbe reagire un giovane che ha combattuto ogni giorno della sua vita universitaria per preservare la propria fede, oppure un adolescente o un ragazzo che si trovi immerso in questo mondo innegabilmente cristofobico, quando legge una lettera su Repubblica dove trova scritto che il Santo Padre parla di verità come relazione? Oppure un’intervista dove si legge che il Papa crede in un Dio, ma non in un Dio cattolico? Mi son venute subito in mente le parole del filosofo Jean Guitton: “Mi dispiace per gli altri, ma Dio è cattolico”. Questo perché ce l’ha detto Lui stesso nel Vangelo: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde”: altro che verità come dialogo e relazione! E chi è che raccoglie con Lui, se non la Chiesa che Cristo ha fondato sulla roccia di Pietro? La Chiesa fondata da Gesù è quella cattolica, non quella ortodossa, nata dallo scisma del 1051, non quella valdese sorta nel 1184. Gesù ha detto a Pietro di confermare nella fede i suoi fratelli, non a Lutero nel 1517, non ai testimoni di Geova nel 1870, come neppure ai pentecostali nel 1901. Quindi le parole del Santo Padre al mio orecchio di povero organista liturgico, suonano quantomeno ambigue. Certamente ho letto grandi accademici e teologi che si sono “fatti in quattro” per cercare di spiegare quanto aveva detto il Papa secondo una continuità col magistero precedente… ma sarò sincero: mi son parse belle, solenni, intelligentissime ed encomiabili arrampicate sugli specchi. Un magistero che abbia bisogno di spiegazione ed interpretazione, mi dite che senso ha, quando il suo compito sarebbe appunto quello di delucidare con chiarezza la verità per il gregge del Signore? Oppure quando ho letto l’affermazione che “il proselitismo è una solenne sciocchezza”, ho pensato a Paolo Miki e compagni, a Francesco Saverio, a tutti i santi confessori e martiri della fede che hanno donato la propria vita per obbedire all’ordine del Cristo: “Ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Ad esempio, sto terminando di scrivere la mia tesi su un giovane gesuita missionario: Domenico Zipoli, nativo di Prato, dunque toscano come me. Questo giovane che, nato in condizioni di povertà, raggiunge finalmente la fama ed il successo come organista della Chiesa del Gesù a Roma e come compositore, dando alle stampe le sue Sonate d’Intavolatura, … ad un tratto stupisce tutti (compresi noi oggi): dà il suo addio al mondo, si fa gesuita e va in Paraguay come missionario, per donare la sua vita, la sua arte e la sua testimonianza genuina di fede e di dilezione umana agli indios, i quali tutt’ora ne conservano un grato ricordo e continuano a suonare le musiche che quel giovane, morto proprio alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, aveva composto per loro e addirittura assieme a loro, divenuti ottimi musicisti. Mi chiedo cosa potrebbe mai pensare Domenico, se udisse dire che “il proselitismo è una solenne sciocchezza”. Direbbe: a che scopo allora, ho lasciato tutto e sono andato a servire il Cristo nei miei fratelli con la pelle di un altro colore, in America Latina? Questo turbamento non è soltanto mio: conosco (sia personalmente sia per via telematica) una quantità enorme e preoccupante di giovani turbati, molti dei quali, se fino a ieri stavano valutando la possibilità di offrire a Cristo la propria vita nella consacrazione sacerdotale, oggi non ne sono affatto sicuri e, anzi, sarebbero pronti a fermare le mani di qualunque vescovo volesse posarle loro sulla testa per imprimere il sigillo dell’ordinazione. Cosa ne penso del Santo Padre Francesco? Che, pur riconoscendo in lui il Sommo Pontefice verso il quale va tutta la mia dilezione, mi lascia enormemente turbato e perplesso, nella mia fede di semplice ed umile organista di chiesa.
@ Alessio Crivelli
1) la frase sul Dio cattolico, già messa in circolo dal cardinal Martini, è una espressione infelicissima (una di quelle che chiamo “affermazioni-pastrocchio” che il Papa dovrebbe evitare per non disorientare fedeli e non), ma sarebbe uno sproposito interpretativo intendere che con questa sortita il Papa affermi che non crede in Dio come Dio è presentato dal Catechismo della Chiesa Cattolica
2) verità come relazione? E’ così, la verità è sia assoluta sia relazionale. Basta intendere i termini in gioco. Ti consiglio di leggere qui, per un primo orientamento al riguardo:
http://www.vitanuovatrieste.it/papa-francesco-specifica-il-senso-di-verita-assoluta/
3) proselitismo. Ha ragione il Papa: no al proselitismo, sì alla missione. Ti consiglio di vedere qua:
http://blog.messainlatino.it/2013/10/a-proposito-di-proselitismo.html
In genere, per un approccio corretto alle affermazioni del Papa che suscitano legittime perplessità (penso soprattutto a quelle riguardanti il seguire la propria coscienza, il bene e il male, la verità assoluta), conviene tener presenti queste considerazioni:
“Noi cattolici sappiamo che i discorsi, formali o informali, di un Papa non possono che avere di per sé un significato e un senso di autentico “magistero”, ossia di autorevole testimonianza resa alla verità rivelata, che la Chiesa ha il dovere di custodire e annunciare in ogni epoca e a ogni persona…
Ma, a proposito di interpretazioni, perché la lettera di papa Francesco ha potuto essere interpretata male? Perché le sue parole sulla verità hanno potuto essere usate come adesione al relativismo? La risposta sta nel fatto che un testo come quello, o anche altri suoi discorsi occasionali, sono ben diversi dai documenti del Magistero, che vengono elaborati individualmente o collegialmente in vista di un insegnamento che impegni l’infallibilità; non hanno cioè quelle caratteristiche formali (di struttura sintattica e di riferimenti espliciti alle premesse teoretiche e alle fonti documentarie) che rendono in una qualche misura evidente il significato del testo e il senso del contesto.”
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-chi-manipola-le-parole-del-papae-perche-7308.htm
Considera inoltre che interviste e lettere come quelle a Scalfari non sono atti magisteriali, ma rientrano tra le “iniziative di carattere pastorale, con un significato sostanzialmente apologetico, ossia di difesa della razionalità del cristianesimo e quindi della possibilità che anche i cosiddetti atei o miscredenti possano arrivate a riconoscere la fondatezza dei motivi di credibilità della fede cristiana.”
La valutazione dell’opportunità di iniziative di questo tipo e delle loro individue modalità esecutive è affidata a quella che la teologia cattolica denomina “giudizi prudenziali”: “tutta la prassi pastorale della Chiesa, a ogni livello, è governata da questo genere di criteri operativi, da questo tipo di scelte. Possono esserci tante scelte diverse, tutte ugualmente buone e meritorie perché animate dalla medesima intenzione di applicare con intelligente fedeltà la verità rivelata (il Vangelo), che di per sé è assoluta, alle situazioni concrete nelle quali ci si trova a operare e che sono logicamente relative ai tempi e ai luoghi, nonché alle risorse umane delle quali si dispone in quel momento… Trattandosi di scelte dettate da valutazioni di tipo prudenziale (funzione della recta ratio agibilium), ogni iniziativa che nella forma e nella sostanza risulti compatibile con il dogma e la morale della Chiesa può essere adottata legittimamente, e chi opera queste scelte pastorali va rispettato dagli altri fedeli, liberi a loro volta di pensarla in modo diverso sull’opportunità di tali scelte.
Il disaccordo è legittimo, ma deve essere espresso con toni rispettosi, senza attentare all’unità nella fede e senza dogmatizzare quello che, appunto, è opinabile. Viene a proposito il saggio principio patristico: «In necessariis unitas; in dubiis libertas; in ommnibus caritas». E questo criterio, che è l’unico che si possa dire davvero cattolico, vale tanto per le opinioni teologiche quanto per le scelte pastorali (come sono quelle dei papi che ritengono opportuno scrivere a dei giornali di orientamento laicista). Se quelle sono mere ipotesi di interpretazione del dogma, queste sono ipotetiche (possibili) applicazioni pratiche dello spirito evangelico”
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-le-lettere-ai-giornalinon-sono-magistero-7368.htm
scusa Alessio, mi accorgo adesso di averti cambiato il cognome… 🙂
Cervello crivellato! Ti piacciono i polizieschi? 😀
😉
Ma lo scisma con gli ortodossi non era del 1054?
Sssssì http://commons.cathopedia.org/w/images/commons/6/67/Great_Schism_1054_with_former_borders.png
Una parentesi sulla Verità: qualche giorno fa ho seguito una catechesi di don Fabio Rosini proprio su questo tema. Spero che la mia sintesi renda l’idea e possa servire. La premessa è che Gesù ha un idea di verità diversa dalla nostra. Per noi la verità coincide con l’esattezza oppure con la sincerità. Questi sono aspetti che servono alla verità ma non la completano, in quanto contestabili e insufficienti; anche perché, ad esempio, troppa esattezza ci paralizzerebbe e perché si può essere sinceramente in errore. La verità per Gesù è collegata alla fedeltà, va riconosciuta non conosciuta, è qualcosa che agisce dentro di me. In Gv 18,37 nel discorso con Pilato, Gesù dice “per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” e compie questa testimonianza morendo in croce per noi, testimoniando la Verità che Dio è amore. Per questo la Verità è relazione tra me e Dio, l’amore che Dio ha per me al quale rispondo. Per questo non può essere assoluta, sia perché la mia relazione con Dio non può essere totalmente uguale a quella di un altro, sia perché è una relazione dinamica che si modifica e mi modifica in continuazione.
1) che la verità sia assoluta è affermazione inoppugnabile del Magistero. Si veda almeno:
«L’amore – «caritas» – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta». (Benedetto XVI, “Caritas in veritate”, n. 1)
«[ci si chiede] se sia possibile o meno raggiungere una verità universale e assoluta. Di per sé, ogni verità anche parziale, se è realmente verità, si presenta come universale. Ciò che è vero, deve essere vero per tutti e per sempre. Oltre a questa universalità, tuttavia, l’uomo cerca un assoluto che sia capace di dare risposta e senso a tutta la sua ricerca: qualcosa di ultimo, che si ponga come fondamento di ogni cosa. In altre parole, egli cerca una spiegazione definitiva, un valore supremo, oltre il quale non vi siano né vi possano essere interrogativi o rimandi ulteriori. Le ipotesi possono affascinare, ma non soddisfano. Viene per tutti il momento in cui, lo si ammetta o no, si ha bisogno di ancorare la propria esistenza ad una verità riconosciuta come definitiva, che dia certezza non più sottoposta al dubbio». (Giovanni Paolo II, “Fides et ratio”, n. 27)
Si veda anche il resto della Fides et Ratio (non posso qui citare per esteso), almeno il n. 33:
“Si può così vedere che i termini del problema vanno progressivamente completandosi. L’uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo alla conquista di verità parziali, fattuali o scientifiche; egli non cerca soltanto il vero bene per ognuna delle sue decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulteriore che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può trovare esito se non nell’assoluto. Grazie alle capacità insite nel pensiero, l’uomo è in grado di incontrare e riconoscere una simile verità. In quanto vitale ed essenziale per la sua esistenza, tale verità viene raggiunta non solo per via razionale, ma anche mediante l’abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la certezza e l’autenticità della verità stessa. La capacità e la scelta di affidare se stessi e la propria vita a un’altra persona costituiscono certamente uno degli atti antropologicamente più significativi ed espressivi”.
«Nella profondità del suo cuore permane sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza della sua conoscenza» (Giovanni Paolo II, “Veritatis splendor”, n. 1)
«Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta». (Concilio Vaticano II, “Gaudium et spes”, n. 19)
“Non rare volte si propone di evitare in teologia termini come « unicità », « universalità », «assolutezza», il cui uso darebbe l’impressione di enfasi eccessiva circa il significato e il valore dell’evento salvifico di Gesù Cristo nei confronti delle altre religioni. In realtà, questo linguaggio esprime semplicemente la fedeltà al dato rivelato, dal momento che costituisce uno sviluppo delle fonti stesse della fede. Fin dall’inizio, infatti, la comunità dei credenti ha riconosciuto a Gesù una valenza salvifica tale, che Lui solo, quale Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, per missione ricevuta dal Padre e nella potenza dello Spirito Santo, ha lo scopo di donare la rivelazione (cf. Mt 11,27) e la vita divina (cf. Gv 1,12; 5,25-26; 17,2) all’umanità intera e a ciascun uomo.
In questo senso si può e si deve dire che Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto.” (Congregazione Dottrina Fede, Dominus Iesus, 15)
2) il nesso biblico tra verità e fedeltà non inficia l’assolutezza della verità, tant’è che un indubbio assertore dell’assolutezza della verità come Joseph Ratzinger ha scritto nella Lumen Fidei, promulgata da Francesco:
“La conoscenza della fede, per il fatto di nascere dall’amore di Dio che stabilisce l’Alleanza, è conoscenza che illumina un cammino nella storia. È per questo, inoltre, che, nella Bibbia, verità e fedeltà vanno insieme: il Dio vero è il Dio fedele, Colui che mantiene le sue promesse e permette, nel tempo, di comprendere il suo disegno. Attraverso l’esperienza dei profeti, nel dolore dell’esilio e nella speranza di un ritorno definitivo alla città santa, Israele ha intuito che questa verità di Dio si estendeva oltre la propria storia, per abbracciare la storia intera del mondo, a cominciare dalla creazione.” (n. 28)
“Se non crederete, non comprenderete (cfr Is 7,9). La versione greca della Bibbia ebraica, la traduzione dei Settanta realizzata in Alessandria d’Egitto, traduceva così le parole del profeta Isaia al re Acaz. In questo modo la questione della conoscenza della verità veniva messa al centro della fede. Nel testo ebraico, tuttavia, leggiamo diversamente. In esso il profeta dice al re: “Se non crederete, non resterete saldi”. C’è qui un gioco di parole con due forme del verbo ’amàn: “crederete” (ta’aminu), e “resterete saldi” (te’amenu). Impaurito dalla potenza dei suoi nemici, il re cerca la sicurezza che gli può dare un’alleanza con il grande impero di Assiria. Il profeta, allora, lo invita ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, il Dio di Israele. Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza sulla sua Parola. È questo il Dio che Isaia più avanti chiamerà, per due volte, “il Dio-Amen” (cfr Is 65,16), fondamento incrollabile di fedeltà all’alleanza. Si potrebbe pensare che la versione greca della Bibbia, nel tradurre “essere saldo” con “comprendere”, abbia operato un cambiamento profondo del testo, passando dalla nozione biblica di affidamento a Dio a quella greca della comprensione. Tuttavia, questa traduzione, che accettava certamente il dialogo con la cultura ellenistica, non è estranea alla dinamica profonda del testo ebraico. La saldezza che Isaia promette al re passa, infatti, per la comprensione dell’agire di Dio e dell’unità che Egli dà alla vita dell’uomo e alla storia del popolo. Il profeta esorta a comprendere le vie del Signore, trovando nella fedeltà di Dio il piano di saggezza che governa i secoli. Sant’Agostino ha espresso la sintesi del “comprendere” e dell’”essere saldo” nelle sue Confessioni, quando parla della verità, cui ci si può affidare per poter restare in piedi: « Sarò saldo e mi consoliderò in te, […] nella tua verità ». Dal contesto sappiamo che sant’Agostino vuole mostrare il modo in cui questa verità affidabile di Dio è, come emerge nella Bibbia, la sua presenza fedele lungo la storia, la sua capacità di tenere insieme i tempi, raccogliendo la dispersione dei giorni dell’uomo” (n. 23).
Scusate come temevo non sono riuscita a trasmettere la profondità e l’ampiezza della catechesi di cui parlavo (per inciso gli ultimi commenti erano miei). Non avevo intenzione di negare il Magistero, volevo solo approfondire l’altra prospettiva di cui parlava Papa Francesco, perché personalmente ho capito meglio le sue parole solo alla luce di questo chiarimento, ma magari altri già lo sapevano. Il mio “per questo” equivaleva a “in questo senso”, cioè date le premesse (verità non come acquisizione o corrispondenza ai dati, non come conoscenza, ma come qualcosa di operoso che agendo non può essere determinata una volta per tutte). La fedeltà non era collegata all’assolutezza, anche perché non si riferiva alla fedeltà di Dio verso di noi – elemento sottinteso nella rivelazione di Dio come Amore – ma alla fedeltà nostra nei confronti di Dio, in particolare alla Parola che Dio ha messo dentro di noi (essendo la nostra fedeltà non può essere assoluta, perché noi siamo limitati). Al di là delle mie scarse conoscenze teologiche e delle mie incapacità comunicative, ci tengo però a ricordare che “il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazaret” (Romano Guardini).
Stefyb, purtroppo nel breve spazio dei commenti è difficile affrontare questioni complesse, e c`è il rischio anche di non capirsi. Se ben intendo, proponi spunti per una critica a una visione intellettualistica della verità, che svilirebbe la specificità dell`avvenimento cristiano. Io direi , in estrema e rozza sintesi, che la verità cristiana coinvolge per intero l`uomo, e quindi anche l`intelletto ma non solo quello. Se invece qualcuno – non tu – auspicasse una espulsione dell’intelletto e delle sue leggi per purificare la propria fede cristiana, allora sappia che questa operazione condurrebbe a uno svuotamento della fede, ridotta ad assurdo fideismo. Per quanto riguarda la teoria della Verità, se Guardini vuole dire che il cristianesimo non è in primo luogo una elaborazione intellettuale, ciò è fuor di dubbio. Ma anche qui occorre ricordare che senza un impegnativo sforzo di elaborazione intellettuale non potrebbe esistere nemmeno, ad esempio, il dogma trinitario, e la teologia non sarebbe mai nata. Se invece per teoria della verità siintende gnoseologia, allora occorre precisare che il cristianesimo non è una teoria della verità in questo senso, ma che una buona gnoseologia è necessaria al cristianesimo, tant`è che il Magistero s`è molto impegnato a precisare quale gnoseologia sia compatibile con la fede nel dato rivelato.
Perdincibacco!!!
No,no non era una critica a una visione intellettualistica della verità o uno svilimento dell’intelletto umano, bensì semplice constatazione che l’uomo ragiona diversamente da Dio, perché Dio ha dei parametri diversi dai nostri. La riflessione alla quale mi riferivo si muoveva in un’ottica di cammino spirituale, che non nega quanto detto o approvato dal Magistero ma lo dà in un certo senso per assunto, con lo scopo di fornire strumenti per mettere in pratica la Parola nella vita quotidiana. Cercare di comprendere, per quanto ci è possibile, l’ottica di Dio, aiuta a capire meglio quello che ci ha detto per lavorarci a livello personale. La verità è che Dio è amore e Gesù ne è lo strumento e il testimone, essere cristiani però non vuol dire sapere questo ma viverlo, attraverso la relazione di amore con Gesù, questo è anche il senso della citazione di Guardini. Non significa che le teorie, i precetti, i dogmi, ecc. sono inutili piuttosto che essi sono funzionali al rapporto intimo tra Dio e l’uomo.
Stefyb:
…pensaci bene rifletti, confronta, riesamina, non ti sembra un discorso, che fai, pre-costituito, fatto di concetti pezzetti adoprati e riadoprati più volte, come del resto lo sono tutti i discorsi di tutti i generi?
L’unica cosa che salverei, di quelle che dici, lasciandola (perché non posso saperne nulla) alla (tua?) (vostra?)esperienza interiore, incomunicabile (nonostante la pretesa di testimoniarele, da parte vostra, queste esperienze, quando invece possono solo essere dichiarate che siano) è il sentimento (che io non conosco) della relazione, tu dici, di amore con Gesù.
Beh, ma anche no! Chiedo scusa perché ho sbagliato ad aprire questa parentesi, in quanto si tratta di concetti complessi e profondi che non è possibile spiegare nello spazio di un commento e che presuppongono anche una serie di concetti sia teorici sia esperienziali. Tuttavia, no, non ho fatto un discorso rattoppato o precostituito, perché ho parlato di cose che ho meditato – meditato nel senso di ascoltato, riflettuto, pregato sopra e riesaminato per vedere quali punti del mio vissuto quotidiano devono variare in base a questo. Incomunicabile? Non so, se le esperienze interiori non fossero comunicabili per nulla allora il dialogo tra le persone sarebbe ridotto a mera comunicazione di dati; poi è chiaro che quello che arriva non è esattamente quello che ho vissuto. Del resto il cristianesimo si fonda sulla testimonianza, se stiamo qui a parlare di queste cose è perché, un po’ di tempo fa, delle persone si sono fidate di altre persone che avevano conosciuto un uomo un po’ speciale … Non volevo però dare l’idea che il cristianesimo sia sentimentalismo, se è questo che hai capito allora dimentica tutto quello che ho scritto, comunque non l’ho detto io che Dio è amore.
Eccellente. Grazie
veramente interessante, il titolista intendo. Perché non gli affidi anche i tuoi libri? Uscirebbe qualcosa tipo “Sposalo, ma niente piedi in testa (a meno che non usi le pattine)”, “Sposala, vedi Napoli, e poi muori”, “Scansate y damme la Visa”. Sai che vendite!
ecco, la testimonianza di Alessio Cervelli è la dimostrazione che, forse, qualcosina, nella comunicazione di Papa Francesco, non funziona come si auspicherebbe….
… o che qualcuno non “recepisce” come dovrebbe. 😉
Mario: smack! 😀
@ bariom
potrà anche non recepire come si dovrebbe. ma in qualsivoglia scuola di giornalismo o corso di scrittura- e come insegnava uno che della chiarezza e brevità ne fece un caposaldo del suo modo di scrivere,Montanelli-al di là dei contenuti dei suoi scritti- ti spiegano che se nascono fraintendimenti è lo scrivente-o chi parla, in questo caso- che non si è fatto capire.non chi non ha capito o equivocato.
adesso va bene essere più papisti del papa stesso. ma il voler sostenere che parte di quel che è stato detto, per come l’ha detto,e sottolineo il come l’ha detto,non si presti a interpretazioni varie e disparate quando non contrarie alla fede-cosa che ,ovviamente, non credo sia e ripeto, non credo sia- non è nemmeno fuori dalla realtà. è ridicolo.
e la dimostrazione sono tutte le polemiche-vedi l’ultima dell’arcivescovo-mica pizza e fichi-Chaput di philadelfia ed altri sui famosi principi-che poi son dogmi di fede- non negoziabili che continua sui media di tutto il mondo.
poi, per carità, sarem noialtri a non capire un tubo. si vede che non sono in grado di capire quel che dice per come lo dice.o che ,quantomeno, mi sorge il dubbio che possa essere mal interpretato.
ma negare che il problema esiste e che- come usava dire un tempo- è a monte vuol dire solo cantarsela e suonarsela.
Vale, il mio smack è per te! Se “qualcuno non “recepisce” come dovrebbe”, o qualcuno è stupido o è in malafede o le cose non sono affatto chiare! Credo che molti di noi non siano né stupidi né in malafede!
@Vale… e Sara, mi pare escludiate troppo semplicemente, anzi per nulla semplicemente visto quanto argomentate, il punto di vista (che è semplicemente un altro punto di vista…) che ho proposto, secondo cui si può “mal recepire”…
Anzi se “mal si recepisce” la colpa (come si insegna in qualsivoglia scuola di giornalismo… peccato il papa non sia un emulo del “buon” Montalelli) è ipso facto di chi propone il messaggio.
Io rimango della mia (più papista del papa) peregrina opinione, così “me la canto e me la suono” in buona compagnia ,-)
Uno SMACK a entrambi.
guarda che non era una contestazione ad personam.
da quel che scrivi si capisce che non v’era nessun intento accusatorio( faccina inclusa).
gli è solo che questa storia per cui se uno dice qualcosa, quand’anche fosse il papa, e vi è qualcuno che non capisce sembrerebbe sempre colpa di chi non capisce.
talvolta capita che è chi si spiega, che non si spiega.talvolta. o il più delle volte.( e l’essere Vescovo di Roma non ne fa un esperto di comunicazione).e questo mi sembra uno dei casi.
a parte che capisco benissimo e che, come ho già scritto, non contesto il merito ma il metodo comunicativo e pastorale. sul pastorale ,visto che ha scelto-gesuiticamente- di adattarsi al modo di comunicare del mondo in cui vive per portare il vangelo spero,come già detto, abbia ragione. ho i mie dubbi sul fatto che funzioni.così come non sembra aver funzionato in sudamerica dove dilagano le sette protestanti,pentecostali e luterane ecc.
dal punto di vista comunicativo sembrerebbe riscuotere un certo successo. almeno sui media. nella realtà vorrei vederci un po’ meglio.
spero di sbagliarmi anche in questo.
la storia- vedere Pio IX all’inizio osannato dai risorgimentali di tutt’europa ed in special modo italiani- e poi definito dal Garibaldi un metro cubo di letame( e taccio il resto della comunicato dell’11 ottobre 1869 all’anticoncilio di napoli) racconta di come finiscano presto certi fuochi di paglia.
spero,perlappunto, di sbagliarmi.
e spero tu abbia ragione. so solo che la perplessita non è solo mia ma anche di vescovi, cardinali ,sacerdoti e semplici fedeli od anche solo atei devoti di varie parti del mondo. 🙂
uno smack anche a te.
Certo, è secondario se il Papa (a cui sono convintamente fedele, indipendentemente da chi sia) a volte appare stonato (ferma restando ovviamente l’ortodossia che è la priorità), anche se questo vale solo per chi è, per grazia, già saldo nella fede: per chi non lo fosse,invece, le stonature potrebbero fuorviare. Tuttavia non mi rivedo in questa definizione:
“Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu del torto, ma ti voglio bene lo stesso. Adesso che è questo coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici”
Per me non era affatto rassicurante il mondo diviso in due: piuttosto, l’ho sempre trovato allarmante, direi. Quello che trovavo rassicurante, semmai, era che, nell’allarme rosso che sentivo suonare per il pericolo della divisione tra vicini e lontani, potevamo rimanere tuttavia sereni e tranquilli perché la nostra guida era salda e testimoniava la verità anche a costo di quel martirio mediatico di cui parla Costanza. In quel modo la verità era chiara ed inequivocabile per tutti: nessuna possibilità di dire “non sapevo” né per i cattolici né per i non cattolici (per i quali, fra l’altro, lo sguardo tenero ed amorevole del Papa non mancava mai neanche prima). E nessuna possibilità di fraintendimenti o ambiguità. L’aria che si respirava era pura; ora, invece, trovo che la confusione sia aumentata, intorbidando anche le convinzioni di alcuni cattolici. Sì, forse è un nostro problema se rimaniamo basiti, ma è un fatto oggettivo che prima basiti non rimanevamo affatto e che prima d’ora non c’è mai stato bisogno di cercare di spiegare le parole del Papa: di difenderlo, sì, ovviamente dagli attacchi maligni, ma di interpretarlo no! E certi dibattiti non sarebbero mai sorti.
Va be’, a ripetersi si diventa noiosi, quindi mi taccio.
La vicenda della comunione ai divorziati risposati è emblematica.
Nella nota intervista a Civiltà cattolica, Francesco afferma: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”
Sull’aereo che lo riportava dal Brasile disse: “Con riferimento al problema della Comunione alle persone in seconda unione, perché i divorziati possono fare la Comunione, non c’è problema, ma quando sono in seconda unione, non possono. Io credo che questo sia necessario guardarlo nella totalità della pastorale matrimoniale. E per questo è un problema. Ma anche – una parentesi – gli Ortodossi hanno una prassi differente. Loro seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità, lo permettono. Ma credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale. E per questo, due cose; primo: uno dei temi da consultare con questi otto del Consiglio dei cardinali, con i quali ci riuniremo l’1, il 2 e il 3 ottobre, è come andare avanti nella pastorale matrimoniale, e questo problema uscirà lì. E, una seconda cosa: è stato con me, quindici giorni fa, il segretario del Sinodo dei Vescovi, per il tema del prossimo Sinodo. Era un tema antropologico, ma parlando e riparlando, andando e tornando, abbiamo visto questo tema antropologico: la fede come aiuta la pianificazione della persona, ma nella famiglia, e andare quindi sulla pastorale matrimoniale. Siamo in cammino per una pastorale matrimoniale un po’ profonda. E questo è un problema di tutti, perché ci sono tanti, no? Per esempio, ne dico uno soltanto: il cardinale Quarracino, il mio predecessore, diceva che per lui la metà dei matrimoni sono nulli. Ma diceva così, perché? Perché si sposano senza maturità, si sposano senza accorgersi che è per tutta la vita, o si sposano perché socialmente si devono sposare. E in questo entra anche la pastorale matrimoniale. E anche il problema giudiziale della nullità dei matrimoni, quello si deve rivedere, perché i Tribunali ecclesiastici non bastano per questo. E’ complesso, il problema della pastorale matrimoniale”
Ora, non c’è da incolpare i mezzi d’informazione se, dopo parole del genere pronunciate nientemeno che dal Papa, molti credenti (preti inclusi) abbiano avuto la sensazione che sia imminente un cambio di rotta della Chiesa, che Francesco abbia in animo di accordare la possibilità di accostarsi alla comunione eucaristica ai divorziati risposati. Ed è incominciata a diffondersi un’insana aspettativa febbrile (alimentata dalla concomitante indizione del Sinodo sulla pastorale familiare) e una crescente confusione sul valore del divieto stabilito dalla Chiesa: vale ancora? Sta per cadere? E nel frattempo, come regolarsi?
In questa clima caotico, che più di un prete mi ha testimoniato, qualche fedele divorziato e risposato ha incominciato a “fare da sé” (“tanto tra poco, viste le premesse, il Papa mi darà ragione”), con la compiacenza di qualche sacerdote convinto di anticipare ciò che il Papa avrebbe deciso di qui a breve.
Questa situazione penosa si sarebbe evitata se Francesco non avesse fatto dichiarazioni che oggettivamente non sono affatto limpide e inequivoche nel presentare l’insegnamento della Chiesa al riguardo.
Che la situazione sia penosa conferma il fatto che nientemeno che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sia dovuto intervenire sull’Osservatore Romano con un lungo e dettagliato articolo per precisare che nulla è cambiato e nulla può cambiare, che i divorziati risposati non possono e non potranno accedere alla comunione eucaristica.
Se Papa Bergoglio avesse adoperato parole più controllate, evitando di concorrere oggettivamente a generare la penosa situazione di cui ho detto, non ci sarebbe stata alcuna necessità che il Prefetto ribadisse cose già arcinote, e che lo facesse con una acribia giustificata solo dalla delicatezza della situazione venutasi a creare.
Addirittura, il Prefetto, per “rintuzzare” ogni fraintendimento che potesse scaturire dall’incauto e generico riferimento di Bergoglio alla prassi della Chiesa ortodosse, s’è visto costretto a precisare che “oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla ‘oikonomìa’, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. […] Talvolta si sostiene che la Chiesa [cattolica] abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero”.
Allora, tra tutti questi “sbaciucchiamenti” io lo SMACK lo dò ad Alessandro! 🙂
🙂
… o che qualcuno non ha recepito ciò che il Papa ha già esplicitamente spiegato: “Preferisco una Chiesa incidentata che una Chiesa ammalata”. Incidentata perché se si esce dal recinto (si apre il garage, si prende la macchina), qualche tamponamento può capitare. Però intanto si esce, verso le pecorelle smarrite.
Si apre il garage, si prende la macchina ma poi bisogna mettere le cinture, rispettare il codice della strada, essere sobri, guidare con prudenza, rispettare i limiti di velocità, altrimenti qualche pecorella smarrita ci può pure rimanere stecchita!
Giusi, sei grande!
Grazie! Ottimo articolo. Anzi, un sollievo.
Grazie Costanza, sono sempre più convinta che lo Spirito Santo ti sia molto vicino (per nostra fortuna). Per quel che riguarda il Papa, vorrei segnalare che lui ci suggerisce sempre come aiutarlo a non “stonare” troppo; ci chiede sempre di pregare per lui e quello dovremmo fare anziché stare a guardare se inciampa.
Condivido Costanza. E’ vero di fronte al figliol prodico la prima reazione è sentirci un po’ come i figli maggiori, che vorremmo partecipare al giudizio del Padre (sicuramente più stringente e pesato), invece che accogliere gioiosamente prima di tutto! Poi viene l’aiutare a far chiarezza.
Bell’articolo, ma il titolo è penoso… (e posso immaginare che non sia stato dato da Costanza)
Costanza, sto post mi ispira molto e non voglio profanarlo leggendolo in fretta, quindi me lo stampo e torno! W il Papa!!!!
Bellissimo, chiaro e limpido! A quando la possibilità di condividere anche con Google +?
Bellissimo, illuminante articolo. Grazie. Mi rispecchia la descrizione del profilo psicologico della cristiana che combatte e
si sentiva sicura fra i fratelli nella fede o oggi si ritrova in compagnia di “atei devoti”, fans di Francesco, ad un delirio di popolo che vuole abbracciare il Papa e forse non sente la voglia di abbracciare Gesù. Però nell’intimo del cuore sò che lo Spirito Santo mi manda il Papa giusto al momento giusto, e in questo momento la mia amata Chiesa aveva bisogna piu’ che di sagge e colte discussioni ,di ABBRACCI!!!! La fisicità di Francesco è quanto di piu’ bello potesse mandarci il Creatore pe dirci : il Papa ti abbraccia come il Padre Celeste…..si fà sorriso di Dio, braccia di Dio…
Grazie, anch’io son rimasta molto dispiaciuta per tanti discorsi “esagerati” dell’ultimo periodo contro il Papa… Anch’io, lo ammetto, all’inizio ero rimasta un po’ spiazzata per alcuni “cambiamenti”… Però il Papa è il Papa, gli voglio bene
concordo con Alessio Crivelli, qualche problema c’é anche se per i cattolici é difficile ammetterlo. Forse perchè abbiamo bisogno di credere che la barca di Pietro é guidata da un santo timoniere. Ma non é detto che sia così , non é detto che il Papa sia sempre un dono, talvolta diceva san Vincenzo di Lerins é donato , talvolta tollerato, talvolta inflitto. É successo nella storia della Chiesa e per il passato non abbiamo paura a riconoscerlo. Ora stiamo cercando di rassicurarci a vicenda, mentre in realtà sono in molti ad essere disorientati. Le lunghissime spiegazioni e difese dei discorsi del Papa da parte dei vari Introvigne, Socci, davanti ai cattolici, sono il sintomo che qualcosa non va. Staremo a vedere, intanto cerchiamo di non negare la realtà sia pure mantenendo un atteggiamento prudente e rispettoso.
Alessio CERVELLI (scusa Alessio, il cognome fasullo che t’ho involontariamnete appioppato sta riscuotendo successo 😉
Una parola sola: WOW!
Abbiate ancora pazienza! Se io fossi cattolico d.o.c.g. (come Alessandro, per esempio) (aldilà delle simpatie per l’uno o per l’altro) considerei ogni Papa come equivalente sostanzialmente ad un altro e tutt’uno con tutti i papi nei secoli nella continuità della dottrina, del magistero eccetra, ieri oggi e domani… Cosa altro stare a questionare?
(del resto anche lo stesso Alessandro non ha solo detto che questo Papa è solo un po’ pasticcione, alle volte?)
Sono nuova in questo blog, ma trovo bellissimo questo articolo sul papa!E’ l’uomo giusto al momento giusto, abbiamo tanto bisogno di riscoprire un Dio vicino, che come un infermiere, ci cura con le sue mani.
Questo post e relativi commenti mi hanno dato molto da meditare oggi… io insegno e talvolta mi è sembrato di rivedere qualcuno dei miei alunni bravissimi che si arrabbiano perché hanno studiato tanto e preso 8 come il loro compagno che in genere studia di meno… Ma che ci importa se siamo di più o di meno? Che ci importa se le “folle” intorno al papa sono composte da persone autenticamente credenti o da poco più che curiosi che però hanno un’occasione per conoscere il Signore? (Quando sono stata alla mia prima GMG con il Papa Giovanni Paolo II, eravamo una folla oceanica di giovani e molti –tra cui me- non erano propriamente credenti ferventi ma quella almeno per me è stata la “svolta”…!)
La parabola del figliol prodigo che qualcuno ha citato è emblematica: il padre accoglie con gioia (talmente tanta gioia da ammazzare il vitello grasso) il figlio che, dopo essersi perso, si è accorto della sua miseria, si è pentito e si è umiliato a tornare da lui come mendicante. Il padre non è ha ammazzato il vitello grasso mentre lui viveva nel peccato, no! Lo ha accolto e amato più di prima solo DOPO il suo pentimento e la sua umiliazione. Forse è proprio in questa chiave che dobbiamo vedere l’operato di Papa Francesco: vuole accogliere, amare senza giudicare, chi vive nel peccato ma ha un profondo conflitto interiore e ricordargli che Dio lo ama e lo perdona, se lui ha la forza di pentirsi e di umiliarsi. Scoprire che Dio ci ama così come siamo, anche nella nostra miseria, questo è secondo me il fulmine a ciel sereno che ci sconvolge e ci porta alla fede! Ed è bellissimo che il Papa stia puntando su questo, come sembra… 🙂 È veramente lo Spirito che lo sta illuminando, io lo credo davvero…
P.S.: cerchiamo (e lo dico a me stessa per prima, non è una provocazione anche se lo potrebbe sembrare) di leggere questa parabola puntando l’attenzione sul fratello peccatore e di immedesimarci in lui: è meraviglioso scoprire come ogni volta che pecchiamo, che lo tradiamo, che dissipiamo i talenti che ci ha donato, Egli è sempre lì ad aspettarci, ad accoglierci a braccia aperte come figli prediletti, a donarci nuove grazie immeritate. Se riuscissimo a perdonare un millesimo di quanto Lui perdona ognuno di noi…!
Ciao a tutti,
sono stato un po’ assente perché in questo periodo sto lavorando moltissimo e non sto riuscendo a stare al passo con voi.
Casualmente stasera ho avuto qualche minuto in più e ho potuto leggere sia il post che i vostri commenti.
Vi confesso che sono un po’ rammaricato perché vedo che questa questione sta creando parecchie divisioni e sto cominciando a vederci lo zampino dell’ingannatore per eccellenza! 🙁
Infatti l’ultima volta che ho lasciato un commento stavamo parlando dello stesso argomento (il post era il commentatissimo “Dunque riassumendo” del 3 ottobre) e mi ricordo che i toni di qualche settimana fa erano più pacati, o quanto meno i commenti erano mostravano meno stizza, mentre adesso mi sembra quasi che si siano formati due schieramenti opposti. 🙁 🙁 🙁
Non dico di non parlarne più, perché molte delle cose che sono state dette da ambo le parti le ho trovate utili per formarmi un giudizio, o meglio, una mezza idea su questa questione.
Dico solo che forse sarebbe necessario avere gli uni verso gli altri un po’ più di pazienza, infondo ciò di cui si sta dibattendo è una questione molto vecchia e non credo sia possibile venirne a capo, tanto meno nella sede attuale, un Blog!
Pochi giorni fa mi sono imbattuto in un passo della Scrittura dove S. Pietro affermava:
“Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. IN ESSE CI SONO ALCUNE COSE DIFFICILI DA COMPRENDERE e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.” Pt 3,14-16
Scusate non ho la minima intenzione di fare il sapientino o il saggio con nessuno di voi, specialmente verso alcuni (appartenenti ad ambedue le “squadre” -. se mi consentite l’analogia) per i quali ho più volte manifestato la mia stima e simpatia! L’unico intento di questo commento è quello di fornire a voi il (modesto) suggerimento che prima ho rivolto a me stesso! 😉
Buona notte
Davide, sono piuttosto d’accordo con te 😉
Si sente necessità di parlare e confrontarsi, e questo da solo è la spia della presenza di un problema; non mi pare giusto volerlo negare o fingere che non ci sia. E’ però possibile venirne a capo nello spazio limitato di un blog, o persino di un forum? E’ difficile; in uno spazio ristretto manca il respiro, o anche solo il tempo di lasciar depositare il fomite che inquina le passioni di noi uomini feriti dal peccato 😉
Buona notte a te!
A me personalmente sembra un buon consiglio 🙂
Approfitto per segnalarvi una notizia appena letta sulla NBQ: credo che qualche preghiera ci starebbe bene
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-storia-di-angela-non-vuole-abortire-per-salvarsi-7577.htm
Credo davvero che la questione sia assai complessa, e che le perplessità che alcuni hanno per specifiche iniziative di Papa Francesco discendano da ragioni differenti. Io so per esempio che le mie perplessità hanno una forma diversa da quelle che Costanza ha trovato per se stessa.
Io non ho particolari difficoltà a riportare nell’alveo dell’ortodossia anche le più stravaganti uscite del Papa: pure quella sulla coscienza, per esempio. E vorrei dire “adesso”. Adesso, non ho queste difficoltà. Ma ricordo perfettamente del tempo in cui sentire affermazioni del genere mi avrebbe inflitto dei guasti. Parlo sia dei tempi in cui ero agnostico, sia del tempo in cui ero in brancolante ricerca. E sapendo e ricordando, non posso perciò amare uscite del genere. Dire che “non posso amarle” è un timido eufemismo 😉
Ma va bene così; è dai tempi delle cosiddette richieste di scuse di Giovanni Paolo II (che poi andrebbero ben lette e meditate prima di definirle troppo affrettatamente tali) che so che il Papa, mica sta lì affinché ogni sua parola debba “far bene” a me. Sarei di fatto un gran bell’egocentrico se la vedessi in questo modo; o peggio se pretendessi un Papa a mia immagine e gradimento.
Allo stesso tempo, però, questo non mi mette in particolari difficoltà se decido di voler prendere le distanze da alcune specifiche iniziative papali che mi lasciano freddo e che non possono definirsi almeno Magistero Ordinario. Immagino di essere fin troppo disinvolto in questo, ma ahimé, queste son lezioni che ti si imprimono con forza nell’identità, quando le ricevi negli anni di una conversione burrascosa e… all’ultimo sangue 😀
Per quanto riguarda l’effetto che questo Papa sta facendo ad alcuni cosiddetti “tradizionalisti”, mi è venuto in mente un vecchio e divertente articolo del Mastino 😉
http://www.papalepapale.com/develop/jaccuse-i-tradizionalisti/
in breve, ho la sensazione che vi sia chi ha “investito” troppo su Benedetto XVI, caricando il suo Pontificato di attese non sempre corrette. Il mutamento repentino con un Papa che, umanamente, non potrebbe essere più diverso, che sviluppa una strategia obiettivamente differente (davanti alla quale anch’io ho diverse perplessità, certo, ma non è questo il punto) ed è così autoritario (ehi, perché io trovo che l’argentino abbia un stile molto più autoritario del tedesco!!), sia vissuta da un certo numero di cattolici come un’esperienza dolorosa.
Duole dirlo, ma almeno questa è quello che a me mi sembra. Parlare di nulla (dietro l’alibi della predicazione religiosa).
Grossi cervelli : Alessandro, Miriano, Admin, Bariom, vale, webmistress, Angelina, Sara, Roberto, Giuly, Velenia, per fare solo alcuni nomi, tolti dal mondo reale (che così viene lasciato alla mercé degli imbecilli) e prestati al Clero,a questioni teologico-clerical- canonicistiche che lasciano in ombra non solo il mondo in cui viviamo (anche se dite che voi non siete di questo mondo, e io dico di sì) ma anche la “vera religione” che è semplice umile, intereriore, personale, dimessa, non chiacchierata di qua e di là.. Che spreco, che cattivo uso, quanto territori intellettuale lasciato a tante persone che valgono molto mebo di voi!
Hai capito Alessandro e gli altri? Rendetevi utili al popolo, davvero!!!
“Che spreco, che cattivo uso, quanto territori intellettuale lasciato a tante persone che valgono molto meno di voi!
Hai capito Alessandro e gli altri? Rendetevi utili al popolo, davvero!!!”
Alvise grazie per l’apprezzamento e per l’esortazione (visto che mi hai messo in elenco), ma dobbiamo “unirci al popolo” o occupare i ” territori intellettuale lasciato a tante persone che…”?
Non sempre le due cose vanno assieme. Tu per quale propendi?
Ed infine, chi ti dice che non lo si faccia (chi l’una, chi l’altra, i più bravi magari entrambe…)? O credi si viva tutti solo ed esclusivamente “dentro questo blog”?
Data la tua partecipazione, potrei dire tu ci “viva dentro” più di noialtri… 😉
Non si sa se rispondere «Grazie, troppo gentile» o «Matteo 16, 23» 😉
Addirittura!… 😉
Vabbe’, esagerazioni mattutine…
Anche Matteo 7,6 non è male…
Bravissime bestie, però, se prese per il verso giusto 😉
«Per il maiale caro a sant’Antonio, io lo rinnego!» (Gurth il porcaio, in Ivanhoe di Sir Walter Scott, 1819 books.google.it/books?id=3-BTrzhavhoC).
Grosso cervello
La sola espressione “utili al popolo” mi fa venire l’orticaria!
…chi è malato si curi!
L’antidoto è che tu non spari c……….!
…quello che volevo dire è che degli intellettuali come quelli che dicevo sopra (orticaria a parte) non si dovrebbero confinare in codesti discorsi iperparrocchiali (eufemisticamente). Non si era capito?Alessandro: te lo immagini così il tuo cervellone? Ti fai torto!
Proponi tu un argomento aulico: resto in trepidante attesa!
…non importa essere aulici per non essere ridicoli!
Te lo fo subito un esempio di un argomento che potrebbe essere più serio e interessante (se non sei già alla televisione): quando Gesù dice “fate questo in memoria di me” vuole dire andate i chiesa dal prete o solo riunitevi intorno a una tavola nell’agape e rompere il pane e bere il vino insieme fraternamente in comunione con Cristo?
Domani, (se sarai sopravvissuta agli attacchi dei marocchini notturni) un’altro argomento…
Qui se c’è uno ridicolo, gratuito, immotivato e inspiegabilmente rancoroso sei tu. Mi rifiuto di scendere al tuo livello e di fare il tuo gioco rispondendo alle tue stupide provocazioni. Di quello che faccio io tu non sai niente nè mi interessa spiegartelo. Di notte in mezzo ai marocchini forse ci vai tu, io dormo.
Lei che vive in Toscana (e forse dovrebbe conoscerne la storia, anche recente) farebbe molto meglio a mordersi la lingua, invece di scegliere certi esempi ad astenersi dallo scegliere certi esempi – mi riferisco a quello nell’ultimo paio di righe.
@ alessandro
vedo che non sono, quindi, l’unico ad avere perplessità sulla strategia usata.
quasi a conferma di questi post di ieri, oggi, sempre sul “foglio” in un articolo di Socci, ad un certo punto si cita il prof. Di Giorni, redattore di “Testimonianze” che parla dell'”espansione dei movimenti carismatici con forme di culto mistico-emozionali che non sopportano dogmi, apparati liturgie,ecc…che sembrano ripetere, in modo quasi concorrenziale,il pentecostalismo carismatico americano che si avvia a divenire la nuova religione globale proprio perché culturalmente sempre più neutra”.
e questi sarebbero i risultati in america latina
insomma, le religioni fai da te anche se nell’alveo di un quadro generale genericamente unitario.ma così generico da farci rientrare tutto.
“Tutti i litigi e le polemiche, le riunioni e i convegni e i seminari inutili vengono dal non avere un rapporto personale e diretto con Dio, un rapporto che nasce dall’incontro con Cristo, molto più pericoloso e avvincente dell’incontro con i cattoliconi che tanto mi piacciono.”
Bellissime parole.
“A noi piace essere figli di Dio, certo. Significa che siamo di stirpe regale, e lo siamo davvero; ma non ci piace, invece, essere fratelli”
Sarebbe bello che lo mettessimo in pratica anche tra cattolici.
articolo interessante (e per me anche un po’ sorprendente visto che spesso sono in disaccordo con questo autore)
LETTERA AI TRADIZIONALISTI TRISTI:
http://www.fidesetforma.com/2013/10/18/lettera-ai-tradizionalisti-tristi/
Vero. Il Colafemmina ha stupito anche me.
Forse voleva essere provocatorio, e allora si può giustificare l’iperbole: Colafemmina, però, dà per scontato che essere tradizionalisti significhi necessariamente essere cattolici non autentici:
“Se solo vi applicaste un po’ nelle vostre parrocchie, nelle vostre amicizie, con i vostri amici sacerdoti, in attività capaci di coniugare sapienza teologica e carità pastorale, dareste davvero un enorme valore al movimento cosiddetto tradizionale. E invece lo state riducendo ad un covo di vipere, di isterie collettive e di mummificate alienazioni. Per favore, amici, ravvedetevi! […] quando, quando mai vorrete ritornare ad essere cattolici autentici? A non chiudervi nel ghetto, ma ad uscire alla luce del sole? Il cattolico autentico è sereno anche nella tempesta, ha tanto da offrire, non è mai a mani vuote. Prega e contempla il Signore. Non è perfetto, è peccatore. Non a parole, ma nell’intimo invisibile del suo cuore”.
Parlo per me: io sono “tradizionalista” E mi applico quanto più possibile nella mia parrocchia, nelle amicizie comunitarie, ho molti amici sacerdoti, cerco di svolgere umilmente – ma dando il meglio di me – “attività capaci di coniugare sapienza teologica e carità pastorale”, sono serena anche nella tempesta (perché, fidandomi del mio Signore, sono profondamente convinta che “non praevalebunt”), so di poter avere “tanto da offrire” (quando riesco – faticosamente – a lasciar trasparire Gesù e non me stessa), mi sforzo di non essere “mai a mani vuote” con nessuno, prego e contemplo il Signore (soprattutto nell’Adorazione Eucaristica e nel Rosario che, insieme alla Messa, sono per me momenti altissimi di vita), e soprattutto so di essere peccatrice e sento la ferita del peccato “nell’intimo invisibile del [mio] cuore”. Inoltre, proprio perché sono tradizionalista, amo la Chiesa (che considero mia madre) e il Papa e considero fratelli anche i “non tradizionalisti”, esattamente alla pari con i “tradizionalisti”, né più, né meno.
E credo che tutto questo valga anche per tanti altri cosiddetti “tradizionalisti”.
stupisce soprattutto da uno che il 14 marzo, il giorno dopo l’elezione di Francesco scriveva:
“Nel palazzo apostolico siede ora un nuovo Papa cui va il mio personale rispetto, ma che sancisce la vittoria di una visione cattolica di chiara discontinuità.
Lo si è visto già ieri: niente mozzetta, niente rocchetto, niente croce pettorale, niente scarpe rosse. E’ un Papa che vuol mandare al macero non quegli oggetti in sé privi di valore, ma ciò che essi rappresentano: quasi 2000 anni di storia stratificata secolo dopo secolo. ”
Sembra il modo di parlare di un tradizionalista e anche abbastanza triste, ora invece scrive prediche in seconda persona plurale
«O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,”
Notevole il Socci di oggi. Direi da studiare.
LETTERA AL “FOGLIO” DI GIULIANO FERRARA
IL DIRITTO (E IL DOVERE) DEL LOGOS. “LA FEDE E’ UNA FESTA DELLA RAGIONE”. L’ERRORE DI QUELLI CHE ATTACCANO IL PAPA. E L’ERRORE DI “AVVENIRE” NELLA RISPOSTA.
Signor Direttore,
mi spiace per Gnocchi e Palmaro, ma un cattolico non può irridere il Papa o accusarlo di eresia con la leggerezza di un articoletto di giornale.
Certo, la Chiesa non è una caserma e – nella libertà dei figli di Dio – si può dire tutto, ma con rispetto e responsabilità. Magari anche con dolore.
Si può e si deve brindare prima alla propria coscienza e poi al papa, come insegnava il cardinale Newman. Ma trasformando la propria “Opinone” nel magistero supremo si rischia di mettersi da soli fuori dalla Chiesa (non solo fuori da Radio Maria).
Quanto all’ormai famosa omelia di Francesco del 17 ottobre, contro il cristiano che trasforma la fede in ideologia, penso si tratti anzitutto di una messa in guardia da una certa mentalità lefebvriana, la quale sostituisce il Vangelo con il Denzinger.
E ritengo sia un richiamo prezioso. Perché la salvezza è una persona: Gesù Cristo. Non una formula.
Ma ciò non significa affatto che il Papa insegni una fede che fa a meno dell’ortodossia. Lo dimostra il suo magistero.
Dunque non si può liquidare spensieratamente il tema della dottrina come sembra fare l’editoriale di “Avvenire” di venerdì scorso.
TENEREZZA CONTRO VERITA’?
In quell’articolo, Stefania Falasca, presentata come esegeta del Papa, con un’impropria citazione di De Lubac squalifica come “specialisti del Logos” coloro che si richiamano all’ortodossia dottrinale (che comprende la morale), contrapponendo ad essi una generica “tenerezza”, come se Gesù Cristo, che è la misericordia fatta carne, non avesse affermato la sua pretesa divina davanti al mondo: “Io sono la verità” (Gv 14,6).
Il documento di ieri sui divorziati risposati del prefetto Muller (chiaramente voluto dal Papa) è esemplare su questo. E mette in guardia da “un falso richiamo alla misericordia”, dimostrando che la contrapposizione di “tenerezza” e dottrina, fatta da “Avvenire”, non corrisponde al magistero di Francesco.
Né al magistero costante della Chiesa e dei papi.
Infatti lei, direttore, aveva giustamente risposto ad “Avvenire” che “uno specialista universalmente riconosciuto del Logos abita orante le emerite stanze del Vaticano” (è Joseph Ratzinger).
Il papa del Concilio Vaticano II, Paolo VI (che è anche il papa dell’Humanae vitae) nel discorso del 19 gennaio 1972, mettendo in guardia da “errori che hanno circolato e tuttora affiorano nella cultura del nostro tempo, e che potrebbero rovinare totalmente la nostra concezione cristiana della vita e della storia”, spiegava:
“Il modernismo rappresentò l’espressione caratteristica di questi errori, e sotto altri nomi è ancora d’attualità. Noi possiamo allora comprendere perché la Chiesa cattolica, ieri ed oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione; il magistero pastorale la sua funzione primaria e provvidenziale; l’insegnamento apostolico fissa infatti i canoni della sua predicazione; e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; ed a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Act. 4, 20)”.
CORAGGIO DELLA VERITA’
Già prima, in un discorso del 20 maggio 1970, aveva mostrato che la drammatica crisi della fede era provocata non solo da cattiva teologia, ma da cattiva filosofia, cioè da un relativismo che distrugge la razionalità:
“oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente. La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo «snobismo» del dubbio sistematico e negativo. Si studia, si cerca per demolire, per non trovare. Si preferisce il vuoto. Ce ne avverte il Vangelo: «Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Io. 3, 19). E con la crisi della verità filosofica (oh! dov’è svanita la nostra sana razionalità, la nostra philosophia perennis?) la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tanto meno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio.
Paolo VI proseguiva:
Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela ed a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Io. 7. 12; Luc. 10, 16; Marc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile (selected faith); altri cerca una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della Chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili.
Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Hebr. 13, 7; 9, 17).
Concludeva richiamando al coraggio della testimonianza:
Ma per noi che, per divina misericordia, possediamo questo scutum fidei, lo scudo della fede (Eph. 6, 16), cioè una verità difesa, sicura e capace di sostenere l’urto delle opinioni impetuose del mondo moderno (Cfr. Eph. 4, 14), una seconda questione si pone, quella del coraggio: dobbiamo avere, dicevamo, il coraggio della verità. (…) E aggiungeremo che questo coraggio della verità è domandato principalmente a chi della verità è maestro e vindice, esso riguarda anche tutti i cristiani, battezzati e cresimati; e non è un esercizio sportivo e piacevole, ma è una professione di fedeltà doverosa a Cristo e alla sua Chiesa, ed è oggi servizio grande al mondo moderno, che forse, più che noi non supponiamo, attende da ciascuno di noi questa benefica e tonificante testimonianza.
IL POSTCONCILIO
C’è un’ultima illuminante pagina di Paolo VI, dove faceva un amaro bilancio del Concilio, conclusosi da cinque anni, constatando che le attese erano state deluse. Scrisse:
Ecco che molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo di ambiguità, d’incertezze e di dubbi che la toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità divina della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione. Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla Tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi.
Condividendo questo giudizio storico di Paolo VI, due uomini del Concilio come Wojtyla e Ratzinger hanno improntato i loro pontificati al ritrovamento del vero Concilio, sulla linea della ininterrotta tradizione della Chiesa.
E la rinascita cristiana che è iniziata dagli anni Settanta mostra che la fedeltà all’ortodossia è tutt’altro che chiusura.
Chi ci è stato maestro nella fede – penso a don Giussani – non è stato un “paladino del picchetto” (per usare una formula della Falasca). Ma l’esatto contrario.
Proprio perché radicato nell’ortodossia cattolica ha potuto insegnarci un’apertura totale a ciò che è umano, permettendo a migliaia di giovani post-68 di scoprire e amare Cristo.
Con una fede piena di ragioni che sa parlare al nostro tempo.
Non a caso don Giussani è stato amico di altri maestri del Logos come Ratzinger, De Lubac e Balthasar, ai cui scritti ci siamo poi abbeverati.
UN EPISODIO ILLUMINANTE
C’è un piccolo episodio rivelatore nella monumentale biografia del Gius, appena pubblicata da Alberto Savorana.
Giussani un giorno raccontò che aveva in una sua classe del liceo il figlio dello scultore Pio Manzù. Il giovanotto tornava a casa con pagine e pagine di appunti delle vertiginose lezioni del Gius, che faceva battere i loro cuori con le grandi domande dell’umano, da Pavese a Leopardi a Beethoven, che parlava di Gesù (l’unico ad aver detto: Io sono la risposta) a quei ragazzi alla ricerca del senso delle cose.
Il suddetto figlio di Manzù era però amico di un altro prete il quale vedendo quegli appunti prese ad aizzarlo contro il Gius dicendogli: “vedi quanto complica (questo Giussani)… invece la religione è semplice”.
Egli sosteneva che “le ragioni complicano”. E “quanti direbbero così!”, commentava il Gius, che poi aggiungeva con forza: “Invece no, la ricerca delle ragioni non complica, ma illumina!”.
Quel prete antagonista del Gius, che già allora ce l’aveva con i maestri del Logos, degradava il cristianesimo a banale sentimentalismo, incapace di rispondere alla sete di verità degli uomini.
Giussani commentava: “è per quella impostazione che Cristo non è più autorità, ma un oggetto sentimentale e Dio è uno spauracchio e non un amico”. E per questo “la fede diventa arida e difficile, perché diventa un peso e un condizionamento invece che una strada su cui correre”.
E qui Giussani se ne uscì con un’immagine bellissima: “La fede è una festa della ragione”. Ovvero, una festa del Logos. In perfetta consonanza con Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e tutto il magistero. Compreso Francesco.
Bergoglio del resto ha scoperto don Giussani negli anni Novanta e ha dichiarato di averlo sentito subito come una ventata di aria fresca. Perché quella tracciata da Giussani, come ebbe a dire papa Wojtyla, è la strada.
Anche la storia della cristianità dimostra che sa aprirsi e sa andare verso le periferie esistenziali chi è davvero radicato nella fede ortodossa della Chiesa.
Per esempio uno come san Vincenzo de’ Paoli, il grande padre dei più poveri e delle “periferie”, diceva: “Ho temuto tutta la vita di veder nascere qualche eresia. Consideravo la devastazione che aveva fatto quella di Lutero e Calvino e quante persone di ogni condizione ne avevano succhiato il pernicioso veleno, volendo gustare le false dolcezze della loro pretesa riforma. Ho avuto sempre timore di vedermi circuito dagli errori di qualche nuova dottrina, prima di accorgermene. Sì, l’ho temuto per tutta la vita”.
L’ULTIMA TROVATA
Oggi però c’è chi ha in mente un “nuovo cristianesimo” che – dopo duemila anni – accantona il Logos, il dogma e la dottrina.
Secondo il professore Pietro L. Di Giorni – redattore di “Testimonianze” – si tratta di “un fenomeno che coinvolge ormai anche il cattolicesimo, specie in America Latina, ove si manifestano e prendono sempre più forza movimenti carismatici, comunitari, de-istituzionalizzati, con forme di culto mistico-emozionali, che non sopportano dogmi, apparati, liturgie ordinate, nel nome di un esplicito rifiuto di un cristianesimo europeo-occidentale eccessivamente snervato dal razionalismo post-illuministico, e che sembrano ripetere, in modo quasi concorrenziale, il pentecostalismo carismatico americano che si avvia a divenire nuova religione globale proprio perché culturalmente sempre più neutra”.
Ecco. Con la polemica di “Avvenire” contro il Logos si rischia di sprofondare in queste paludi. Sarebbe l’ultimo atto di quella che Paolo VI chiamava “autodemolizione dall’interno” della Chiesa. E della fede cristiana.
Perché – come ha spiegato Ratzinger a Ratisbona – Dio “agisce mediante il Logos, che è insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi, appunto, come ragione”. Quindi anche come dottrina della fede.
Sconcerta che “Avvenire” pretenda di arruolare per quell’impresa anti-Logos una grande mente cattolica come il padre Henri De Lubac, il quale, con Ratzinger, Giussani, Wojtyla, Balthasar, Guardini, dalla fede ha saputo trarre ricchezza di ragioni e cultura.
IL CASO DE LUBAC
De Lubac, con la formula “specialisti del Logos” citata dalla Falasca, non fulminava affatto i cattolici su cui si scaglia l’editoriale di “Avvenire”, ma – al contrario – proprio certi intellettuali laici – nuovi gnostici – che oggi piacciono tanto nelle sacrestie progressiste del Cortile dei gentili.
Ecco la citazione che si trova in “Meditazioni sulla Chiesa” del gesuita francese (e ditemi voi se questo ritratto non ricorda i Cacciari, gli Scalfari e i Mancuso):
“Da quando esiste, la Chiesa si è sempre attirata il disprezzo di una élite. Filosofi o spirituali, molti spiriti superiori, preoccupati d’una vita profonda, le rifiutano la loro adesione. Alcuni le sono apertamente ostili. Come Celso essi sono disgustati da ‘questa accozzaglia di gente semplice’. […] Molti altri, invece, tra questi saggi, sono convinti di rendere giustizia alla Chiesa e protestano quando si sentono definire suoi avversari. Sarebbero disposti a proteggerla all’occorrenza! […] Ma conservano le distanze. Non sanno che farsene di una fede che li accomunerebbe a tutti i miserabili, di fronte ai quali si sentono senz’altro superiori per la loro cultura estetica per la loro capacità di ragionamento, o per la loro preoccupazione d’interiorità. Sono ‘aristocratici’ che non intendono affatto mescolarsi con il gregge. La Chiesa, secondo loro, conduce gli uomini per vie troppo comuni. (…). La trattano con molta degnazione, si attribuiscono il potere di enucleare, senza il suo consenso, mediante una ‘trasposizione metafisica’, il senso profondo delle sue dottrine e dei suoi atti sacri”.
E ancora:
“Al di sopra della sua fede essi mettono la loro intuizione… Si potrebbero chiamare degli ‘specialisti del Logos’, che però non hanno letto in san Paolo che il Logos ‘respinge ogni altezza che si levi contro la conoscenza di Dio’. Sono dei saggi, ma chi è che non vede realizzarsi dopo venti secoli la profezia: ‘Perderò la sapienza dei sapienti’? Sono dei ricchi che hanno ancora da sentire la voce della prima Beatitudine”.
Qualcuno di loro – conclude De Lubac – si trasforma “in capo-scuola o capo-setta”. Pure in fondatore e direttore di giornali-partito.
Da padre De Lubac s’impara dunque a non fare concessioni a questi salotti gnostici.
Che poi sono l’opposto delle “periferie” verso cui vuole portarci papa Francesco con un grande slancio missionario. Un appello il suo da accogliere con tutto il cuore.
Del resto il papa è un figlio spirituale di sant’Ignazio e nessuno come Ignazio è stato un maestro del Logos e dell’ortodossia, paladino della retta dottrina, lui che arrivava a scrivere a san Pietro Canisio, il 13 agosto 1554: “non si dovrebbe tollerare nessun curato, nessun confessore sospetto di eresia: e se li si riconosce colpevoli dovrebbero esser privati immediatamente di tutte le rendite ecclesiastiche. E’ meglio per un gregge essere senza pastore che avere per pastore un lupo”.
Antonio Socci
@ giusi
a me non ha stupito il colafemmina.in genere il tradizionalista non è privo di discernimento. in questo caso vagliare tutto e trattenere ciò che è buono. quindi perché non trattenere ciò che è stato tramandato-visto che questo la chiesa fa. tramanda.dato che la rivelazione si è conclusa con gli atti e l’apocalisse. ed il Papa ne è il custode principale come successore di Pietro- senza per questo imopedire che si utilizzino nuove e più adeguate forme di “pastorale” per poter capire e farsi capire dal mondo che cambia( non so se in meglio o in peggio, ma mutano tecniche e linguaggi col tempo).
quel che ,da quel che leggo e sento, non risulta spiegabile a certe persone che non sono anticonciliariste, tanto per chiarirci, ma solo increduli sul fatto che ciò che andava bene negli ultimi 500 anni( e che fu fatto, allora, seguendo le tradizioni e la sostanza di quanto tramandato dai tempi apostolici e dei padri della chiesa) adesso sembrerebbe addirittura vietato.( vedere francescani dell’immacolata)
ora: “Per assicurare maggiormente al popolo cristiano l’abbondante tesoro di grazia che la sacra Liturgia racchiude, la Santa Madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia. Questa infatti consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti alla intima natura della stessa Liturgia, o si fossero resi meno opportuni. In tale riforma l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà da essi significate, siano espresse più chiaramente, il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso, e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva, comunitaria”. (Concilio Vaticano II: Sacrosanctum Concilium, cap.I, III – 21).
quindi non mi pare che tale costituzione conciliare abbia permesso tutte le “eterodossie” liturgiche-inclusi i preti vestiti e truccati da clown-che si vedono in giro adesso. né, mi pare, abbia impedito il proseguimento del “antico modo” di celebrar messa.( come confermato da Ratzinger) per me ci stà tutto, se il cuore della messa e cioè il “fate questo in memoria di me” viene fatto a modo.
et-et. non aut-aut.
la messa della chiesa di p.za del rosario a milano, è ancora con chierichetti con ceri che precedono l’ingressso del sacerdote. con musica rigorosamente d’organo e coro( solo le prediche un po’ verbosette…..).insomma un mix dignitoso tra vecchio modo e nuovo modo.
e con il vantaggio che la chiesa in questione sembra ancora una chiesa e non un capannone industriale.
questo tanto per esempio.
ora sembrerebbe che solo i kiko arguello di turno siano gli unici legittimi interpreti del conc.vat.II.
a me pare che così non dovrebbe essere. spazio agli arguello e spazio ai tridentini. insomma: ut unum sint.( lo facciamo coi luterani, non lo dovremmo fare con i “tradizionalisti” purché non sedevacantisti o altro?) 🙂
D’accordo con te.
Infatti il lato interessante della profusione di misericordia che da Papa Francesco si diffonde giú e giú in tutti i settori della Chiesa é il nulla osta ad odiare una volta di più i tradizionalisti, che sembrano essere il capro espiatorio per i mail di una Chiesa in crisi profondissima. Invece con i cristiani separati, con gli ebrei, con i musulmani, con gli atei alla Scalfari si assiste ad una gara di chi é piú accogliente, buono e misericordioso. Io che buona non sono per nulla e non faccio alcuna fatica a pensare male, purtroppo mi riesce benissimo, ritengo che vi sia tanta ipocrisia in questa melassosa ondata di misericordia e di libertà di coscienza, proprio perché non mi convince il “minuto di odio quotidiano” che i cattolici misericordiosi dedicano ogni giorno a chi ama la tradizione. Credo che l’odio per la tradizione della Chiesa, per la sua antica Messa, per quella perfetta sintesi fra fede e ragione che fu la scolastica medievale, per il gregoriano….siano pericolosissimi segnali di volontà di autodistruzione che anima molti cattolici moderni ansiosi di congiungersi al mondo in un abbraccio mortale. Qualcuno poi mi sa dire perché il primato della coscienza vale per Scalfari e non per i tradizionalisti? O per gnocchi e Palmaro? I conti non tornano e chi non abdicato alla ragione, come Socci, se ne accorge.
D’accordo con te, Lorenza. E con te, Vale.
Grande è la confusione sotto il sole. C’è chi critica il Papa, un giornale che dovrebbe interpretare la retta dottrina risponde ma in modo sbagliato, il prefetto Muller aggiusta il tiro e nessuno ci capisce più niente!
Bergoglio non è ossessionato dalla misericordia e dal perdono, sa che Dio non è un erogatore automatico di perdono e che la misericordia vera e la giustizia vera sunt idem in Dio.
Sono alcuni bergogliani più bergogliani di Bergoglio ad essere ossessionati dalla misericordia e dal perdono (per tutti, tranne che per chi non la pensa come loro).
Bene ha detto il prefetto della CDF:
“Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia.
Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: «Va’, e non peccare più» (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste.”
http://www.osservatoreromano.va/portal/dt?JSPTabContainer.setSelected=JSPTabContainer%2FDetail&last=false=&path=/news/cultura/2013/243q13-Sull-indissolubilit–del-matrimonio-e-il-di.html&title=La%20forza%20della%20grazia&locale=it
A conferma che Bergoglio non è un “perdonista”, un facilone che esalta il perdono sempre e comunque fino a occultare la realtà ineludibile del peccato e i doveri discendenti dalla giustizia divina, si veda l’omelia di stamattina a Santa Marta:
“Vergognarsi davanti a Dio è una grazia”
““E questa [contro il peccato e contro la ritrosia ad accusarsi dei propri peccati] è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una via di giustificazione: ‘Ma sì, siamo tutti peccatori’. Ma, lo diciamo così, no? Questo lo dice drammaticamente: è la lotta nostra.
E se noi non riconosciamo questo, mai possiamo avere il perdono di Dio.
Perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, una maniera di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio.
Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza…
La confessione dei peccati fatta con umiltà è ciò “che la Chiesa chiede a tutti noi”, ricorda Papa Francesco, che cita anche l’invito di S. Giacomo: “Confessate tra voi i peccati”.
Ma “non – chiarisce il Papa – per fare pubblicità”, ma “per dare gloria a Dio” e riconoscere che è “Lui che mi salva”. Ecco perché, prosegue il Papa, per confessarsi si va dal fratello, “il fratello prete”: è per comportarsi come Paolo. Soprattutto, sottolinea, con la stessa “concretezza”:
“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia.
Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”.
Concretezza, onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore. E qui il Papa indica chi imitare, i bambini: “I piccoli hanno quella saggezza: quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna.
Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”
Qui non si discute di ciò Bergoglio sa o non sa, ma di ció che il mondo recepisce, compresi i cattolici. E c’é poco da stare allegri se il prefetto Müller sente il bisogno di mettere dei paletti per precisare ció che il Papa avrebbe intenzione di dire. Anche il vescovo di Philadelphia, mons Chaput ha spiegato che i valori non negoziabili non sono un optional. Evidentemente era passato il messaggio che lo fossero.Non possiamo sempre dire che é colpa di Repubblica, o degli atei o di chi si voglia. Chiaro che ne approfittano, ma qualcuno gliene dá motivo, evidentemente. Con Papa Benedetto questi equivoci non c’erano.Oggi invece é comparsa la categoria degli insegnanti di sostegno, giornalisti cattolici, talvolta fra i migliori, si veda Socci o Introvigne, che ci spiegano come si debbano interpretare, secondo ortodossia, le parole del Papa. Anche Costanza Miriano é stata arruolata, a quanto pare. Dal canto mio non ho risposte e macero nei mei dubbi con molta sofferenza, ripetendo i spesso che grazie a Dio la Chiesa non é di Bergoglio e neanche mia, ma di Cristo.
Concordo ancora con Lorenza. E con il commento di Steven qui sotto.
L’ha ribloggato su Amolanoia.
Buongiorno Costanza, parto proprio dalla fine del tuo articolo, da quel “che se a volte qualche stonatura – anche lui è una creatura – ci va contropelo non sia poi così importante”.
La cosa è importante, invece, per evitare confusione tra i fedeli; basterebbe ammettere semplicemente che qualche stonatura c’è. Allora sarebbe tutto più vero e credibile e non ci sarebbero fraintendimenti o non nascerebbero perplessità. Perchè, se si continua a sostenere che ogni esternazione fin qui fatta rientra nella normalità (come si ostinano a sostenere alcuni tuoi illustri colleghi cattolici, che a volte si arrampicano sugli specchi pur di non ammettere che in effetti qualche frase detta dal Papa poteva ragionevolmente suscitare perplessità) allora il problema c’è, eccome. Molti però non hann il coraggio di dirlo. E appena qualcuno prova a farlo è subito tacciato di “tradizionalista, fariseo, ecc…”
Grazie di tutto.