di Costanza Miriano
VV MR, PN D GRZ, L SGNR CN T. Come tutti ben sanno si tratta dell’Ave Maria mormorata tra i denti senza alterare la mimica facciale quando ci si mette la matita (per labbra, ma anche occhi: bisogna stare immobili, soprattutto se lo specchietto è piccolo e fuori mano, come quello retrovisore): è la giaculatoria dell’automobilista femmina in ritardo al lavoro.
Poi c’è l’AveMaria prego se ha solo il pane passi pure piena di grazia eh va be’ ma tutti no che mi suona la campanella del secondo figlio il Signore è con te pago col bancomat grazie: modello mamma in fila alla cassa.
C’è anche la versione Tu sei benedetta fra le donne ma guarda che cafone e benedetto è il frutto guardi che ho la precedenza; c’è la versione Padre nostro che sei nei cieli se non rifai la divisione ti butto il nuovo numero di Wolverine, e poi c’è anche la più gettonata, la Ave Maria ronff piena di grazia fiu, quella che si conclude con un’estasi mistica (mio marito continua a sostenere che dormo).
Tutte queste versioni in realtà sono in attesa di approvazione ecclesiastica, ma io le pratico quotidianamente, sperando di non incorrere in una scomunica.
Se un religioso per dedicare tempo alla preghiera combatte il personale, quotidiano duello contro il suo egoismo, un padre o una madre di famiglia più che un duello combattono, come dice padre Emidio, un triello: a fronteggiarsi non sono solo Dio e l’egoismo, ma ci si mette anche la famiglia e le esigenze di coloro che ci sono affidati. Non vale, per dire, vedere un film mormorando il rosario, perché i bambini hanno bisogno, e diritto, di vederci tutti per loro, con la testa, il sorriso, il cuore ben presente e saldo accanto a loro: niente di peggio che una suora mancata, per mamma. I momenti vuoti, da riempire, si trovano quindi davvero a fatica (ci sarebbe la notte, ma lì subentra quasi subito l’estasi mistica), e allora la preghiera deve piano piano trasformarsi.
Se è importantissimo anche per noi laici mantenere dei momenti privilegiati, momenti in cui si fa solo quello, per il resto della giornata piano piano dobbiamo imparare a intrecciarla al respiro, alle azioni, alle parole. E ci vuole un bel po’ di impegno perché io per esempio di Dio mi dimentico in cinque sei centesimi di secondo, mi basta un niente, tipo scolaro che segue la mosca, e addio aoristo (ma l’aoristo, alla fine, si è scoperto se è un insetto, o no?).
L’obiettivo sarebbe imparare dal pellegrino russo, che prega respirando – ma, cacchio, lui non correggeva ricerche di scienze giocando a Monopoli con in testa una vecchia tenda bianca a mo’ di velo da sposa, cosa che rende poco agevole l’assaggio del brodo.
Non voglio adesso entrare nelle vie che ognuno di noi cerca e trova per stare alla presenza dell’unico che ci ama incondizionatamente (è per questo che vale la pena sforzarsi, perché a quella presenza c’è gioia piena), ma vorrei chiedermi: perché dobbiamo pregare?
Intanto perché Gesù ci ha detto: “pregate e vegliate ogni momento, pregate sempre senza stancarvi mai, pregate per non cadere in tentazione”. E questo già esaurirebbe il post, e mi autorizzerebbe ad andare di là nel mio angolino del sonn, ehm della preghiera, a fare qualcosa di più utile che sprecare parole.
Siccome poi siamo un popolo di dura cervice, Dio ha inviato anche la sua mamma a ricordarcelo. Di sicuro a Lourdes e a Fatima. Quanto a Medjugorje siamo in rispettosa attesa di quello che dirà la Chiesa ma io personalmente non avrei dubbi, giudicando dai frutti, sul fatto che sia la Madonna a dirci la stessa cosa da trenta anni, trenta. E cioè: pregate, pregate, pregate. E le dosi raccomandate sono da cavallo: tre ore al giorno (io ho portato la giustificazione: ho bucato, pioveva, mia zia si è sentita male, il semaforo era rosso, la pioggia di rane).
La preghiera pulisce la testa e il cuore, fa vedere in modo incredibilmente più chiaro: “prima di agire pensa, e prima di pensare prega”, me lo vorrei stampigliare sulla copertina della mia velleitaria agenda piena di compiti inevasi. La preghiera aiuta a decidere, agisce da filtro verso tutte le cattiverie che vengono da quell’impasto di fanghiglia che costituisce il nostro ripieno, tira fuori i talenti, lucida la nostra artiglieria – bontà, umiltà, mitezza – guarisce le ferite, ricolma tutte le attese. Ovviamente fa tutto questo non perché si tratti di una tecnica di automiglioramento spirituale, ma perché all’altro capo del filo c’è Dio: noi apriamo la comunicazione, e lui, rispettoso e fedele alla nostra libertà, agisce con noi secondo quanto noi gli permettiamo. Se facciamo per gioco ci lascia giocare, ma se facciamo le persone serie lui è più serio di noi, e risponde travolgendoci di grazie. Santa Teresa d’Avila racconta che non riusciva neanche ad accogliere tutti i miracoli e le grazie che Dio le mandava, mentre vedeva che altre persone quelle grazie le imploravano per anni. E’ che lei era una persona seria, altro che se lo era, e Dio non si fa fregare in generosità.
Anche io, per dire, da piccola ero seria, racconta don Antonello, mio maestro di religione alle elementari, e al Padre nostro mi rifiutai fermamente di pronunciare le parole “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, perché non avevo la minima intenzione di perdonare quella della terza b che mi aveva dato uno schiaffo in faccia, ma non credo che sia questa la serietà che intendeva Teresa d’Avila.
Chi prega si salva, perché pregare è stare alla presenza di Dio che è l’unico santo, e l’unico modo per salvarsi, cioè per diventare santi, è lasciargli spazio, diminuire, fargli posto. Non c’è altro modo.
Su facebook ho ricevuto una miliardina di auguri di compleanno – grazie – e qualcuno mi ha chiesto anche che regalo desiderassi. C’è una cosa che desidero più della libreria di Belle nella Bella e la Bestia, più di un buono da trentamila euro alle profumerie delle Galeries Lafayette, più del pettorale per la maratona di Boston: la fedeltà nella preghiera. Lo dico davvero. Perché quella è davvero la pietra filosofale, la leva che smuove il mondo, che fa crescere i nostri figli, che rende feconda la vita, ferma le guerre e le nostre passioni, il corso della storia, regala la pace e fa saltare con piedi di cerva sulle alte vette.
ho letto il replay (perchè forse quando lo hai mandato in play ancora non conoscevo il tuo blog) e mi ha fatto tanto piacere scoprire che non sono la sola eretica che snocciola preghiere (in caso di ristretto tempo o ansia io utilizzo anche le semplici e vecchie giaculatorie) in macchina, al supermercato, mentre stendo o cucino (solo quando non cucino con i figli). Questa estate ho brevettato il rosario da bicicletta (sono necessitata a muovermi non essendo stata una velocista in gioventù) ovvero quando, pargoli ancora dormienti con la scusa di comprare latte e cornetti prelibati in un paesino vicino (a Pisa) mi concedo un’ora lorda, in genere 7.30-8.45 di bici-rosario. Allenamento per corpo e spirito o ottimizzazione dei tempi che dir si voglia. Buona fine-estate, Raffaella
“l…a fedeltà nella preghiera. Lo dico davvero. Perché quella è davvero la pietra filosofale, la leva che smuove il mondo, che fa crescere i nostri figli, che rende feconda la vita, ferma le guerre e le nostre passioni, il corso della storia, regala la pace e fa saltare con piedi di cerva sulle alte vette.”
Meglio non dire nulla…
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preghiera è anche quello stupore che intenerisce il cuore nel leggere_incontrare le tue parole di vita che sgorgano come gioiosa grazia dal tuo spirito colmo di una Presenza ineffabile .La tenerezza del cuore toccato dal dono gratuito lo rende aperto accogliente grato e…leggero come lo Spirito Santo desidera!
GRAZIE!
Leggere queste righe mi ha ricordato che non sono sola nella difficile, faticosa, nonche’ fantasiosa ricerca di un momento di preghiera tutto mio! Io ho sperimentato la passeggiata quotidiana (ovviamente fatta all’alba mentre le mie tre pesti dormono!)scandita dal rosario e dalla coroncina della divina misericordia o dalla
preghiera di lode spontanea alla maniera del RnS!Devo dire che come inizio di giornata e’ tutta un’altra cosa!
Catechesi del Papa del mercoledi’: nella preghiera sono importanti anche gli atteggiamenti corporali.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120808_it.html
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza della Libertà – Castel Gandolfo
Mercoledì, 8 agosto 2012
Cari fratelli e sorelle,
oggi la Chiesa celebra la memoria di san Domenico di Guzmán, Sacerdote e Fondatore dell’Ordine dei Predicatori, detti Domenicani. In una precedente Catechesi, ho già illustrato questa insigne figura e il fondamentale contributo che ha apportato al rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Oggi, vorrei metterne in luce un aspetto essenziale della sua spiritualità: la sua vita di preghiera. San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo, incarnò radicalmente i tre consigli evangelici unendo alla proclamazione della Parola una testimonianza di una vita povera; sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese sempre più feconde le sue opere apostoliche.
Il Beato Giordano di Sassonia, morto nel 1237, suo successore alla guida dell’Ordine, scrive così: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio » (P. Filippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, Bologna 1982, pag. 133). In san Domenico possiamo vedere un esempio di integrazione armoniosa tra contemplazione dei misteri divini e attività apostolica. Secondo le testimonianze delle persone a lui più vicine, «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Tale osservazione indica la sua comunione profonda con il Signore e, allo stesso tempo, il costante impegno di condurre gli altri a questa comunione con Dio. Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana ha raccolto e tramandato la sua esperienza viva in un’opera dal titolo: Le nove maniere di pregare di San Domenico. Questo libro è stato composto tra il 1260 e il 1288 da un Frate domenicano; esso ci aiuta a capire qualcosa della vita interiore del Santo e aiuta anche noi, con tutte le differenze, a imparare qualcosa su come pregare.
Sono quindi nove le maniere di pregare secondo san Domenico e ciascuna di queste che realizzava sempre davanti a Gesù Crocifisso, esprime un atteggiamento corporale e uno spirituale che, intimamente compenetrati, favoriscono il raccoglimento e il fervore. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come passi di un cammino, verso la comunione con Dio, con la Trinità: san Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà, steso a terra per chiedere perdono dei propri peccati, in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze del Signore, con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore, con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato nel mondo di Dio. Quindi sono tre forme: in piedi, in ginocchio, steso a terra; ma sempre con lo sguardo rivolto verso il Signore Crocifisso. Gli ultimi due modi, invece, su cui vorrei soffermarmi brevemente, corrispondono a due pratiche di pietà abitualmente vissute dal Santo. Innanzitutto la meditazione personale, dove la preghiera acquista una dimensione ancora più intima, fervorosa e rasserenante. Al termine della recita della Liturgia delle Ore, e dopo la celebrazione della Messa, san Domenico prolungava il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo. Seduto tranquillamente, si raccoglieva in se stesso in atteggiamento di ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. Viveva così intensamente questi momenti di rapporto con Dio che anche esteriormente si potevano cogliere le sue reazioni di gioia o di pianto. Quindi ha assimilato a sé, meditando, le realtà della fede. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in una sorta di estasi con il volto trasfigurato, ma subito dopo riprendeva umilmente le sue attività quotidiane ricaricato dalla forza che viene dall’Alto. Poi la preghiera durante i viaggi tra un convento e l’altro; recitava le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i compagni, e, attraversando le valli o le colline, contemplava la bellezza della creazione. Allora dal suo cuore sgorgava un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tanti doni, soprattutto per la più grande meraviglia: la redenzione operata da Cristo.
Cari amici, san Domenico ci ricorda che all’origine della testimonianza della fede, che ogni cristiano deve dare in famiglia, nel lavoro, nell’impegno sociale, e anche nei momenti di distensione, sta la preghiera, il contatto personale con Dio; solo questo rapporto reale con Dio ci da la forza per vivere intensamente ogni avvenimento, specie i momenti più sofferti. Questo Santo ci ricorda anche l’importanza degli atteggiamenti esteriori nella nostra preghiera. L’inginocchiarsi, lo stare in piedi davanti al Signore, il fissare lo sguardo sul Crocifisso, il fermarsi e raccogliersi in silenzio, non sono secondari, ma ci aiutano a porci interiormente, con tutta la persona, in relazione con Dio. Vorrei richiamare ancora una volta la necessità per la nostra vita spirituale di trovare quotidianamente momenti per pregare con tranquillità; dobbiamo prenderci questo tempo specie nelle vacanze, avere un po’ di tempo per parlare con Dio. Sarà un modo anche per aiutare chi ci sta vicino ad entrare nel raggio luminoso della presenza di Dio, che porta la pace e l’amore di cui abbiamo tutti bisogno. Grazie.
beh filosofiazzero….Costanza ti ha chiesto di pregare per lei. Potresti iniziare da stasera, no?
“Se facciamo per gioco ci lascia giocare, ma se facciamo le persone serie lui è più serio di noi, e risponde travolgendoci di grazie.”
…badilate dosi da camionisti eccetra di grazie!
Viceversa niente serietà niente grazie, uguale ai sacrifici di Esaù, che il fumo gli ritornava indietro, nero, nel Vecchio Testamento….