Apologia della cortesia – parte 1

di Andreas Hofer

Di rado si presta attenzione alla progressiva estensione della scortesia in tutti i campi della quotidianità. Prorompe ovunque un’istintività immediata e aggressiva, in particolar modo nelle relazioni di coppia, connotate da rudi e reciproche sgarbatezze. Ormai definitivamente pensionati alla stregua di vecchie anticaglie i desueti costumi della discrezione e della delicatezza, della finezza e del tatto, una barbara schiettezza tra i sessi si è imposta in luogo della sana, garbata cortesia d’un tempo. In sua vece è subentrata un’arida contabilità domestica la cui funzione sembra però più analoga a quella svolta dalla tregua nel campo dei conflitti armati…

Osteggiata anche da certo femminismo militante, la cortesia si è perfino vista accusare, come ha scritto Pierre Bourdieu, di essere lo stolido instrumentum regni al soldo di  una «visione androcentrica», d’aver tracciato una specie di ancillare «confinamento simbolico» della donna, rinchiusa in «recinto invisibile» a suggello del «dominio maschile». (P. Bourdieu, Il dominio maschile, trad. it., Feltrinelli, Milano 1998, p. 38).

Con garbo, senza piagnistei o chiassose rivendicazioni la cortesia sembra ormai essersi dileguata dal nostro mondo. Com’è nel suo stile, del resto.

Quanto però questa silenziosa uscita di scena potesse impoverire le nostre esistenze lo aveva già presentito la riflessione condotta dal limpido genio religioso di Romano Guardini.

La cortesia tra i sessi,  osserva innanzitutto Guardini, non sorge come legittimazione dell’ancestrale sottomissione femminile ma, al contrario, col decadere della violenza predatrice dell’uomo. Il seme della cortesia matura laddove il desiderio maschile, dismesse le vesti brutali della conquista e del rapimento, acquisisce la coscienza della donna come creatura di pari dignità morale. La natura personale della donna esige che in lei si veda un essere autonomo e indipendente, per nulla alienato, vinto o passivo, del quale non è concesso disporre a proprio piacimento.

Ciò è reso possibile, avverte Guardini, solo mediante la rivelazione cristiana, che ci «fa consapevoli che la personalità è qualcosa che non è proprio […] soltanto dell’uomo, bensì anche della donna – cioè dell’essere umano in senso puro e semplice». Da qui emerge che in linea di principio il vero soggetto della cortesia è la persona, vale a dire «quella libertà, dignità e irripetibile unicità dell’essere umano, fondata nello spirito, che va al di là della mera individualità»  (R. Guardini, La cortesia, in Etica. Lezioni all’Università di Monaco (1950-1962), a cura di Hans Mercker, Morcelliana, Brescia 2001, p. 855).

Lo spirito cortese scaturisce dalla prossimità a quella inclinazione dello spirito che Simone Weil ha chiamato «attenzione creatrice», discende dall’atto sacrificale con cui chi si trova in posizione di supremazia rinuncia all’esercizio della forza dominatrice per serbare e proteggere la dignità del debole. Così, con il declino della volontà di potenza, l’alleanza tra forza e sacrificio di sé «consentirà a un altro essere, diverso da lui, di esistere indipendentemente» (S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1972, p. 113). Solo allora, con l’ascesa di questa unione di nuova lega, calco dell’amore come elezione vicendevole, libera e personale, la cortesia «diviene un elemento del corteggiamento, che rende efficace il reciproco accostarsi e, al tempo stesso, lo vincola a certe forme» (R. Guardini, op. cit., p. 854).

Diffusasi in tutta la Cristianità dopo una paziente gestazione nei chiostri benedettini, la cortesia è stata la riservata nutrice della civiltà occidentale. Come testimonia la parola stessa, la «cortesia» apparteneva alla «corte», feudale prima e rinascimentale poi, come comportamento richiesto dal riguardo nei confronti del re (anche il termine tedesco impiegato da Guardini, Höflichkeit, richiama in radice Hof, «corte»).

Nella concezione antica il regnante assolveva una funzione vicaria della divinità, reclamava rispetto per se stesso in quanto manifestazione dell’Altissimo. La cortesia aveva per oggetto anche l’irradiazione che dal re promanava per poi proiettarsi sull’esistenza terrena. Questo spiega perché fosse considerata il cardine della vita individuale e sociale: trattarsi con reciproca cortesia appariva come un riverbero della presenza regale cui ognuno, quale che fosse la propria condizione sociale, in certo qual modo partecipava.

La nobilitazione dello spirito umano, l’aspirazione a una sintesi vivente di moralità e bellezza come forma dei rapporti umani. Questo era l’anelito profondo all’origine dell’ideale della cortesia cortigiana.

Un ulteriore fattore all’origine della cortesia tra uomo e donna, osserva ancora Guardini, può trovarsi nella tensione intercorrente tra i due poli, il maschile e il femminile, dell’esistenza umana. Nella natura femminile l’uomo avverte la presenza di un enigmatico mysterium mulieris, percepisce confusamente una dimensione a lui sfuggente, misteriosa e incomprensibile quanto il flusso imprevedibile di una forza primordiale e, perciò, potenzialmente pericolosa. Sembra risiedere nella donna «una consapevolezza immediata della vita fisica, psichica, come pure misterico-religiosa: delle sue sorgenti, dei pericoli che la minacciano, del suo corso e del suo senso… Conseguentemente, essa gode di un’immediata relazione al divino, il che la fa apparire come depositaria di saggezza e di potere numinoso; come custode della tradizione, cioè di quanto era più antico e per ciò stesso più vicino alle sue origini» (Ivi).

Forza numinosa, tanto vigorosa da incutere rispetto e placare gli istinti di dominazione maschile sotto forma di timore soggiogante. Ma anche potenza anfibia, capace sia di promuovere come di danneggiare la vita, di elevare a vette eccelse e sublimi come di precipitare in profondità abissali e divoranti. Questa indecifrabile alchimia che nel medesimo istante tramuta l’oggetto amato in ciò che può essere perduto ha indotto anche il grande G. K. Chesterton a soffermarsi, in un fugace passaggio della sua Autobiografia, sul «turbamento possente e glorioso dell’amore della donna: che ha qualcosa di nuovo, compresso e cruciale; cruciale nel significato vero, cioè vicino come Cana al Calvario». Da qui, dalla considerazione della donna come mater, grande matrice detentrice dei segreti della vita e della morte, ordinatrice della fecondità cosmica, si sviluppa nell’uomo un atteggiamento di riguardoso rispetto.

Il comportamento cortese non solo contribuisce ad alleggerire le tensioni della polarità sessuale ma esprime la volontà di stabilire una distanza, condizione indispensabile per la creazione di uno spazio di libertà per l’altro, permettendogli così di respirare liberamente senza l’assillo di una troppo asfissiante vicinanza.

Nella cortesia c’è decisamente più di quanto a prima vista appaia.

                                                                                                    continua…

56 pensieri su “Apologia della cortesia – parte 1

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  2. Suggerisco la lettura, per una capatina, almeno, in altri modi egualmente cortesi, o no, di vivere la società,le relazioni amorose, eccetra, del bellissimo libro di Lévi-Strauss “Tristi Tropici”

  3. Alessandro

    “Et ideo dicit non litigiosos esse. Ubi est sciendum, quod tria sunt genera hominum: quidam eorum sunt virtuosi, et duo vitiosi. Quidam enim omnibus verbis auditis in nullo contristantur, et hi sunt adulatores. Et quidam omni verbo resistunt, et hi litigiosi sunt. Contra hos loquitur hic. Ideo dicitur II Tim. II, 24: servum autem domini non oportet litigare, sed mansuetum esse ad omnes. […]. Sed medium tenens, ut quandoque delectetur verbis, quandoque contristetur, est virtuosus. II Cor. II: si contristavi vos epistola, non me poenitet, et cetera. Deinde cum dicit sed modestos, ostendit quomodo se habeant in operatione boni. […] . Est autem modestia virtus, per quam aliquis in omnibus exterioribus modum tenet, ut non offendat cuiusquam aspectum. Phil. IV, 5: modestia vestra nota sit omnibus hominibus […]. Quanto autem quis est impetuosior in interioribus affectibus, tanto refraenatur difficilius etiam in exterioribus. Talis autem est inter omnes affectus ira. Et ideo contra hoc ponit mansuetudinem, quae moderatur passiones irae. Unde dicit omnem mansuetudinem ostendentes ad omnes homines. Matth. XI, v. 29: discite a me, quia mitis sum et humilis corde.”

    (San Tommaso d’Aquino, Super Epistolam B. Pauli ad Titum lectura, 3, 1)

    “[San Paolo] invita a non essere litigiosi. Bisogna sapere che sono tre i generi di uomini: a uno appartengono virtuosi, agli altri due i viziosi. Alcuni non si rattristano in niente qualsiasi parola ascoltino, e costoro sono gli adulatori. Taluni si ribellano a ogni parola, e questi sono i litigiosi. Contro di loro si parla qui. Perciò 2Tim 2, 24 dice che “un servo del Signore non deve essere litigioso ma mite con tutti”. […] Ma colui che sta nel mezzo, e a volte si rallegra per le parole, a volte se ne rattrista, questi è il virtuoso, come dice 2 Cor 2 “Se vi ho rattristati, non me ne pento, ecc”. Quando prosegue e raccomanda di essere modesti, mostra come debbono comportarsi nel fare il bene. La modestia è infatti la virtù attraverso la quale uno in ogni gesto esteriore usa modi che non offendono alcuno. Come dice Fil 4, 5 “La vostra modestia sia nota a tutti. […] Infatti, quanto più uno è impetuoso negli affetti interiori, tanto più difficilmente saprà frenare quelli esteriori, e tale è soprattutto l’affetto dell’ira. Perciò dice “mostrando ogni dolcezza verso tutto gli uomini” e “imparate da che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29)”

    1. 61Angeloextralarge

      Alessandro: meriti uno smack ad ogni tuo comento, ma poi la glicemia si alza e quindi te ne lascio uno ogni tanto… ma sappi che vale per tutti! Smack! 😀

  4. Alessandro

    “Il trasalimento di gioia di Elisabetta sottolinea il dono che può essere racchiuso in un semplice saluto, quando esso parte da un cuore colmo di Dio. Quante volte il buio della solitudine, che opprime un’anima, può essere squarciato dal raggio luminoso di un sorriso e di una parola gentile!

    Una buona parola è presto detta; eppure a volte ci torna difficile pronunciarla. Ce ne trattiene la stanchezza, ce ne distolgono le preoccupazioni, ci frena un sentimento di freddezza o di egoistica indifferenza. Succede così che passiamo accanto a persone che pur conosciamo, senza guardarle in volto e senza accorgerci di quanto spesso esse stiano soffrendo di quella sottile, logorante pena, che viene dal sentirsi ignorate. Basterebbe una parola cordiale, un gesto affettuoso e subito qualcosa si risveglierebbe in loro: un cenno di attenzione e di cortesia può essere una ventata di aria fresca nel chiuso di un’esistenza, oppressa dalla tristezza e dallo scoramento. Il saluto di Maria riempi di gioia il cuore dell’anziana cugina Elisabetta.”

    (Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per i malati, 11 febbraio 1981)

  5. Erika

    Che argomento interessante, Andreas.
    Ho studiato a lungo l’argomento all’ Università e devo dire che purtroppo il fraintendimento sulla cultura medievale è duro a morire…
    E’ vista ancora da molti come un’epoca oscurantista, mentre per molti aspetti (per le donne sicuramente), era decisamente più ricca di opportunità, pur con alcuni lati oscuri, come ogni epoca.
    Riguardo all’amor cortese, sono d’accordo con te, anche se, letterariamente parlando, ci sono differenze tra le figure femminili dei poeti francesi, che cantano di donne vere, con un corpo, rispetto ad esempio allo Stil Novo fiorentino, che si rivolge a figure femminili totalmente spersonalizzate, angelicate, inesistenti nella realtà.
    Consiglio in merito la lettura di ” The Knight, the Lady, and the Priest: the Making of Modern Marriage in Medieval France”, di Gerges Duby.

    Io sarei felice che si tornasse a certe forme di cortesia. Trovo che abbiamo tutti un bisogno disperato di delicatezza.
    Nelle relazioni d’amore più che mai.
    Credo di aver già citato questa frase tratta da un romanzo di Rebecca Wells che mi ha molto colpito e a cui cerco di ispirarmi:

    “-Mamma, io non lo so come si fa ad amare.
    -Dio sa amare, piccola. Noi siamo soltanto dei bravi attori. Lascia perdere l’amore e prova intanto con le buone maniere.”

    1. Davide Rondoni non sembra pensarla così. Da grande conoscitore della letteratura stilnovista e di Dante, pensa che siano molti gli indizi che tutti, da Guinizzelli a Cavalcanti, a Dante stesso, parlino di esperienze reali, e che le loro muse siano donne in carne ed ossa. La differenza, come fa notare anche Henri Irenée Marrou nel suo bel saggio “I Trovatori”, è che il “fin’amor” è in qualche modo fine a se stesso. Nello stilnovo, invece, è una via per arrivare a Dio, ma questo non vuol dire che debba essere per forza rappresentata da qualcosa di immateriale. E’ piuttosto con Petrarca che comincia la “smaterializzazione” della donna. Beatrice invece è una donna reale, tant’è vero che, per far ascendere a Dante i cerchi del Cielo (nel “Paradiso”) si serve di un mezzo così umano qual è il sorriso.

  6. 61Angeloextralarge

    Andreas: bellissmo post! Necessario come il pane visti certi comportamenti dilaganti. Smack! Sembriamo tutti matti!
    Credo che la cortesia rinetri nella “benevolenza”, frutto dello Spirito Santo. Invece la scortesia rientra nell’egoismo.
    Post da rilegegre più volte e con calma. 😉

    1. 61Angeloextralarge

      n.b.: in noi donne la scortesia si nota molto di più, proprio perché ci snatura, ci mascolinizza… 😦

  7. Questo bellissimo post rivela un animo gentile dell’autore che ho avuto il piacere di incontrare e mi aiuta a gettare qualche ombra sul mio comportamento invitandomi ad una riflessione. Sarei di natura gentile e cortese pure io e riesco ad esserlo in genere nei rapporti con le persone che non conosco oppure con le donne in generale però mi accorgo che non sono rare le circostanze in cui divento rude specie nel rapporto con la mia dolce metà dove tendo ad homerizzarmi (Alessandro, il tuo video esplicativo mi aiuterà ad odiarmi).

  8. 61Angeloextralarge

    Fuori tema, ma la Mamma è sempre un grande esempio di cortesia e quindi se lo merita!

    “Cari figli! Con la grande speranza nel cuore anche oggi vi invito alla preghiera. Se pregate figlioli, voi siete con me, cercate la volontà di mio Figlio e la vivete. Siate aperti e vivete la preghiera; in ogni momento sia essa sapore e gioia della vostra anima. Io sono con voi e intercedo per tutti voi presso mio Figlio Gesù. Grazie per aver risposto alla mia chiamata”. (Medjugorje 25 giugno 2012, alla veggente Marija)

    “Vi do’ la mia benedizione materna. Pregate per le pace, la pace, la pace”. (Medjugorje 25 giugno 2012, apparizione annuale alla veggente Ivanka)

      1. 61Angeloextralarge

        Alvise Maria: il messaggio non è della veggente ma è stato dato alla veggente dalla Madonna. Cerca di farlo tuo perché è ora che quel dito che punti verso i commentatori di questo blog… lo giri e lo punti verso di TE: Il “siate aperti” vale anche per te! 😉

  9. Erika

    @Mercuriade: parlavo in generale della figura della donna nello Stil Novo.
    Che Beatrice esistesse davvero o meno, e’ comunque una figura molto idealizzata. Non ha praticamente nessun tratto di propria personalità.
    E’ la trasposizione, in forma femminile, della Grazia, di cui Dante ha fatto sublime poesia.
    (Dante aveva una moglie in carne e ossa, che pero’ non nomina mai).

    1. Gentile Erika,
      proprio questo intendevo dire. Le donne stilnoviste sono donne vere, donne talmente vere da provocare nel poeta reazioni fisiche (i “deboletti spiriti”).
      In particolare per Beatrice, io la definirei “sublimata”, non “idealizzata”; nella misura in cui un adolescente può sublimare una ragazzina che conosce appena, ma che il solo vedere è sufficiente per provocare reazioni nel corpo; Rondoni sottolineava come tanto che nella “Vita Nova” Dante dice che basta che Beatrice faccia anche solo un saluto, e lui non capisce più niente. E’ una cosa che agli uomini accade spesso quando s’innamorano (e i lor signori qui presenti lo potranno confermare).
      E’ logico che Dante non parli di sua moglie Gemma Donati, secondo me. Il vero amore della sua vita è Beatrice; per Gemma si è trattato probabilmente del classico matrimonio d’interesse, tant’è vero che di figli ne hanno avuto uno solo.

        1. Può anche essere, ma di solito le famiglie dei mercanti non andavano sotto ai 3-4 figli. Personalmente credo che Dante non abbia mai “digerito” questo matrimonio: se avesse potuto scegliere liberamente, secondo me avrebbe scelto di restare fedele a Beatrice. Ma la politica pretendeva altrimenti.

      1. «Per Gemma si è trattato probabilmente del classico matrimonio d’interesse, tant’è vero che di figli ne hanno avuto uno solo».
        A dire il vero, questa storia del figlio unico non mi tornava. In effetti l’enciclopedia Treccani afferma che al momento dell’esilio (1302) ne erano nati già tre (Pietro, Iacopo e Antonia) se non anche un quarto (Giovanni).
        Comunque grazie di averne parlato perché ho scoperto cose affascinanti, tipo che Dante, Beatrice e Gemma erano tutti vicini di casa (le ragazze della porta accanto) oppure che Vittorio Imbriani ha scritto un saggio intitolato «Fu una buona moglie Gemma Donati?» (1878, e per chi fosse curioso, secondo lui non lo fu).
        http://www.treccani.it/enciclopedia/donati_res-3585d9a6-87ef-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Dantesca)

        Comunque mi sto facendo l’idea che Gemma patisca forse eccessivamente della schiacciante concorrenza di Beatrice intronizzata nella sua divina macchina da guerra. Tanto per dirne una, a detta di Boccaccio fu proprio Gemma che riuscì a nascondere i primi sette canti della Commedia giusto in tempo per sottrarli al saccheggio cui la casa di Dante fu sottoposta dopo la condanna del 1302, e in seguito a spedirli al marito perché continuasse l’opera…
        Come a dire che se dietro a ogni grande uomo c’è una grande donna, quando l’uomo è MOLTO grande, magari dietro di donne ce ne sono due 😉

          1. Grazie delle informazioni, madame!
            Curioso infatti, perché perfino Gilson nomina un solo figlio, quello che s’interessò alla pubblicazione della Divina Commedia.

            1. OT Prole dantesca.
              Non so che dirti, non avendo letto Gilson, che in realtà conosco a malapena di nome.
              Pelli Bencivenni menziona addirittura sette rampolli (ma era del Settecento e probabimente tra nomi e patronimici avrà preso fischi per fiaschi). Il Libro del Chiodo, invece -quello che registra le condanne del 1302 e 1315- è certo più attendibile e lì pare che nel 1315, a condividere la condanna di Dante ci siano almeno due figli maschi.

  10. Erika:
    riguardo al fatto che il medioevo non sia da vedre come un’epoca oscura (a parte la desolazione dell’Italia e il quasi invesioni barbariche e il quasi totale spopolamento [leggi Paolo Diacono] ma quanto bene operarono anche allora i monaci![ovviamente]) ormai tutti sono d’accordo (se mai non lo furono i luoghi comuni sono duri a morire)per nulla d’accordo, invece, sulle “più opportunità” (sic!!!) che vi ebbero allora le donne. Pensaci bene. E poi, quali donne, eventualemente,di quali classi sociali, tra quali popoli?

    1. Egregio Filosofiazzero,
      donne di un po’ tutte le classi sociali, come dimostrano i documenti. Soprattutto per quanto riguarda l’età feudale (secc. X-XIII) testimonianze ne abbiamo a iosa, da donne che ereditano feudi dai padri e dai mariti e li governano come sovrani titolari a tutti gli effetti, fino a donne dei ceti artigiani che intraprendono attività commerciali anche indipendentemente dal marito. José Luìs Corràl Lafuente, per esempio, docente di Storia Medievale all’Università di Saragozza, ha scoperto, studiando gli archivi, che ben un terzo degli artigiani che lavorarono alla costruzione della cattedrale di Leòn furono donne!
      Per chi volesse approfondire l’argomento, segnalo l’apposita sezione sul mio blog, “Il Palazzo di Sichelgaita”:
      http://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/category/donna-e-donne/

    2. Poi, se mi permette un’altra osservazione, non può giudicare tutto il Medioevo solo dalla situazione dei primi secoli. Il Medioevo è stato un periodo lunghissimo, oltre mille anni. E un periodo denso di cambiamenti, trasformazioni e novità. E’ logico che la fine del Tardoantico sia stato un periodo traumatico, in molti sensi (basta leggere Gregorio Magno), ma io le vedo come le grida della partoriente che portano alla luce un mondo nuovo, e un mondo che ha partorito tantissime cose bellissime la cui eredità è viva ancora oggi!
      Senta un po’ questo bellissimo intervento di Alessandro Barbero!

      1. Sono perfettamnente d’accordo su Medioevo, e lo avevo già detto.
        Per quanto riguarda le opportunità medievali delle donne, Erika diceva “decisamente più ricca di opportunità” (quella epoca). Più ricca in confronto a che?

          1. Per quanto, anche nel Trecento, abbiamo pur sempre qualche sporadico caso di femmine che qualche piccola opportunità la colgono; penso per esempio all’illetterata (o semiletterata) figlia del tintore che riesce a farsi dar retta dal papa e lo convince traslocare da Avignone a Roma

            1. Verissimo, ma è comunque parte di un mondo che si sta spegnendo, soffocato da tre fattori principali:
              1- l’Università
              2 – Il diritto romano;
              3 – La borghesia mercantile.

              Ed è inevitabile che la stessa Chiesa ne resti influenzata. Non dimentichiamo la bolla “Periculoso” con cui, nel 1298 s’impone la clausura stretta a tutti gli ordini religiosi femminili, e la spietata battaglia condotta nel XIV secolo contro le beghine,

                1. Il Medioevo vero e proprio, l’età feudale. Con il Trecento ci avviciniamo già al Rinascimento, e al ritorno di prepotenza del diritto romano, con l’idolatria dell’Antichità.

                    1. Nell’Umanesimo c’è stata sicuramente una componente di idolatria dell’Antichità soprattutto dal punto di vista del diritto. Fu soprattutto una questione di convenienza, dal momento che il diritto romano consentiva alla borghesia mercantile quello che le consuetudini generalmente non avevano consentito: lo “ius utendi et abutendi”, il diritto del proprietario di “usare e abusare” di ciò che considera sua proprietà. Per quel che ne sappiamo, le varie consuetudini, soprattutto feudali, non conoscevano questo articolo: le usanze avevano la precedenza sulla proprietà.

          2. E Saffo, (basta un verso di Saffo per oscurare, davvero, tutto il medioevo!) per esempio, e Ipazia, e Cleopatra, e tutte le donne che ressero l’Impero Romano d’Oriente, e poi, più avanti, nell’epoca moderna, le svariate regine, le donne intellettuali, scrittrici, attrici, meretrici, eccetra?

            1. Per il mondo antico, a stento troviamo una Saffo e una Sulpicia (e teniamo a mente quanti secoli le separano); mentre per il Medioevo abbiamo poetesse molto audaci come Rosvita (X sec.), che divenne poeta di corte degli Ottoni, donne che espressero il loro rapporto con Dio in versi come Hadewijch di Anversa, tutto il gruppetto delle Trobairitz (le “trovatrici”), la struggente Maria di Francia i cui versi secondo me non hanno nulla da invidiare a quelli di Saffo, per non parlare di Christine de Pizan. Per quanto riguarda la filosofia, Ipazia fu comunque una figura abbastanza isolata, quando, nello stesso periodo, Paola, Eustochio, Melania, ecc., grandi amiche di San Girolamo, stavano costituendo la prima “scuola” al femminile, il monastero di Betlemme.
              Niente da ridire sulle grandi donne dell’Età Moderna e Contemporanea, se non che per molto tempo sono state relegate in un “limbo” a parte, la “letteratura femminile”. E queste donne dovettero agire sempre dietro le quinte (o dall’alcova). Tanto per fare un esempio, molto caro alla grande medievista Régine Pernoud: se nel XIII secolo la regina di Francia poteva agire alla luce del sole attraverso i suoi propri uffici, nel XVII secolo viene praticamente ridotta al silenzio.

              1. Non sono uno specialista, (e si vede,!) solo che quello che diceva Erika mi sembrava paradossale. Bisognerebbe riuscire a stabilire come stavano allora le donne (e gli omini)a paragone di ora (dove, quali, perché?) Sicuramente è svanito il modo di vivere antico e la sua civiltà e cultura. Ma da qui a dire che ora per la donna è peggio ( questo io avevo forse arbitrariamente estrapolato da Erika) ce ne corre.

                1. Il paragone lo si può fare sicuramente con la situazione immediatamente precedente, e quella immediatamente successiva, tenendo naturalmente conto di tutti i fattori, non ultimi quelli che emergono dalle tracce di vita quotidiana. E, stando a questi dati, quel che possiamo dire è che il Medioevo ha rappresentato un grosso passo in avanti rispetto all’Antichità; seguita però da una regressione pazzesca durata dal XVI fin quasi al XX secolo. Basta dare un’occhiata al Codice Napoleonico, lo stadio finale di questa evoluzione, in cui la donna non può più disporre nemmeno dei propri beni.

  11. Erika

    @Alvise: scusa se non ti ho risposto prima. Hai ragione, ho saltato un passaggio.
    Intendevo più ricca di opportunità rispetto al Rinascimento, epoca di grande rigoglio culturale, che pero’ per le donne fu un po’ un disastro.
    Durante il Medio Evo (che, ribadisco, non manca certo di lati oscuri) invece non sono rari gli esempi di donne indipendenti.
    Badesse, guaritrici, feudatarie, che a partire dal Tre- Quattrocento furono pian piano defraudate dei loro beni e del loro potere.
    Durante il Rinascimento gran parte delle dame, seppure altolocate, sono semplici cortigiane.

  12. @ mercuriade e media-e-midia

    Da antico avversario, nel mio piccolo, della vulgata del “medioevo” come epoca “buia” e “oscurantista” non posso che essere gratificato dall’apprezzamento della sezione “medievistica” del blog. 😉 E grazie anche della pazienza (e della competenza, è un vero piacere leggervi) con cui avete rintuzzato le rituali obiezioni di Alvise (al quale consiglio vivamente di leggersi il bellissimo “La donna al tempo delle cattedrali” di Régine Pernoud) sulla condizione femminile ai tempi feudali.

    @ Erika

    Sono d’accordo. In fondo la cortesia ci insegna che vale poco amare l’”universale” se prima non amiamo il “singolare” incarnato in oggetti ben definiti come il nostro prossimo, colui chi ci sta accanto (“Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. 1Gv 4,20). E anche una virtù spicciola come la cortesia può rappresentare una sorta di “propedeutica della grazia”. Saper portare rispetto al padre terreno può essere un primo passo in direzione dell’amore per il Padre celeste.
    D’altro canto la cortesia non si riduce alle sole buone maniere, le supera, si pone al confine tra forma esteriore e forma interiore. La cortesia solo formale può celare infatti una profonda ostilità, può essere perfino usata per ferire con ferocia. Penso a “Carnage”, la pièce dell’iraniana Yasmine Reza portata sullo schermo da Roman Polanski. Questo film mostra bene come esista una falsa cortesia che sotto la maschera degli ideali più “nobili” cova in realtà i falsi dèi del risentimento e dell’orgoglio vanaglorioso, del rancore e della vendetta.
    Può essere interessante anche osservare come il cattolicesimo medievale sia riuscito ad accentuare, della dimensione “anfibia” dell’anima femminile, l’aspetto della donna come “canale di grazia”, via d’accesso per l’uomo al divino. Il culto mariano è legato a doppio filo a questo processo di progressivo incivilimento dell’uomo: http://www.totustuustools.net/pvalori/toniolo_immacolata.htm
    Inutile dire quanto invece siano davvero avvilenti le immagini della donna veicolate nel nostro tempo: dal “corpo erotizzato” alla “bambola”, il divario con l’immagine medievale della donna è davvero abissale, e non è certo a favore nostro. Peraltro, come nota Régine Pernoud, è significativa la correlazione tra la progressiva esclusione della donna dalla vita politica, il decadimento della cavalleria e la perdita del coraggio in battaglia (che non a caso coincide con l’aumento della potenza distruttiva delle armi: qualsiasi travet in linea teorica oggi può sterminare intere popolazioni a distanza, schiacciando solo un bottone).

    @ Angela. Grazie! Esattamente, hai sintetizzato molto bene quel che ho cercato di evidenziare nella seconda parte del post.

    @ Luigi. Ti ringrazio di cuore per le bellissime parole, il piacere è stato assolutamente reciproco. Dal canto mio ho altrettanto bisogno di riflettere in maniera autocritica. In fondo scrivere di questa cose rappresenta una sorta di “autocorrezione fraterna”, nello spirito insegnatoci da san Josemaria Escrivà, che proprio oggi ricordiamo. A chi deve esercitare la correzione fraterna il santo fondatore dell’Opus Dei ricorda la necessità di avere «la disposizione di imparare e di migliorare tu stesso in ciò che correggi» (Forgia, n. 455). È un po’ come l’aneddoto di quel corsaro francese che una volta catturato dai rivali albionici viene accusato dal capitano inglese di essere come tutti i francesi, disposto a battersi solo per il denaro. Mentre loro, gli albionici, così superiori, si battono invece solo per l’onore… E il corsaro allora gli risponde che «chacun se bat pour ce qui lui manque!». Ognuno di noi spesso difende ciò che in realtà non possiede, si batte per le qualità che sente mancare in sé. Tutti siamo sempre bisognosi di purificazione.

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