Perché i test prenatali (gratuiti o meno, non cambia molto) promessi da Bonaccini sono disumani

Elena, una lettrice ci manda questa lettera.

Dorme la notte da quando è nata e la mattina, quando apre gli occhietti e ti vede, ti regala un sorriso talmente solare da illuderti di essere bella nonostante l’impronta del cuscino sulla guancia e i capelli sparpagliati in ordine sparso sulla testa. Mangia di tutto (minestroni di verdura compresi) e con gusto; non ha mai sofferto di colichette e fa la cacca nel gabinetto da quando ha un mese di vita (non è una esagerazione! È proprio vero).

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Elogio dell’imperfezione

di Matteo Brogi

Tottò. Maria Elena al telefono risponde così. Tottò sta per pronto. Maria Elena ha un disturbo del linguaggio, nel suo caso legato a un difetto genetico. Maria Elena è una bambina con la sindrome di Down. Trisomia 21 in linguaggio scientifico. La più diffusa anomalia genetica, coinvolge un bambino ogni 1.100 concepiti.

Nei confronti dei deficit genetici la scienza ha fatto passi enormi. Ha elaborato tecniche finissime di diagnosi prenatale per identificarli ancora nell’utero della mamma. E provvedere all’eliminazione dei feti imperfetti. Prima che sia troppo tardi, che la legge proibisca l’aborto o la nascita condanni i genitori al “servizio” di un figlio disabile. Si chiama aborto selettivo. Ma non ha trovato una cura. I bambini come Maria Elena di solito non nascono.

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Giulia e gli islandesi

Sindrome di Down, la “soluzione finale”

 

Un dipinto fiammingo del XVI secolo esposto in questi giorni al Met di New York. Si vedono un angioletto e un pastorello affetti dalla sindrome di Down

di Giulio Meotti  per  Il Foglio

E saremmo davvero noi, cinquecento anni dopo, i “progressisti”? Un anonimo fiammingo nel XVI secolo realizzò un bellissimo quadro dell’Adorazione del Bambino Gesù, che viene esposto oggi al Metropolitan Museum di New York. Nel quadro, osservando bene, tra gli adoranti si trovano un angioletto e un pastorello affetti dalla sindrome di Down. Non sappiamo se l’artista li abbia usati semplicemente perché facevano parte della sua stessa famiglia, o perché la sua visione artistica aveva una disposizione particolarmente comprensiva nei confronti dell’umanità.

Un dipinto fiammingo del XVI secolo esposto in questi giorni al Met di New York. Si vedono un angioletto e un pastorello affetti dalla sindrome di Down. Continua a leggere “Sindrome di Down, la “soluzione finale””

Censurato in Francia il video dei ragazzi Down felici

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di Costanza Miriano

Essersi dati un codice di autoregolamentazione verbale piuttosto rigoroso – ho un bonus parolaccia annuale, ma si sappia che conservo una zona franca in macchina quando guido da sola, e in casi estremi posso insultare automobilisti creativi o anche il destino cinico e baro nei giorni no – ti costringe a uno sforzo espressivo molto maggiore di quello che faresti approfittando del semplice turpiloquio. Ci si mette di più a descrivere il gesto davvero ignobile di quello che salta la fila, se non puoi dire “anvedi sto …” È anche un pelino meno efficace, lo ammetto, dire “trovo opportuno rispettare l’ordine di arrivo”, reprimendo il vaffa che giace sopito dentro di te. Continua a leggere “Censurato in Francia il video dei ragazzi Down felici”

Io vivo

di Cristina Acquistapace

Sono nata nel 1972 con la Sindrome di Down; a quel tempo, non vi erano le associazioni che esistono ora: con me, c’erano solo mia madre e mio padre e intorno a noi c’era l’ignoranza umana. Questa, comunque, non ha avuto influenze realmente negative. Ho proceduto nella frequenza delle scuole dalla materna alla superiore. Grazie a mamma e papà che non mi hanno segregato in casa o inviato in un istituto ma, al contrario, mi hanno messo in contatto con la gente, in breve tempo mi sono fatta molti amici e mi sono anche innamorata, imparando cose importanti. Continua a leggere “Io vivo”

L’inferno è la dis-umanità

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di Claudia Mancini   LaPorzione.it

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Così scriveva Italo Calvino ne «Le città invisibili», per ricordare che non esiste una “città umana” ideale, perfetta, senza difetti, in quanto la “città reale” è sempre l’espressione diretta degli uomini che la abitano.

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