di Matteo Brogi
Tottò. Maria Elena al telefono risponde così. Tottò sta per pronto. Maria Elena ha un disturbo del linguaggio, nel suo caso legato a un difetto genetico. Maria Elena è una bambina con la sindrome di Down. Trisomia 21 in linguaggio scientifico. La più diffusa anomalia genetica, coinvolge un bambino ogni 1.100 concepiti.
Nei confronti dei deficit genetici la scienza ha fatto passi enormi. Ha elaborato tecniche finissime di diagnosi prenatale per identificarli ancora nell’utero della mamma. E provvedere all’eliminazione dei feti imperfetti. Prima che sia troppo tardi, che la legge proibisca l’aborto o la nascita condanni i genitori al “servizio” di un figlio disabile. Si chiama aborto selettivo. Ma non ha trovato una cura. I bambini come Maria Elena di solito non nascono.
Tutte le sere, quando auguro la buonanotte a mia figlia, dopo i nostri piccoli rituali, la guardo e penso che in un altro contesto non sarebbe nata. Sarebbe rimasta vittima di quella cultura dello scarto di cui ha parlato con grande profondità papa Francesco. E la sua soppressione sarebbe stata derubricata a effetto collaterale dello spirito di questi tempi bui, di questa società “sazia e disperata” pronta a parole ad accogliere il diverso da sé ma incapace di farsi carico della responsabilità più grande, quella di mettere al mondo un figlio e di accettarlo per come viene, anche quando una stringa del DNA non ha seguito lo sviluppo previsto.
Maria Elena è stata fortemente voluta. Appartiene alla nutrita schiera dei bambini che nascono da genitori che per un motivo superiore alla propria volontà hanno avuto difficoltà a generare. E magari si aprono a via alternative di genitorialità. Però la vita è un susseguirsi di imprevisti e i miracoli accadono.
Così un bel giorno mia moglie è rimasta incinta. Ed è iniziata la trafila degli esami. Gioiosi, sempre carichi di speranze e aspettative. Poi ci è stata proposta l’amniocentesi. Un esame invasivo che porta un rischio elevato di aborto, circa l’1%. L’incidenza di feti con qualche anomalia genetica aumenta con l’aumentare dell’età materna e il Servizio Sanitario Nazionale offre gratuitamente l’indagine alle donne che abbiano superato i 35 anni, lo scalino oltre cui la percentuale di “rischio” di un figlio affetto di sindrome di Down supera la percentuale di rischio di perdita del feto.
Noi, a 45 anni, ci confrontavamo con un’incidenza statistica di trisomia 21 piuttosto elevata, 1 su 42 nati. Ricordo la mattina spesa all’ambulatorio di Chirurgia ostetrica, quello dove vengono effettuate le interruzioni di gravidanza, dove fummo invitati per completare lo screening prenatale. Eravamo una cinquantina di coppie. Noi, tra i più anziani, rifiutammo di proseguire gli accertamenti. E con noi una coppia di sudamericani. Dovemmo firmare moduli di rinuncia, ci fu offerto un supporto per comprendere le conseguenze insite nelle nostre scelte. Le altre coppie, tra cui molte di quelle per cui il rischio era solo una remota possibilità, preferirono sottoporsi all’intervento. Tra loro donne giovani e meno giovani. Tra loro, guardando gli asettici numeri restituiti dalle statistiche, forse nessuna madre di un bambino con sindrome ma molto probabilmente una donna che avrebbe perso il figlio a causa dell’accertamento. Nei paesi in cui la diagnosi prenatale e l’aborto non sono attuati, nascono circa 650 bambini con la sindrome di Down ogni anno; il differenziale tra la stima dei 1.100 è dato dagli aborti spontanei, più frequenti nelle gravidanze che presentano anomalie genetiche. Poi ci pensa l’uomo. Nei paesi “evoluti” i numeri sono parziali perché c’è una certa reticenza a trattare l’argomento ma – ad esempio nella Toscana in cui vivo – gli ultimi dati disponibili parlano di una percentuale di aborti volontari, o selettivi, pari al 75% del totale delle diagnosi. Un esercito di persone che non vedranno mai la luce.
La scienza, scrivevo, ha fatto passi da gigante e adesso è in grado di individuare con migliore approssimazione il difetto con esami ancora più semplici, mediante un semplice prelievo di sangue. La scienza, questa scienza, quella specializzata nella diagnostica prenatale, continua a registrare grandi successi. Perché foraggiata da finanziamenti importanti. Ma l’altra scienza, quella che vorrebbe dare un futuro migliore a chi la sindrome ce l’ha o attenuarne gli effetti in chi nascerà, suscita molto meno entusiasmo e raccoglie poco. Lo sa Pierluigi Strippoli, professore associato di Biologia applicata e responsabile del laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale all’Università di Bologna. Che si è dato un obiettivo. Quello di individuare il nesso tra il difetto metabolico delle cellule delle persone con trisomia 21 e il ritardo intellettivo connesso alla sindrome. Negli anni ’80 rimase folgorato dalle intuizioni di Jérôme Lejeune, il genetista francese che incasellò scientificamente quella che fino ad allora era semplicemente identificata come sindrome di Down, dal nome del medico che per primo ne aveva descritto le caratteristiche. Nel 1959, al tempo delle prime teorie di Lejeune, mancavano le basi scientifiche per indagare le sue intuizioni. Oggi, con il completamento della mappatura del genoma umano, le capacità ci sono e Strippoli sta cercando di concludere l’opera al policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, assistito da una squadra fatta di persone che mettono qualcosa in più del solo impegno professionale nel proprio incarico. Con un lavoro serio, rigoroso, finanziato al 90% da donazioni private da parte di fondazioni, aziende, associazioni, famiglie. Perché i finanziamenti pubblici vanno in altre direzioni. Perché la trisomia 21, come le altre trisomie, viene vista solo come un costo per la società.
Maria Elena ha avuto il privilegio di essere stata arruolata nella fase preliminare del progetto, ora conclusa, che ha coinvolto 180 bambini. E ha dato il suo piccolo contributo, inconsapevole. Un giorno forse potrà andarne fiera anche se non dovesse beneficiare degli esiti. Perché una persona con la sindrome, qualsiasi sindrome, pensa, ama, soffre, gioisce, si dispera. Come tutti. Solo in un modo diverso. Perché non possono essere due stringhe, anche se rappresentano il DNA, a definire il destino di un figlio di Dio.
Un riferimento per poter contribuire alla ricerca per curare la sindrome di Down ?
Lo devo ai pochi bambini che si incontrano oggi, bambini amatissimi, ma molto bisognosi, e, appunto, orfani di cura.
E lo devo ai figli che non sono venuti alla luce,figli di cui incontro alcune madri mie conoscenti, madri che compiango più dei figli che hanno abortito.
E grazie per questo scritto che aiuta tutti noi, più o meno imperfetti ,con figli più o meno imperfetti, tutti imperfetti comunque.
Riflessione profondissima. Conosco alcuni bimbi con sindrome di Down e vedo che ci sono stati miglioramenti nelle loro condizioni di vita. Ne conosco un paio che si impegnano moltissimo in ciò che fanno, più di molti altri bimbi che la sindrome non l’hanno…
Che crudeltà questo mondo così umanitario!
Grazie di questo contributo! E’ bello sapere che pur nell’incomprensione (quasi) generale qualcuno cerca di lottare x la Vita! Che la Vita sia un Dono ormai non lo dice davvero + nessuno, purtroppo…
Dunque grazie a tutti coloro che ce lo ricordano…e usano la Scienza x accogliere e servire la Vita di tutti (non solo di chi vuole il pensiero selettivo dominante).
Il Signore, non il mondo, ne renderà merito.
Grazie per questo contributo prezioso.
Ok bell’articolo. Sono daccordo con Franceso che un down puo’ darsi da fare piu’ che un figlio”normale”. Ne conosco due che lavorano in ospedale all’ufficio postale molto in gamba. Poi il figlio “normale” non esiste. Ho 4 figli e la mia famiglia sembra un reparto psichiatrico. Non so che adulti diventeranno. Li affido tutte le mattina alla protezione della Madonna, confido in questo. Riguardo ancora i down, credo nel detto che il grado di civilta’ di una societa’ si misura su come si prende cura dei piu’ deboli.
Fabio, io ne ho due soli e anche a me pare un manicomio! Proprio vero….bisogna affidarli.
Anche noi abbiamo avuto la GRAZIA di conoscere Pierluigi Strippoli: un uomo che profuma di santità. Aiutamolo! Basta andare sul sito del Sant’Orsola e cercare Progetto Genoma 21.
Leggete il libro di Jerome Lejeune: é un inno alla Vita!! Ogni cristiano dovrebbe leggerlo!! Ringraziamo il Signore per questi doni… la nostra bimba è meravigliosa e amatissima!!!
Grazie davvero, che il Signore ci illumini!
Grazie, Matteo !
Grazie, Maria Elena!
Grazie per questa profonda condivisione.
Bello, bellissimo Matteo!
I figli non sono mai perfetti agli occhi dei genitori che soprattutto non vorrebbero mai vederli soffrire, mai vederli tristi, mai vederli in difficoltà .
Certo sono madre di tre figlie apparentemente belle e perfette (se per perfezione si intende avere l’uso di tutti gli arti e di tutti i sensi e di tutte le capacità intellettive), ma ti posso assicurare che il cuore si stringe e duole anche alle madri di figli apparentemente perfetti.
La paura di non essere in grado di proteggerli per sempre non dipende dalle capacità intellettive e o fisiche di un figlio. Certo ho sicuramente meno preoccupazioni di te, ma credo che anche a te si allarghi il cuore e si illuminino gli occhi ogni volta che vedi tua figlia fare o dire una cosa per la quale avresti pensato che senza il tuo aiuto non sarebbe mai riuscita a fare.
La paura e l’ansia per un figlio sono sempre infinite. Forse tu potrai proteggere di più tua figlia di quanto potrò fare io con le mie figlie.
Io faccio parte di quei genitori che al solo possible rischio hanno scelto di rinunciare ad un figlio. Ne avevo già due, ma non ho mai sofferto tanto e solo l’arrivo della terza figlia mi ha sollevato da quel dolore . Anche se non giudico né una scelta né l’altra e anche se credo che la mia scelta sia stata forse giusta per il momento in cui l’ho fatta, sono fermamente convinta che quel bambino che mai è venuto alla luce mi avrebbe dato, nel bene e nel male, tanto quanto le mie altre figlie c.d. “perfette “. La certezza della sua imperfezione per altro mai l’ho avuta. Mentre ho dentro di me un rimpianto e una lama di dolore che mai potrò dimenticare.
Ti posso dire che ho una ammirazione infinita verso di te e tua moglie, ma soprattutto verso tua figlia la cui voglia di far parte di questo mondo evidentemente è stata più forte di ogni paura, tanto da convincervi a scommettere su di lei nonostante tutto e tutti.
Spero che gli sforzi della ricerca vadano anche a beneficio dei bambini che fanno parte della statistica negativa del dna difettoso. Sono bambini coraggiosi, sono bambini che, come è più degli altri hanno il diritto di essere tutelati. Sempre e comunque.
Accettando di diventare genitori si accetta una sofferenza interiore enorme legata alla paura di non poter difender i nostri bambini, allo stesso tempo si viene Premiati con la possibilità di vivere una vita in più attraverso le loro vite più o meno sane più o meno perfette più o meno felici.
La Vostra scelta genitoriale è una scelta di non rimpianto e di coraggio ed è un bell’esempio per tutti noi.
Grazie
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