Benedetta fatica

Costanza Miriano vince la Grifonissima 1987

di Costanza Miriano

Qualche tempo fa, in una gelida mattina invernale, a Perugia, ho incontrato un gruppo di ragazzini delle medie. Correvano in un bosco – come me, peraltro -, incuranti della pioggia, del freddo, degli schizzi di fango. Da madre ho avuto un sussulto, poi mi sono ricordata che per tutta l’adolescenza, e a dire il vero per tutta la vita, l’ho fatto anche io: prendere freddo, bagnarmi, sudare, correre tra radici e rami sporgenti; le mie ginocchia piene di cicatrici lo testimoniano, ma insomma sono sopravvissuta.

Immersa in quei ricordi, quando ho visto sotto la pioggia il mio vecchio allenatore di atletica, non ho potuto fare a meno di violare il primo comandamento della corsa – mai fermarsi per nessun motivo al mondo, neanche in caso di rottura di arti –: ho dovuto abbracciarlo e scambiare due parole con lui. Così, ho avuto la conferma di ciò che vado pensando e dicendo da quando sono madre, e cioè che i ragazzi di oggi hanno una tolleranza alla fatica enormemente inferiore a quella delle precedenti generazioni. In certi momenti, a dire il vero, mi veniva il dubbio di essere vittima del disturbo che affligge un po’ tutti gli adulti di una generazione, la sindrome “aimieitempi” (aimieitempi sì che la vita era dura, aimieitempi sì che si studiava), e che a volte mi porta ad esagerare le asprezze della vita nei miei maldestri tentativi educativi (io non lasciavo mai avanzi sul piatto, io apparecchiavo e sparecchiavo sempre, io mi facevo il letto da sola: ragazzi, non è proprio esattamente vero, ma si chiamano bugie bianche).

Però quanto mi ha detto il mio allenatore mi ha confermato, in modo concretamente misurabile, quanto dicevo. Tra i ragazzi del suo team, alla stessa età che noi avevamo trenta anni fa, le prestazioni attuali sono di molto inferiori. E il cronometro dà dati oggettivi. Lo conferma il fatto che sono stati alzati i minimi per accedere alle gare nazionali di atletica. I record mondiali, è vero, si abbassano sempre di più, ma la massa dei praticanti – sempre più sottile, almeno in Italia – a livello agonistico serio, corre in media più lentamente, salta più corto e più basso, lancia più vicino. A parte che non siamo sostenitori delle teorie di Darwin, qui comunque non si tratta di evoluzione della specie, ma semplicemente di un fatto culturale. I ragazzi sono più sedentari, hanno meno voglia di muoversi e di faticare. E’ un dato di fatto oggettivo, con cui fare i conti.

Le cause? Non so, probabilmente una serie di elementi. Intanto adulti troppo protettivi: il mio allenatore ci lasciava a volte in un posto nel nulla, e ci diceva di andare a un paese a venti chilometri di distanza. Superfluo ricordare che non esistevano i cellulari, né i navigatori, né gli integratori salini. Si chiedeva la strada al contadino (senza fermarsi, urlando di corsa), e se era molto caldo magari gli si domandava il permesso di bere dal tubo con cui annaffiava. Se cadevi ti rialzavi e andavi avanti per rimanere attaccata al gruppo, sennò eri persa. I nostri genitori neanche sapevano dove fossimo, e l’allenatore ci aspettava all’arrivo col cronometro (e comunque ci avevamo sempre messo troppo tempo). Il criterio per stabilire se ti fossi allenato bene o no era il vomito: se ne sentivi lo stimolo, allora probabilmente ti eri allenato abbastanza. Ai miei interessava solo che mantenessi alta la media a scuola, non si preoccupavano troppo se prendessi freddo o caldo: finché ero in salute, significava che potevo farcela.

I genitori di oggi ipercontrollano la salute e ogni movimento dei figli: tutto deve essere vagliato dal loro filtro, nell’illusione che la tecnica, l’informazione, il benessere economico possano proteggere da tutto questi bambini e poi ragazzi, sin dal grembo materno, con gravidanze continuamente esaminate (salvo eliminare i bambini se malati). Lo stesso atteggiamento protettivo i genitori ce lo hanno nei confronti della scuola: il professore è il nemico, non l’alleato, gli ostacoli vanno rimossi, la fatica evitata. Le interrogazioni vengono quasi sempre programmate, in modo che i ragazzi, se lo vogliono possano studiare solo per quel giorno, o comunque limitare al massimo la fatica. A una mia protesta una professoressa mi ha spiegato che è costretta a farlo pur di avere qualcuno all’interrogazione: l’alternativa è che tutti si giustifichino. “Le prometto che se lei rifiuta le giustificazioni e mette 2 a mio figlio io non protesto. Rimandate, bocciate se necessario. Io sono con voi qualunque cosa decidiate di fare”. La prof mi ha guardato come si guarda un elefante verde in una sala professori.

Quali sono le cause di questo cambiamento epocale? Oltre all’incapacità dei genitori di imporre o di tollerare la fatica, la frustrazione, il limite, anche la sofferenza a volte dei propri figli, aggiungerei anche altri elementi, come il modello di consumo nel quale viviamo immersi, e la cultura che ne consegue (suscitare bisogni falsi e convincerci che è necessario soddisfarli tutti, anche velocemente), e l’enorme peso che ha la tecnologia nelle nostre vite, e molto di più in quelle dei nostri figli, nativi digitali. Insomma, è sempre più difficile scollarli dai divani, dai letti, da tutte le superfici orizzontali sulle quali istintivamente si sdraierebbero se potessero, se attraverso quel coso che hanno in mano possono vedere di tutto, leggere, comunicare, scambiare una mole di informazioni che le precedenti generazioni neanche immaginavano pensabile.

Ma al fondo di tutto, il problema è un problema di senso. E’ il modello di uomo che ci viene proposto da tutti i canali che formano le nostre coscienze: la cultura, l’informazione, la scuola, l’intrattenimento, la comunicazione, e anche, dobbiamo dirlo, parte della Chiesa. Siamo immersi in una cultura che considera l’uomo come non bisognoso di cura, redenzione, salvezza. E’ la cultura che considera come degni di approvazione e giustificati tutti i moti interiori, viviamo nella palude, dove tutto è molle, modificabile, plasmabile, contrattabile, aggiustabile. La fatica è un’obiezione: se ti fa fatica fare una cosa, non è buona per te. Mentre per secoli anche la letteratura ci ha consegnato le immagini degli eroi che facevano viaggi pericolosi, affrontavano imprese, scommettevano – e a volte perdevano – la vita in prove rischiose, pur di ottenere l’obiettivo, oggi i libri, i film, le storie che popolano il nostro immaginario raccontano piccoli piaceri, piccole soddisfazioni, comode cucce calde che ci siamo aggiustati per vivere. Purtroppo anche in tante realtà della Chiesa si propone un Cristo amico che ti dà una pacca sulla spalla, e sostanzialmente ratifica la tua vita e le tue scelte. Dimenticando che la vita di un cristiano è un combattimento, una milizia nella quale si suda sangue anche, a volte. Anzi, se non succede, se non ti giochi tutto, vuol dire che Cristo non è tutto per te. Un combattimento nel quale il nemico è prima di tutto interiore: è il nostro peccato, che viene dalla nostra responsabilità e dalla ferita del peccato originale. So che sono discorsi fuori moda, che a certe orecchie suonano assurdi come lasciar correre dei ragazzini nel fango sotto la pioggia gelata, ma in gioco c’è la vita eterna, e se non combattiamo più ci prendiamo molto più che una febbriciattola (che poi a correre non viene mai, fidatevi!).

fonte: Il Timone febbraio 2018

19 pensieri su “Benedetta fatica

  1. Anche educare i figli “come Dio comanda”, richiede combattimento e sacrificio, perché i no costano più dei si, perché avere l’insegnante come alleato o almeno insegnare al figlio che all’insegnante, buono o cattivo che sia, lui è subordinato, costa più fatica che ergersi a protettori del figlio (che magari è un bell’esempio di “scansafatiche”).

    E così questa generazione e figlia dell’educazione che riceve e che ha ricevuto e della mentalità del mondo che da pochissimi ormai è contrastata.

    È il “pensiero liquido”, che ormai si fa “gassoso” 😛

  2. Io lo chiamo il “Cristianesimo low-cost”.
    Credo che la più grande cattiveria che si può fare ad una persona pesantemente compromessa con il Male (e, sia chiaro, per compromettersi con il Male sono sufficienti anche solo le omissioni) sia dirgli: “Puoi tranquillamente andare avanti così, Dio ti ama lo stesso”.
    Sì, Dio ci ama lo stesso, ma Gli spezza il cuore vederci andare, più o meno inconsapevolmente, incontro alla dannazione eterna.
    Gesù è venuto a darci la possibilità di combattere per essere liberi dal peccato (anche se mai del tutto, in questa vita), non per darci la possibilità di rinchiuderci in una bara di peccato.

    1. Francesco Paolo Vatti

      Sì, Dio ci ama lo stesso, ma Gli spezza il cuore vederci andare, più o meno inconsapevolmente, incontro alla dannazione eterna.

      Questa è una cosa che ho imparato, e su cui continuo a meditare, con la paternità.

      1. Tra parentesi, la teologia (quella oggidì tanto disprezzata perché inutile) spiega che Dio ama anche le anime dei dannati all’inferno; se non le amasse più cesserebbero di esistere, perché ogni cosa che sussiste nel creato sussiste in virtù dell’amore di Dio, e comunque Dio non ama semplicemente perché “vuole” farlo, e un giorno potrebbe cambiare idea, ma ama in quanto è Egli stesso amore. Ma questo non cambia il loro stato; non lo cambia perché l’amore per avere effetto deve essere accettato e le anime dannate lo rifiutano (e si dannano proprio per quel rifiuto).

        Quindi quando qualcuno vi dice a sproposito “Dio vi ama lo stesso”, come se tutto fosse permesso, non ha capito proprio niente.

        Il risultato voluto e ottenuto è che i 6 e i 18 “politici” non hanno permesso […]

        Questa è la dimostrazione pratica di quali conseguenze ci siano nell’abbassare le asticelle…

  3. vale

    certo che se durante l’ora di religione ( c’è ancora? ) a scuola, o al catechismo , o durante un’omelia ( non come quella che ho ascoltato domenica,sulla linea di quanto scrive chesterton 63 qui sopra ) facessero ancora leggere la bibbia :

    17 All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
    maledetto sia il suolo per causa tua!
    Con dolore ne trarrai il cibo
    per tutti i giorni della tua vita.
    18 Spine e cardi produrrà per te
    e mangerai l’erba campestre.
    19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
    finché tornerai alla terra,
    perché da essa sei stato tratto:
    polvere tu sei e in polvere tornerai!».

  4. 61angeloextralarge

    Chi vuol venire dietro me… prenda la sua gioia e mi segua! Ops! Croce, non gioia. E’ un po’ dura ma tutto si può in Colui che ci da forza.

  5. Luigi

    Il livellamento è sempre verso il basso.
    Le prime vittime dell’egualitarismo non sono le élites che suadentemente lo propongono – “eritis sicut dei” – ma le masse che bovinamente lo accettano.

    Si festeggia quest’anno il cinquantesimo anniversario della morte dell’autorità (“patriarcale”, a prescindere) e della logica classica (fascista!).
    Il risultato voluto e ottenuto è che i 6 e i 18 “politici” non hanno permesso anche agli scarsi di mezzi economici di primeggiare – quello accadeva prima, semmai – ma hanno semplicemente svuotato di ogni valore diplomi e lauree.

    E quello che vale nel sistema scolastico, vale in ogni altro ambito della vita.
    “Train hard, fight easy. Train easy, fight hard”.
    Anzi, don’t fight del tutto.

    Il problema è che senza fatica, preparazione, sacrificio, determinazione, tenacia, gli obiettivi che ci si possono concedere sono conseguenti: micragnosi, bassi, meschini.
    Ma senza traguardi alti, raggiunti lungo sentieri impervi, la vita risulta noiosa, vuota, frustante. E allora ecco “sballo”, stordimento, fughe nel nulla, per dimenticare la realtà…

    Ciao.
    Luigi

  6. Francesco Paolo Vatti

    Leggere questo articolo sembra mostrare in parole quanto vedo coi miei figli e quanto mi costringe a combattere tutti i giorni. Ricordo quando giocavo a pallacanestro. A parte essere alto un po’ più di 2 metri, non ho particolari doti. Quello che sono riuscito a fare, l’ho ottenuto con la fatica e il lavoro costante. E questo mi ha dato grandi soddisfazioni. Non riesco a far capire questo banale concetto a due adolescenti, data la grancassa di altro tono all’esterno di casa…
    Due cose mi vengono in mente, leggendo dei genitori che giustificano a prescindere: 1) le difficoltà che ha mia moglie a scuola coi genitori dei suoi alunni. Scherzando mi dice: “Vedrai che si torneranno a battere i prof. quando i figli vanno male a scuola”! 2) Un tristissimo episodio, accaduto ad Ancona, città dove sono spesso per lavoro: un gruppo di ragazzini (13-15 anni, se ricordo bene) di un oratorio della periferia costringe una ragazzina di 13 anni a rapporti sessuali, che filma e mette su youtube. Presi e arrestati dopo la denuncia, i genitori si affrettano a giustificarli… Non so bene come sia finita la questione, ma come si può creare dei buoni cittadini se ogni cosa viene giustificata?
    Aggiungerò anche che tutto questo mi pare uno dei frutti della femminilizzazione della società, che non dà più una guida ai ragazzi, ma si preoccupa solo del loro benessere fisico.

  7. Silvia

    Immagino sarebbe bello se potessimo progredire e migliorarci senza fare fatica.
    Immagino sarebbe bello vivere senza troppi pensieri e preoccupazioni che ci fanno inevitabilmente faticare : “una vita in vacanza” come hanno cantato a Sanremo i ragazzi dello stato sociale.
    Alla lunga ci stancheremmo?
    Immagino di si ma onestamente potrebbe anche non essere così male.
    Inutile comunque starci a pensare, perché nella realtà anche la vacanza più lunga prima o poi finisce.

    I ritmi intensi della vita di oggi, sempre più multitasking, sono indubbiamente logoranti e un po’ di riposo ogni tanto ci é indispensabile, é cosa buona e giusta.
    Ma come il riposo non può essere il fine, lavorando solo nell’attesa del week end per poi rimanere delusi che sia stato troppo breve, così la fatica non si può evitare sistematicamente.
    Anche la fatica non è certo il fine ma un mezzo indispensabile per fare bene ciò che si fa e per riceverne piccole e grandi soddisfazioni in itinere.
    E alla fatica bisogna abituarsi con gradualità, come in un qualsiasi allenamento.
    Nel 1970 ebbe tanto successo la canzone di Orietta Berti:
    “Fin che la barca va, lasciala andare, fin che la barca va, tu non remare, fin che la barca va, stai a guardare…”
    Simpatica, orecchiabile canzoncina.
    Quando mio marito, un bel po’ di tempo fa, mi diceva che in realtà era pericolosa perché era un manifesto del disimpegno, io sostenevo che fosse esagerato.
    Oggi inizio a pensare che avesse un po’ ragione.

    1. exdemocristianononpentito

      “Alla lunga ci stancheremmo?” …può darsi…forse…però ad una vita come quella che hai descritto (“senza fatica”) era destinato all’uomo PRIMA del peccato originale. Infatti, la morte, le malattie, la natura ostile, il lavoro faticoso e alienante, i conflitti umani, sociali e politici, subentrano DOPO il peccato originale.
      Se l’uomo non avesse disobbedito, non ci sarebbe nemmeno bisogno del Cristo, in quanto non avrebbe avuto bisogno di essere salvato , e quindi di un Salvatore.

  8. Lo sport come metafora della vita, ritengo anche io che sia pure questo un mezzo di redenzione, spesso sottovalutato anche dalla Chiesa. Forse si dovrebbe riscoprire di più questo carisma paolino, e puntare ad una formazione integrale del cristiano.
    Voglio portare ad esempio quello che succede in Iran, dove ci sia allena con una musica di sottofondo e canti di preghiera soprattutto per gli ammalati: https://www.youtube.com/watch?v=QZxvvbQstuU
    Armando

  9. loris

    Io ricordo con grande ammirazione per me stesso (me lo si perdoni) che da quando fui alle medie in poi, mi allenavo a calcio anche nelle sere invernali, con la neve, la pioggia, il vento… la nebbia fitta (che bello il ricordo della nebbia! Evviva Giovanni Pascoli!!!!!). Andavo in bici o in motorino, anche se pioveva. A volte ci aspettava la doccia fredda. E non ricordo mai (mai!) di aver sofferto fatica o freddo, che pure ci saranno stati… Ricordo solo che andavo sempre, partecipavo con gli altri sempre con l’impegno che potevamo, e la voglia di divertirsi e sacrificarsi insieme.
    Ho imparato più dagli allenamenti di calcio che da tante parole o gesti organizzati da parte degli “adulti” della situazione. Quel bambino che ero, è ancora lì e mi guarda, e mi dice “non arrenderti mai!”

    1. Francesco Paolo Vatti

      Verissimo! Lo sport agonistico è una grande scuola di vita. per me è stato impagabile.

  10. @ adm, Costanza

    So che sono discorsi fuori moda…..

    No !! non sei fuori moda tutt’altro Costanza…..

    il sacrifici , il fare fatica ha un premio, e ti porta a l’arrivo.
    Mi viene in mento un episodio della mia gioventù,… mi ero inscritta a l’atletica leggera, cosi senza pensare più di tanto, mio allenatore mi disse non so se avrà lo stile athletica, non ero brava ..

    .ma ho perseverato con fatica, per farla breve questa fatica mi ha premiata perché, dovuto alla mia perseveranza e per finire ero nel equipe per le gare, fino ad arrivare ad una gara internazionale a Paris,( certo per equipe) individualmente (regionale ) arrivavo seconda o terza.

    Dunque la fatica premia sempre, e lo sport fa bene anche alla mente impari la disciplina non solo ma hai un spirito di sacrifici …..e questo ti aiuta per la tua crescita, anche spiritualmente, nulla è dovuto, e si acquista sicurezza in ogni situazione.

  11. Silvia

    @exdemocristianononpentito

    Hai ragione. Noi viviamo inevitabilmente il DOPO peccato Originale.
    Ce lo abbiamo ben presente: sperimentiamo così facilmente ogni giorno i nostri limiti e percepiamo benissimo anche quanta Santa fatica ci costa cercare di vivere con maggiore coerenza evangelica possibile.

    Anche la Grazia completa la natura ma non la toglie, quindi la fatica si fa comunque.
    Ed é necessaria per tante cose buone che possiamo fare, cose per cui vale la pena farla.

    Pensando a questo, a maggior ragione, possiamo allora essere sicuri che sia un bene fare affrontare un po’ di sana fatica anche i nostri figli. incoraggiandoli nello sport, nello studio ed in tutto ciò che non necessariamente riesce loro facile ma che sicuramente farà loro bene, aiutandoli a crescere.

  12. MAurizio

    Apprezzo molto l’articolo della Miriano, come uomo e come psicologo. Non sono credente ma colgo il senso della fatica e del sacrificio come elemento costitutivo dello sviluppo,della crescita, dell’evoluzione di ogni essere umano. Anche nel mio specifico lavorativo si cerca di evitare la fatica ai pazienti, intesa come capacità di riflessione, associazione, introspezione dentro il mare della propria psiche e dei suoi abissi nonchè delle sue vette (appartengo all’unica scuola psicoterapeutica che studia lo spirituale come esperienza innata in sè, cioè la Psicosintesi di Roberto Assagioli) ma si propongono ai pazienti protocolli commportamentali per risolvere presto e bene disagi, malesseri e patologie.
    La nostra è davvero un’epoca triste….

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