Don Antonello Iapicca ha scritto e ci ha mandato un saggio su SILENCE l’ultimo film di Martin Scorsese. Per chi non lo conoscesse SILENCE narra la storia di due padri gesuiti portoghesi che vengono a conoscenza dell’atto di abiura fatta dal loro mentore, padre Fereira, in Giappone. Decidono quindi di partire per il paese asiatico per ritrovarlo. Giunti in Giappone, incontrano le comunità cattoliche che professano la loro fede di nascosto e si uniscono a loro svolgendo il proprio ministero. Verranno presto a conoscenza, e ne saranno vittime, delle tremende persecuzioni che lo shogunato applica ai danni dei convertiti al cristianesimo.(fonte Wikipedia).
Il Saggio era troppo lungo per essere pubblicato come post ma è disponibile in PDF cliccando QUI. Pubblichiamo quindi un’introduzione che ci ha mandato don Antonello seguita da un piccolo estratto del saggio.
di don Antonello Iapicca
Anche se “Silenzio” non racconta fedelmente l’autentica storia della Chiesa in Giappone, imporporata dal sangue di moltissimi martiri, paragonabili per numero solo al martirologio della primitiva Chiesa di Roma, il film è un’occasione importante perché si conosca nel mondo l’opera di Cristo in questa terra.
E’ infatti una Parola di Dio per tutti noi, e per questo, confidando che Dio può trarre il bene anche da opere cinematografiche come questa, ho preparato questo breve saggio nel quale cerco di fare giustizia al martirio di tanti fratelli e alla fede di tanti missionari che mi hanno preceduto, e ai quali devo la mia presenza in Giappone. Il loro sangue e il loro zelo hanno fecondato questo Paese, preparandolo all’evangelizzazione che, dopo tanti secoli, sembra essere ancora agli inizi. Ma proprio per questo, nonostante siano passati secoli, ci sentiamo contemporanei di San Francesco Saverio, di San Paolo Miki e di tutti gli altri. Perché in Giappone stiamo sperimentando quello che scriveva Peguy: “Tutto quello che c’è di piccolo è tutto quello che c’è di più bello e di più grande. Tutto quello che c’è di nuovo è tutto quello che c’è di più bello e di più grande. Tutto quello che comincia ha una virtù che non si ritrova mai più.
Una forza, una novità, una freschezza come l’alba. Una giovinezza, un ardore. Uno slancio. Un’ingenuità. Una nascita che non si trova mai più. C’è in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna. Una partenza, un’infanzia che non si ritrova, che non si ritrova mai più. Ora la piccola speranza è quella che sempre comincia. Quella nascita Perpetua. Quell’infanzia Perpetua” (Il portico del mistero della seconda virtù). Nascita e infanzia perpetue che ho contemplato in Maria, la nona figlia di Carlo e Claudia Kumada, lui figlio di un regista giapponese ma romanissimo come la moglie, una famiglia in missione a Yokohama da qualche anno. Maria è una piccola martire che ha solo sfiorato questa terra, ma come una benedizione feconda nella mia vita e in quella di moltissimi altri. Il parto è stato difficilissimo, la placenta previa non ben diagnosticata ha fatto perdere ben quattro litri di sangue a Claudia, mentre per lunghissimi momenti è rimasta in apnea la piccola Maria. Mamma e figlia unite in un misterioso destino che ha fatto nascere Maria gravemente menomata. Ma solo fisicamente, perché nell’anno e mezzo in cui è stata tra noi, senza aprire gli occhi, nel totale silenzio, ci ha fissato e parlato del suo Sposo più di mille sguardi e parole. Maria è stata, ed è, la Parola di Dio fatta carne che risponde ad ogni nostro dubbio e silenzio, a quelli più sinceramente angosciati come a quelli che, superbi, esigono risposte umane ai misteri divini.
Ho visto Maria un paio di giorni dopo la sua nascita, bellissima che sembrava una sposa pronta per le nozze, così semplicemente e umilmente sottomessa al suo Sposo. Prendetemi pure per pazzo, in fondo “Silenzio” ci dice chiaramente che lo siamo tutti noi sedotti dal folle amore di Cristo, ma io l’ho visto il suo Sposo mentre abbracciava Maria nutrendola di vita attraverso le flebo; l’ho visto baciarla dolcemente con il respiratore che le donava l’ossigeno per vivere. L’ho vista come vorrei vedermi ogni giorno, come chiedo al Signore di rendere il mio essere cristiano e prete, obbediente e sottomesso alla volontà di Dio “perinde ac cadaver”, allo stesso modo di un cadavere, come insegnava S. Ignazio di Loyola ai missionari della Compagnia di Gesù. Perché un missionario o è puro riflesso di Cristo, o non serve. Niente di più assurdo, lo so; addirittura illecito in quest’epoca di soli diritti e zero doveri.
Eppure Maria, salita al cielo alcuni giorni fa, è in me l’immagine indelebile di quell’“infanzia perpetua” senza la quale è impossibile non solo la missione, ma la vita, ogni vita, che chiama ogni giorno a conversione per ricominciare dalle proprie debolezze bagnate dalla misericordia rigenerante del Padre. Maria è passata sulla terra muta, come un agnellino condotto al sacrificio. Maria è vissuta contemplando senza sosta lo Sposo nell’intimo della sua anima, laddove le nostre tante buone intenzioni ci impediscono di scendere, e, umili, inginocchiarci mendicando l’unica cosa buona e necessaria, l’amore di Cristo. Così, come le migliaia di martiri che l’hanno preceduta, Maria ha evangelizzato il Giappone stretta alla Croce del suo Sposo. Sul suo lettino era Lui che le scaldava il corpo troppo freddo, era Lui che le faceva compagnia, istante dopo istante, senza lasciarla un secondo.
No, non era lei che viveva, ma era vivo in lei Cristo, pienamente, perché totalmente debole e bisognosa. Non poteva metterci di suo che quel corpo ferito, preparato da sempre per Cristo, sorella e sposa di Lui che ha offerto se stesso per lei, completamente e senza altra condizione che la gratuità. Il silenzio di Maria offriva a Cristo la voce per parlare al nostro cuore; i suoi occhi chiusi sul mondo dischiudevano quelli dello Sposo su ciascuno di noi che, spesso ciechi sul suo amore, ci avvicinavamo a lei. Ecco, questo è un cristiano, prete o laico non importa, un altro Cristo per il mondo. Crocifisso, perché è solo nella debolezza che tacciono le nostre parole ipocrite e si chiudono i nostri occhi avidi per lasciar posto al potere della Parola di Cristo e al suo sguardo di autentica compassione. Crocifisso come i martiri che hanno portato in sé il morire di Gesù per gli aguzzini perché tra i tormenti dell’ingiustizia risplendesse in loro la sua resurrezione. Deboli e inermi perché la vita soprannaturale ed eterna che permette di donare la propria, sia offerta ad ogni uomo come l’unica testimonianza credibile che i peccati sono perdonati e che si può vivere già qui un anticipo del paradiso per il quale tutti siamo creati.
Per questo Maria è una piccola martire, testimone innocente della fede nella quale i suoi genitori si sono aperti alla vita dopo aver avuto otto figli – “orrore” direbbe il mondo con il Padre Ferreira del film, una follia della superbia cristiana che pretende di salvarsi sulla Croce e non dalla Croce – e nella quale hanno camminato accanto a lei in questi lunghissimi mesi, con la spada che scendeva tagliente nel cuore di Claudia, e le tentazioni subdole di giustizia che, come l’“anazuri” (la tortura della “fossa” nella quale erano infilati a testa in giù i cristiani), erano pronte ad inghiottire Carlo torturandone la ragione. Ma Cristo era accanto a loro, ha vissuto in loro come in Maria, accompagnandoli insieme nel martirio che, nel mondo, dà ragione al suo amore più forte del dolore, del peccato e della morte. Entravi nella loro casa e mai avresti immaginato quello che Carlo e Claudia stavano vivendo. Guardavi e ascoltavi i loro figli sereni parlare di Maria come di un dono di Dio per la loro famiglia, rinnovata ogni giorno in una comunione soprannaturale che risplendeva nell’ordinarietà di una vita vissuta semplicemente, che significa assumere il dolore, restare crocifissi, e fare quello che c’è da fare. Compreso litigare e fare i capricci se serve, perché un bambino anche se ha fede è sempre un moccioso che si vuol far amare. Maria, come Felix, il papà di una famiglia spagnola con cui sono in missione da tanti anni salito al cielo undici anni fa e qui seppellito, come tutte le famiglie che sono in Giappone da quasi trent’anni, o da venti, o da tre, e i figli che sono cresciuti e si sono sposati, e sono anche loro qui in missione con i loro figli. E i fratelli giapponesi con i quali condividiamo le croci e la loro gloria in ogni centimetro di storia che ci attende, sperimentando che Cristo è vivo, che ha vinto il peccato e la morte, che Lui ha potere sulla “palude” che non è il Giappone ma il cuore dell’uomo schiavo del peccato, identico qui a quello di ogni altro lembo di mondo.
Questi inizi nei quali seguiamo le orme dei primi missionari e cristiani giapponesi, sono il grembo dove cresce, gioiosa e grata, la fede. La nostra vita crocifissa lietamente con Cristo è la testimonianza inoppugnabile che la storia non è andata come racconta Silenzio, ma che anche oggi, qui e ovunque, può essere un prodigio di fedeltà e amore, che la Grazia plasma attraverso una seria iniziazione cristiana in una concreta comunità dove, in Cristo crocifisso e risorto, sono abbattuti i muri culturali, politiche e nazionalistiche. Guardo Maria, fisso i miei fratelli e vedo in loro i volti e la fede di chi ci ha preceduto, nella certezza che la stessa Grazia che opera oggi ha operato in loro. E affido alla misericordia di Dio chi è caduto e ha cercato, tra dolori inenarrabili, un’improbabile legittimazione ed esaltazione del proprio peccato. Perché, come scriveva ancora Peguy: “Per non credere bisogna farsi violenza, torturarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi al rovescio, mettersi al rovescio, riprendersi. La fede è tutta naturale, tutta alla buona, tutta semplice” (Véronique – Dialogo della Storia e dell’anima carnale).
Antonello Iapicca Pbro
Takamatsu, 30 gennaio 2017
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ESTRATTO DEL SAGGIO DI DON ANTONELLO IAPICCA (DISPONIBILE INTEGRALMENTE CLICCANDO QUI)
Eh no, la “palude” non è mica solo il Giappone. La “palude” circonda la vita di tutti, ovunque, da sempre. Ci seminiamo il matrimonio e ogni relazione, perché la “palude” è il cuore, infido e imprevedibile, “un abisso” che rende l’uomo “un baratro” (Sal 63). Identificarla con una Nazione e la sua cultura, la storia e la religione, è forse il più fuorviante degli equivoci su cui posa il contenuto e l’impianto narrativo del libro “Chinmoku – Silenzio” di Shusaki Endo e dell’omonimo film di Martin Scorsese.
“La nostra religione non può mettere radici in questo Paese perché questo Paese è una palude; non cresce niente qui, una pianta germoglia e le radici marciscono” afferma Cristobal Ferreira, Provinciale dei Gesuiti in Giappone, “prete caduto” durante le terribili persecuzioni che subirono i cristiani in Giappone. La vera apostasia è tutta in questa frase, ben più grave e gravida di conseguenze della stessa “formalità” con cui calpestare un immagine sacra, che è solo la conseguenza dell’inganno cui Ferreira ha dato credito.
Per comprendere l’autentico messaggio del libro e del film, bisogna essere chiari storicamente ed onesti intellettualmente: il Ferreira di entrambi non è quello della storia. Prima Endo e poi Scorsese hanno attinto dalla sua vicenda ciò che della loro hanno voluto, o creduto di poter identificare. Di certo non l’ha spinto all’apostasia il pensiero che un suo “korobi” – “caduta” potesse salvare altri cristiani.
[…] Logica vuole che un presupposto falso renda inattendibile l’intero svolgimento e il risultato finale di qualsiasi ragionamento, anche se la maggior parte dei critici e degli spettatori è rimasta colpita, e spesso affascinata, proprio dal presunto sacrifico “vicario” dei due missionari. Quello che invece “Silenzio” vuol dirci è che l’apostasia è stato un atto d’amore perché essa ha salvato i cristiani giapponesi dalla morte a cui li condannava una religione straniera alla quale non avevano mai davvero aderito. I missionari hanno apostato perché incapaci di avere ragione della “palude” nella quale, a testa in giù, erano stati calati: “non sei stato sconfitto da me, ma da questa palude che si chiama Giappone” dice infatti alla fine l’Inquisitore Inoue a Padre Rodriguez. E’ questa la frase chiave di tutto il film.
Come afferma satanicamente Ferreira, sarebbe stato l’orgoglio dei missionari ad uccidere i cristiani. La superbia di identificarsi con Cristo e di voler piantare la sua Croce in Giappone. Quella superbia dei sacerdoti che tanto ha colpito Scorsese, come ha recentemente detto in un’intervista a Padre Spadaro pubblicata su “La Civiltà Cattolica”: “se davvero si ha la chiamata, come si fa ad affrontare il proprio orgoglio? Se si è in grado di eseguire un rito in cui si produce la transustanziazione, allora sì: si è molto speciali. Tuttavia, è necessario anche qualcos’altro. Sulla base di ciò che ho visto e vissuto, un buon prete, oltre ad avere quel talento, quella capacità, deve sempre pensare anzitutto ai suoi parrocchiani. Quindi la domanda è: come fa quel prete a superare il suo ego? Il suo orgoglio? Volevo fare quel film. E ho capito che con Silence, quasi sessant’anni dopo, stavo facendo quel film. Rodrigues è direttamente alle prese con quella domanda”. E risponde apostatando, perché crede all’insinuazione di Ferreira con cui il demonio gli rovesciava la realtà come un calzino: tu non vuoi apostatare per l’orgoglio di sentirti come Cristo, vedi te stesso come una transustanziazione di Cristo, mentre per superare l’orgoglio devi pensare agli altri cristiani che si fidano di te e stanno soffrendo. Apostata e così salverai te dall’orgoglio e loro dalla morte.
Apostata, e così diventerai finalmente quello che per Scorsese è un vero sacerdote: “i buoni sacerdoti che ho conosciuto hanno sempre messo da parte il loro ego. Quando lo si fa, restano soltanto le necessità — le necessità degli altri — e vengono meno le domande sulla penitenza da scegliere o su ciò è o non è la compassione. Esse diventano prive di significato”. L’ego sarebbe messo da parte in favore delle necessità tutte terrene degli altri, per le quali è ovvio che la com-passione, il patire la stessa sofferenza in unione a Cristo non ha significato; se la Croce smette di essere la porta che dischiude il Cielo, diventa una inutile sofferenza priva di significato.
Astuto come un serpente, con questo velenoso sofisma satana riesce così a trasformare l’apostasia nel supremo atto d’amore attraverso il quale liberare i giapponesi convertiti dall’orgogliosa utopia della Chiesa europea di farli diventare cristiani alla maniera occidentale. La morte dei cristiani giapponesi, dettagliatamente e lentamente ripresa nella parte del film, si rivela così come un martirio alla rovescia, la testimonianza cioè del fallimento della missione dalla quale solo l’apostasia poteva salvarli. Solo Gesù, quello di Endo e Scorsese ovviamente, lo ha capito, e ce lo dice quando invita Rodriguez a calpestare la sua immagine occidentale nella quale i missionari volevano trasformare i poveri e ignoranti contadini giapponesi.
Non so se Scorsese abbia colto questa subdola e perversa ideologia nazionalistica di “Silenzio”, un cancro che mette in pericolo l’unità della Chiesa, come già accadde ai tempi dei grandi scismi eretici e gnostici e delle riforme dell’era moderna. Forse no, forse si è fermato alla superficie emotiva del dramma di Ferreira e Rodriguez, quella del presunto silenzio di Dio davanti alle sofferenze patite per il suo nome, rotto solo dalla voce di Gesù che incoraggia Rodriguez ad apostatare. Infatti, dice, proprio per questo “sono nato in questo mondo, per condividere il dolore degli uomini, ho portato questa croce per il vostro dolore”. Non è possibile che Dio voglia la sofferenza, Dio ci salva dalla morte, no? E come ci salva? “Condividendo” il dolore degli uomini, che in “Silenzio” significa lasciarsi calpestare rinunciando ad essere il Dio Onnipotente che salva dal peccato e dalla morte, per vestire gli abiti degli uomini e nascondersi in essi, come appare nella scena finale. Insomma, può salvare solo un Dio sconfitto dalla “palude”, perché il Dio orgoglioso della sua unicità uccide invece di salvare. Salva un Dio diluito nei costumi della palude che accoglie e legittima tollerante e pietoso i suoi liquami. […]
L’ha ribloggato su Felicemente Stanchi.
http://www.maurizioblondet.it/silence-del-povero-scorsese-povero-cattolico/
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-silence-inutile-e-impregnato-di-politically-correct-18750.htm
Segnalo anche http://www.campariedemaistre.com/2017/01/il-silenzio-impossibile.html
Non bisogna dimenticare che Martin Scorsese era entrato in seminario da giovane e che nelle sue opere (specialmente in quelle più religiose), fa i conti con quella che ancora oggi forse vive come una vocazione “tradita”.
Analisi molto interessante che condivido.
Può verificarsi il caso in cui sia l’ego e la vanagloria a spingere un uomo (che sia sacerdote o meno) a “credersi come Cristo”, ma queste sono e restano eccezioni quasi da “delirio psichiatrico”.
La realtà della missione e dei missionari è proprio quella di sperimentare il proprio umano limite, anche l’umano fallimento (per non parlare della persecuzione), perché in questa brilli la Potenza e l’Amore di Dio che può passare – e generalmente passa – come per Suo Figlio, per la kenosi della Croce.
Assolutamente corretto tirare in ballo la tentazione demoniaca, che ti mette apparentemente di fronte a un “bene” ed un altro “bene” (il Demonio non è stupido).
Le Tentazioni di Cristo nel deserto, sempre ci sono di esempio:
“Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo,
ed essi ti sorreggeranno con le loro mani,
perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».” (Mt 4, 5-6)
Che stava a dire: “Ma come pensi di compiere tu la tua missione, che sei solo il figlio di un carpentiere… fai qualcosa di eclatante! Che tutti vedano chi sei veramente…”
Così difronte al “bene sommo delle anime”, viene posto un urgente e concreto bene dei corpi (evitare la morte, la sofferenza)…
Non che sia facile scelta quando ci si dovesse trovare in concrete situazioni, ma questo fa la differenza tra una scelta umana e quella dettata dalla Fede, la scelta della “virtù eroica”, la proposta alla santità che giunge sino al Martirio.
D’altronde Gesù ce lo dice chiaramente:
«E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna.» (Matteo 10,28)
L’ha ribloggato su Lacapannadellozioblog.
Signori,
quanta saccarina c’e’ in giro come pretesa catachesi cattolica romana. ma non e’ miele dal favo:Parola Tradizione Magisterio.
Modalita’ del mondo, media, telematiche per distrarre la gente a formare mentalita’ a falso Cristo, falsa Chiesa, falsi cristiani.
Apostasia generale al Deposito della Fede cattolica come da profezie evangeliche e’ in atto al nostro tempo 2017.
Cordiali saluti, Paul
Personalmente nel film non ho visto una tesi o una risposta al martirio o una dichiarazione di quale sia la strada migliore. Le citazioni che vengono prese da questo estratto le ho interpretate come un lavaggio del cervello, non come questa è la verità o l’interpretazione corretta.
Purtroppo non conoscevo la storia dei sacerdoti caduti e dei martiri giapponesi, quindi non so quanto si discosti dalla realtà, gli do il merito di aver reso pubblica una realtà storica (al di là dei personaggi romanzati).
Inoltre lo consiglio a tutti proprio per i dubbi e le difficoltà che mette in luce. Io ci ho visto un ragazzo che è partito con tante certezze che però erano astratte e che ha dovuto fare i conti prima con la durezza della realtà e poi con il Male, subdolo e violento.
Certo che la risposta corretta “da catechismo” è che il martirio è la soluzione migliore, ma davvero sarebbe facile per tutti i cristiani affrontarlo fino in fondo?
Dei momenti finali mi è rimasto un certo senso di sconfitta, per questo non concordo con l’interpretazione dell’articolo.
A me ha fatto pensare al senso del perdono, al perdonare sempre senza condizioni, all’episodio del tradimento di Giuda e di quello di San Pietro. E anche al momento del cenacolo dopo la morte di Cristo. Erano in dodici, è orrendo pensare che solo uno stava sotto la croce, però me lo chiedo a volte, se non si fossero nascosti sarebbero sopravvissuti il tempo necessario per diffondere la testimonianza?
@Stefania,
certo che i Discepoli “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo …si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”, ma non fu il nascondimento che permise loro di diffondere il Vangelo.
Non fu una “strategia di attesa decisa a tavolino”!
No, fu prima l’apparire a loro del Risorto: “…venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».”
E la discesa dello Spirito Santo poi, che farà di loro veri Testimoni, la maggior parte dei quali finirà martire. Altro che “se non si fossero nascosti sarebbero sopravvissuti il tempo necessario per diffondere la testimonianza?”
Quanto al Martirio, non illudiamoci, nessuno è pronto, nessuno ne è capace, se Dio non glielo concede, ma alcuni Santi lo hanno desiderato… non l’immolarsi per un tragico eroismo, ma per spendere sino in fondo la propria vita per Cristo, che già l’ha donata per loro …e martirio o non martirio, non dovrebbe essere questo il sentimento di ogni Cristiano?
C’è anche un “martirio bianco” che può essere quello di tutti i giorni in tante situazioni, ma resta il fatto che o la nostra vita la difendiamo o con l’aiuto di Dio la offriamo.
Oppure, inutile dirsi Cristiani.
Scusa forse mi sono spiegata male. Un po’ il Vangelo lo conosco e so cosa ha portato i primi discepoli ad annunciare il Vangelo fino al martirio. E poi tanti dopo di loro nei secoli.
Nel film personalmente non ho visto la giustificazione dell’apostasia.
Ci ho visto il dramma di un uomo che ha scoperto la paura e la sofferenza vera.
Non ci ho visto una condanna o una critica al cristianesimo, ma tanti spunti di riflessione per il cammino spirituale personale.
Secondo me bisogna andare oltre le citazioni nel caso di questo film. Non ci vedo neanche il silenzio di Dio, ma un uomo che non vede e non comprende le risposte che lo circondano. – spoiler – Il personaggio del giapponese che continuamente tradisce e continuamente chiede perdono e che alla fine il protagonista ringrazia, l’ho interpretato in modo diverso dall’ autore dell’ articolo: non credo sia un esempio da seguire per come rinnegare, ma per come ritornare a chiedere perdono dopo la caduta nella consapevolezza della propria debolezza, inoltre il suo chiedere di essere assolto sempre nei momenti peggiori costringe il protagonista a fare il prete, anche quando ormai non lo é ufficialmente.
Ci ho visto anche altre cose, ma non credo sia il caso allungare il discorso.
Il martirio é sicuramente la forma più alta di sequela, anche quello bianco. Però non sono d’accordo sul fatto che sia inutile dirsi cristiani se non si é pronti ad offrire la propria vita. La santità é la meta da seguire ed é per tutti, ma non tutti ci arrivano con gli stessi tempi e allo stesso modo, alcuni cadono più spesso di altri. Dire che é inutile se non si é pronti a dare il 100% é un po’ come dire che molta gente non dovrebbe proprio partire e rinunciare da subito a cercare Cristo. Se non la conosci ti suggerisco la preghiera/poesia “Amami come sei”, non ricordo l’autore.
Stefania, immagino che la preghiera sia questa:
http://www.preghiereagesuemaria.it/sala/amami%20come%20sei.htm
È importante leggerla, perché il testo chiarisce un’ambiguità seria che è insita nel titolo.
“Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei… “
Il senso mi pare chiaro: c’è un divenire e non bisogna fermarsi al presente. In altre parole, Gesù ci segnala un cammino ed il traguardo è la perfezione: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.”; allo stesso tempo, siccome sappiamo che siamo imperfetti e soggetti alle conseguenze del peccato originale, non dobbiamo esserne scoraggiati al punto da distogliere lo sguardo dalla méta, magari rinunciando al viaggio. Gesù poi ci assiste fin da subito, non da un certo punto in poi. Cionondimeno la méta rimane la perfezione; non possiamo permetterci di rimanere dove siamo, né di stabilire soggettivamente qual’è la méta che dobbiamo raggiungere. Certo, il punto del percorso in cui siamo colti alla fine della vita terrena è diverso per ciascuno di noi. Ma la méta è sempre Cristo che la stabilisce e ce la indica. Nel noto episodio del “Quo vadis?” Pietro stava fuggendo dalle persecuzioni. Magari si era anche fatto il conto che, rimanendo vivo ancora per qualche anno, avrebbe potuto predicare e raggiungere altre comunità. Ma non era quello che Dio voleva, e lui si adeguò al volere divino.
Il film argomenta proprio su quale sia la méta, proponendone una falsa. Se tu vuoi cogliere solo gli aspetti positivi del film, e come dici a te non ispira desiderio di imitazione del protagonista, va benissimo: Don Iapicca ha scritto: “confidando che Dio può trarre il bene anche da opere cinematografiche come questa”. Il problema è capire cosa intendeva il regista e cosa intenderà la gente vedendo il film. Perché uno ha diritto alla propria opinione (“secondo me”), ma solo sugli argomenti dove la realtà dei fatti non dice una cosa diversa; sennò proietta i propri desideri sulla realtà e vive in una bolla. A voler andare di “secondo me” uno potrebbe anche dire che “Imagine” di Lennon non è affatto anti-cristiana; magari la frase “And no religion, too”, come tutto il resto della canzone, si riferisce al Regno dei Cieli, dove effettivamente non ci sarà neanche religione, perché contempleremo direttamente Dio. Peccato che questa non era certo la visione di Lennon e si capisce benissimo dal suo contesto culturale. La maggior parte della gente lo sa e quindi quella canzone fa danni gravi. Se hai letto tutti i commenti e i documenti che sono stati postati, puoi ben vedere che Scorsese ha già un precedente lavoro, “L’ultima tentazione di Cristo”, in cui ha descritto un Cristo falso, falsissimo. Dunque è consequenziale che abbia oggi descritto un cristianesimo ed una Chiesa falsa (osservazioni di C&DM). Se leggi quello che ha riportato Magister sull’ampio spazio che Civiltà Cattolica ha dato a Scorsese e il commento del gesuita che ho postato sopra, leggi esattamente l’esaltazione dell’apostasia che ha fatto preoccupare l’autore dell’articolo. Pertanto quelle sono le chiavi di lettura a cui la maggior parte degli spettatori sarà esposta. Noi dobbiamo contrastarle.
Osservazione sul commento di Don Iapicca:
Per comprendere l’autentico messaggio del libro e del film, bisogna essere chiari storicamente ed onesti intellettualmente: il Ferreira di entrambi non è quello della storia. Prima Endo e poi Scorsese hanno attinto dalla sua vicenda ciò che della loro hanno voluto, o creduto di poter identificare. […] Logica vuole che un presupposto falso renda inattendibile l’intero svolgimento e il risultato finale di qualsiasi ragionamento […]
Se un film richiama un fatto storico, ma lo travisa, non si può dire che ha il merito di portare quel fatto all’attenzione della platea, perché la maggior parte della gente rimarrà alla narrazione del film senza verificare altre fonti; rimanendo quindi con una falsità. Meglio non conoscere una cosa che conoscerla in modo falso.
“però mi chiedo in quelle condizioni riuscirei a non scappare visto che crollo per molto meno”
Non penso che nessuno di noi sia convinto che non scapperebbe; anzi. Se lo facesse, molto probabilmente sosterrebbe un eresia; infatti è così scritto nei canoni e decreti del Concilio di Trento (grassetto mio):
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, cosí la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).
Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, […]
E ancora:
16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione
speciale): sia anatema.
Speriamo tutti che Dio ci liberi da ogni possibile martirio e ci faccia morire nel nostro letto (Cristo pregava “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice”). Ma parimenti speriamo che, se invece Dio ci chiederà un sacrificio anche grave, saremo in grado di accogliere la sua Grazia e fare la sua volontà.
Come vedi non siamo “più avanti”. Da un lato non dobbiamo essere presuntuosi; dall’altro non dobbiamo giustificare preventivamente la disobbedienza, addirittura sostenendola come una cosa ineluttabile e persino giusta. Nei fatti sarebbe una sfiducia e/o un rifiuto preventivo dell’azione di grazia dello Spirito Santo.
Per chiarezza, non ho mai voluto giustificare la debolezza e continuo a non vedere questa giustificazione o la proposta del tradimento come meta nel film. Il senso della preghiera lo conoscevo, non credo sia ambiguo il titolo e mi pare abbastanza chiaro il significato, come lo hai già descritto, perdonate se non l’ho copiato ma non avevo modo in quanto scrivevo da cellulare.
Perdonami ma non mi ritrovo negli esempi che hai portato. Giusto per chiarezza, non volevo dire che San Pietro non sarebbe dovuto morire martire, né ho mai pensato che il martirio sia una perdita in qualsiasi modo. Riguardo all’esempio di Imagine non lo trovo pertinente, perché si parla di due diversi tipi di arte. Il testo di una canzone è come una poesia, in questa caso per niente ermetica, quindi quello che c’è scritto è il messaggio. Riguardo ai film il messaggio non è diretto, perché bisogna prendere insieme i dialoghi, le immagini, i gesti, le espressioni, le musiche o i silenzi. Non è raro che in alcuni casi il registra lasci aperta l’interpretazione.
Premesso questo, quando mi approccio a un film non mi preoccupo prima di quello che il regista voleva dire, perché trovo molto più importante quello che mi trasmette il film, soprattutto se il film tratta temi importanti. In questo caso specifico ho letto qualcosa dalle interviste del regista, ma solo riportate da critiche negative, quindi non mi sento di poter parlare al posto di Scorsese.
Resta il fatto che il film non è un documentario, è tratto da un romanzo che non è la biografia di un qualche personaggio storico, ma una storia inventata liberamente ispirata alla realtà storica. Quindi forse se proprio si volesse analizzare, bisognerebbe studiare le motivazioni dell’autore del romanzo, un cattolico, uno scrittore non un teologo né uno storico. Tuttavia trovo sarebbe utile questo soltanto nel caso in cui si volesse realizzare una ricerca accademica sull’argomento e non se si vuole soltanto guardare un film.
Riguardo nello specifico alle storie dei protagonisti, da quel poco che ho letto, i sacerdoti caduti realmente esistiti sono vissuti per tutto il tempo che gli è rimasto dopo l’abiura sotto strettissima sorveglianza, quindi suppongo che non abbiano potuto lasciare degli scritti di cosa passasse nel loro animo dopo quel gesto, per cui anche da un punto di vista storico sarebbe difficile descrivere la verità della loro condizione. Anzi, in questo secondo me il film ha il pregio di mostrare come quel cammino non sia stato abbandonato, ma fino alla morte il crocefisso sia rimasto sempre con il protagonista.
Inoltre ogni film o racconto è un’interpretazione, anche nel caso in cui il presupposto iniziale fosse di restare fedele ai fatti reali. Dalle tue parole sembra che l’unico modo per parlare di Dio o di fatti storici sia quello della teologia ufficiale o dei documenti storico-biografici. In questo modo nessuno potrebbe più raccontare nulla. Temo che spesso sia l’atteggiamento dei cristiani, soprattutto dei cattolici verso l’arte, perché, siamo onesti, di autori e registi cattolici bravi ce ne sono davvero pochi. A me fanno molto più incavolare certi film sulle vite dei santi fatti per la televisione, che si avvalgono dei suggerimenti di sacerdoti anche “prestigiosi” e che lasciano un prodotto finito fatto male e sotto certi punti di vista falso, perché preferiscono rappresentare i personaggi senza contrasti come facevano gli agiografi nel medioevo e raramente lasciano dei veri spunti per la riflessione personale. Da un regista che non è un cattolico “puro”, non mi aspetto un trattato di teologia, apprezzo il racconto che ho trovato sincero del percorso di un’anima. Resto dell’idea che questo film parli di Misericordia. Può essere anche solo una mia interpretazione e può non piacervi il film, ma trovo che arrivare a dire che possa far male o che sarebbe stato meglio non venisse fatto, mi sembra un po’ eccessivo.
” Dalle tue parole sembra che l’unico modo per parlare di Dio o di fatti storici sia quello della teologia ufficiale o dei documenti storico-biografici. In questo modo nessuno potrebbe più raccontare nulla. ”
Ecco, era ovvio che si andava a finire sulla “teologia ufficiale”. Se potessi scommettere su come vanno a finire certe discussioni iniziando sin dalle prime battute, sarei ricco.
Da queste poche righe ho l’impressione di essere stata fraintesa. Mi scuso se il termine teologia ufficiale non ti sia piaciuto, ma esprimere un concetto complesso in poche righe non é cosa semplice. Non lo intendevo come critica teologica, come mi sembra ti sia parso.
Pace e bene.
@Stefania,
prendo per buone tutte le cose buone che hai visto nel film perché appartengno alla tua sensibilità, perché certamente ce ne sono e perché dobbiamo sempre vedere, discernere e fare nostre le cose buone che talvolta sono nascoste persino nel torbido dei fatti della vita.
La valutazione che si sta facendo è sulla “morale” di questo racconto, ciò che rimane come “messaggio” di prima lettura o di summa della lettura (che pure può essere soggettiva).
L’analisi critica qui presenta nell’articolo, è fondata e tutt’altro che peregrina…
Quanto alla mia frase “inutile dirsi Cristiani”, certamente provocatoria, non ha nulla a che fare con la nostra debolezza umana o a quante volte cadiamo (il giusto è detto, pecca sette volte al giorno), né può essere applicata a neofiti o quelli che anticamente venivano chiamati Catecumeni (che pure sono capaci di grandi slanci affascinati ed esaltati – nel senso buoo – dalla novità di vivere secondo lo Spirito), ma alla tesione del nostro Spirito, all’essere non caldi o freddi, ma tiepidi, a considerare che la santità è per l’appunto “roba da Santi” e non ci può riguardare. Nè ci può riguardare alcun tipo di rinuncia, di combattimento, che è quello quotidiano con la nostra realtà decaduta, con l’uomo fatto di terra e di carne.
Combattimento interiore che può essere a ragione considerato martirio, quando a morte mettiamo il nostro io, l’uomo vecchio.
Inutile dirsi Cristiani quando non si accetta, nella volontà e ancor più nei fatti, questo combattimento… anzi meglio tacere perché si dà una contro-testimonianza.
Tornando alle scelte dei protagonisti della storia e attualizzandole e trasferendole su noi stessi, che faremmo se posta la lama alla gola dei nostri figli (tanto per stare a avvenimenti molto reali), ci venisse chiesto di abiurare??
Tremo solo al pensiero…
Forse e dico forse, sarebbe più facile se la gola fosse la nostra.
Ma anche qui, o il Signore ci dà di scegliere la via della madre dei 7 fratelli Maccabei o abbiamo una sola alternativa…
Non possimo non guardare a quel fulgido esempio o non dire che il nostro spirito sente tutta la pienezza e la potenza di tale scelta, ma possiamo anche umanamente pregare Dio di non doverci trovare in un simile frangente e soprattutto non giudicare chi dovesse fare una scelta diversa da quella della Virtù Eroica, perché questa non sta alle nostre forze
Esattamente, quello che scrivi nella seconda parte é il senso che volevo dare al mio primo commento. Per questo trovo utile questo film, a volte é utile anche guardare chi ha fallito per riflettere meglio su se stessi.
…e soprattutto non giudicare chi dovesse fare una scelta diversa da quella della Virtù Eroica…. Dare un giudizio morale sulle persone è sempre sbagliato. Non mi azzarderei a farlo nemmeno sulla testa di Giuda, anche se le parole di Gesù sono chiare su di lui. Però la scelta si può, anzi, si deve giudicare. Rinnegare la verità, fosse anche per salvare i propri figli, è tradimento di fronte a Dio. Per chi si macchiasse di questa colpa non resterebbe che mettersi in ginocchio e chiedere perdono a Dio. Tentare di difendere questa scelta (il tradimento, l’abiura) equivarrebbe a scegliere l’inferno.
“…Il terzo consiste nell’obbligo di non rinnegare la verità, esponendosi anche al martirio. Gesù davanti a Pilato ha detto: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv18,37). Nella storia della Chiesa “molti santi e sante hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale” (Veritatis Splendor 91)”.
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4786
L’ha ribloggato su noncerosasenzaspinee ha commentato:
Silence…
http://ilnestrosesansespine.blogspot.com/2017/01/silence.html
Cara Costanza, Deo gratias! Era un po’ che non scrivevo qui ma questo merita davvero. In questi giorni mi sono trovato completamente isolato nel criticare la parodia luciferina dell’Amore cristiano di Scorsese. OVUNQUE, nella Chieda, ho letto solo elogi che ho trovato disarmanti. Quello di Silence è un attacco precisissimo alla Chiesa: se Cristo crea discordia (come per altro aveva annunciato lui stesso: Mt 10,34-36) è atto di carità cristiana toglierLo di mezzo, per il bene degli uomini (ma quale bene, se gli togli Cristo?). La parodia è bella che servita, al macero i Vangeli: “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” oppure “se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”… Se avessimo ragionato come i protagonisti di Silence, il cristianesimo si sarebbe spento nei primi secoli. Quello di Scorsese non è il cristianesimo, è l’umanitarismo post-cristiano di Tolstoj anatemizzato da Vladimir Solovev come anticristico. Non solo, ma il film da anche un pessimo messaggio di sottomissione alla brutalità del potere, segno della sempre minore tensione verso la libertà che è (stata) il tratto caratteristico dell’occidente. Silence attacca anche noi cristiani impegnati nella buona battaglia: se amate, rinunciate alla verità perché crea divisioni e conflitto…è la tentazione del Serpente, né più né meno. Non illudiamoci: la Chiesa (e con essa la verità) sarà sempre segno di contraddizione, ma proprio così può essere sale della terra.
Mi sembra piu lucido, equilibrato e interessante questo articolo di Juan Manuel de Prada…
http://www.osservatoreromano.va/it/news/un-silenzio-molto-eloquente
“se non si fossero nascosti sarebbero sopravvissuti il tempo necessario per diffondere la testimonianza?”
È diventato uno sport: ridurre il cattolicesimo a calcoli delle probabilità delle “strategie” di successo. Aziendalismo. Pierre poco fa ha riportato le parole di Gesù:
“chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”
Cosa non è chiaro? Riporto il resto della perfetta risposta di Pierre:
Se avessimo ragionato come i protagonisti di Silence, il cristianesimo si sarebbe spento nei primi secoli. Quello di Scorsese non è il cristianesimo, è l’umanitarismo post-cristiano di Tolstoj anatemizzato da Vladimir Solovev come anticristico. Non solo, ma il film da anche un pessimo messaggio di sottomissione alla brutalità del potere, segno della sempre minore tensione verso la libertà che è (stata) il tratto caratteristico dell’occidente. Silence attacca anche noi cristiani impegnati nella buona battaglia: se amate, rinunciate alla verità perché crea divisioni e conflitto…è la tentazione del Serpente, né più né meno. Non illudiamoci: la Chiesa (e con essa la verità) sarà sempre segno di contraddizione, ma proprio così può essere sale della terra.
Quanto poi a:
“ma davvero sarebbe facile per tutti i cristiani affrontarlo fino in fondo?”
Non è questo il punto. Un conto è essere deboli e cadere e chiederne perdono a Dio, un conto è giustificare il tradimento a e sostenere che è la cosa corretta da fare, oltretutto proponendola anche a terzi.
Quanto poi ai dubbi sull’interpretazione del film, in Santa Sede – dove Scorsese è stato invitato e riverito – li hanno già chiariti (grassetto mio):
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/09/basta-proselitismo-e-tempo-di-silence-anche-per-le-missioni-cattoliche/
A giudizio di padre Takayanagi [gesuita, intervistato da La Civiltà Cattolica e ripreso dall’Osservatore Romano], infatti, il tipo di missione in uso anche in Giappone fino a pochi decenni fa, che “mirava a risultati visibili e concreti, cioè a un gran numero di battezzati”, oggi non solo “non è più possibile”, ma è superato e da sostituire in blocco.
[…]
Secondo “La Civiltà Cattolica”, dunque, all'”antiquato” concetto di missione, cioè “fare proseliti e procurare convertiti alla Chiesa”, va sostituito il “dialogo”. Tanto più in un paese come il Giappone in cui è normale “andare a un santuario scintoista e prendere parte a feste buddiste, e anche partecipare, a Natale, a una liturgia cristiana”, senza più lo “strano obbligo di seguire un determinato credo religioso” e “in un’atmosfera culturale vagamente non monoteista”.
Poveri omuncoli pazzi. Dio abbia pietà di loro, ma abbrevi il periodo in cui questi omuncoli possono scorrazzare per il mondo e trascinare altre anime verso il baratro.
Sempre dal pezzo di Magister, questo bel commento del vescovo ausiliare di Los Angeles (che completa il ragionamento di Pierre):
“Ciò che mi preoccupa è che tutto questo concentrarsi sulla complessità e la polivalenza e l’ambiguità della vicenda sia al servizio dell’élite culturale di oggi, che non è molto diversa dall’élite culturale giapponese [di quattro secoli fa] messa in scena nel film. Quello che voglio dire è che l’establishment laico dominante preferisce sempre i cristiani che sono vacillanti, incerti, divisi e ansiosi di privatizzare la loro religione. Ed è viceversa fin troppo portato a squalificare le persone ardentemente religiose come pericolose, violente e, lasciatemelo dire, neppure tanto intelligenti.
[…]
“Lo so, lo so, Scorsese mostra il cadavere di Rodrigues, dentro la sua bara, che stringe un piccolo crocifisso, il che dimostra, suppongo, che il sacerdote fosse rimasto in qualche senso cristiano. Ma ancora una volta, questo è proprio il tipo di cristianesimo che piace alla cultura odierna: completamente privatizzato, nascosto, innocuo. Allora d’accordo, forse un mezzo evviva per Rodrigues, ma un hip hip urrà a pieni polmoni per quei martiri crocifissi sulla riva del mare”.
PS Cristo ha detto francamente cosa pensa di quelli che sotterrano i talenti e non li fanno fruttare: che finiranno dove è pianto e stridore di denti. E la fede è uno dei talenti che dà ai propri seguaci, contando sul fatto che la facciano fruttare convertendo il prossimo. Non nascondendola in un piccolo crocifisso dentro una bara.
Scusa, mi dispiace credo di non aver esposto bene il mio pensiero e le mie domande sono state fraintese.
La mia domanda non voleva suggerire strategie, né voleva essere una riduzione del cristianesimo ad altro. Non ho mai pensato che gli apostoli si siano rinchiusi per una strategia di mercato o che san Pietro abbia rinnegato Gesù perché gli conveniva per diventare papa, ma perché da uomini anche loro hanno avuto paura.
Nel film non ci ho visto un elogio all’apostasia, come ho già detto, credo abbia altri livelli oltre alle semplici citazioni. Nel prete caduto che vuole convincere l’altro a fare lo stesso, non ci vedo la giustificazione assoluta del tradimento. Io ci ho visto il Male, subdolo e violento, che ha plagiato totalmente una persona che prima era libera e poi fino alla morte é stata prigioniera. Sarò ingenua o strana, ma non mi fa venire voglia di dire “che bello facciamo così anche noi”.
La domanda sulla difficoltà del martirio, per me invece é il punto, non per la Chiesa ma per me come persona. Ho una fede piuttosto salda e ho ricevuto molte risposte, però mi chiedo in quelle condizioni riuscirei a non scappare visto che crollo per molto meno?
Credo che dovrebbe essere interpretato più come il dialogo di un anima che come un modello di Cristianesimo. Ripeto a me ha lasciato molti spunti di riflessione. Forse voi non ne avevate bisogno e state già oltre.
Ho letto il libro di Endo e trovo che il film lo ha ripreso fedelmente. Certo il messaggio finale è problematico ma ho trovato meravigliosa la prima parte. La fede conservata dai semplici pescatori, tutti laici, dell’isola di Goto che accolgono con gioia e commozione i due preti. La mia impressione finale non è stata di delusione, forse perchè conoscevo il libro, mi è sembrato comunque un grande film che con un certo coraggio ha portato davanti a milioni di spettatori il messaggio di Cristo, del suo volto sfigurato, di una fede testimoniata fino al sangue da quei “poveri cristi”. I preti che alla fine abiurano l’hanno fatto perchè non hanno resistito di fronte non alle torture inflitte a loro ma a quei poveri cristiani che altrimenti sarebbero morti nelle sofferenze più atroci. Non mi pare siano presentati come un modello da imitare ma come l’esempio di uomini piegati, umiliati e sconfitti da un potere che ha raggiunto vertici di perfidia inauditi. In tutto ciò l’amore di Cristo, che è venuto “a farsi calpestare” (la scena del calpestamento del fumie da parte del gesuita), ha solo apparentemente perso perchè assumendo in toto la debolezza umana vince e redime dal di dentro anche le situazioni che sembrano perdute.
Non ho letto ne visto il film……ma una cosa mi ha colpito per quanto scrive Don Antonello Ia……..placenta previa che questa famiglia spagnola ha vissuto…io nei anni ottanta mio medico mi disse questo, ma senza spiegarmi nulla, del pericolo sia per la nascitura sia per me…..allora.. non sapevo che fu la nostra croce…..ero tranquilla…..molto stanca ma tranquilla…..non conoscevo le sorprese di Dio, ne anche me l’ho sono chiesto…..erano passati anni senza sapere, perché non si vedeva fisicamente, ma la scuola mi disse …non c’è la facciamo…
è nulla…..è terribile sentire queste parole ti sente, impotente ti senti male molto male…..Oggi certo questo non succede più nel senso che il medico oggi ti spiega…..ma quella volta no…..
Sono durati 23 anni di sofferenza per la nostra figlia, e di conseguenza la sua e nostra croce……non sempre portato con allegria, ma alla sua morte disse ecco come me l’Ho ha guarita …..portandola con Sé…..non sempre possiamo capire…..ma accettare con fiducia che nulla succede che Dio non voglia…..
Ciao a tutti……
Io a volte mi chiedo se con “dialogo” ormai certi intendono un monologo in cui fanno solo finta di rispondere agli altri.
A chi fa presente che nel film ha visto del buono, ribadisco per la terza o quarta volta che non viene contestato che, volendo, si possano trarre anche spunti positivi. Questo però è un argomento indipendente dalla intenzione originale di chi ha girato il film. Per esempio, il corpo principale della filmografia di Bergman verte per un po’ su una domanda genuinamente posta, sull’esistenza di Dio e il senso della vita. Ma è innnegabile che trasmetta anche un punto di vista deprimente (lo disse lui stesso che non gli piaceva guardare certi suoi film degli anni precedenti, in quanto lo deprimevano); specialmente da un certo punto in poi, in cui il regista si da’ una risposta negativa e quindi anti-cattolica. Questo non vuol dire che un cattolico non possa guardarseli e interpretarli costruttivamente dal punto di vista cristiano; ma vuol anche dire che a spettatori privi degli opportuni anticorpi quei film possono causare seri danni.
A chi sostiene che l’intenzione originale del regista non sia malevola, chiedo perché continua a non commentare questo passaggio, che riporto per la seconda volta:
A giudizio di padre Takayanagi [gesuita, intervistato da La Civiltà Cattolica e ripreso dall’Osservatore Romano], infatti, il tipo di missione in uso anche in Giappone fino a pochi decenni fa, che “mirava a risultati visibili e concreti, cioè a un gran numero di battezzati”, oggi non solo “non è più possibile”, ma è superato e da sostituire in blocco. Eccetera.
Affermazione comparsa su un numero de La Civiltà Cattolica che ha dedicato decine di pagine al regista e alla sua ultima opera (questo anche per ribadire che è falso che in questa discussione siano state citate solo interpretazioni di una parte). A Civiltà Cattolica non hanno capito niente, dunque? È possibile avere un commento su questo punto?
Io non posso parlare per il regista e neanche al posto di chi scrive l’articolo, nelle interviste che ho letto io non ho trovato una chiara dichiarazione da parte di Scorsese di voler denigrare la Chiesa o il suo messaggio. Ripeto non ne ho lette molte e neanche mi interessa andarmele a cercare. Non ho neanche mai detto che le critiche siano sbagliate completamente. Ho detto che guardando il film non ci ho visto le cose che vengono criticate, non condividere é diverso da ritenere infondato.
Ripeto che secondo me Dio parla in continuazione durante tutto il film, ma i protagonisti non se ne accorgono. É una mia interpretazione, non ha valore per nessuno, mi sentivo di condividerla.
Una cosa però, il fatto che Scorsese sia uscito dal seminario non significa che abbia rinnegato la vocazione, non tutti quelli che entrano diventano sacerdoti né avevano ricevuto veramente la chiamata. Poi il suo rapporto con la fede resta un fatto tra lui e Dio.
Tanto comunque stiamo parlando di un film che é stato distribuito a Roma in pochissime sale e con programmazione ridotta, che molto probabilmente verrà ritirato presto. Non credo sicuramente che questo sia dovuto alle critiche che presenterebbe al cristianesimo.
Ma… le considerazioni che fanno i gesuiti su Civiltà Cattolica sono e rimangono delle opinioni in merito all’evangelizzazione da fare oggi in Giappone. Ci sarebbe da discutere, certo. So che Endo, l’autore del libro era un convertito alla fede cattolica e ha vissuto e scritto riguardo la fatica per un giapponese di aderire ad una fede che veniva dall’Occidente. Nei suoi libri ci sono anche spunti polemici verso la Chiesa nei suoi aspetti istituzionali e anche verso il suo modo di porgere la dottrina e la figura di Cristo che lui nella sua ricerca spirituale vedeva slegata da ogni aspetto di potere mondano, il Cristo povero delle beatitudini. Di Scorsese non so, penso sia molto intrigato dalla figura di Cristo ma se sia un cristiano convinto non ne ho idea. Penso abbia fiutato che un cristianesimo vincente, seppure nell’abbracciare il martirio, nel contesto culturale odierno sarebbe rifiutato in partenza quindi ha scelto una storia in cui il cristianesimo viene doppiamente sconfitto: attraverso le persecuzioni e attraverso l’abiura. Comunque il criterio alla fine è sempre quello di San Paolo “vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono”.
Mi pare di capire che Martin Scorsese abbia in comune con Piergiorgio Odifreddi la frequentazione e poi l’abbandono del seminario. Sia chiaro: la cosa non mi turba minimamente (chi ha bisogno di preti obtorto collo?). Però forse turba loro: sprecano troppe energie per sottolineare che hanno avuto ragione a buttare la tonaca alle ortiche.
Entrare in Seminario, può essere il passaggio per un discernimento sulla propria vocazione e bisogna anche prendere atto che, oggi come oggi, il seminario è decisamente anche scelta quanto meno “contro-corrente”.
Se il discernimento che Dio da è che quella non è la strada, questa è un’ottima cosa.
Nulla di peggio che “entrare in una vocazione” che non è la propria.
Non si tratta quindi (almeno non per tutti) di “gettare la tonaca alle ortiche”, né di un umano o spirituale fallimento.
Questo dico in senso del tutto generale. Sui singoli casi certo non mi pronucio, bisognerebbe essere il direttore spirituale della persona in oggetto e anche in quel caso, meglio sarebbe tacere, credo.
Ho visto il film e l’ho trovato insidioso, sadico, viscido e anche un po’ maligno. Sembra essere costruito apposta per instillare dubbi e confusione e per togliere dalla testa ai cattolici l’idea del martirio. La grazia nel film non c’è, il Dio di Scorsese si fa sentire solo per complimentarsi delle apostasie compiute. Il film piace molto alla nuova Chiesa, ed in effetti bene la rappresenta. L’intervista di padre Spadaro a Martin Scorsese è tutta una sviolinata al regista, con tanto di ripetuti accostamenti a papa Francesco (cosa un po’ inquietante). Questi sono i nostri tempi: un sacerdote intimo consigliere del papa ammira e prende lezioni sulla fede dal regista di The Wolf of Wall Street e L’ultima tentazione di Cristo. Ormai questi sono i nuovi modelli della fede: non i santi, ma Martin Scorsese. Non la conversione e la fede, ma il dubbio e l’apostasia.
“Non si tratta quindi (almeno non per tutti) di “gettare la tonaca alle ortiche”, né di un umano o spirituale fallimento.”
Non v’è dubbio. Ma venendo ai casi particolari, da tutto quello che scrive e dice Odifreddi si intuisce che il problema è stato che lui si aspettava che lo eleggessero papa per acclamazione dopo pochi mesi, e invece è rimasto deluso. Per cui si è ritagliato una nicchia in cui ha una claque che lo riconosce papa di qualcosa.
Quanto a Scorsese, non lo conosco tanto quanto Odifreddi. Però so cosa ha messo dentro “L’ultima tentazione di Cristo”, un film blasfemo: seguendo il solito polpettone apocrifo-gnostico, Cristo non sarebbe morto in Croce, avrebbe sposato Maria Maddalena e poi pure con Marta di Betania. Per non parlare di un rapporto “conflittuale” con il Padre. Tutto risolto poi con un escamotage: sarebbe stato un “sogno” che Cristo avrebbe avuto durante il calvario, perché poi alla fine muore in Croce. Ma è un banale trucco del regista per sostenere questa sfacciataggine:
“Il mio film descrive Cristo come completamente divino e al tempo stesso completamente umano, solo così infatti la sua crocifissione ha un senso, se Gesù fosse solamente divino e non capace di provare le sensazioni di un uomo non proverebbe nessuna sofferenza nella crocifissione, e non avrebbe nessun valore per l’umanità. Il mio film è profondamente religioso e rispettoso della cristianità, ma non è stato capito”
Rimane il fatto che quel Cristo di Scorsese, “profondamente religioso e rispettoso della cristianità”, è un Cristo riluttante, che non può essere il vero Cristo della Santissima Trinità dove le volontà delle tre Persone sono perfettamente allineate all’unisono, senza discrepanze.
Mentre, secondo Stefania:
“non ho trovato una chiara dichiarazione da parte di Scorsese di voler denigrare la Chiesa o il suo messaggio.”
Quelli che la Chiesa la vogliono distruggere da dentro non fanno certo dichiarazioni esplicite.
In tutto questo tipo di discussioni c’è una cosa che non mi torna. Quelli che apprezzano queste opere sono in grado di cogliere grandi esempi di profonda spiritualità anche dove apparentemente non ce ne sono; ma questo va bene, come si è già detto, per il “vagliate le cose buone, ecc…”. Tuttavia, queste stesse persone passano sopra allegramente a blasfemie, da parte degli stessi autori, che dovrebbero far “ribollire il sangue” (se un’opera letteraria insultasse vostra madre e vostro padre, non vi ribollirebbe il sangue? E invece per Cristo si può far finta di niente?).
È strano perché il cristianesimo è Cristo, e quindi se si ama il cristianesimo, inteso come conseguenze, deve discendere tutto dall’amore per Cristo. C’è qualcosa che non mi torna.
In questa sede non si stava commentando “l’ultima tentazione di Cristo”, da quel film sono passati un po’ di anni e credo che il regista nel frattempo sia cambiato (perché altrimenti non sarebbe umano e perché lo ha dichiarato in un’intervista). In Silence non ho trovato blasfemia, forse sono ingenua. Alcune citazioni non rispecchiano la corretta interpretazione del cristianesimo, ma secondo me vanno inserite nel contesto. Se pensi ci siano dei passi blasfemi in questo film, dimmi quali sono così posso capire.
Può essere, la gente cambia. In effetti Bergman era cambiato e l’aveva detto, nella citata intervista, che non era più soddisfatto di certi suoi film del passato. Dunque Scorsese ha detto che L’Ultima Tentazione non gli piace più?
Ha detto che é cambiato il suo rapporto con Dio e con la fede (video intervista a tv2000, nel programma di cinema di cui ora non ricordo il nome).
Il rapporto con Dio può cambiare in tanti modi, ma non sono tutti necessariamente giusti… Andando a ripescare l’intervista appena rilasciata a Civiltà Cattolica si trova questa perla:
http://www.laciviltacattolica.it/articolo/silence-intervista-a-martin-scorsese/
Ora, mi rendo conto che questo suscita una domanda: sono un cattolico praticante? Se con ciò s’intende: «Sei uno che va abitualmente in chiesa?», la risposta è no. Tuttavia fin da ragazzo mi sono convinto che la pratica non è qualcosa che avviene soltanto in un edificio consacrato e nel corso di certi riti svolti a una certa ora del giorno. La pratica è qualcosa che accade fuori, sempre. Praticare, davvero, è fare qualsiasi cosa tu faccia, di buono o di cattivo, e riflettere su questo. Questa è la sfida. Comunque, il conforto e la profonda impressione del cattolicesimo quando ero molto giovane… direi che è sempre stato un riferimento.
Fa un po’ ridere (e stufa, perché è roba trita e ritrita) sentire sedicenti cattolici che “si sono convinti” (da soli) di certe cose come considerare la Santa Messa e il Sacrificio Eucaristico opzionali, come se fossero un semplice rito umano e come se non fossero il centro di tutto. “Praticare” sarebbe poi solo l’auto-riflessione su quello che si fa. Questo è un protestante, non un cattolico. Inoltre in tutta la lunga intervista con Spadaro il regista, ricordando alcuni suoi film del passato, accenna anche a “L’ultima tentazione”, senza prenderne minimamente le distanze.
Francamente, non mi pare sia opportuno cadere nel soggettivismo su cosa è blasfemo o no in casi eclatanti. Certo, la Chiesa purtroppo sta da tempo abdicando ad uno dei suoi doveri, ovvero indicare ai fedeli le opere blasfeme. Tuttavia, il Catechismo dice:
2146 Il secondo comandamento proibisce l’abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi.
Se è proibito usare sconvenientemente il nome, lo è certamente anche usare la sua immagine. E un film che rappresenta Cristo in modo falso e incompatibile con la sua natura (ma anche Santa Maria Maddalena e Santa Marta) è dunque blasfemo per definizione. Cammilleri a suo tempo l’ha indicato come esempio eclatante di film “apertamente ostile” nei confronti della Chiesa Cattolica in un articolo de Il Timone di quindici anni fa:
http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article&sid=1240
Ma tagliamo la testa al toro per evitare discussioni su punti secondari: cambio termine, è un film eretico. Questo è evidente visto che, come ho scritto prima, rappresenta una Cristo in rapporto conflittuale con il Padre. Questo è stato condannato da una serie di concili nei primi secoli, che si sono preoccupati di contrastare una serie interminabile di eresie che eccedevano o sulla natura umana, o sulla natura divina, oppure sull’esistenza di una sola volontà, o due volontà in contrapposizione, eccetera. Traparentesi è patetica la scusa di Scorsese che disse che in quel film voleva sottolineare il lato umano di Cristo perché con un Cristo solo divino cadrebbe il senso del suo sacrificio: grazie, Mr. Scorsese, forse lei è ignorante (più probabilmente in mala fede), ma la Chiesa cattolica questo problema l’ha già affrontato e risolto da più di millecinquecento anni. Non c’è bisogno dei suoi pasticci.
Quindi, in sintesi: Scorsese è già autore di un film eretico, non ne ha affatto preso le distanze, e dunque C&DM ha perfettamente ragione a considerare questo fatto come un parametro di valutazione imprescindibile anche della sua ultima opera.
PS Mi ero perso questo perlone di padre Spadaro:
Silence sembra la storia di un’intima scoperta del volto di Cristo, un Cristo che sembra chiedere a Rodrigues di calpestarlo per salvare degli altri uomini, perché è per questo che è venuto nel mondo…
Altra eresia. Il sacrificio di Cristo, che in un certo senso è stato effettiamente calpestato, è avvenuto in un solo momento storico, anche se si ripete in modo incruento in ogni Messa. In ogni caso, è avvenuto come conseguenza dei peccati dell’uomo, e non è certo Cristo che ha chiesto agli uomini di calpestarlo (così come non ci ha chiesto di peccare). Figuriamoci quindi se ha senso dire che questo calpestìo deve ripetersi, ed è pure una cosa voluta da Dio.
D’altronde non ci si può aspettare altro da uno che scrive che in teologia 2+2 può fare 5.
Correzione: il pezzo citato da Il Timone, riportato dal sito di Cammilleri, è di Mario Palmaro.
“un Cristo che sembra chiedere a Rodrigues di calpestarlo per salvare degli altri uomini”, sembra: é un’interpretazione non l’unica.
Non era scontata la conclusione dopo aver sentito questa voce. Vedendo la scena, mi sono messa nei panni del protagonista, se sentissi la voce di Cristo che mi dice di calpestarlo, mi sentirei una schifezza e probabilmente cambierei idea. La storia che ci raccontano i Vangeli però non é andata così, il tradimento di Giuda – richiamato nel film – e quello di San Pietro sono anticipati dalle parole di Gesù, che si limita a descrivere quello che accadrà, senza un esplicito rimprovero e soprattutto senza tentare di impedirli, cosa che in quanto Dio e in quanto amico avrebbe potuto fare benissimo.
@Stefania
In realtà a me questo sembra un chiaro rimprovero di Gesù nei confronti di Giuda: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mt 26, 24). Non credo possibile che Gesù l’abbia detto per rancore verso l’apostolo traditore, essendo Dio assolutamente buono, quindi se gliel’ha detto era per ammonirlo in modo che si ravvedesse dopo il misfatto, anche se non ha sortito l’effetto desiderato visto la fine che si è scelto Giuda. E anche a Pietro Gesù sembra accennare un lieve rimprovero riprendendo ironicamente l’ultima frase pronunciata dall’apostolo: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte» (Gv 13, 38). In pratica Gesù dice a Pietro dopo che quest’ultimo si era detto disposto a perdere la vita per amor suo: “ah, davvero? Tu saresti disposto a morire per me? Ma se mi rinnegherai tre volte non appena sarai messo alla prova!”. O almeno così l’ho letta io. Quanto al fatto che avrebbe potuto impedire il tradimento di entrambi, sappiamo che Dio permette il male per trarre da esso un bene più grande, ma questo non vuol dire che chi commette il male non porti colpa.
Pensa che io invece l’Ultima tentazione di Cristo non lo trovo affatto blasfemo.
Io non lo vedrò perché già siamo nati per soffrire (e ci siamo pure riusciti disse non mi ricordo chi) e poiché non reggo le scene di tortura (dovrei guardare per terra tutto il tempo) mi preservo ma ho trovato interessante questa recensione di Blondet che prescinde pure dal film se vogliamo: ha a che fare con la nostra fragilità:
http://www.maurizioblondet.it/silence-del-povero-scorsese-povero-cattolico/
Oh manco male che non bisogna pensarla tutti allo stesso modo e che non abbiamo un unico giudice della blasfemia…
( Io mi chiamo fuori… Ultima tentazione non l’ho manco visto 😉 )
E alla “realtà romanzesca” del film, si contrappone quella vissuta di Santi Paolo Miki e Compagni Martiri che la Liturgia di oggi ricorda:
“Piantate le croci, fu meraviglioso vedere in tutti quella fortezza alla quale li esortava sia Padre Pasio, sia Padre Rodriguez. Il Padre commissario si mantenne sempre in piedi, quasi senza muoversi, con gli occhi rivolti al cielo. Fratel Martino cantava alcuni salmi per ringraziare la bontà divina, aggiungendo il versetto: «Mi affido alle tue mani» (Sal 30,6). Anche Fratel Francesco Blanco rendeva grazie a Dio ad alta voce. Fratel Gonsalvo a voce altissima recitava il Padre nostro e l’Ave Maria.
Il nostro fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso. Quindi soggiunse: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Si rivolse quindi ai compagni, giunti ormai all’estrema battaglia, e cominciò a dir loro parole di incoraggiamento.
Sui volti di tutti appariva una certa letizia, ma in Ludovico era particolare. A lui gridava un altro cristiano che presto sarebbe stato in paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori.
Antonio, che stava di fianco a Ludovico, con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione catechistica; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo.
Altri infine ripetevano: «Gesù! Maria!», con volto sereno. Alcuni esortavano anche i circostanti ad una degna vita cristiana; con questi e altri gesti simili dimostravano la loro prontezza di fronte alla morte.
Allora quattro carnefici cominciarono ad estrarre dal fodero le spade in uso presso i giapponesi. Alla loro orribile vista tutti i fedeli gridarono: «Gesù! Maria!» e, quel che è più, seguì un compassionevole lamento di più persone, che salì fino al cielo. I loro carnefici con un primo e un secondo colpo, in brevissimo tempo, li uccisero.”