di Innocenza Laguri
Sono al secondo imprevisto -salute -nell’età anziana . Lo scorso settembre sono svenuta in strada (-sincope- dice la dimissione dal pronto soccorso). Questa volta l’imprevisto ha toccato mio marito: rimozione di un ematoma, creatosi per una recente caduta in treno (inciampo in bagaglio mal riposto), partenza per la vacanza rimandata, decisioni da prendere ( visite private o pronto soccorso?), poi ore al pronto soccorso, poi operazione, poi ancora male di testa e seconda operazione per completamento drenaggio, tempi lunghi e, quando non angoscianti, noiosi in ospedale, ecc).
A parte queste due volte, sino ad ora gli imprevisti salute-anzianità si sono presentati a me e mio marito prevalentemente con garbo, si fa per dire, cioè non in modo improvviso, dandoci quindi una maggior la possibilità di sopportarli. Ma con queste due volte molto “violente” sia a me che a mio marito si è ripresentata la consapevolezza che prima o poi potrebbe esserci una svolta, cioè qualcosa di non azzerabile, mentre solo pochi anni fa la pretesa-attesa di azzerare, di chiudere la parentesi di malattia e tornare al prima era assolutamente un atteggiamento abitudinario, direi una inconscia pretesa. So che ci sono molti anziani a cui la svolta capita in modo ben brusco, a colpo di fulmine. Il fatto che anche questa secondo evento improvviso si stia risolvendo, invita me e mio marito a considerarlo come un allenamento ad un disegno che sempre più non sarà il nostro, cosa che non piace ammettere alla mentalità comune anti vecchiaia nella quale ovviamente anche noi siamo immersi.
Dunque occorre fare tesoro di queste circostanze, in altre parole per me vuol dire far diventare esperienza quanto accaduto. E non è facile: sto facendo sempre più esperienza della difficoltà di fare esperienza, per dirla con un gioco di parole. Ho già parlato di questo dramma della frattura tra vita ed esperienza :su gran parte della vita non si fa esperienza. Sono consapevole che la mentalità comune riduce brutalmente l’esperienza alla immediatezza della sensazione e della emozione ( recentissimamente ho notato questa grande confusione tra i giovani della GMG, anche per come venivano sollecitati dagli intervistatori dei canali cattolici). In questa occasione della malattia ho scoperto un altro fattore che mi porta ad occultare l’esperienza: la tendenza a rimettere il più possibile le cose nella posizione di prima, per non perdere il controllo sul mio piccolo mondo. Mi colpisce il fatto che questa “tendenza a riposizionare, tornare alle abitudini precedenti” non dovrebbe essere così tenacemente presente nell’età anziana, perché questa, e non solo o non tanto quella giovanile, é l’età dei fatti dirompenti. Voglio dire di quei fatti dirompenti “negativi” come la malattia e la morte. E invece gli anziani non si “allenano” a questo e per di più il luogo comune che passa è quello di lasciarli tranquilli quando in famiglia succede qualcosa. Un’amica che ha fatto un’operazione al braccio, ha fatto in modo di non farlo vedere e sapere a sua madre per non turbarla!!!!
Dunque ho cercato di andare oltre la sensazione reattiva, e ho cominciato dalla questione della relazione con gli amici, dove l’aspetto reattivo era costituito dal sentirmi delusa verso quegli amici /parenti che non se la sono cacciata molto nei confronti miei e di mio marito ( per la serie..”con tutto quello che a suo tempo ho fatto per loro.”) Al monastero di Orta S.Giulio, in una meditazione, mi è stato suggerito, per non essere reattiva, di lasciarmi interrogare, di capire che cosa di me devo mettere in discussione quando certi atteggiamenti altrui mi danno fastidio . Così mi sono chiesta se i miei numerosi “do” del passato avessero solo senso per futuri “ut des”. Ho capito che c’è certo in me questa componente, tuttavia ho ripescato una attesa più profonda, che vale anche per mio marito e vale sia per gli amici sinceramente interessati che per quelli che ho considerato latitanti. E’ il bisogno di reggere la domanda sulla sofferenza. Se mi fermo alla delusione per gli amici latitanti censuro questa domanda, la censurano anche gli amici fedeli se si fermano alla pur lodevole e grata restituzione di tutto quello che ho fatto per loro. I latitanti la censurano latitando. Me lo ha richiamato un’amica monaca che ci ha fatto visita, mentre eravamo in ospedale, solo con… una mail, ma una mail che valeva cento visite!!!! Diceva : “Dopo aver sentito della nuova strage a Nizza sembra che ogni nostra piccola o grande sofferenza debba proprio incanalarsi in una grande offerta per questa umanità travolta dal Male… E in quale oceano di Grazia viviamo noi…” Non è ancora mia esperienza tutta la portata di questo richiamo, per intanto è un richiamo su cui lavorare e mi suggerisce che l’esperienza della sofferenza non è l’occasione di fare i conti in tasca ad amici parenti e conoscenti, è invece , appunto, un invito per tutti ad accettare la grande domanda , se non la accettiamo in fondo neppure la solidarietà e i cento “come stai?” possono bastare. E poi non si può restare indifferenti ai giganteschi dolori altrui (Nizza è stata contemporanea alla nostra sofferenza)
Ancora a proposito del reggere la domanda sulla sofferenza: mi colpiva come nel reparto dell’ospedale il paziente possa passare il tempo nell’attesa della soddisfazione di un bisogno che allevii il dolore o anche, solo, la fatica (si attende spasmodicamente la padella o lo spostamento del cuscino o un antidolorifico in più, ecc) E, siccome appena mio marito è tornato a casa ho avuto una influenza dolorosa per due giorni e anch’io ho passato il tempo solo e unicamente impegnata ad alleviare mal di testa e dolori alle ossa e ad aspettare che passasse il dolore, ho vissuto in prima persona questa condizione. Come dire che soprattutto nel dolore fisico riesce difficile la domanda sul senso, ho avuto più consapevolezza della facilità con cui la sofferenza viene completamente sostituita dal dolore fisico .E’ quello che succede con il bisogno che sostituisce il desiderio, cioè si punta tutto sul bisogno dell’ eliminazione del dolore fisico, e non esiste altra domanda. Con la malattia è più incisiva quella dinamica dei tanti piccoli bisogni che offuscano il desiderio. Con questo valore aggiunto: il desiderio, nell’età anziana, non può che puntare all’al di là, anche se non ti aiuta quasi nessuno su questo.
Grazie Sig.ra Innocenza per questo scritto.
E grazie per l’offerta della sofferenza, vissuta come preghiera, che Lei e Suo marito state compiendo. Quanto ci insegna tutto questo!
Spero di cuore la Madonna possa alleviare un po’ il Vostro dolore e Vi mandi un abbraccio!
Pur essendo qualche (non tanti) anni indietro, quella domanda che fa lei è l’unica su cui anche per me val la pena farsi compagnia….
Grazie a Dio la vicenda della malattia, della sofferenza, della possibilità di non poter tornare alla vita di prima e al mio mondo “sotto controllo” , l’ho vissuta con mio marito quando di anni ne avevo 29. Ora Ho 33 anni e Dio ci ha salvato l’anima grazie al tumore: adesso siamo orientati verso l’aldila ogni giorno e siamo grati perche cosi possiamo davvero prepararci , senza dare per scontata la salvezza. Se vuoi Innocenza mi piacerebbe molto parlarne insieme, dialogare sul posto che Gesù ci ha preparato e sul come preparare noi a quel momento Santo. Un caro abbraccio