Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do.
Nothing to kill or die for
And no religion too
I fratelli Jake e Dinos Chapman sono due artisti inglesi di origine greca, nati negli anni sessanta, che da qualche tempo fanno parlare di sé per alcune opere particolarmente scabrose. La cosa che contraddistingue maggiormente la loro arte è di essere stata progettata all’interno della scuderia di Charles Saatchi, un pubblicitario, collezionista, che anni fa ha scoperto il modo per moltiplicare i propri soldi sfruttando i meccanismi del mercato dell’arte.
Per sintetizzare, da buon pubblicitario, ha notato che finché di arte si occupano solo le riviste degli addetti ai lavori, l’interesse del pubblico è esiguo. Nell’epoca del mercato globale invece ha capito che il vero successo si ottiene solo coinvolgendo un grande numero di persone. E un pubblico maggiore si ottiene soltanto occupando le pagine della cronaca.
In altre parole bisogna creare lo scandalo, obbiettivo che lui ha perseguito e raggiunto attraverso alcune operazioni ben finanziate e ben promosse, la più famosa delle quali è stata la mostra del 1997 “Sensation”, presentata a Londra.
I temi trattati dagli artisti in quella mostra, come da manuale, erano essenzialmente tre: morte, sesso e religione. Inutile dire che la mostra ebbe un grosso successo e che gli artisti godettero di un notevole aumento delle loro quotazioni. Fra questi c’erano anche i fratelli Chapman, che in tale occasione presentavano due lavori.
Innanzitutto Great Deeds Against the Dead, una versione tridimensionale dell’incisione di Goya Grande Hazana! Con muertos! Si tratta di un’opera a dimensione naturale che esibisce un corpo fatto a pezzi e appeso su un albero, un lavoro a suo modo drammatico, impressionante, derivato da una citazione colta, quella di Goya, appunto.
L’altra opera, come da manuale, affrontava il tema del sesso con quella che è probabilmente la loro opera più celebre Zygotic Acceleration, Biogenetic, De-Sublimated Libidinal Model (Enlarged x 1000).
Si tratta di un assemblaggio di corpi di ragazzine prepuberi, fusi tra loro e corredati da sessi maschili e femminili ben evidenziati.
Da questo lavoro i Chapman hanno poi sviluppato un ciclo di grande successo scandalistico e commerciale.
Il tema di questo ciclo in realtà non è nuovo, è la messa in discussione della centralità del corpo umano, inteso come modello di perfezione, quello per intenderci raffigurato nell’Uomo vitruviano di Leonardo, l’uomo inserito in un progetto razionale, divino. Un concetto, quello della centralità dell’uomo nello spazio razionale dell’universo, all’origine dell’Umanesimo e del Rinascimento.
La deformazione del corpo umano, che ha cominciato ad apparire come retaggio del culto del corpo malato di romantica memoria, ha avuto la sua rappresentazione più efficace probabilmente nella pittura di Bacon. Per lui il corpo umano diventa un grumo animalesco racchiuso su se stesso, incapace di espandersi nello spazio per intraprendere una iniziativa qualsiasi. Altro che centro del mondo!
Questo tema è stato poi raccolto e sviluppato da vari filoni, sia in pittura sia attraverso performance, in particolare dalle innumerevoli espressioni della body art, come ad esempio gli azionisti viennesi.
I fratelli Chapman si inseriscono in questo filone. Che cosa aggiungono i Chapman a questo tema?
Il fatto di deformare dei corpi di bambina ed offenderli con l’esibizione di sessi maschili. L’immagine deformata e offesa di corpi che dovrebbero rappresentare la grazia e l’innocenza ottiene come unico risultato quello di disturbare (gli esteti usano il verbo “colpire”) l’osservatore. In un periodo poi in cui il pubblico è molto sensibile al tema della pedofilia, l’accostamento di questi corpi prepuberi al membro maschile in erezione non può non suscitare sentimenti di repulsione. Morte, sesso, che cosa manca? La religione.
Si conoscono in particolare due lavori dedicati a questo soggetto. Il primo è una serie di clown del McDonald crocifissi; l’altro è una statua devozionale di Madonna col bambino orribilmente deturpata. La crocefissione non sorprende più di tanto: gli artisti contemporanei hanno crocifisso di tutto, dalla rana di Klippenberger, al fallo di Midea Cruz, al Cristo con le borse dello shopping di Bansky, a quello impacchettato di Geers, e via per migliaia di volte, oggetto offerto gratuitamente allo sterminato esercito degli artisti senza fantasia.
Non si vede perché non si debba inchiodare alla croce anche il pupazzo di McDonald.
Per quanto riguarda la Madonna il discorso si fa più complesso. Il volto della Madonna, da sempre nella pittura occidentale modello di perfezione morale ed estetica, è qui inteso come oggetto di deturpazione. Il naso sembra scorticato, la bocca è sottoposta a una ampia lacerazione e a una rozza cucitura. Dalla bocca del Bambino escono delle forme strette e cilindriche, come dei vermiciattoli.
Perché il discorso è diverso? Perché si oltraggia un soggetto appartenente alla religione cattolica.
CORPO UMANO E CATTOLICESIMO
La religione cattolica ha la particolarità di essersi spesa, più di ogni altra, per la sacralizzazione del corpo umano nella sua realtà fisica e quindi per la sua rappresentazione.
Sappiamo che la tradizione della raffigurazione del corpo umano, sublimata dal mondo greco-romano, è stata raccolta dalla Chiesa Cattolica, e questo è stato possibile perché la rappresentazione del corpo umano – proibita o di fatto ostacolata dall’ebraismo e dall’Islam – per il cristianesimo è una cosa positiva: Gesù, vero Dio e vero uomo, si è rivelato a noi in modo visibile, ha patito la crocifissione per poi risorgere e ascendere al cielo col proprio corpo. Quindi il corpo umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, ha già in sé un elemento di bontà intrinseca. E la sua riproduzione, secondo quanto deciso nel Secondo concilio di Nicea (787 DC), attraverso i dipinti di Gesù, di Maria, dei santi e dei fatti riguardanti la storia sacra, aiuta il fedele in contemplazione a rinforzare la propria fede.
Probabilmente il massimo risultato di questa eredità è rappresentato da una scultura di Michelangelo, il Cristo di Chiesa sopra Minerva a Roma.
Per questo appare oziosa la domanda: ma perché gli artisti non se la prendono con i simboli delle altre religioni? Certamente per paura, soprattutto per quanto riguarda i simboli dell’Islam.
Ma soprattutto per la centralità che la Chiesa Cattolica ha nella storia dell’arte.
Basta sfogliare un qualsiasi manuale di storia dell’arte per vedere quante pagine sono dedicate all’arte direttamente commissionata da cattolici, o concepite in ambito cattolico, o comunque inseriti in un discorso aperto solo grazie alla Chiesa Cattolica. Ad esempio sono assolutamente convinto che senza il Concilio di Nicea non avremmo la fotografia, né il cinematografo, né YouTube.
Lo stesso concetto di storia dell’arte nasce in ambito cattolico: Vasari non mi pare appartenesse ad un’altra confessione religiosa.
Da questa centralità (spesso scioccamente negata) deriva che molte espressioni dell’arte contemporanea sono comprensibili solo in opposizione all’idea di arte maturata ed espressa all’interno del cattolicesimo.
Lo stesso Bacon, ad esempio, non sarebbe concepibile senza il cattolicesimo.
Se, come abbiamo detto, il suo obbiettivo è di deformare il corpo umano, negandone la centralità e la sacralità, ciò diventa ancora più chiaro nella serie dedicata ai prelati, in particolare nel ritratto di Innocenzo X.
Allargando il discorso ad altre espressioni dell’arte contemporanea, e andando al di là delle dichiarazioni programmatiche dei loro autori, non si può fare a meno di notare alcune costanti. Ad esempio, uno degli elementi comuni a molte tradizioni religiose è quello del sacrificio di animali per ingraziarsi la divinità. Vale la pena anche ricordare che uno dei nomi di Gesù è quello di Agnello di Dio, sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati.
Ebbene, una delle manifestazioni più eclatanti dell’arte contemporanea è la body art, in particolare quella viennese, dall’indubbio aspetto sacrificale.
Tolto Dio dalla circolazione, infatti, e quindi con Lui il sacramento della riconciliazione, alcuni artisti si sono proposti come sostituti del capro espiatorio, dell’agnello sacrificale, prendendo su di sé il carico del complesso di colpa che stava imbevendo di sé tutta la società. Che cosa rende differente Rudolf Schwarzkogler, Gunther Grus, Gina Pane, con i loro corpi umiliati e sottoposti a dolore autoinflitto, dalle opere di mortificazione, ad esempio, di Jacopone da Todi?
NON SI PUO’ FARE A MENO DELLA RELIGIONE
Mi sembra arrivato il momento di spiegare perché ho inserito, all’inizio dell’articolo, i versi, famosissimi, di “Imagine”, una canzone di John Lennon che si augurava l’avvento di un mondo migliore, di pace. In particolare sembrava sottintendere che la pace si potesse ottenere abolendo le religioni.
Questi versi, che accompagnano una delle più belle melodie scritte nella storia dell’umanità, sono indubbiamente affascinanti, ma hanno un solo problema: non significano proprio nulla. E non significano nulla proprio perché l’uomo non riesce a liberarsi dalla religione.
Dostojevkij nell’Adolescente si esprime così: “L’uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll’inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d’oro, o magari a un idolo astratto.”
E San Giovanni Vianney, il curato d’Ars, diceva “cent’anni senza prete e la gente finirà per adorare gli animali”, con questo volendo dire proprio che si può smettere di adorare Dio, ma non si smette di adorare qualcosa.
Non si sa perché, ma ognuno di noi è immerso nella religione così come è immerso nell’aria.
Certo non stiamo parlando solo di religioni rivelate, ma di una struttura di pensiero che si riproduce in maniera pressoché identica.
Proviamo a pensarci: se c’è un secolo che ha abbandonato Dio è proprio il Novecento. Stando a Lennon e alle dichiarazioni degli esponenti dell’Uaar, il Novecento sarebbe dovuto quindi essere il secolo delle meraviglie; invece, come sappiamo, dal punto di vista storico è quello che ha visto compiersi le più grandi stragi che l’umanità abbia mai concepito, la maggior parte delle quali ideate proprio da chi voleva imporre l’ateismo a tutti i costi.
Per paradosso, i regimi comunisti, nati con lo scopo di imporre l’ateismo di Stato, sono proprio quelli che più si sono impegnati a replicare le forme delle religioni rivelate: il culto della persona del leader di partito ha molto a che fare con la divinizzazione del fondatore di una religione, indicato ai popoli per le sue qualità di guida infallibile. Lenin, Stalin, Mao, Kim-Jung Il, Pol Pot appartengono a tutti gli effetti ad un Pantheon di semi-divinità.
Un altro fenomeno che per molti aspetti è associabile ad una manifestazione di tipo religioso, il divismo, di fatto impone una sorta di culto ai suoi adepti, con raccolta di reliquie, estasi collettive, dipendenza dal modello morale proposto, ecc.
Lo stesso assassinio di John Lennon – divo fra i più noti – può essere letto secondo le categorie della religione.
Infatti, a quale domanda risponde la religione?
A tante domande, ma la prima è che la religione garantisce un significato, un senso alla propria esistenza nel mondo. Facendo parte di un gruppo di fans di un cantante ci si identifica in alcuni valori morali, in alcuni gesti ripetuti assieme. Nel rituale esisto anch’io.
E il rituale per eccellenza in tutte le tradizioni, come abbiamo detto, è quella del sacrificio.
Si sa che Mark David Chapman (neanche a farlo apposta Chapman pure lui) spiegò il suo assassinio di John Lennon in diversi modi.
Noi possiamo spiegarlo anche col fatto che il divismo ha creato un vero e proprio Olimpo di divinità alle quali viene reso un culto particolare.
Ora, quali mezzi ha a disposizione una persona normale per assurgere allo stesso Olimpo? Quella dell’omicidio, del sacrificio.
La comunicazione di massa permette infatti ad un emerito sconosciuto di diventare famoso ad un gran numero di persone in pochissimo tempo. Il compimento di un omicidio permette al killer di perpetuare la sua esistenza al di là di se stesso. In assenza di un Dio che premia le buone azioni, il garante della propria esistenza in vita diventa il medium, l’informazione, la cronaca – il nuovo Olimpo.
Per la salvezza di Mark David Chapman è stato necessario sacrificare il divo John Lennon.
L’ESTETICA DEL BESTEMMIATORE
Caratteristica del bestemmiatore è che per affermare la propria identità ha bisogno di Dio. Per paradosso si può dire, secondo la celebre sentenza di Pierre Klossowski, nessuno crede in Dio più di colui che lo ingiuria.
La bestemmia è perciò a tutti gli effetti un gesto trascendentale. Con ciò non si vuole minimamente dare un alone di nobiltà alla bestemmia, tutt’altro; ma per capire anche gli aspetti negativi di un fenomeno bisogna inquadrarlo in modo concettualmente adeguato.
Riesaminando da questo punto di vista l’opera dei Fratelli Chapman, perciò, in particolare la loro versione della Madonna col Bambino, non si può negare che la loro sia definibile come estetica del bestemmiatore.
E’ fuori discussione che se non esistesse il sacro, la sacralità del sacrificio, della morte, della religione, della vita, non sarebbe possibile nemmeno l’esistenza stessa dei Chapman in quanto artisti.
Non a caso i fratelli Chapman hanno voluto oltraggiare anche la sacralità dell’arte. Vogliamo fare un esempio?
Il loro lavoro dal titolo quanto mai emblematico “Insult to Injury” consiste nell’aver “rettificato” alcuni personaggi della celebre serie di Goya “I disastri della guerra”. In pratica i due fratelli hanno comprato una serie completa di 80 incisioni originali della celebre opera di Goya, perciò preziosissima, e, sulle teste dei suppliziati, hanno disegnato personaggi di fumetti.
Se l’operazione artistica fosse consistita nei loro ritocchi fumettistici, sarebbe stato ugualmente idoneo allo scopo l’uso di fotocopie anticate; è invece ovvio che ciò a cui miravano i due fratelli era proprio l’oltraggio effettuato ad una rara opera d’arte del passato.
Con ciò si mira proprio a colpire una certa idea di sacralità, quella dell’arte, dell’opera preziosa, unica. E questo proprio con lo scopo di scandalizzare il pubblico medio dei cultori dell’arte e quindi di far parlare di sé.
L’estetica dei Chapman deve sporcare, oltraggiare qualcosa di sacro per poter esistere, per poter conquistare le pagine della cronaca, luogo della salvezza, della conquista della propria identità.
L’ESTETICA DEL DEMONIO
Ai precedenti si può aggiungere un ulteriore capitolo. L’estetica di tipo demoniaco che sta impregnando di sé la nostra società.
Abbiamo detto che la tradizione artistica europea era ispirata alla rappresentazione del corpo umano inteso come esempio di creazione divina; un secolo senza Dio deve per forza di cose esprimersi in altri linguaggi, il cui studio è spesso fonte di godimento estetico e di ammirazione per le innumerevoli modalità in cui il fenomeno artistico riesce a manifestarsi.
Tuttavia l’assenza di Dio nel mondo lascia spazio al suo nemico. Ovviamente, con questo non voglio dire che siamo obbligati a credere nel demonio, e quindi in Dio. Dobbiamo però essere edotti del fatto che il demonio ha un suo modo particolare di presentarsi e lo fa in maniera sempre simile.
Il demonio, sappiamo, si propone in alternativa a Dio. Non essendo però lui il creatore delle cose, e non essendo in grado di realizzare qualcosa di diverso, l’unica cosa che può fare è dileggiare, mettere in ridicolo la creazione. Esempio tipico dell’estetica demoniaca è la messa nera, che per essere celebrata necessita di particole consacrate, perché attraverso di esse si oltraggia il corpo di Dio.
Il rituale delle messe nere necessita inoltre di escrementi, di esibizione di corpi di donna nudi, di sottomissione erotica delle stesse donne al celebrante.
Esteticamente quindi la messa nera è la parodia della messa originale. Senza l’originale non esisterebbe neanche lei.
Un’altra definizione del demonio è quella di “Scimmia di Dio”, imitazione grottesca e imperfetta del creatore.
Avendo il demonio per sempre perduto la scintilla divina che lo caratterizzava in quanto angelo, ha assunto sembianze mostruose che lo rendono invidioso e nemico dell’uomo, il quale, al contrario, come abbiamo detto, è considerato sintesi di perfezione.
Il demonio perciò non può fare altro che denigrarlo, imbruttirlo, ridicolizzarlo per poterne fare sua preda.
Secondo il bellissimo saggio di Bachtin su Rabelais, il demoniaco viene di solito esorcizzato nella tradizione cristiana attraverso il Carnevale, che non a caso è la festa del travestimento, della sovversione della norma. Il re del Carnevale non è mica quello vero, e se uno si traveste da Napoleone, gli altri mica ci credono!
Un altro degli aspetti di tipo carnevalesco rilevati da Bachtin era la prossimità con gli escrementi.
La manipolazione degli escrementi, ciò che l’uomo espelle e rifiuta, laddove non intesi come concime, è sempre legato al demoniaco.
Ora, non mi sembra servano altre parole per far rientrare l’estetica dei Chapman in quella del demoniaco.
Non solo, ma alla luce di queste parole numerose esperienze dell’arte contemporanea risulterebbero facilmente leggibili; senonché è avvenuto un fenomeno culturale che dura ormai da qualche secolo, volto a ridicolizzare la cultura cristiana.
E’ sorta cioè una cultura laicista che pretende di leggere la storia del mondo come un combattimento fra le forze del progresso, che lottano per avere spazi sempre più ampi di libertà e di conquiste di civiltà, contrapposte ai rappresentanti di un sapere obsoleto, inutile, retrogrado e incompatibile con la modernità – ovviamente quello cristiano.
Sta di fatto che l’arte attuale è diventata il campo di conquista dell’estetica demoniaca; il problema è che lo stesso mondo culturale laicista, autocensurando la conoscenza di un sapere religioso, non è più in grado non solo di comprenderla, ma persino di percepirla.
Si è avverato perciò il capolavoro del demonio descritto da Baudelaire: Il capolavoro del demonio è di far credere che non esiste.
CONCLUSIONE
Tornando ai fratelli Chapman, ci si può legittimamente chiedere se le loro opere si caratterizzino per una particolare originalità.
Certamente sono opere che colpiscono. E certamente ci sono critici d’arte pronti a giurare che si tratta di opere geniali. Siamo in un regime di libertà, ci mancherebbe, ed è diritto di ciascuno esprimere le proprie idee. Magari qualcuno le interpreterà addirittura come una denuncia di un fenomeno disgustoso come quello della infanzia violata.
Resta da dimostrare come un tipo di arte che suscita disgusto possa in qualche modo contribuire al miglioramento della specie umana.
Ci sarà anche gente che dice che l’arte non serve a nulla se non a se stessa.
Ritorniamo perciò al punto di partenza. Lo scopo di questo tipo di artisti non è quello di realizzare un lavoro che abbia una sua validità estetica, ma quello di far parlare di sé, approfittando del fatto che, in un’epoca in cui sembrano essere saltati tutti i criteri di giudizio per valutare un’opera d’arte, l’unico criterio inoppugnabile è la popolarità dell’opera e degli stessi autori.
L’opera dei Chapman in sé, perciò non esiste, ma prende consistenza solo nel momento in cui conquista le pagine della cronaca.
E tu scrivendo questo post hai contribuito a farli ancora più consistenza. Comunque, pezzo interessante. Non concordo su (quasi) niente, ma è sempre piacevole leggere opinioni diverse dalle proprie
Arte?!
Io la chiamerei “effetto gatto morto” !…In alternativa: ” C’ ho poca fantasia, pochi argomenti e sono disposto a a vendere mia madre”.
“Ciò poca…” :-).
Sì sì! Era proprio C’ ho poca!!!
Volutamente….;-)
Codeste cose neanche per ischerzo 😉
Viviana, è vero che “c’ho” non va bene (ed è terribile), ma siamo sicuri di “ciò”?
Tempo fa ho fatto una rapida ricerca per la scuola e ho trovato varie opinioni su come trascrivere bene questa forma del parlato (che perciò io cercherei – se possibile – di evitare nello scritto); a proposito della grafia “ciò”, sul sito della Treccani si dice: “la grafia univerbata ciò rispecchia la reale pronuncia ma presuppone un’inesistente forma verbale *ciavere: Io ciò un amico (www.rimaiolo.it), Su l’anticaja a piazza Montanara ciànno scritto: Teatro de Marcello (G. G. Belli, Sonetti)”.
Ad ogni modo, la spiegazione più esaustiva (ovviamente, forse) mi pare quella fornita qui:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/ancora-sulluso-attualizzante-verbo
In effetti “ciò” è un pis aller o ripiego che dir si voglia (ma pur sempre meglio del vituperevolissimo “c’ho”…). L’autorità indiscussa in materia è il Belli nell’Introduzione ai Sonetti romaneschi, cui ti rimando (scusate il Fuori tema, o tutti voi frequentatori e gestori del blog).
«Bisogna qui avvertire un altro ufficio della lettera c. Presso il volgo di Roma le voci del verbo avere sono proferite in due modi. Quando serve esso verbo di ausiliare ad altri verbi, tutte le di lui modificazioni necessarie ai tempi composti di questi si aprono col naturale lor suono, meno i vizi delle costruzioni coniugate: per esempio hai fatto, avevo detto, averanno camminato, ecc. Allorché però lo stesso verbo avere, preso in senso assoluto, indichi un reale possesso, i romaneschi fanno precedere ogni sua voce dalla particella ci. Non diranno quindi hai una casa, avevo due scudi, averanno un debito, ecc., ma bensì ci hai una casa, ci avevo du’ scudi, ci averanno un debbito, ecc. Poiché però il ci non è da essi pronunciato isolato e distinto, ma connesso e quasi incorporato col verbo seguente, così queste parole e altre verranno da me scritte colla particella indivisa: ciai, ciavevo, ciaveranno. E siccome esse consteranno pur sempre dall’accoppiamento di due voci diverse, io vi porrò un apostrofo al luogo dove cade l’unione fonica (ci’ai, ci’avevo, ci’averanno) affinché da niuno sien per avventura credute vocaboli speciali e di particolare significazione. Se poi la combinazione della altre parole del discorso, che vadano innanzi alle dette voci a quel modo artificiale, produrrà lo strisciamento oppure il raddoppiamento della c già da me più sopra indicato. Ecco in qual maniera si noteranno queste altre due differenze: Io sc’iavevo du’ scudi, Tu cc’iai una casa, ecc. Se al contrario il verbo avere non indichi un reale possesso allora le sue voci andran prive del ci: per esempio: avevo vent’anni, hai raggione, averanno la disgrazzia, ecc.» (http://it.wikisource.org/wiki/Sonetti_romaneschi/Introduzione)
Ora, realisticamente, cercare di convincere lo scrivente medio d’oggidì a discriminare tra “sci’ai” e “ci’ai” e “cc’iai”, mi pare una battaglia persa in partenza. Riuscire a convincerne uno a scrivere “ciai” mi farebbe già venire la voglia di intonare il “Nunc dimittis” 😉
Grazie del link!
Però la grafia univerbata continua a non piacermi… Nell’impossibilità di risolvere la questione in maniera davvero perfetta, preferisco allora seguire un’altra autorità in materia di lingua parlata e fare come Verga che manteneva l’integrità del ci attualizzante..
Scuse anche da parte mia al resto dei frequentatori del blog per questo fuori tema grammaticale!
Ri-fuori tema: se non hai mai letto nulla di Leo Pestelli, te lo raccomando calorosamente.
Articolo verissimo. Soprattutto sull’arte che invece che porre l’uomo di fronte alla bellezza si pone come obiettivo quello di sconvolgerlo e disgustarlo. Opere “d’arte” che senza una spiegazione non possono neanche essere capite, mentre un contadino medievale analfabeta non aveva bisogno di spiegazioni davanti a un affresco di Giotto, per capirlo.
Solo una critica all’articolo, magari non fondamentale e anche un po’ OT, ma non riesco a tacere: Imagine di John Lennon è una canzonetta che, al di là del testo subdolamente accattivante e profondamente falso, ha al massimo, dico al massimo, una musica orecchiabile, diciamo di qualità superiore alla media, migliore di quasi tutte le canzoni che escono adesso di sicuro. Ma “le più belle melodie scritte nella storia dell’umanità” sono ben altre, a mio parere, Imagine di John Lennon non entra nella lista neanche pagando.
Concordo al 100% con “Cacciatrice di stelle”.
Dire che Imagine di John Lennon è una delle melodie migliori della storia dell’umanità è come candidare Moccia al Nobel per la letteratura. No, dai…
Ottimo articolo! Concordo con Cacciatrice di Stelle su Imagine; io credo che sia stato il brutto testo a darle fama (o la semplice fama precedente di Lennon), la melodia è quanto di più mollo e melenso ci possa essere.
….per non parlare di Bosch, Bruegel, Ensor e tanti altri pittori di un mondo non certo michelangiolesco…
Per quanto riguarda Bacon: lui ha sempre rifiutato l’attribuzione alle sua opere di ogni “significato”.
Hanno fatto tutto i critici, cattolici, eretici etc.
Articolo ottimo.
Declino etico = declino estetico.
Bellissimo articolo…. Grazie!
Concordo anche sulla bellezza di Imagine…. considerarla “canzonetta” mi fa davvero sorridere, ma tant’è….
Se questa è arte io sono Marylin Monroe
“nessuno crede in Dio più di colui che lo ingiuria”: certo! Se lo ingiuria è perché è inc… nero con Lui.
“ma prende consistenza solo nel momento in cui conquista le pagine della cronaca”: quindi con questo post ha più consistenza? Contraddittoria questa frase o provocatoria?
Parlino bene o parlino male, basta che parlino…
….l’autore di questo articolo? Un classico babbeo (o un babbeo classico, piuttosto?).
Più la capacità e le possibilità espressive si ampliano, più l’atto artistico, per differenziarsi dalla normalità, deve diventare estremo. E’ normale.
Pensate ai tatuaggi: neanche 40 anni fa appannaggio di deliquenti e marinai, oggi… beh, fate voi. O l’orecchino, divenuto nel frattempo piercing.
L’uomo ha sempre usato (ed osservato) il proprio corpo come mezzo espressivo: la body art è sempre esistita! Controllare il proprio corpo come ultimo segno (o dono) della superiorità della mente sugli istinti – che si tratti di digiunare o immobilizzarsi su una colonna, allacciarci un cilicio, fustigarsi in pubblico (indossando un tacco 12, dei leggins leopardati o accompagnandosi con animali improbabili), qual è la differenza?
Non intendo di valore estetico (quello è un giudizio), ma cosa motiva questi atti? Son tutti atti dimostrativi – per noi o per gli altri.
Morte. Sesso – la più inconscia e “selvaggia” risposta alla Morte. Religione – la più primitiva risposta “sociale” alla Morte (e tentativo di ordinare la vita comune, compreso il sesso).
Inoltre: se vuoi comunicare una rottura, da cosa parti? Dallo status quo. E lo contesti, lo destabilizzi, lo distruggi (meglio se solo metaforicamente).E’ lo stesso concetto che sta alla base della Gioconda coi baffi, delle serigrafie di Warhol eccetera.
Ed ogni cultura ha i suoi destabilizzatori, più o meno evidenti, noti, pubblicizzati. A seconda dei mezzi, del momento storico e del tipo di espressione scelta (e dalle possibilità comunicative, divulgative).
Dall’invenzione dei dagherrotipi in poi, pittori e scultori si sono concentrati su altri modi espressivi che non fossero la mera rappresentazione del visibile – andando ad indagare il nascosto. Non credo che sia un caso la nascita coeva della psicanalisi. E della semiotica contemporanea. Sacro, bello, vero, concreto, ricchezza, natura: ecco una serie di nozioni che hanno contribuito a far passare “inosservati” i codici e le leggi all’opera nel linguaggio artistico moderno/contemporaneo. L’arte è andata avanti, sarebbe il caso di aggiornare (ampliare) i canoni interpretativi (quelli estetici restano personali, ci mancherebbe).
E’ per questo che la frase “E’ sorta una cultura laicista che pretende di leggere la storia del mondo come un combattimento fra le forze del progresso, che lottano per avere spazi sempre più ampi di libertà e di conquiste di civiltà, contrapposte ai rappresentanti di un sapere obsoleto, inutile, retrogrado e incompatibile con la modernità – ovviamente quello cristiano” non mi trova d’accordo.
Primo perché (ammesso che laicista voglia significare a-religioso ovvero non immerso e limitato ad un’interpretazione di sola matrice religiosa) la cultura laicista nasce come reazione un minuto dopo l’instaurazione di un rito (religioso) unico ed ufficiale: esiste la cultura laicista anticristiana, antiebraica, antislamica, anticomunista, anticapitalista, anti-contadina, anti-carnivora… Secondo perché è la cultura cristiana che si è autoproclamata – in quello che generalmente chiamiamo Occidente – cultura obsoleta, retrograda, inutile, e non viceversa. Probabilmente per marcare una differenza, più probabilmente per sottolineare un’unicità, un’identità, una continuità (una fedeltà), una riluttanza al cambiamento (a certi cambiamenti) in generale.
Esiste tutta una cultura (e non solo una a dire il vero) che non parte dalla cristiana e che cammina su gambe proprie – due su tutte: la cultura dei paesi orientali; la cultura del mondo liberista moderno. Sta avanzando ed innestandosi su quella che conosciamo. Se non la capiamo, non è colpa sua.
Finisco coi fratelli Chapman: la validità della loro (supposta) arte è stabilita dalla critica, da quella seria, non modaiola. Il fatto che alle loro mostre ci si facciano fotografare stilisti, attori, industriali come alla prima della Scala, vuol dire poco. Tranne la non trascurabile differenza che Mozart e Rossini hanno passato, oltre al vaglio della critica anche quello degli anni; i fratelli Chapman, (cosiddetti) artisti, ancora no. E quindi tutt’al più restano un fenomeno di costume (al netto della critica).
Non è vero che l’opera dei Chapman non esista in sé: esiste eccome! E’ il suo valore (ed il relativo guadagno dei galleristi) che è inesistente fintanto che nessuno ne parla. E scusatemi se è poco.
Fortebraccio, cosa ti dà questa sicurezza che le capacità e le possibilità espressive si siano ampliate?
Se levi questo assunto, buona parte degli argomenti che proponi non reggono più.
Ciao Matteo.
Sono aumentati i mezzi di comunicazione, è aumentata la penetrazione e la velocità di comunicazione.
E’ aumentato il grado di istruzione medio,
Che tutto questo sia figlio o genitore delle capacità e possibilità espressive, mi pare si possa dire che il risultato non cambia.
Oppure la classica prova del nove: se accendendo la tv (magari in un’orario per te inconsueto) e sintonizzandola su un canale per giovani non ne capisci il linguaggio, l’uso di alcuni termini, la necessità di alcune inquadrature, la scelta di determinati riferimenti, vestiti, scenografie… se qualcosa ti sembrerà strano, fuori posto, inappropriato, ebbene, vorrà dire che il linguaggio è cambiato nell’arco temporale intercorso tra l’ultima volta che eri considerato giovane ed oggi.
E questo per limitarsi ad MTV.
Tribuna politica vs Ballarò
90° minuto ed i suoi figli e figliastri
ora che ci penso – e questo taglia la testa al proverbiale toro – la quantità, varietà ed evoluzione del colore nelle acconciature femminili.
per non parlal delle scarpe, borse, vestiti eccetera eccetera
😉
…e quand’anche se ne parli (ammesso valga lo sforzo di parlarne) non ne rimarrà traccia alcuna!
Il Tempo in questo, come si usa dire, è galantuomo 😉
A me sembra semplicemente di essere di fronte al classico caso di “bene o male, purché se ne parli”… Tanto nell’arte che nell’editoria, produrre qualcosa che irrida il cattolicesimo è uno dei modi più sicuri per far soldi.
…o che ne “sveli i reconditi misteri”, gli “abusi taciuti”, le “losche congiure”, le “aberrazioni nascoste”, i “poteri occulti”, le “mistificazioni colpevoli”…. insomma “quello che nessuno vi ha mai detto!” 😐
Come si può vedere passando dal reparto libri di qualsiasi autogrill …
“Tanto nell’arte che nell’editoria, produrre qualcosa che irrida il cattolicesimo è uno dei modi più sicuri per far soldi.”
Ma non il solo, almeno a giudicare dal grande successo editoriale della Miriano e di Adinolfi e del commissario Montalbano, per esempio!
Ma l’arte dovrebbe elevare l’uomo non istigarlo alla violenza…questo è uno schifo
L’arte comunica, stop.
Domanda, stimola, questiona. Racconta storie (con sciatteria o virtuosismo). Alle volte manifesta, asserisce.
Altre inganna, raggira.
Infine: si nasconde e/o si svela.
Il resto lo fa l’occhio che guarda.
(ieri sera, su RaiScuola credo, c’era una bellissima trasmissione su San Francesco, la ricostruzione storica della sua vita ed il ciclo d’affreschi di Giotto – e di come questi abbiano imposto una certa versione dei fatti, avvallando ad esempio una ricostruzione, un’autore, piuttosto che un’altro… Sentire Cardini e la Frugoni ricostruire le varie stesure della Regola, o le varie raffigurazioni riguardanti il dono delle stigmate o la predicazione agli uccelli è stato molto interessante. Tutt’altro che edificante, purtroppo.)
Così tutto sarebbe arte… ma non tutto è Arte.
Nient’affatto!
Non tutto è Arte, certo.
L’arte ha un linguaggio, i cui elementi vengono usati da tutti noi tutti i giorni.
Questo non fa di noi degli artisti, anche se gli artisti usano quelle stesse costruzioni che usiamo noi per creare le loro opere.
Montale, Bariom ed il sottoscritto usano le stesse parole, ma con risultati diversi (evidentemente).
😉
…evidentemente 😉
Per il resto no, non credo proprio che gli Artisti (con la A) usino i nostri stessi elementi – quelli che usiamo noi tutti i giorni – esclusi quelli che ad esempio, fanno o facevano dei loro escrementi un “forma d’arte” (potemmo includere gli “escrementi mentali” in taluni casi) – chi fa Arte ha una forma di sapienza, conoscenza, ricerca, conoscenza della materia che “trasforma in arte”, possiede una “maestria”… è in qualche maniera Maestro (non necessariamente di vita e talvolta ricerca e conoscenza sono portate al parossismo, al limite della follia, ma questo è altro discorso…)
Non incolla pezzi di bambolotti assieme come farebbe chiunque di noi (chiunque di noi per la verità un po’ “disturbato”).
Ciò che ci affascina, che ci ammaestra, che ci eleva e anche esalta nell’Arte è proprio la bellezza – nel senso più ampio e più alto del termine – che sentiamo in qualche modo appartenerci, ma ci sfugge e ci sovrasta proprio perché ci trova incapaci a riprodurre quell’Opera …e così assorti, ne restiamo in contemplazione.
Per crear delle brutture (senza arte né parte – come si usava dire) tutti possono riuscire e senza neppure troppa applicazione, ma i più per rispetto di sé e della propria dignità di Uomini e della propria intelligenza, si astengono dall’esercitarsi in simili artifici.
Poi, puoi dire che “tutto è arte” (che non significa nulla) o che tutto può esserlo, alla stregua di “love is love”, ma non è affatto detto sia vero.
Di fatto tu usi le parole, e non sei Montale, io disegno, e non sono Michelangelo 😉
“Poi puoi dire” era affermazione di senso generico, giacché hai esordito giustamente, affermando: “Non tutto è Arte, certo”. 😉
Mi piace questa conversazione!
Cerco di mantenere alto il livello.
Un ruolo centrale nella divulgazione dell’Arte, il ruolo centrale, è del critico.
La critica, gli studiosi, sono quelli che scrivono quei mattoni, quei saggi con quei paroloni inconcepibili. E sapete a chi servono quei saggi? Agli artisti, guarda caso, nonché ai critici stessi. Quando uno studente si segna in Accademia, inizia a fare praticantato teorico e lo fa proprio su quei libri. Poi, se ha talento, metterà in pratica quelle teorie. C’è lo studioso che studia l’arte per innovarla, e c’è l’artista che studia su quei libri per mettere in pratica i suoi studi. Questa è la funzione della critica specializzata – e non parlo dei “critici” quotidianisti: quelli sono solo dei giornalisti con una minima preparazione. La critica non è uno sberleffo, la critica è il motore dell’arte.
Se non bastasse, si è stabilito, e questo lo si è fatto per prima proprio con la pittura, che l’analisi dello studioso è più veritiera di quella dell’autore. Sostanzialmente per due ragioni:
1) per una eventuale sopravvalutazione/sottovalutazione da parte dell’artista del proprio lavoro
2) perché è anche l’inconscio a lavorare nella realizzazione dell’opera, quindi non doverosamente analizzabile da chi lo produce. Chi conosce se stesso meglio di chiunque altro? Nessuno. Ma gli psicologi esistono per analizzare la parte latente, la Nigredo, come la chiama Jung. E la stessa cosa devono fare i critici: fare emergere la latenza di un’opera. Latenza che è tanto più marcata quanto più ci avviciniamo ai tempi moderni (pittura, scultura, cinema). E mi sembra superfluo dirlo, ma non esiste critico specializzato che non conosca la psicanalisi a menadito.
E’ per questo che alcuni “pasticci, tali e quali a quelli che fa mi fijo de tre anni” valgono decine di milioni, riempiono i musei o trovano spazio sulle facce delle monete.
Infine, un conto è comprendere l’importanza di un’opera, un’altro paio di maniche è sceglierla per attaccarla al muro di casa tua. Personalmente attaccherei senza esitazione Pollock e Rothko ma non Warhol né Bacon, l’annunciazione del Beato Angelico (quella di San Marco) ma non di Leonardo, sul cassettone metterei il busto di Nefertiti prima di un Della Robbia – son gusti, che ci vuoi fare?
Brutto è ciò che copia la forma ma non tiene traccia dell’ispirazione che l’ha creata (stavo per scrivere ‘anima’, ma non voglio fare un discorso ‘animista’).
Ed oltretutto, non ho mai imparato neanche l’arte della sintesi….
…non esitono e non possono esistere artisti con la A!
AAAAAAh… ecco!
Questa mi sembra una cretinata. Può non piacerti un artista con la A ma ciò non toglie che lo sia.
Giusy:
….pensaci bene! Ammesso che qualcuno fosse un artista (che è una cosa da decidere) che bisogno ci sarebbe della A?
E’ artista più il Perugino o il Botticelli o sono tutti e due dei bravi pennellatori?
Oh Alvise… che confronti mi fai?! 😐
La A (semmai ha un senso) non è certo per distinguere tra due di codesto calibro… non era chiaro?
…allora come si riconosce l’artista “vero” o il “vero” artista?
Il mio pensiero (che fa per me da distinguo) mi pareva di averlo esposto…
Non si riconosce, si mostra.
A o non A c’è una bellezza che è universale, che trascende i pennelli e anche le persone, è un dono, è un riflesso della bellezza di Dio.
Quando, una ventina di anni fa, mi sono ritrovata davanti per la prima volta (allora era sempre illuminata poi hanno introdotto la storia delle monetine) a questa cappella, sono svenuta ho avuto la Sindrome di Stendhal
http://blog.unicomitalia.org/wp-content/uploads/2012/08/Cappella-Baglioni-a-Spello-Pinturicchio.jpg
@Giusi, come o scritto sopra: “…e così assorti, ne restiamo in contemplazione.” 😉
Magari “ho” è meglio…
Vedendo citato John Lennon, vorrei proporvi alcune pagine tratte dal libro “La sfida della fede” di Vittorio Messori (pp. 133 – 135). Parlano dell’ex Beatle e mi hanno colpito molto. Ovviamente spero con tutto il cuore che ora si trovi anche lui davanti a Dio, visto che, a quanto pare, l’ultima parte della sua vita deve essere stata proprio un inferno.
BEATLES
“Tra le cause del travaglio della Chiesa dopo il Vaticano II, c’è il fatto che molti hanno confuso (e in modo talvolta interessato) ciò che fu detto al Concilio con ciò che ha detto il Concilio. Nell’aula conciliare fu detto di tutto, magari a ruota libera, magari (basta scorrerne gli Atti) in modo sorprendentemente irresponsabile. Comunque, ciascuno, anche se vescovo, può dire quanto crede: i fedeli non saranno tenuti a seguirlo nei suoi estemporanei «secondo me », ma a conformarsi ai documenti approvati collegialmente e ufficialmente dalla solenne assemblea. Quel famoso « spirito del Concilio» al quale in questi anni tanti si sono appellati — spesso contro la lettera di quelle Costituzioni — per esigere le cose più bizzarre, si è alimentato proprio di quegli interventi in aula fatti à qui mieux mieux, che esprimevano punti di vista personali. Dimenticato in quegli Atti conciliari che dicevamo, c’è anche l’intervento di un vescovo nordeuropeo che, nel suo latino, citò il nome di un complesso musicale che proprio allora cominciava a divenire l’idolo dei giovani di tutto il mondo. Quel presule citò, dunque, il nome dei Beatles perché, a sentir lui, il quartetto inglese costituiva un « segno dei tempi » di cui la Chiesa doveva tenere conto: quei ragazzi interpretavano il bisogno, comune a tutti gli altri giovani, di un mondo nuovo e pulito, dove pace, fraternità, solidarietà, fantasia avessero finalmente diritto di piena cittadinanza. In quelle musiche c’era l’apertura verso nuovi, affascinanti continenti dell’anima, verso i quali anche la Chiesa doveva salpare, fiduciosa e solidale con il mondo e soprattutto con i giovani, « avanguardia del futuro ». Così quel vescovo, tanto « aperto » e aggiornato».
Se l’ultimo documento del Vaticano II, la Gaudium spes non citò i Beatles, vi circola però (soprattutto nella parte descrittiva del mondo moderno, scritta non dai vescovi ma da sociologi franco-belgi) un atteggiamento non lontano da quello assunto da quel presule: una prospettiva di ottimismo tipica di quegli anni Sessanta, nei quali la parabola dell’Occidente era al vertice e che ancora non conoscevano inquinamento, crisi energetica, terrorismo, aborto legale, droga, nichilismo e altri nodi che sarebbero venuti presto al pettine. Grande, fiduciosa apertura, dunque, verso una generazione che col ritratto dei Beatles tappezzava la sua camera. Quasi profeti di un mondo «diverso », eroi positivi, magari ideali di vita, di pulizia, questi giovani con chitarra che cantavano: « Date una possibilità alla pace e alla speranza» e invitavano a tendersi la mano correndo verso il futuro radioso.
Il più famoso dei Beatles, John Lennon, fu assassinato per strada, davanti alla sua lussuosa casa di New York, nel dicembre del 1980, a quarant’anni, quindici anni dopo avere avuto il diritto a una commossa citazione in latino sotto le volte di San Pietro. Come rivela una ponderosa biografia «scientifica», appena uscita negli Usa, la pistola che l’uccise sparò in pratica su un uomo già morto. Da anni, Lennon non usciva quasi di casa: passava le giornate buttato sul letto, con le persiane ermeticamente chiuse, in un odio maniacale per la luce e in un bisogno altrettanto ossessivo di « pulirsi » attraverso sei bagni rituali al giorno e infinite abluzioni di mani e viso. Mentre infieriva come un despota capriccioso sulla numerosa servitù, seguiva una «dieta» singolare: praticamente niente cibo ma dosi massicce di speed-ball (un’infernale miscela di cocaina ed eroina), accompagnata da una quarantina di spinelli giornalieri alla marijuana e, tanto per completare, da altrettante sigarette di tabacco forte. Il tutto annaffiato da liquori e da caffè in quantità industriale. Per passare il tempo tra uno «sballo» e l’altro, un’enorme scorta di libri, giornali e video pornografici. La moglie giapponese, Yoko Ono, per non essere da meno, investiva 20.000 dollari al mese (circa quaranta milioni di lire, all’e-poca) per droghe di suo consumo personale. Il che non impediva alla signora di seguire con oculatezza l’amministrazione del patrimonio (valutato in oltre 300 miliardi di lire) del marito chitarrista. A questo menano dunque i «segni del tempo» che tanti anni fa incantarono vecchi vescovi e giovani sociologi in clergy-man? Se questa è la fine dei «profeti dei mondo nuovo», quelli che (a dar retta anche a certi cattolici) «interpretano, magari inconsapevolmente ma autenticamente, esigenze evangeliche», meglio in futuro non fidarsi troppo. Si, meglio andarci assai piano, prima di eccitarsi davanti ai «modelli emergenti» del mondo: prima di rincorrerli, non fermarsi alle belle parole (anche se messe in bella musica) ma stare a vedere dove quelle parole portano.”
non voglio sminuire quello che ha scritto Messori – tutto vero per’altro.
Ma giudicare la bontà di alcuni stimoli e speranze (che sono stati stati cantati anche dai beatles, non solo) attraverso uno dei suoi cantanti, equivale a guardare (e giudicare) il messaggio evangelico attraverso le malefatte di Marcinkus.
un’inciampo,via…
Già… Però la situazione di Lennon mi sembra paradigmatica per una buona fetta dei cantanti/gruppi culturalmente facenti parte dell’ondata sixties/seventies mentre altrettanto non si può dire di Marcinkus nei confronti degli altri vescovi.
Aspetta Stefano: l’opera vive al di là dell’artista. Più l’opera è universale (tende all’universalità, meglio) più i valori che svela sono condivisi – e non (solo) personali dell’artista – e con le canzoni questo è molto più visibile.
Quante persone si sono innamorate con una canzone di Elton John? E quante ne condividono i valori e stili di vita?
(per non parlare degli stilisti e delle loro creazioni)
Il fatto che il card. M. sia solo uno rende ancora più evidente la debolezza della presunta accusa (spero di essere stato chiaro: la mia era volutamente un’iperbole, benché piuttosto diffusa. in effetti poi ci sarebbe il libro di Nuzzi… ma questo è un’altro discorso)
… un po’ di conti: 40 spinelli più 40 sigarette fanno 80. Mettiamo una media di 10 minuti per ogni consumazione fanno 800 minuti bevendo sempre caffè e liquori (in quantità “industriali”, ovviamente) più 6 bagni e abluzioni rituali. In un giorno di 24 ore ci sono 1440 minuti…
E sulle parole, su dove esse portano o possano portare, vi invito a leggere questo bellissimo “Inno alle parole” scritto da Don Fabio:
http://lafontanadelvillaggio2.wordpress.com/2014/09/20/inno-alle-parole/
“se un nome non sta su da solo senza aggettivi vuol dire che c’è qualcosa che non va, che non funziona…
Per esempio se quando dici “cattolico” hai bisogno subito di aggiungere tradizionalista o progressista”
Può essere vero in linea di principio infatti non mi piace dover aggiungere tradizionalista: lo faccio per distinguermi da Kasper & company. Che ci posso fare se è cardinale di Santa Romana Chiesa?
Complimenti ha chi ha fatto questo articolo veramente ben fatto. Ho studiato arte e nel frattempo ho letto la vita dei santi. Sono stata costretta a studiare anche arte gender (ho fatto l’esame senza studiarla…non avevo nessuna voglia di studiare arte che altro non era che pornografia) e l’ho buttata nel cestino qualche settimana prima dell’esame che è andato comunque benissimo. Da artista la considero arte ispirata dal demonio. Chi conosce Dio e la sua strada e ha avuto modo di conoscere il suo nemico sa (sempre poco ma quel poco che può bastare..)per capire come opera, chi lo ha visto all’opera e ha avuto amici indemoniati poi…riconosce dove c’è il suo zampino, è sempre disgustoso, violento, scimmiottatore di Dio. Detesta le cose di Dio, detesta Maria e il papa, il santo rosario. Non mi meravigliano le immagini contro Maria e la chiesa, sono opera del demonio c’è la sua puzza orrenda. Quando c’è il solo profumo di Maria poi come scappa!Ed è per questo che vuole che siano imbrattate le sue immagini! Basta vedere quello che fanno gli indemoniati a Medjugorie che tra le altre cose ho sentito fare versi di animali durante le adorazioni eucaristiche…il demonio ha paura di Maria più di qualsiasi altra cosa! Maria che è tutta pura, tutta santa, Vergine, Immacolata è la sua nemica, e in qualche modo deve imbrattare la sua immagine e quella dei figli di Dio, deve combatterla nei modi più meschini…bhe gli manca poco ed è scatenato,scatenato contro le famiglie,contro i sacerdoti, soprattutto contro i bambini (che sono i santi profeti dell’Altissimo)(aborto,legalizzazione della pedoflia a livello mondiale,ideologia gender nelle scuole,famiglie diverse dal progetto di Dio…)…del dragone nell’apocalisse si dice che abbia 7 teste. il sette è il numero della perfezione, perfezione di scaltrezza e intelligenza. (ma il demonio non ha nessun cuore ci distruggerebbe tutti e i suoi progetti sono sempre di distruzione come l’arte che esalta la morte in modo disgustoso.) Noi di teste ne abbiamo solo una, se non dimoriamo all’ombra dell’Altissimo e viviamo sotto il manto di Maria possiamo molto facilmente entrare nel suo gioco. Molti ci sono dentro. Quest’arte è un suo gioco. I figli delle tenerbe sono più scaltri dei figli della luce si dice nella bibbia e IL DEMONIO ESISTE davvero E TEME DIO. Gli manca POCO.
http://www.papalepapale.com/develop/quando-satana-fa-lartista-e-si-firma-fratelli-chapman-intervista-a-sergio-mandelli/