Se Dio è buono, perché c’è il male?

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di Claudia Mancini     LaPorzione.it

Nel precedente articolo, Syncletica, una Madre della Chiesa, ci ha introdotto alla riflessione sul problema del male. Nel ripetere che «ogni opera buona si configura come fuga dal male», Syncletica insegna che il male c’è, e abita tra di noi, perché è il male della nostra anima. È male tutto ciò che la nostra volontà non sa vincere con il bene, o non sa trasformare in occasione per operare il bene. Per fuggire il male, con la coscienza virtuosa della quale Dio ci ha munito, bisogna combattere le tentazioni del diavolo, il «cacciatore eccezionale» e «astuto nei mali», pronto a offrire pretesti per qualsiasi peccato. Del resto, Dio è buono e da lui derivano solo beni.

Certo, si potrebbe obiettare che Syncletica espone una determinata concezione del male, quella della migliore tradizione spirituale cristiana, e che se solo si considerassero altre prospettive le parole di Syncletica non risulterebbero altrettanto illuminanti e condivisibili. Lungo la storia del pensiero, infatti, sono state elaborate molte teorie sul problema del male perché esso è intimamente connesso con la questione ineludibile del senso della vita. Non avrebbero senso una religione, una teologia e una filosofia che non si confrontassero con la sfida del male; tanto più se si avesse l’onesta intellettuale di ammettere che le discipline di matrice scientista-positivista non possono e non sanno affrontare, per statuto e metodo, la questione del male e del senso della vita. Se è vero che quello sul male è un discorso arduo e complesso, scegliamo di circoscrivere la nostra riflessione sul male laddove esso può essere usato come pretesto (demoniaco?) per negare la bontà di Dio. Insomma, dalla lectio di Syncletica passiamo alla quæstio“che Dio sia buono e da lui derivino solo beni è una verità della fede cristiana o è anche una verità di ragione?”. Procediamo per gradi.

Quale male può effettivamente costituire un pretesto per negare la bontà di Dio? Riteniamo che sia innanzitutto necessario introdurre la distinzione che Tommaso d’Aquino ha elaborato, recependola almeno da Agostino (e da Tertulliano), tra malum culpæ e malum pœnæ (Cfr. Quæstiones disputatæ de malo, q.1, a. 4.). Nel primo caso (malum culpæ) si fa riferimento al male di cui l’uomo è responsabile, cioè del male di cui si rende conto e che potrebbe evitare – perché se così non fosse non si parlerebbe di “colpa”. Un grave delitto, le terribili stragi disseminate nella storia, i quotidiani atti di violenza sono fatti ignobili le cui colpe, però, non possono ricadere su Dio; il malum culpæ va imputato agli uomini, per non aver ascoltato la propria coscienza capace di giudicare secondo la distinzione che ognuno ha ben presente, quella tra il bene (ciò che è da fare) e il male (ciò che è da evitare). Tuttavia, anche davanti al malum culpæ più grave, l’uomo trova sempre un misero pretesto per deresponsabilizzarsi, fino ad accusare Dio di avergli dato una natura tale da consentirgli il male, cioè di avergli dato la dignità della libertà. Questo arbitrario processo psicologico di estrema deresponsabilizzazione dell’uomo, davanti alla colpa della propria coscienza che non vuole scegliere il bene pur potendo, si trova ben descritta in una pagina di Paul Ricœur: «L’esperienza della colpevolezza nasconde nella sua profondità il sentimento di essere stati sedotti da forze superiori, che il mito non farà fatica a demonizzare. Così facendo, il mito non farà che esprimere il sentimento di appartenere ad una storia del male, sempre già là per ciascuno. L’effetto più visibile di questa strana esperienza di passività è che l’uomo si sente nello stesso tempo vittima e colpevole» (P.R., Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, trad. it. Morcelliana, Brescia, 1991, pp. 14-15). In realtà, il malum culpæ di cui ci si lagna, al punto da imputarlo a Dio o alla seduzione di «forze superiori», non può essere mai compiuto se non con autentica e piena responsabilità da parte dell’uomo. Non è insomma il caso del male inteso come “colpa” che può essere addebitato a Dio. Diverso è il caso del malum pœnæ, il male cioè che è solo subito da chi non ha di esso diretta responsabilità. È il caso emblematico e doloroso dellasofferenza innocente dei bambini vittime della crudeltà degli adulti o, ancor più, di una malattia o di unasofferenza subita. In questo caso, il male è inteso come qualcosa di così incomprensibile ed ingiusto che risulta davvero facile imputarlo a Dio. Di più, il malum pœnæ può diventare motivo di scandalo e di ribellione a Dio tale da offrire il pretesto per eliminare Dio stesso: «la negazione di Dio è nutrita dalla contestazione che l’enigma del male gli indirizza, ma un tale enigma non fa un solo passo avanti, al contrario, con la soppressione di Dio. Con questa non si spiega la sofferenza, non si sgomina né il dolore né il male. Viene anzi persa la speranza in una finale vittoria su di loro» (V. Possenti, Dio e il male, Sei, Torino1995, ix). Si può “eliminare Dio” ma, così facendo, non si elimina il problema del male dall’orizzonte di senso.

Quale Dio può essere ritenuto causa del malum pœnæ? Il malum pœnæ può essere imputato a Dio solo a patto che Dio sia riconosciuto come l’effettivo responsabile di ogni cosa, il creatore unico, Principio e Fine del mondo, e che si affermi la dipendenza dell’uomo e del mondo intero da lui. Il malum pœnæ può essere imputato effettivamente solo a un Dio creatore, perché solo la creazione esprime adeguatamente la concezione di derivazione e dipendenza totale dell’uomo e del mondo da Dio. Bisogna considerare che una nozione di creazione siffatta entra nella storia del pensiero solo con la rivelazione ebraico-cristiana: «è stato il cristianesimo ad aver annunciato in tutto il mondo la visione coerente di un Dio onnipotente, unico e creatore, e se proprio questo è il presupposto per imputare a Dio il malum pœnæ, è dunque solo nell’ambito della tradizione cristiana che ha senso porre il problema del male chiedendone conto a Dio» ( Cfr. R. Di Ceglie, Dio e l’uomo, LUP, Città del Vaticano, 2007, pp. 170-180). Se è solo al Dio cristiano che ha senso imputare il malum pœnæ, una riflessione coerente sul male, che pretenda avere dignità filosofica, non può prendere in considerazione il cristianesimo fino ad un certo punto. Se al Dio cristiano imputiamo il male perché Egli è il creatore, non possiamo dimenticare, però, la stretta connessione che nel cristianesimo vi è tra creazione e provvidenza:«Sebbene il male, in quanto esce dall’agente proprio sia cosa disordinata, e sotto questo aspetto si definisca come privazione dell’ordine, ossia disordine, nulla impedisce che da un superiore agente sia introdotto in un ordine; ed è così che cade sotto la provvidenza» (Tommaso d’Aquino, Quæstiones disputatæ de veritate, q. 5, a. 4, ad 3). Lo stesso Dio creatore al quale si vuole imputare il male è l’Innocente che muore per gli uomini, perché se «le opere di Dio sono sue» risulta evidente che «Egli ama sino la più umile tra esse». Una riflessione coerente sull’enigma del male dovrebbe spingersi fino in fondo al mistero del cristianesimo, fino al «Logos della croce». Solo se si colloca il male nell’unica prospettiva capace di rendergli coerentemente ragione, fino alla finedella storia della salvezza, già qui ed ora si potrà vedere il male con occhi nuovi: apparirà che la sofferenza a volte è motivo di crescita e conversione, e dunque produce bene; che i dolori e sofferenze di ogni tipo a volte si possono rivelare l’unica via per acquisire un’umanità piena; che le sofferenze, rintrodotte all’interno della questione del senso della vita, non trovano spiegazione ma la danno.

Bontà e provvidenza divina – Torniamo alla nostra quæstio: “che Dio sia buono e da lui derivino solo beni è una verità della fede cristiana o è anche una verità di ragione?”. Il tema della bontà di Dio non può prescindere da quanto detto fino ora. Che Dio sia buono e da lui derivino solo beni, è un’affermazione che consegue dal riconoscimento della dipendenza dell’uomo e del mondo intero da lui. Essendo il rapporto di creazione tra Dio e l’uomo quello che esprime adeguatamente e coerentemente la concezione di una derivazione totale del mondo da Dio, è solo nell’ambito della tradizione ebraico-cristiana che ha senso porre il problema del male chiedendone conto a Dio. La nozione di creazione rappresenta uno dei maggiori contributi del cristianesimo al pensiero filosofico, e il cristianesimo solo – con il «Logos della croce» – è capace di offrire una visione filosofica coerente con una tale nozione, fino ad includere un’altrettanto adeguata e coerente risposta al problema del male.

Tuttavia, non possiamo trascurare che i filosofi pre-cristiani avevano implicitamente intuito questa concezione cristiana della connessione tra creazione e provvidenza, poiché erano criticamente (nei confronti del mito) alla ricerca dell’Uno, dell’Arché, e, da Platone ad Aristotele, avevano sempre identificato il Principio ed il Fine, in quanto tale, come Bene. Leggiamo nella Repubblica«Non si può scusare né l’errore di Omero né quello di alcun altro poeta quando, senza alcun fondamento di verità, affermano che “due vasi sono posti sulla soglia di Zeus/ed essi contengono le sorti: l’uno le sorti felici e l’altro quelle funeste”; […] né si può dire che Zeus è per noi dispensatori di beni e di mali». La conclusione di queste considerazioni è ancor più esplicita: «Insomma, quello che va evitato in ogni modo è che si attribuisca a dio, che è buono, la responsabilità dei mali». [Platone,Repubblica, 379 de; 380 d]. Sul tema della bontà di Dio e dell’opposizione tra esistenza del male ed esistenza di Dio, interessante è anche quanto emerge dalla lettura del dialogo platonico Alcibiade minore, dialogo Sulla Preghiera. Socrate invita gli uomini a pregare gli dèi per chiedere cosa sia veramente propizio per loro: «Penso, quindi, Alcibiade, che fosse saggio quel poeta che, mi sembra, […] compose una preghiera che dice pressappoco così: “O re Zeus, dacci i beni sia che li chiediamo sia che non li chiediamo, ma allontana i mali anche se li chiediamo”». Socrate riconosce una differenza sostanziale tra uomini e dèi, per cui solo questi ultimi sanno cosa è veramente bene per gli uomini. Aggiunge, poi, Socrate: «Mi domando se gli uomini non “accusino” senza alcuna ragione gli dèi quando imputano loro l’origine dei propri mali, mentre sono proprio loro che con le proprie scelleratezze, o piuttosto stoltezze, si procurano dolori oltre la propria sorte». [Platone, Alcibiade Minore,142e –143a; 142 de]. Nelle Leggi, riferendosi all’Assoluto e alla sua perfetta distribuzione di beni e mali, Platone arriva perfino a fondare le ragioni dell’esistenza di un “ordine provvidenziale”: «Tu stesso, misero mortale, per quanto piccolo tu sia, entri per qualche cosa nell’ordine generale e vi ti riferisci continuamente. Ma tu non rifletti che ogni generazione particolare si fa in vista del tutto, perché esso viva di una vita felice; che nulla si fa per te, e che tu stesso sei fatto per l’universo; che ogni medico, ogni abile artigiano, dirige tutte le sue operazioni verso un fine, tendendo al bene comune e riferendo ogni parte al tutto, e non il tutto a qualcuna delle parti. E tu mormori, perché ignori ciò che è il meglio nello stesso tempo per te e per il tutto, secondo le leggi dell’esistenza universale». [Platone, Leggi, 903 bc]

Che Dio sia buono e da lui derivino solo beni non è solo una verità delle fede cristiana, è anche una verità di ragione concepita e difesa dai maggiori filosofi pre-cristiani. Del resto, secondo la celebre espressione di Epicuro, se Dio permette il male, o non è onnipotente (ma allora non è Dio) o non è buono (e quindi non va adorato, come conviene ad un Dio). La sola ragione è sufficiente, negli uomini di buona volontà, per comprendere che il problema del male non si risolve se si “elimina Dio”, tantomeno se si ammette la coesistenza di due Principi, il bene ed il male, o l’“esistenza del male in Dio”. Che Dio sia buono e da lui derivino solo beni è una verità di ragione che il cristianesimo ha portato a compimento: solo il cristianesimo è stato capace di offrire una visione filosofica coerente con una tale nozione di Dio, fino ad arrivare a dare una altrettanto adeguata e coerente risposta al problema del male.

Questione complessa, quella del male, che forse abbiamo solo sfiorato. Tuttavia, l’aver mostrato come la questione della “bontà e provvidenza di Dio” sia presente nei filosofi pre-cristiani come verità di ragione prima ancora che di fede, pensiamo sia stata una buona occasione per mostrare come l’essenza della religionecristiana sussista ad un livello di “filosofia implicita” (Fides et Ratio) nella dimensione intellettuale e morale di ogni uomo di buona volontà. “Filosofia implicita”, “senso comune”, “senso comune religioso”, sono categorie del pensiero dimenticate da certa filosofia moderna e contemporanea, perché mostrano una verità scomoda per alcuni: «l’uomo è spontaneamente religioso, anche se non spontaneamente cristiano». Che cosa sia e quale valore abbia il “senso comune religioso” tenteremo di spiegarlo nel prossimo articolo, affidandoci all’autorità di Paolo VI e Don Giussani.

46 pensieri su “Se Dio è buono, perché c’è il male?

  1. Non c’è “il male”, c’è il fare bene e il fare male, la salute e la malattia, il sole e la pioggia, la prosperità e la fame, la terra dura e quella facile da lavorare, i politici bravi (per dire) e quelli imbecilli, i pensatori e i teologi…

    1. Grazie Alvise, siamo tutti molto sollevati ora, ad aver appreso che non c’è “il male”… ma perché c’è tutto il resto che elenchi (e anche di più)?

      1. Perché perché perché…
        C’è il sole quando c’è il sole, la pioggia la pioggia, l’uomo stupido perché è stupido, l’uomo accorto perché è più accorto, perché è più attento, meno presuntuoso di sapere e di saper fare bene, e via discorrendo…
        Perché qui la terra è dura e là più morbida, c’è un perché che trascende questi semplici stati di fatto?

        1. Secondo me sì. Secondo te no.
          “… c’è un perché che trascende questi semplici stati di fatto (e di pensiero)?”

          Secondo me sì. Secondo te no. 😉

          Certo se uno non contempla l’esistenza del Trascendente, la terra resta terra (tenera o dura che sia) e l’uomo quel che è (che differenza se fa il bene o il male, che poi cos’è il bene o il male…e via discorrendo).

          E, Alvise, non è che se uno invece considera l’esistenza del Trascendente, sia solo un presuntuso. 😉

          1. No, non lo considero affatto presuntuoso, casomai pretestuoso (casomai).
            Come chi non crede nel trascendente non è un mancamentato (se non del credere nel trascendente).

            1. Non è un “mancamentato”, ma certo si deve applicare per rintuzzare il fatto che «l’uomo è spontaneamente religioso, anche se non spontaneamente cristiano» (ha letto l’articolo sopra?). O smentisci che l’Uomo sia “spontaneamente religioso” o se preferisci dotato di una “religiosità naturale”? (Puoi smentirlo ma è così nei fatti da sempre…;-))

              1. …non non ho nessunissima intenzione (o pretesa) di “smentire” nulla!
                Per me, religione naturale o meno, la terra è dura perché è dura, non perché l’uomo fu cacciato dal Paradiso Terrestre e condannato a zappare.

  2. Alessandro

    Grazie Claudia Mancini, davvero una riflessione ben impostata su un tema intorno al quale, anche da parte di teologi cattolici, non è frequente trovare discorsi impostati lucidamente, con il necessario rigore logico.

    1. Alessandro

      Confondere il rigore logico con il rigor mortis è tipico di chi non sa praticare il rigore logico. Ma chi non sa essere logicamente rigoroso finisce per affliggere il prossimo con una colluvie di confuse assurdità.

        1. Alessandro

          no, non accade lo stesso, perché assurdo significa illogico, quindi chi pratica il rigore logico è tendenzialmente meno corrivo a dire assurdità e ad ammorbare il prossimo con stupidaggini.

    2. Claudia Mancini

      Ciao Alvise, e buongiorno a tutti! Il rigore logico – se c’è – c’è perché lo esige la filosofia: è il metodo che le è proprio. E’ anche una questione di indole: io provo i brividi quando leggo un libro di filosofia, ad altri succede quando leggono una poesia; a tutti, dovrebbe succedere, quando una lettura conduce al cospetto della Verità e senti l’anima che vibra. Preciso che questo articolo non esaurisce il “problema del male” in assoluto, né lo affronta da una prospettiva teologica in senso stretto ( saremmo dovuti partire dal peccato originale). L’articolo non pretende essere una risposta esaustiva alla domanda “perchè c’è il male ?”; piuttosto vorrebbe proporre una prospettiva diversa a quanti, attraverso un ragionamento – privo di rigore logico –, vogliono dedurre dall’esistenza del male la inesistenza di Dio o la imputabilità a Dio del male.

      Grazie a tutti! Buon Compleanno Costanza!

      1. Claudia Mancini:

        “Preciso che questo articolo non esaurisce il “problema del male” in assoluto, né lo affronta da una prospettiva teologica in senso stretto”

        “il problema del male” si può porre solo da un punto di vista teologico.
        Il “male” in se stesso non esiste.

  3. Giusi

    Qui c’è veramente già tutto. C’è il Logos, c’è il senso della vita…. E’ proprio vero che Socrate, Aristotele e Platone hanno già detto tutto quel che c’era da dire. Dopo l’uomo ha continuato a sparare c…. giù giù fino ad Alvise…….

    «Tu stesso, misero mortale, per quanto piccolo tu sia, entri per qualche cosa nell’ordine generale e vi ti riferisci continuamente. Ma tu non rifletti che ogni generazione particolare si fa in vista del tutto, perché esso viva di una vita felice; che nulla si fa per te, e che tu stesso sei fatto per l’universo; che ogni medico, ogni abile artigiano, dirige tutte le sue operazioni verso un fine, tendendo al bene comune e riferendo ogni parte al tutto, e non il tutto a qualcuna delle parti. E tu mormori, perché ignori ciò che è il meglio nello stesso tempo per te e per il tutto, secondo le leggi dell’esistenza universale». [Platone, Leggi, 903 bc]

  4. Angelina

    Complimenti a Claudia. Non so se sono tra coloro che provano i brividi leggendo di filosofia, probabilmente no. Eppure trovo particolarmente interessante la riflessione sulla ‘filosofia implicita’ e sul senso comune: negarlo conduce ad un approccio irrazionale all’esistenza, e appunto all’impossibilità di dare un senso non solo al male ma alla vita stessa. Purtroppo è vero che la graduale affermazione dell’impossibilità di dare una risposta al “perché il male” o “come vivere rettamente” ha condotto alla percezione dell’inutilità della domanda. E così si vive senza provare il bisogno di un sistema di riferimento, senza orizzonte di senso. E’ un problema di razionalità: viviamo in un mondo che, negando la possibilità della fede, è diventato irrazionale.
    Ad Admin complimenti per la scelta dell’immagine, che va davvero al cuore della questione. E offre una risposta al ‘problema dei problemi’, la sofferenza dell’innocente.

    1. Claudia Mancini

      Grazie, Angelina. Il quadro mi ha commosso, quando l’ho visto. Lo sguardo “disperato” e “impotente” dell’angelo è un quadro nel quadro. E’ “Cristo morto sostenuto da un angelo” di Antonello da Messina. Se lo vedi nella sua interezza, è ancora più bello: si vede il braccio dell’angelo che sostiene il cristo morto.

  5. Emilia

    Il misterioso peccato dei nostri progenitori è l’origine del male che troviamo dentro e fuori di noi. La loro libertà li ha resi i primi responsabili di ciò che noi ereditiamo: sofferenza e morte, a questo aggiungiamo i nostri peccati personali e il quadro è completo. Solo Gesù con il suo sacrificio d’Amore ci può restituire l’ordine e i doni perduti attraverso i sacramenti nella Sua Chiesa.

  6. Roberto

    Accidenti, auguri in ritardo, Costanza!!

    Tema molto bello e davvero complesso; è una sfida affrontarlo solo per cenni e qui c’è davvero molto. L’unico aspetto che trovo tratteggiato forse troppo in fretta è il concetto del male della colpa. E’ assolutamente vero che alla radice di ogni male della colpa risiede la scelta della creatura.
    Tuttavia, in noi spesso il male della colpa e quello della pena si intracciano in un modo che non è sempre semplice e immediatamente percepibile. Se noi fossimo creature angeliche, sarebbe immediato e facile distinguere i due aspetti del male.
    In quanto creature spirituali incarnate e ferite dal peccato originale, anche se alla base di un male della colpa c’è sempre una nostra scelta di accondiscendere al male, essa è obiettivamente condizionata sia da agenti esterni che da una forza superiore che ci può sedurre, il diavolo.

    Pur non possedendo tali concetti, quando ero un giovane agnostico masticavo a sufficienza la religione cattolica da trovare obiezioni su questo punto. Se infatti Dio voleva che facessi o non facessi determinate cose, ebbene facesse il favore d’essere più chiaro. Era proprio la questione della “coscienza” di cui si parlava nei giorni scorsi. Io vedevo benissimo che nella mia coscienza alcune cose che la Chiesa definiva “male” non erano assolutamente tali in me. Dunque, argomenentavo tra me che Dio avrebbe dovuto usarmi la cortesia di chiarificarmele meglio, specialmente a fronte di una punizione che poteva essere persino eterna…

    Inoltre, sapendo che di fatto la Chiesa afferma che senza “grazia”, qualunque cosa fosse, non era possibile per l’uomo non peccare, trovavo che una imputazione diretta del male all’uomo fosse una disonestà, una specie di gioco delle tre carte. Da un lato, trovavo un interlocutore che mi diceva “non puoi fare il male se non vi acconsenti” e questo lo riconoscevo senz’altro come vero.
    Dall’altra parte, quello stesso interlocutore mi dichiarava che lo stato dell’essere umano era tale da non poter non violare la legge di Dio, e questo a causa di colpe che, se pure non si volevano imputare a Dio, certo non si potevano imputare a me.
    E non era forse la Chiesa a volermi “vendere” un Dio onnipotente, onniscente, provvidente? Ecco che dunque mi sarei aspettato quantomeno una maggiore cautela da parte di Costui. Troppo facile, mi dicevo, voler poi scaricare su “mitici progenitori” uno stato nel quale noi ci trovavamo nell’impossibilità di non peccare, e di questo eravamo riconosciuti colpevoli, mentre Lui, il “Direttore Generale”, che può tutto, aveva lasciato andare le cose alla malora per poi venire da ME a chiederne conto.
    Mi desse la conoscenza di questo “peccato” e la capacità di resistervi, senza tirarla tanto per le lunghe, e poi ne avremmo potuto riparlare. Altrimenti, le nostre strade se ne sarebbero state ben distinte, e su da dosso.
    [notare l’hybris terribile che avevo allora – anche peggio che oggi 😉 ]

    Infatti, il male della colpa è tale anche se non ci si procura i mezzi grazie ai quali potergli resistere. E’ importante questo punto; altrimenti c’è il rischio di far credere che il male della colpa si riferisca solo a certi casi estremi. Ed è il famoso: non ho ammazzato, non ho rubato, quindi sono a posto così. Una coscienza rozzamente formata percepisce alcune colpe, quelle più eclatanti, e non altre. Percepisce anche il dovere di formare se stessa, ma se si rifiuta di farlo, perché è fatica, o per altre ragioni, come per un orgoglio smisurato, ecco che già questo apre alla responsabilità del male della colpa, pure se poi all’atto pratico si compierà il male inavvertitamente, di un’innavvertenza che però è colpevole.

    1. Alessandro

      “succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità.
      Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato.” (Gaudium et spes, 16)

      La coscienza erronea per ignoranza invincibile può essere incolpevole o colpevole, ed è colpevole quando la coscienza assente ad un atto malizioso per ignoranza invincibile derivante dalla negligenza nel formarsi rettamente.

      1. “ed è colpevole quando la coscienza assente ad un atto malizioso per ignoranza invincibile derivante dalla negligenza nel formarsi rettamente.”

        …incontrovertibile!!!

  7. Roberto

    La cosa migliore che abbia mai letto sul male; un saggio del Cardinal Journet:

    http://www.totustuus.it/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=42

    Lascio questa citazione dal terzo capitolo, tra le tante possibili (e buona domenica!):

    “”2. Con il mondo della libertà compaiono due nuove forme di male: la colpa e la pena.
    L’uomo, essere ragionevole, deve agire secondo la norma della ragione che è l’impronta della legge eterna che è in lui. Il suo atto libero è moralmente buono se è conforme al freno della ragione e se l’avvicina al suo fine ultimo; è moralmente cattivo se è privo di tale freno e se lo allontana dal suo fine ultimo. Ecco il male della colpa, che, essendo un disordine, finisce per entrare in conflitto con l’ordine e provocare il male della pena (6).
    La divisione del male morale in male della colpa e male della pena o castigo, trae origine dal fatto che la colpa è una deviazione, una privazione di rettitudine, cui liberamente si acconsente, che colpisce l’azione della volontà (malum actionis, vel operationis); mentre invece la pena è una privazione contraria alla volontà, che colpisce l’essere e l’integrità dell’agente (malum formae, vel agentis) (7).
    San Tommaso distingue così, da una parte, il male del dominio della natura (malum naturalis defectus); dall’altra parte il male del dominio della volontà (malum in rebus voluntariis); quest’ultimo a sua volta si divide proporzionalmente in male della colpa che priva l’uomo del suo ordine verso il fine ultimo (malum culpae, quod privat ordinem ad bonum divinum), e male della pena (8).
    Il male dell’ignoranza, la cui influenza è grande seconde san Tommaso, si collega sia con il male della colpa sia con il male della pena. Alla parola italiana di ignoranza corrisponde, secondo san Tommaso, da una parte, la nescientia, semplice assenza di scienza che non è colpa né pena e che esiste negli angeli beati, dall’altra parte, l’ignorantia, ossia mancanza di una scienza che si dovrebbe avere: o si è responsabili di questa privazione, ed è peccato, o si è nell’impossibilità di porvi un rimedio, ed è il caso dell’ignoranza invincibile che dipende dal male della pena (9).

    3) Esiste un terzo mondo, il mondo della grazia, che concretamente, esistenzialmente pervade le nature spirituali, eleva il loro essere ed il loro agire onde orientarle verso le profondità stesse di Dio, verso quelle cose che l’occhio non ha veduto, né l’orecchio ha udito, né il cuore ha indovinato. Di modo che le resistenze della volontà creata, quando essa si rifiuterà di aprirsi alle condiscendenze divine, quando lotterà contro il prorompere di una tale vita, di una tale luce, di un tale amore, introdurranno nell’universo un male della colpa ed un male della pena, il cui abisso è misurato dall’altezza stessa delle bontà divine, e la cui gravità sarebbe rimasta sconosciuta ad un universo in cui gli uomini e gli angeli fossero vissuti nello stato puramente naturale. E’ in questo ordine nuovo, è sul piano del mondo della grazia che il problema del male rivelerà, ma soltanto agli occhi dei credenti, le sue smisurate dimensioni. E’ sotto il punto di vista esistenziale di una natura umana decaduta e riscattata, privata della grazia di Adamo, ma arricchita dalla grazia di Cristo, che bisognerà parlare tanto del male della colpa, quanto del male della pena (10).

    2. LE DUE FORME DEL MALE DELL’UOMO

    Rimane, come abbiamo detto, un punto da precisare. Che cosa pensare del male fisico che colpisce l’uomo, delle sue infermità, della vecchiaia, della malattia, della morte? Non sono forse l’inevitabile conseguenza della vita sensibile? Naturali nell’animale, non lo sono forse altrettanto nell’uomo?
    La ragione cozza qui contro un mistero. Essa sa, da una parte, che l’uomo, come persona, cioè come centro spirituale di attività intellettuale e di libertà, è più grande dell’universo delle cose visibili, che non ne è una parte, che è un tutto autonomo. Essa vede, d’altra parte, ch’egli è persona umana, che attraverso al suo corpo è impegnato nella marea del cosmo, che è parte della natura e soggetto alle sue leggi. Il desiderio dell’uomo come persona sarebbe di eludere la sofferenza e la morte, ma la sua condizione come essere sensibile è, evidentemente, di subire il loro attacco: donde gli deriva una specie di discordanza, che la ragione, abbandonata soltanto ai suoi lumi, è incapace di sopprimere.
    L’uomo avrebbe potuto, infatti, essere creato nello stato di natura pura, semplicemente con ciò che richiede la sua definizione di animale ragionevole. In questo caso la filosofia, per giustificare le sue prove, le sue sofferenze, la morte dei bambini, a quale altra spiegazione potrebbe ricorrere se non al gioco delle leggi biologiche, assimilandole a quei mali particolari che sono la taglia fatale del bene totale dell’universo? Il desiderio dell’uomo di sfuggire alla sofferenza ed alla morte essendo, come il suo desiderio di vedere Dio faccia a faccia, condizionale ed inefficace – è ciò realizzabile? è anzi possibile? – rimarrebbe uno scandalo. (Abbiamo or ora accostato, dicendoli entrambi condizionali ed inefficaci, il desiderio di vedere Dio faccia a faccia ed il desiderio di non morire. Vi è tuttavia un abisso, messo in evidenza da san Tommaso (11), fra questi due desideri. Il desiderio della visione divina supera assolutamente l’aspirazione di ogni natura creata o creabile; può essere frustato nei bambini morti senza battesimo, senza che vi sia in essi l’ombra di sofferenza. Il desiderio di non morire oltrepassa il voto del composto umano, della natura umana come tale; non oltrepassa l’aspirazione dell’anima spirituale che è forma del corpo. E’ per questo che san Tommaso dirà che la risurrezione finale dei corpi, che rappresenta un immenso miracolo, sarà in certo modo naturale; il desiderio di ritrovare il proprio corpo non sarà frustrato in nessun uomo) (12).
    La rivelazione ci insegna che l’amore divino è stato sovrabbondante, che l’uomo è stato da principio rivestito della giustizia originale che comportava i privilegi dell’immortalità, che esaudiva il suo desiderio di persona e che doveva essere trasmesso attraverso la generazione a tutta la sua discendenza. Tali privilegi non ci sono pervenuti. Perciò, le stesse miserie corporali e la morte, che sarebbero state normali, benché paradossali, nello stato di natura pura, ci appaiono ora come la conseguenza di una caduta, e quindi assumono un carattere penale (13). Esse cessano di dipendere dal male di natura. Dimodochè le due sole forme di male che colpiscono l’uomo dipendono oggi o dal male della colpa, o dal male della pena, che può essere o subita controvoglia o illuminata da Gesù (14).

    3. SOVRANITÀ DEL MONDO SOPRANNATURALE

    I concetti del bene e del male, che sono analogici, trovano, nel mondo della grazia, delle realizzazioni così intense, che sono in grado di polarizzare tutte le forze inferiori del bene e del male, di colorirle col loro riflesso e di cambiare in qualche modo il loro segno.
    E’ così che i mali temporali diventano dei beni, cioè delle occasioni di bene, per i giusti che li sopportano nell’amore, e che i beni temporali divengono dei mali, cioè delle occasioni di male, per i peccatori dei quali alimentano le passioni. Tali sono le alchimie contrarie della grazia e del peccato.
    Non c’è, in fondo, se non un male supremo che può guastare tutti i beni ed al di fuori del quale non c’è nulla da temere: il peccato; e non c’è che un bene supremo che può illuminare tutti i mali e per il quale bisogna dare tutto: la carità.
    Ecco l’argomento cristiano che sant’Agostino non tralascia mai di ripetere ai cristiani scandalizzati per la caduta di Roma ed il trionfo dei barbari (15). E’ l’argomento ripreso, dopo tanti altri da Enrico Suso nel capitolo del Libro della Saggezza eterna, dove è dichiarata «l’immensa nobiltà» delle sofferenze temporali: «Signore, quando vi guardo con amore, delizia dei miei occhi e del mio cuore, mi sembra ora che le mie grandi sofferenze, con le quali mi avete così paternamente provato, e di cui si spaventano per me i Vostri devoti amici, non siano state che una dolce rugiada di maggio» (16). Era già l’argomento della parabola del ricco vestito di porpora che viveva nella più splendida abbondanza: «Figlio mio ­ gli disse Abramo – ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita, e che allo stesso modo Lazzaro ha avuto i suoi mali. Ora egli è qui consolato, e tu soffri» (Lc., XVI, 25).””

  8. Salve… un commento che viene dal Vangelo : quando Gesù è tentato dal diavolo, quest’ultimo gli offre tutti i regni del mondo dato che ne è il padrone. Gesù non dice nulla, non ribatte, quindi purtroppo per noi è vero… il diavolo è padrone del mondo. Sta a noi scegliere! Nel nostro vissuto abbiamo perso una figlia in seguito a un cancro al cervello. Dolore innocente che ora chiamiamo Grazia. Una Grazia che ci ha cambiato la vita. Ci troviamo ora con un gruppo di genitori, tutti che hanno passato la medesima tragedia. In questi casi non ci sono vie di mezzo : ci sono famiglie che invece di avvicinarsi a Dio se ne sono totalmente allontanate e anche dopo anni che hanno perso il figlio non trovano tregua. Vivono nella disperazione.

  9. Carissimo Michele il Luca leggiamo: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio….».

    Da ciò possiamo dedurre che Satana possiede la potenza e la gloria di “questi regni”, cioè ha in mano ciò che i regni di questo mondo – non riconoscendo Cristo come unico Signore vero Re della Terra e della Storia – “producono”. Sappiamo anche che questo è stato concesso a Satana “per un tempo” e che viene il momento in cui “il principe di questo mondo sarà gettato fuori…”.

    Questo per dire che bisogna correttamente intendere la frase “il diavolo è padrone del mondo”. Riprova ne è che l’opera di Dio (come tu ha certamente sperimentato), continua a manifestarsi in questo mondo e nulla può la volontà del Demonio, che vorrebbe fosse cancellata per sempre alla vista di ogni uomo.

    Non posso immaginare cosa sia passare attraverso la croce che avete affrontato tu e tua moglie, anche se io ho visto salire al Cielo la mia sposa sempre per un tumore a soli 40 anni.
    Credo sia un’ottima cosa formare questi gruppi in cui aiutare chi ha avuto la medesima esperienza.
    Credo che la prima Grazia in assoluto, sia quella di non rimanere scandalizzati dal “dolore dell’innocente”, soprattutto quando ci tocca così da vicino.

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