Una perla nel deserto

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di Claudia Mancini     LaPorzione.it

Intorno ai secoli III e IV il monachesimo rappresenta uno dei fenomeni più originali del cristianesimo, con una particolare concentrazione nel deserto egiziano. Sembra che i monasteri femminili siano più antichi di quelli maschili, e si riferisce che in Egitto se ne incontrino già a partire dalla metà del II secolo.

Lo stile monastico che prevalentemente scelgono le donne è quello cenobitico (da koinòs bìos, che alla lettera sta per “vita in comune”); tuttavia, non mancano esempi di donne che scelsero l’estrema esperienza spirituale dello stile anacoretico (daanachoréin che significa “ritirarsi”), e lo fecero negli stessi modi che sono consueti ai monaci. Così, tra i Padri del deserto, vissero anche Madri. Sarra, che abita in una celletta presso il Nilo, per sessant’anni è tormentata dal demone della lussuria, infine non solo lo vince, ma lo costringe a dichiararsi vinto. Teodora, che per abbracciare la vita monastica aveva lasciato il marito, per non essere seguita da lui si vestì da uomo, tanto che solo dopo la sua morte nel monastero si scoprì che si trattava di una donna. La più celebre è santa Syncletica: «perla ignorata da molti» secondo gli Acta Sanctorum, celebrata il 5 gennaio secondo il Martilogio Romano. Le citate Madri del deserto sono comprese negli Apophthegmata Patrum (I detti dei Padri del deserto), e questo è abbastanza eloquente dell’autorevolezza e dello specifico carisma delle tre solitarie, se alcuni loro pensieri sono confluiti in una raccolta prevalentemente maschile. Come scrive Giovanni Crisostomo nelle Omelie, parlando delle «vaste assemblee di vergini» che s’incontrano nei deserti egizi, il segno distintivo di queste monache è la forza nell’affrontare le «avversità», una dote considerata anticamente «virile»: «Le donne qui non hanno minore filosofia e vigore degli uomini: vigore non per maneggiare lo scudo né per cavalcare, come vorrebbero i più severi legislatori e filosofi greci, ma per partecipare ad una battaglia ben più aspra e dura. Esse combattono con gli uomini una comune guerra contro il demonio e le potenze delle tenebre. La fragilità del loro sesso non è affatto d’impedimento in questi combattimenti. Queste lotte non richiedono la forza del corpo, ma la buona volontà dell’anima. Perciò, molto sovente, in tal genere di guerra, si sono viste donne combattere con maggiore coraggio e generosità degli uomini e riportare, quindi, le più gloriose vittorie». Nel solco del Cristianesimo nasce un rapporto nuovo tra i sessi: il confronto fra uomo e donna si sposta sul piano spirituale e diventa confronto di anime.

La storia di Magistra Syncletica spicca nell’affascinante ed edificante tradizione spirituale delle Madri del deserto. Il titolo originale della Vita Syncleticæ, tradotto dal greco, è «La vita e i modi della beata madre Syncletica». Gli antichi storici della Chiesa hanno voluto attribuire la paternità dell’opera ad Atanasio (295-373), mentre la tradizione manoscritta l’attribuisce ad altri più o meno sconosciuti scrittori. Si ipotizza che la data di composizione risalga alla metà del V sec., all’incirca tra il 430 e il 450. Nativa di Alessandria, nobile, bellissima e ricca, Syncletica iniziò la sequela di Cristo consacrandosi alla verginità; dopo la morte dei genitori, la giovane si ritirò con la sorella cieca presso un sepolcro lontano dalla città e infine si trasferì nel deserto. Rifiutò assolutamente gli incontri con uomini, ma si vide costretta ad accogliere discepole desiderose di essere iniziate all’ascesi monastica, dando vita assieme a loro ad una forma di vita quasi cenobitica. Sono proprio gli insegnamenti spirituali (didágmata), offerti da Syncletica alle discepole che la interrogano, a costituire il cuore della sua biografia. Per quanto espressa in modo non sistematico, la dottrina di Syncletica ci sembra costituireun’articolata e originale riflessione filosofico-religiosa sul demoniaco, precisamente sui «pensieri malvagi» (logismói) che l’uomo sperimenta in sé. Secondo la psicologia patristica un «pensiero» (logismós) è «lo strumento di cui si servono i demoni per la tentazione, il modo in cui agiscono i demoni sull’uomo e l’estensione dei loro poteri». [*]

Esiste il demonio? Come si manifesta? Se c’è, l’uomo può combatterlo?

Fine della vita dell’uomo – Rivolgendosi alle sue discepole, Syncletica spiega il fine della vita dicendo che «Su questa terra siamo come in un secondo utero». Nel seno materno godevamo di alcuni beni, ma non potevano immaginare quanto maggiori sarebbero stati quelli su questa terra; così, su questa terra, possiamo solo presagire quanto grandi saranno i beni del regno dei cieli. Il fine della vita umana è aspirare alla vita eterna, attraverso la conversione e le opere buone. Ma cos’è un’opera buona? Syncletica è lapidaria: «Ogni opera buona si configura come fuga dal male». Il bene in sé non è difficile da perseguire, perchè «il bene non ha bisogno di arte né di una caccia affannosa, esso attrae a sé gli amanti»; il male, invece, «necessita della divina dottrina per essere eliminato e di molto sforzo». Insomma, solo uno è l’ostacolo che può dividerci dal regno dei cieli: non saper riconoscere, e combattere, il male.

Chi è causa del male? – Si legge nella Vita di Syncletica«Una delle fiere che distruggono l’animo è il lasciarsi ingannare da quelli che dicono che ci sia un destino, che chiamiamo anche nascita. Questa è la più terribile puntura del diavolo». La sintesi di tutte le tentazioni del diavolo, «scaltro nei mali», consiste nell’offrire il pretesto per tutti i nostri peccati: “Dio è causa del male”; oppure, “siamo soli in balìa di un cieco destino”. Coloro che pensano così – sostiene Syncletica – sono innanzitutto degli «infelici», perché preferiscono barattare il proprio libero arbitrio con la schiavitù di un presunto Dio tiranno o di un determinismo cieco; in più, sono anche infantili e prepotenti: «sono come dei ragazzi che vanno via di casa perché non sopportano l’ammaestramento dei genitori per il loro bene, e, fuggendo, finiscono in luoghi deserti dove entrano in contatto con demoni selvaggi e strani. Essi si vergognano di addebitare alla propria volontà le loro malefatte e mettono sotto accusa quello che non esiste». Infatti, è scritto: «Lo stolto pensa: “Dio non c’è” e: “Parlano dall’alto con prepotenza”» (Sal 13,1; 72,8). In questa teodicea in miniatura, non manca la riflessione di Syncletica sul “male radicale”, sul “male innocente” che pensiamo non provenga direttamente dalla nostra volontà viziata: «I mali che provengono a noi da Dio sono utilissimi. Infatti, per la salvezza dell’anima e il castigo del corpo, ci sono pesti, siccità, malattie, miseria e altre calamità. Ma quelli per cattiveria d’animo considerano realmente come mali i rimedi salutari che ci vengono offerti da Dio per la nostra conversione». Il male c’è, e abita tra di noi, perché è il male della nostra anima. È male tutto ciò che la nostra volontà non sa vincere con il bene, o non sa trasformare in occasione per operare un bene maggiore. Ma la nostra volontà, realmente, può sempre vincere il male con il bene? Per rispondere, continuiamo a ragionare con Syncletica.

Come agisce il diavolo?  – Poiché non possiamo fuggire ciò che non conosciamo, per prima cosa dobbiamo imparare a riconoscere, con la mente, le macchinazioni del diavolo. Syncletica è chiara: «Bisogna sempre vigilare perché fa guerra [il diavolo] con le cose esteriori e sottomette con i pensieri interiori». Come una nave è affondata dalle ondate di fuori e sommersa dall’acqua di dentro, così andiamo in rovina per i peccati esteriori che commettiamo e ci distruggiamo attraverso i pensieri interiori. Il nemico, «astuto nei mali», nell’intenzione di«prendersi l’anima come una casa, o la fa cadere a partire dalle fondamenta, o l’abbatte tutta a cominciare dal tetto, oppure passando per le finestre, prima lega il padrone poi si prende tutto. Le fondamenta sono le buone azioni, il tetto la fede, le finestre i sensi». Il diavolo conosce le prede, e sa ben calibrare i suoi attacchi: «Egli infatti tende molti lacci ed è un cacciatore eccezionale: per gli uccelletti più minuti prepara piccole trappole, per quelli più grandi appronta legacci più forti. I suoi primi lacci sono la gola, la voluttà e la lussuria; ma, come i guerrieri più capaci dopo aver utilizzato le armi più leggere facendosi più pressanti i combattimenti brandiscono l’arma più forte di tutte, la spada, così anche il diavolo dopo aver speso inutilmente le prime esche, fa ricorso alla sua ultima lama, la superbia». A causa della superbia il diavolo fu precipitato e per suo tramite egli prova a prendere gli uomini suoi più forti.

Il diavolo si può vincere? – Molti occhi deve avere chi vuole salvarsi: il demonio – «astuto nei mali» – fa guerra a tutti, con una «fantasia pestifera» e «pensieri falsi e letali». Che cosa ci serve per la guerra? Senza dubbio, raccomanda Syncletica alle discepole, bisogna armarsi di digiuno e preghiera; «tuttavia, questi sono un rimedio in generale, quindi è necessario far ricorso a specifiche intenzioni». Contro il nemico bisogna essere, come sta scritto, «prudenti come serpenti e semplici come colombe». Come il diavolo è astuto nel male, così noi dobbiamo essere astuti nel bene: «ad ogni suo turpissimo pensiero dobbiamo saper opporre il suo contrario».Abbiamo gli strumenti reali per riuscire a far questo? Gli strumenti ci sono e vengono da Dio, perchè «volendosi prendere cura della nostra salvezza sotto ogni riguardo, in nessun modo ha voluto che rimanesse senza presidio alcunché dell’anima. Il nemico muove la libidine? Il Signore ci arma della temperanza. Fa nascere la superbia? Ma l’umiltà non è lontana. Ispira l’odio? La carità si mette in mezzo. Quanti dardi il nemico vibra contro di noi, tante più sono le armi con cui il Signore ci munisce sia per la nostra salvezza sia per il suo abbattimento». Tanto più progrediamo nelle virtù e diventiamo forti, tanto più il diavolo ci tenta con pensieri pungenti: «non potendo nulla contro la nostra virtù, non può che tentarci con la superbia». Se l’arma più potente del diavolo è la superbia, il Signore ci ha armati di umiltà, «una virtù così grande che il diavolo riesce ad imitarle tutte, ma questa non sa cosa sia». Se pure diventassi un perfetto asceta, non inorgoglire perché «i demoni hanno fatto e fanno più cose di te: essi non mangiano, non bevono, non si sposano, non dormono, anzi trascorrono la vita nel deserto per far sembrare a te, che abiti in una grotta, che hai fatto qualcosa di grande». Se è necessario vigilare sulla superbia, bisogna prestare attenzione anche alla tristezza e alla mortificazione: «C’è una tristezza utile che viene da Dio e consiste nel piangere per i propri peccati; ma c’è anche una tristezza perniciosa, suggerita dal nemico, che insinua una tristezza colma di irragionevolezza, che alcuni chiamano accidia». Le anime così agitate devono essere consolate, perché la debolezza non si trasformi in disperazione.

La testimonianza – Tutti gli insegnamenti di Syncletica non sono legati tanto alla parola quanto all’esempio: «Le azioni sono più delle parole», è detto in un passaggio della sua biografia. Gli insegnamenti sui “logismói”(“pensieri malvagi”) non sono atti verbali, perché passarono attraverso la prova e la coerenza di vita: «Nel caso di Syncletica egli [il diavolo] fece mostra di una malvagità più violenta, provocandola dell’interno mediante i suoi pensieri contrari e distruttivi». Ma il diavolo fece molto di più: «Il nemico del bene, vedendo che quella tornava a opporglisi vivamente, cominciò ad odiarla. E notando che la tirannia veniva distrutta, immaginò un’altra forma di malvagità: colpire gli organi della voce per impedirle di pronunciare un discorso». Già colpita da una malattia al polmone, Syncletica fu consumata da una cancro alla mandibola, trascorrendo gli ultimi tre anni della vita tra dolori e sofferenze atroci. Ella, in coerenza con i suoi insegnamenti, trasformò questa sofferenza nella migliore occasione per mostrare alle discepole, con i fatti, che si può combattere sempre il nemico e sconfiggerlo con il bene: «Non fermarti, se il nemico te lo impedisce, perché la tua pazienza rende inutili i suoi sforzi. Infatti coloro che intraprendono una navigazione, inizialmente sfruttano il vento  a favore e spiegano le vele. Se poi capita un vento contrario, non per questo i marinai abbandonano la nave, piuttosto si fermano oppure lottano contro la tempesta e quindi riprendono la navigazione. Allo stesso modo pure noi, se ispira un vento contrario, issiamo la croce come se fosse una vela e portiamo a termine il viaggio per mare senza timore».

Syncletica fu asceta, monaca, santa; ma, come scriveva Giovanni Crisostomo per le «vaste assemblee di vergini» del deserto, fu anche donna capace di elaborare una propria “filosofia”, una vera dottrina sul demoniaco. Affascinate dottrina, sì, soprattutto di grande attualità. La lettura della sua biografia, infatti, ci fa azzardare un paradosso: il vivere “come se Dio non ci fosse” (sicut Deus non daretur), cifra della cultura secolarizzata, sembra coincidere sempre più col “vivere come se il diavolo non ci fosse”. La differenza c’è: l’uomo contemporaneo non si sottrae tanto dal “fare il bene”, piuttosto non sa, o non vuole, “fuggire dal male”. Così, trova un pretesto per ogni peccato, un correttivo per ogni pensiero malvagio, un edulcorante per ogni azione pestifera. Come quando va dicendo: “È giusto abortire, perché qualcuno può essere violentato”; “è giusta l’eutanasia, perché qualcuno non vuole soffrire”; “è giusto tutto, se qualcuno ha una giustificazione per tutto”. Offrire pretesti per i peccati – insegna Syncletica – è la macchinazione diabolica per eccellenza, che porta fino alla superbia di sentirsi deresponsabilizzato davanti al male di ognuno e di tutti.

L’insegnamento «Ogni opera buona si configura nella fuga dal male» è come Syncletica: una «perla ignorata da molti», nel deserto.

[*] Il testo di riferimento da cui sono tratte le citazioni: Pseudo-Atanasio, Gli insegnamenti di una madre del deserto.Vita di Sincletica, a cura di Lucio Coco, Edizioni San Paolo, Milano, 2013.

49 pensieri su “Una perla nel deserto

  1. Grandissima donna, degna di essere annoverata, insieme a Macrina e alle altre Madri del Deserto, tra i maestri di spirito e i filosofi del Tardoantico, eppure ancora troppo poco conosciuta!
    In questo senso è stata meritoria l’opera di Adriana Valerio, che ha contribuito a fare luce sulla “Matristica” (ad esempio, in “Cristianesimo al femminile”).

  2. “…il vivere “come se Dio non ci fosse” (sicut Deus non daretur), cifra della cultura secolarizzata, sembra coincidere sempre più col “vivere come se il diavolo non ci fosse”. (parole della Mancini)

    C’è bisogno qui di argomentare che noi di fatto (parole a parte) si vive tutti come se Dio (basta con questo “diavolo” per favore!) non esistesse ? L’importante è (come detto e ripetuto altre volte) la carità, la compassione, la pietà per gli altri e l’agire di conseguenza, con tutte le contraddizioni che comporta per l’uomo agire, ovviamente…

    1. Giancarlo

      Come detto e ripetuto altre volte, se l’uomo dovesse contare sulla carità, la compassione e la pietà degli altri… starebbe fresco! L’importante è la fede. Poi, forse, arriva anche la carità. Solo nella fede si può amare (con l’amore di Dio). Se prima non ti decidi a credere in Dio, non potrai mai amare. Senza la fede potrai illuderti di amare, ma, in realtà, amerai soltanto le tue passioni.

    2. Angelina

      Ecco, Alvise, mentre leggevo mi è immediatamente affiorato il pensiero “sembra scritto per Alvise”. E dopo neanche 10 minuti…il tuo prevedibilissimo commento.
      Ti vedevo in:
      “…un pretesto per ogni peccato, un correttivo per ogni pensiero malvagio…..è giusto tutto se qualcuno ha una giustificazione per tutto”

      Mi sorge un dubbio: Alvise caro, sarai mica tu il diavolo in persona, o un suo simpaticamente petulante Malacoda?
      (Che poi il povero apprendista Malacoda era regolarmente cazziato dallo zio, perché non capiva un granché di strategie e’logismoi’) 🙂 😀

      1. …d’altra parte io vengo dopo (il post)!

        Però bisogna che ammettiate anche voi che due sono i casì (indipendentemente dal fatto di come stiano “realmente” le cose divine):
        vivere come se dio non esistesse, e vivere come se Dio esistesse, e in tutti e due i casi la possibilità di far bene (o male) e la possibilità di essere nel vero o nel falso. Tutta la vita nel vero, tutta la vita nel falso, in ciascuna delle due vie…

    3. Alessandro

      “basta con questo diavolo, per favore!”

      dall’omelia di Papa Francesco a Santa Marta dell’11 ottobre:

      “ci sono preti che quando leggono questo brano [Lc 11,15-26] e altri brani del Vangelo, dicono: Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica… E noi non abbiamo il diritto di rendere la cosa tanto semplice”, liquidandola come se si trattasse di malati psichici e non di indemoniati.

      “Come andare per la nostra strada cristiana quando ci sono le tentazioni? Quando entra il diavolo per disturbarci? Non si può ottenere la vittoria di Gesù sul male, sul diavolo, a metà. O sei con me o sei contro di me; chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie con me disperde. E su questo punto non ci sono sfumature.
      C’è una lotta, una lotta in cui è in gioco la salvezza eterna di tutti noi. Dobbiamo sempre vigilare, vigilare contro l’inganno, contro la seduzione del maligno. Quando un uomo forte e ben armato fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è sicuro. E noi possiamo farci la domanda: io vigilo su di me? Sul mio cuore? Sui miei sentimenti? Sui miei pensieri? Custodisco il tesoro della grazia? Custodisco la presenza dello Spirito Santo in me?
      La sua [del demonio] strategia è questa: tu ti sei fatto cristiano, vai avanti nella tua fede, e io ti lascio, ti lascio tranquillo. Ma poi, quando ti sei abituato e non sei molto vigile e ti senti sicuro, io torno. Il Vangelo di oggi incomincia col demonio scacciato e finisce col demonio che torna. San Pietro lo diceva: è come un leone feroce che gira intorno a noi”. E queste non sono bugie: “è la Parola del Signore”.
      Chiediamo al Signore la grazia di prendere sul serio queste cose. Lui è venuto a lottare per la nostra salvezza, lui ha vinto il demonio”.

      http://www.news.va/it/news/come-si-sconfigge-il-demonio

      1. Daltra parte la più grande astuzia del Demonio, è quella di far credere che non esista e così agire indisturbato!
        Come difendersi da un nemico di cui non conosciamo (o non riconosciamo) l’esitenza?

      2. Angelina

        Ben detto Alessandro! Impossibile equivocare queste parole, bellissime e concrete. Francesco esorta a vigilare contro l’inganno e parla di una dura lotta fino all’ultimo istante. “Io vigilo su di me? Sul mio cuore? Sui miei sentimenti? Sui miei pensieri? ” spesso l’inganno è proprio concludere che non ci sia una lotta, che tutto è uguale a tutto, e perdere ogni desiderio. Tanta opacità, malinconia e indifferenza che affliggono il nostro vivere quotidiano dovrebbero ricordarci i sottili ‘logismoi’ che in noi genera l’accidia.
        “ce lo dice con la forza tipica della grande arte la misteriosa incisione di Dürer, dove la melancolia (sinonimo, in quel tempo, di accidia e tristezza) è rappresentata da un piccolo essere mostruoso che impedisce all’autore di usare i suoi strumenti di lavoro, che giacciono per terra abbandonati. E sullo sfondo un cielo stellato. Lavoro e stelle, due elementi che durante i tempi dominati dall’accidia cadono assieme. ”

        http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/narcisoelaccidia.aspx

      3. …la credenza nel demonio e negli spiriti maligni era molto diffusa al tempo di Gesù (e prima).
        Gesù non fa che servirsi della demonologia (e degli esorcismi) della tradizione.
        Non vedo che autorità possa avere il Papa quando parla dell’esistenza del demonio.
        Una opinione, la sua, come un’altra…

        Giusy:

        …non era un pipistrello?

        1. Sara

          “Non vedo che autorità possa avere il Papa quando parla dell’esistenza del demonio”.

          Questa, Alvise, è davvero bella!!! Ma come ti vengono tutte queste boutades?

    1. Angelina

      Può essere, e può non essere, contemporaneamente. Può essere bene e può essere male, ma certo. Non fa una piega, come pensiero. E dai, Alvise, suvvia, cambia cliché!

        1. Giusi

          Alvise te l’ho già detto altre volte e qualcuno mi ha pure detto che non dovrei parlarne (ma non ho capito perchè). Il diavolo esiste e io l’ho visto, l’ho visto proprio all’opera. E’ un essere personale. Si può volare e attaccarsi al soffitto contro ogni forza di gravità? Mi pare di no. Bene. Io purtroppo l’ho visto. Dopo che un esorcista ha toccato una mia amica che da trent’anni è vittima di possessione diabolica per essere stata (a sua insaputa) con un satanista. Non ci credevo neanch’io. Credevo al male come concetto. Non è così: c’è proprio il diavolo, quello del Vangelo, quello che ha tentato Gesù nel deserto. Non è solo. Ha legioni. Gesù stesso ha dovuto mandarle nei porci e farli annegare. Non è facile sconfiggerlo. Anche perchè in questo mondo dilaga. Gli esorcisti sono pochi e non tutti capaci. Tanti vescovi e sacerdoti non ci credono neanche loro. Per fortuna che abbiamo un Papa che lo nomina continuamente. Speriamo che questo si traduca in indicazioni precise a formare e nominare esorcisti. Ce n’è molto bisogno.

          1. Rosanna

            Stiamo attenti ad attribuire al demonio manifestazioni psichiatriche che sono l’espressione di serie patologie. La stessa chiesa sostiene che solo una minima parte , dei casi portati dai sacerdoti esorcisti, sono veri, tutto il resto viene inviato agli psichiatri per le cure adeguate. Facciamo memoria di quante donne sono state bruciate perché reputate streghe

            1. Giusi

              E’ un caso conclamato. Gli esorcisti sono i primi che mandano dallo psichiatra. Non ho mai visto una pazza che si attacca al soffitto con la testa. E ho visto anche altro che taccio. Le streghe non c’entrano niente.

            2. Facciamo memoria delle donne e anche degli uomini. Purché non si prendano per buone le cifre alla Dan Brown. E soprattutto purché ci si ricordi che il 90% dei processi si svolsero dal Cinquecento in poi, in tribunali laici dell’Europa centrosettentrionale, in paesi come la Francia e la Germania dove alla Chiesa non era più riconosciuto alcun diritto di ingerenza in materia giudiziaria. In quelli dove si poteva ingerire, tipo Italia, Spagna e Portogallo i processi per stregoneria furono decisamente pochi.

            3. Possessione e streghe sono due cose diverse. Non vedo perché accomunarle in questo discorso.
              Non mi risulta poi (chi ha dati certi può esprimersi pro o contro…) una sola “ufficiale” condanna al rogo da parte della Chiesa Cattolica.

              1. Due libri da consultare:

                Italo Mereu Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, 2000
                Natale Benazzi, Matteo D’amico Il Libro Nero dell’inquisizione, Piemme, 1998

                1. Per servirle la sua stessa pappa: «Ma mi faccia il piacere!»

                  E per citare Anna Foa (http://w3.uniroma1.it/dsmc/old/docenti/foa.htm): «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quale di questi temibili tribunali umani [quelli dei vari totalitarismi] preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell’epoca della grandi purghe staliniane. E nemmeno mi piacerebbe farmi processare dai tribunali laici dell’età dell’assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l’Inquisizione, quella romana naturalmente. Sempre sperando che Dio me la mandi [o forse ‘mandasse’…] buona» (La Grande Meretrice, 2013, p. 111).

                  1. …fatta salva l’enorme scelleratezza delle “Purghe” staliniane, o totalitaristiche in genere, credo che, se proprio potessi scegliere, non sceglierei nessuna cosa di quelle sopraddette!

                2. Conosco entrambi i libri, e personalmente li trovo un tantino troppo approssimativi, soprattutto il secondo; come anche i libri di Giovanni Romeo che, pur essendo uno storico abbastanza serio, si lascia un po’ condizionare.
                  In realtà la questione dell’Inquisizione (o meglio, delle Inquisizioni) è qualcosa di molto più complesso di quanto non possa sembrare, che varia a seconda dei periodi e dei luoghi geografici: ad esempio, l’Inquisizione fondata nel XIII secolo da Lucio III e poi da Innocenzo III non è la stessa cosa rispetto all’Inquisizione spagnola, che a sua volta non è la stessa cosa rispetto all’Inquisizione romana o alle Inquisizioni protestanti.
                  Se dovessi consigliare dei libri seri ed imparziali in materia consiglierei:
                  Franco Cardini, Marina Montesano, “La lunga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della leggenda nera,” Roma, Città Nuova, 2005;
                  Adriano Prosperi, “Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari,” Torino, Einaudi, 2009.
                  Riporto qui un piccolo “Questionario” in merito di James Hannam, ricercatore di Storia della Scienza all’Università di Oxford, e autore del libro “God’s Philosophers”, già tradotto in molti Paesi:
                  http://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/2011/08/09/questionario-sullinquisizione/

      1. Angelina:

        …può essere un bene perché credere è di conforto e può far stare bene, può essere un male perché, pur stando, chi crede, bene credendo, però non ha creduto il vero (ammettendo che esista). Ma questo non si potrà mai sapere se si saprà.
        Quindi, da ultimo, molto meglio, comunque, per chi crede (fortemente in qualcosa, anche, per esempio in Dio eccetra) che per chi non crede in nulla, o quasi.

          1. … direi quasi delle “sciarade” (termine improprio ma che rende l’idea: A+B=C ma poi C-A=B solo che B… ecc, ecc. ;-))

        1. Angelina

          Oh Alvise, mi pare di aver capito, al netto di tue elucubrazioni non proprio accessibili per me, che concludi che chi crede sta un pochino meglio di chi non crede.
          O, per uscire dall’impersonale: tu, che non credi in Dio perché ritieni la verità irraggiungibile e/o inesistente, definisci la tua condizione peggiore della mia, in quanto io (o tutti “noi”, no?), pur aggrappandomi a qualcosa di non dimostrabile, potrei ricavarne una qualche consolazione attraversando gli “accidenti” della vita. Era questo che volevi dire?
          Risposte, se ti va di darne, accessibili, per favore. Basta un sì o un no, per esempio. Sennò mi confondo nella tua sintassi arzigogolata…
          E buona domenica! Qui c’è un sole magnifico.

  3. Bariom:

    …”Il Sant’Uffizio ottenne il suo [di Giordano Bruno] trasferimento a Roma, dove Bruno rimase in carcere OTTO ANNI.
    Lungamente e più volte interrogato rifiutò di ritrattare le sue dottrine. Fu allora condannato come eretico e arso vivo in Campo dei Fiori.”

    [Garzantine Filosofia 2004]

    1. Non mi risulta Giordano Bruno fosse una strega, e comunque vale la pena rileggere i fatti sotto un’ottica che non sia quella comunemente invalsa:

      Matteo D’AMICO
      Giordano Bruno. Chi era veramente?
      tratto da: Il Timone, anno 5 (2003) maggio/giugno, n. 25, p. 22s.

      Chi era veramente Giordano Bruno? Un campione del libero pensiero o un mago bestemmiatore? Facciamo chiarezza su una delle vicende più strumentalizzate dalla propaganda anticristiana

      Come è noto, a partire dalla “guerra civile ideologica” che si apre nel corso dell’Ottocento fra élites massoniche e liberali e Chiesa Cattolica, la figura di Giordano Bruno svolge un ruolo tutt’altro che secondario, e questo difficile e oscuro pensatore viene trasformato nel simbolo del “libero pensiero”, di una modernità “illuministica” ingiustamente ostacolata dalla Chiesa stessa.

      Ma chi è veramente Giordano Bruno? Per capirlo occorre più che mai ricominciare da capo e considerare aspetti biografici normalmente poco conosciuti o abilmente celati.

      Bruno nasce a Nola nel 1548 e, ancora molto giovane, a Napoli, per continuare gli studi, veste l’abito dei domenicani. Rimane per dieci anni in convento, laureandosi in teologia e ricevendo gli ordini sacri, ma ben presto si scontra con i superiori come sospetto di eresia, in quanto da tempo si è dedicato a pratiche e a letture proibite. Il giovane filosofo nel 1576 lascia il convento e fugge. Bruno, sulla base della lettura di testi ermetici e magici, sviluppa una sofisticata ars memoriae, una memoria artificiale cioè, che fa da fondamento a tutte le sue successive concezioni.

      Elabora intanto una metafisica che concepisce l’universo come infinito e privo di centro, increato, dove Dio è pensato panteisticamente come coincidente con il mondo e con la natura; il cosmo è pertanto infinito e in esso tutto viene divinizzato.

      Questa filosofia porta con sé la necessità di distruggere il cristianesimo, la sua morale, la sua concezione dell’uomo, segni per il filosofo di un’estrema decadenza e povertà del mondo.

      Giordano Bruno inizia quindi una serie di drammatiche peregrinazioni attraverso l’Europa. La sua prima tappa importante è a Ginevra, dove aderisce alla confessione calvinista dominante per venire ben presto processato, scomunicato e costretto a fuggire in Francia. Qui entra in contatto con Enrico III di Valois che forse, secondo la Yates, lo invia in Inghilterra con una precisa missione politico-culturale: cercare di convincere la regina Elisabetta e i circoli colti della corte inglese ad aderire alla nuova religiosità magica ed “egiziana” di cui Bruno si fa banditore e sacerdote. Lo scopo è smorzare la contrapposizione fra cattolici e protestanti trovando un comune terreno “ermetico” di intesa in funzione antispagnola. Un altro storico inglese, John Bossy, nel 1991 pubblica un testo fondamentale, “Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata”, in cui avanza la tesi che Bruno a Londra si sia posto al servizio dei servizi segreti di Sir Walsingham, aiutandoli a sventare i complotti dei cattolici inglesi, giovandosi a questo scopo anche delle confessioni che carpisce in qualità di sacerdote all’ambasciata francese di cui è ospite.

      Dopo l’esperienza inglese, e un breve e sfortunato ritorno in Francia, Bruno passa un lungo periodo in diversi stati tedeschi e a Wittenberg tesse uno strabiliante (e strumentale) elogio di Lutero, infarcito di accuse durissime contro il Papa. La sua adesione opportunistica al luteranesimo non gli impedisce però di essere scomunicato ancora una volta ad Helmstadt proprio dai protestanti locali. Bruno è infatti tradito dal suo carattere focoso e irascibile, dal suo senso smisurato del proprio valore. Nel 1591 è raggiunto da un invito di un nobile veneziano, il Mocenigo, che vorrebbe imparare da lui la mnemotecnica.

      Perché il filosofo accetta il rischio di rientrare in Italia?
      Secondo il Corsano lo si comprende se si considerano i testi di magia nera che Bruno ha scritto in Germania prima del rientro a Venezia: sono scritti terribili in cui il mago italiano sviluppa tecniche per realizzare “legamenti” magici e soggiogare così le persone che si intendono asservire ai propri scopi. Forte di queste tecniche Bruno intenderebbe nientemeno che recarsi a Roma e conquistare il Papa, spingendolo a riformare il cattolicesimo in senso magico-egiziano: un progetto incredibile che fa dire alla Yates, una studiosa solitamente molto prudente, che il filosofo è ormai ai confini della follia, del delirio conclamato.

      Il Mocenigo però rimane sconvolto da quanto vede e sente fare dal suo ospite – in particolare dalle sue bestemmie – e lo denuncia all’Inquisizione con accuse molto precise; il tribunale veneziano lo arresta senza esitazioni.

      Inizia in tal modo la fase veneziana del processo di Giordano Bruno che si conclude con una spettacolare e spontanea abiura da parte del filosofo di Nola, che ritratta le sue convinzioni – non si sa quanto sinceramente – e invoca il perdono dei giudici promettendo di ravvedersi. Il Sant’Uffizio romano ha però deciso di avocare a sé la causa e ottiene dalla Repubblica di Venezia il trasferimento dell’imputato: inizia così la seconda parte del processo, che si svolge a Roma a partire dal febbraio del 1593 per ben sette anni. L’Inquisizione romana si muove con una scrupolosità straordinaria: verbalizza minutamente numerosissimi interrogatori, fa analizzare da teologi esperti tutte le opere di Bruno, sottopone ripetutamente al filosofo elenchi di errori filosofici e teologici che gli chiede di abiurare, fornendo all’inquisito ampi mezzi di difesa.

      Contrariamente a quanto si è abituati a pensare, la cella in cui Bruno viene rinchiuso e dove rimarrà per sette anni è – a detta del grande storico Luigi Firpo – un luogo abbastanza vivibile, ampio e luminoso, dove la biancheria viene cambiata due volte alla settimana e dove l’imputato può usufruire di vari servizi come il barbiere, i bagni, la lavanderia. Nei verbali rimane traccia, ad esempio, della richiesta avanzata da Bruno di avere un cappello di lana per l’inverno e una copia della Summa di Tommaso, richieste prontamente soddisfatte.

      A Roma, nel corso del 1597, forse subisce una seduta di tortura; “forse” perché non va dimenticato che per l’Inquisizione la semplice minaccia di ricorrere alla tortura viene registrata nei verbali come tortura effettivamente somministrata.

      All’inizio del 1600 il Tribunale presieduto dal cardinale Bellarmino, che ha tentato in tutti i modi di convincere il filosofo dei suoi errori, dopo una lunga serie di ultimatum posti al Bruno, a cui egli risponde con la promessa di voler abiurare, per poi tornare sui suoi passi, decide di consegnarlo al braccio secolare: si arriva così al tragico rogo del 17 febbraio 1600.

      Dunque la morte di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, non ha nulla né di misterioso, né di barbaro; ed anzi si può affermare, senza essere temerari, che pochi altri processi – non solo cinquecenteschi – hanno visto da parte dei giudici mettere in atto un comportamento così scrupoloso e corretto, così moralmente e deontologicamente irrepresensibile.

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      E’ largamente noto come nessun altro processo inquisitoriale quanto quello di Giordano Bruno, sia stato usato, innanzitutto dalla massoneria ottocentesca, come strumento d’attacco alla Chiesa Cattolica. L’operazione è stata condotta presentando in modo distorto la natura del processo stesso.

      Bruno in realtà, sospettato già in gioventù di crimini assai gravi, frate apostata e fuggiasco, in qualunque luogo abbia soggiornato in Europa è giunto immancabilmente a provocare aspre reazioni a lui avverse, in particolare nei paesi protestanti, dovendo a più riprese fuggire precipitosamente. Inoltre non è stato un pensatore puro e disinteressato, ma, al contrario, si è impegnato in progetti politici di fatto sovversivi svolgendo, probabilmente, attività di spionaggio, e sognando addirittura, prima dell’arresto, di sedurre il Papa e di rinnovare personalmente la religione cattolica per trasformarla in un nuovo culto “egiziano”. Mago oltre che filosofo, il suo processo è uno dei più corretti e rigorosi che mai il Sant’Uffizio abbia condotto: al punto che i giudici giungono ad alterare le procedure pur di dargli un’ulteriore possibilità di ravvedimento.

      1. Bariom:

        …abbi pazienza, chiedo scusa, avevo capito che parlassi di messi al rogo da parte della Chiesa in generale.
        Giordano Bruno se l’è cercata? Ha sbagliato secolo? Nel nostro tempo, dove ogni aberrazione è permessa, non sarebbe stato certo arso vivo, purtroppo…
        No, non conosco nomi di streghe messe al rogo in terra cattolica. Solo i Protestanti le bruciavano.

        1. No Alvise non parlavo (e non mi pare si parlasse) di “messi al rogo in generale”…

          Giordano Bruno se l’è cercata? Credo sì, come rubare dove ancora si applica la legge del taglione (ci rimetti le mani).
          Ha sbagliato secolo? Ahilui si, temo…

          “Nel nostro tempo, dove ogni aberrazione è permessa, non sarebbe stato certo arso vivo, purtroppo…”. Sei dispiaciuto?

      2. “il suo processo è uno dei più corretti e rigorosi che mai il Sant’Uffizio abbia condotto:

        …perché, ne conduceva anche di scorretti e non rigorosi? Ma abbi pazienza!!!

  4. Ah sì, Giordano Bruno, quel sesquipedale rompimento di corbelli (ora che ci penso, le somigliava parecchio…).

    «[…] la storia di Giordano Bruno è molto più complessa, documenti alla mano. Personaggio inquieto e fortemente contraddittorio, si rese inviso a tutti coloro che lo ospitavano non tanto per le sue idee libere, come molti credono, quanto per il suo carattere e per la sua voglia di stupire e provocare sempre, fino alla fine. La Chiesa del tempo cercò di salvarlo fino all’ultimo: lui scelse la morte volutamente, continuando a sfidare anche chi voleva salvarlo.»

    Forse soffriva di sindrome bipolare, altrimenti non si capisce il comportamento di uno che di volta in volta è stato domenicano, calvinista, luterano, anglicano, spia, mago ipnotizzatore e che ha detto, disdetto e abiurato tutto e il contrario di tutto, mettendo a dura prova la pazienza di frati, pastori, laici, papi e anche di almeno un santo.
    Non per lei (che tanto non gliene interessa nulla della realtà ma solo dei suoi pregiudizi), ma per chi abbia un genuino interesse per la questione, qui c’è una sintesi esauriente
    http://www.papalepapale.com/develop/giordano-bruno-si-e-bruciato-da-solo/

  5. Rosanna

    Non vi capisco, davvero non vi capisco. Vi ripeto una frase di Bersaniana memoria” ma non siamo mica qui a smacchiare i giaguari”

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