Dopo aver scoperto Dante, l’unica cosa che mi manca è rivedere le stelle

PURGATORIO-2-540x320Nei giorni in cui a Firenze, al festival del quotidiano Repubblica, arrivava Dan Brown, il quotidiano Italia Oggi proponeva  un dialogo con un professore di lettere e preside di una scuola bergamasca, Franco Nembrini. Nembrini, certamente non 
potrà vantare le vendite in libreria dell’autore americano, né sarà forse mai salutato dal sindaco Matteo Renzi con un tweet, né Tom Hanks farà forse mai un film a partire dai suoi scritti, tuttavia quel che ha da dire e raccontare su Dante Alighieri è mille volte più interessante delle scombiccherate ricostruzioni infernali dell’autore statunitense. E quando va a parlare in una scuola o in un qualche teatro, ad ascoltarlo ci sono sempre giovani che ne escono entusiasti e «con una proposta e un itinerario». Che non si esaurisce con una lettura estiva sotto l’ombrellone.

Ecco di seguito l’intervista.

Le risposte di Dante nella crisi (Goffredo Pistelli)

«Mi sono trovato a leggere Dante in Toscana, con questo orribile accento bergamasco, vergognandomi come un cane». Franco Nembrini, 58 anni, professore di lettere e preside in una scuola della Bergamasca, è protagonista di una vicenda singolare: gira l’Italia leggendo e spiegando Dante, e ovunque ci sono centinaia di persone, sale e teatri pieni, per sentirlo.

Ma è un fenomeno molto underground, perché il professore, cattolico e per giunta ciellino, dà della Commedia una lettura cristiana, cioè del punto di vista dell’autore. Eppure Roberto Benigni, quando qualche anno fa cominciò le sue celebrate letture pubbliche, s’è ispirato ai primi libretti di Nembrini sul sommo poeta. Tanto che gli telefonò un giorno e il professore pensò a lungo a uno scherzo: «Non ho tempo da perdere», gli disse. Il preside, volto scolpito con l’accetta come i lombardi di quelle zone, barba folta, è di fatto una personalità a Trescore Balneario, 9mila anime, non lontano da Bergamo, in Val Cavallina, cittadina che oggi celebra solo Bortolo Mutti, allenatore stimato in serie A.

Professore che ha da dire Dante all’Italia e agli italiani di oggi?
Mi viene da dire che ha molto di più da dire adesso che al suo tempo

E perché?
Era un tempo profondamente cristiano. Un tempo che esprimeva una sensibilità diffusa e condivisa, seppure a livelli diversi, e che si traduceva in una cultura oggi dimenticata, lasciata alle spalle, a volte combattuta. Dante però, molti secoli dopo, è una proposta e un itinerario, un viaggio che l’uomo può fare nella profondità di se stesso.

Appunto, ma lei oggi insegna o va in giro a spiegare un Dante cristiano a ragazzi che cristiani non sono più.
Tanto più sono lontani da Dante e il suo tempo, tanto più ne sono stupiti, glielo garantisco. A cominciare dai primi canti. Quando leggo loro: «Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura» non si può non riconoscere che quell’autore, di secoli e secoli fa, esprime il nostro stesso sconcerto quando non capiamo perché siamo al mondo, a che cosa serve il tempo e per cosa sono fatte le cose.

E come lo spiega a un sedicenne della profonda Bergamasca o a un ragazzino delle periferie romane?
È semplice, gli chiedo se ciò che è così magistralmente descritto non sia lo stesso sentimento che li assale, la domenica sera, quando, per dirla con Leopardi, la festa ha tradito le promesse del sabato, o quando devono dire «mi sono innamorato», a una ragazza, senza vergognarsi, o spiegare a un amico che è tale. La «selva oscura», lo smarrimento, è un’esperienza del nostro quotidiano.

E Dante cosa dice?
Che ogni uomo, anche oggi, può vivere all’altezza del proprio desiderio. Anzi lo può vedere compiersi, e che le scorciatoie hanno tentato pure lui, ma poi ha seguito Virgilio che gli dice: «A te convien tenere un altro viaggio».

Professore ma questa è appunto una visione religiosa della vita.
Quella di Dante, appunto. Il punto è che chi propone questo poeta e questo poema

…si immedesimi, dice?
Esattamente, altrimenti scatta il meccanismo opposto, i ragazzi fuggono. E poi i nostri colleghi dicono che nell’era di Internet, non è più possibile spiegare Cacciaguida o il Conte Ugolino. Bestialità.

E quindi chi ha studiato Dante sui tomi di Natalino Sapegno, che era un laico, avrà fatto fatica…
Certamente, avrà trovato la Divina Commedia insopportabile, ma sa, Sapegno è quello che parlò delle «ubbie giovanili» del Leopoardi, lasciamo perdere. Le garantisco che, oggi, quelle terzine parlano al cuore di ogni uomo, anche non religioso, non educato a niente. Le faccio un esempio.

Prego.
Sono stato di recente in Ucraina, a Kharkov, dove un professore di filosofia mi ha inviato a tenere una lezione ai suoi allievi in università.

In italiano?
Certo, c’era un interprete. Ed erano persone ineducate al cristianesimo, tanto che ho dovuto spiegare cosa fossero Inferno, Purgatorio, Paradiso. Lì ho conosciuto un giovane, malato, affetto da nanismo, storia triste: ha vissuto in internati per anni. Prima dell’incontro, mi aveva detto, pensi un po’, di essere nato alla bellezza quando era divento cieco, perché nell’istituto dove l’avevano spostato era un continuo suonare bellissima musica.

Terribile, ma Dante?
La lezione era intitolata «Dante e le stelle», e ho spiegato che in certe cantiche, la parola stella indica la possibilità che le nostre domande di uomini abbiano nesso con il Cielo appunto, con l’Infinito. Salutandomi quel ragazzo, piangente, alla mia domanda su di cosa potesse aver bisogno, mi ha risposto: «Dopo aver scoperto Dante, l’unica cosa che mi manca è rivedere le stelle». Le garantisco: quel poema parla al cuore dell’uomo di oggi, di ogni uomo.

Torno sul punto. È una lettura cristiana, non glielo hanno mai contestato?
Si figuri. Mi è capitato perfino, in alcuni collegi dei docenti, che esimi colleghi mi abbiano rimproverato di dare «una lettura eccessivamente religiosa della Divina commedia». E dicevamo proprio così «divina», senza trovarlo incongruente rispetto all’obiezione. Come se quell’aggettivo, che dette Boccaccio, fosse lì per caso.

E lei che rispondeva?
Che non era colpa mia se Dante era cristiano. Ma è chiaro che chi abbia una sensibilità religiosa è facilitato, l’immedesimazione richiesta è più facile. Però guardi che grandi laici si sono convertiti grazie a Dante, penso a Charles Singleton, che lasciò la casa, l’America, per venire a Firenze. Altri laici ne hanno assunto il patrimonio, senza contestare niente. Penso alla scrivania dedicata all’Alighieri che Giovanni Pascoli teneva, insieme a quella sulla letteratura latina e all’altra di letteratura italiana. Penso a Eugenio Montale, laicissimo, che diceva: «In fondo, dopo Dante, non è stato scritto niente altro di significativo».

Dunque anche degli spiriti laici possono.
Certo, se lo fanno con lealtà, con una domanda seria sulle grandi questioni della vita, se sono insomma, in questo senso, autenticamente religiosi, cioè aperti.

Torniamo all’oggi e alla scuola. Ma il fenomeno Benigni, che ha fatto tornare il sommo poeta di moda, non ha aiutato una riscoperta?
Benigni ha un merito storico, gli darei il Nobel per la letteratura, che magari è stato dato ad altri con manica larga. Lui ha disseppellito Dante, lo ha sottratto, lo ha liberato dal chiuso delle accademie, cenacoli di intellettuali, lo ha restituito al popolo come avrebbe voluto lui, Dante. Si immagini che nel 1373 i fiorentini fecero una petizione.

A proposito di cosa?
Chiedevano pubbliche lettura del poema «el dante» attraverso il quale sentivano possibile «di fuggire il vizio e perseguire la virtù» e domandavano «un corso per non grammatici», cioè accessibile a tutti. Detto questo

Detto questo?
Mi sembra che Benigni ed io abbiamo due compiti e due modi diversi. Lui è uno strepitoso recitatore, il mio compito è quello dell’educatore, d’essere attento all’aspetto da cogliere, alla possibilità di un dialogo con una proposta umana, esistenziale, cristiana, che Dante rappresenta

Serve a noi, in mezzo a una crisi profonda, economica ma anche esistenziale, rileggere oggi quelle terzine?
Quel che Dante fa lo fa a questo scopo: «In pro del mondo che mal vive» o, come dice altrove, per «uscire da stato di miseria e condurre a stato di felicità». Fu una crisi vera anche quella che visse il suo tempo e lui indicò una possibilità di salvezza. I suoi erano richiami, sollecitazioni non semplicemente a rimettere in ordine le cose ma a ridargli ordine. Ché le cose «hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa somigliante». Non sottovaluta il mondo, la carne, la vita, ma indica il modo per rendere tutto ciò proficuo, bello, pieno di magnanimità. Non c’è canto che non riconduca questo.

E la politica, professore, può essere utile che si rilegga la Divina Commedia? Ieri il sindaco di Verona, Flavio Tosi, paragonava Umberto Bossi al conte Ugolino. Matteo Renzi, anni fa, scese in strada con gli studenti a leggere le terzine.
Dante continuamente richiama le dimensioni dell’umano che sono la preoccupazione del proprio destino, il problema dell’amare, la propria donna e anche gli altri, cioè il Bene comune. La stessa scansione della Commedia è fatta così: il II, III e IV canto riguardano il destino, il V, con Paolo e Francesca, il problema affettivo ma il VI canto è il primo politico. Sì, certo, i nostri politici ne avrebbero da leggere di cose. Ma così anche i preti e gli insegnanti.

Professore ma oggi, che non si crede più, non le pare tutto un po’ difficile?
È la cosa più affascinante che ci sia. Siamo tornati alle condizioni dei tempi apostolici. L’altro ieri una studentessa di vent’anni ma chiesto il significato della parola «seminarista». A Bergamo, capisce? Cosa c’è di più avvincente di raccontare, con Dante, che cosa è accaduto 2000 anni fa?

fonte: Tempi.it 

28 pensieri su “Dopo aver scoperto Dante, l’unica cosa che mi manca è rivedere le stelle

  1. Paolo Crispi

    Brava Costanza! La mia rubrica quotidiana di “Cultura” preferita… la trovo sempre qua 🙂

  2. Sara

    Conoscevo Nembrini che stimo davvero una gran bella persona, oltre che un ottimo educatore.
    Per quanto riguarda Dante, be’: io, la Commedia, la metterei in appendice alla Bibbia! Anche perché (oltre ad essere un’opera davvero universale (cattolica!), che contiene tutto e che celebra la Bellezza perché è essa stessa bellezza), dopo le rivelazioni dell’Apocalisse, niente di meglio starebbe che la rivelazione sui tre regni oltremondani!

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  4. Giusi

    Lo stesso Benigni quando legge e spiega Dante ne dà una lettura cristiana. D’altro canto non potrebbe essere altrimenti, per non parlare della sua ammirazione per la Madonna: quando legge “Vergine Madre, figlia di tuo figlio” si commuove e commuove.

      1. Giusi

        Mi sono dimenticata il sottotitolo: non potrebbe essere altrimenti (per le persone intelligenti). Fa pure rima. Le capre sono escluse!

  5. Alessandro

    Benedetto XV, Lettera Enciclica “In praeclara summorum”, 30 aprile 1921:

    “Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore, comprendendoli mirabilmente e dei quali egli stesso viveva. Conseguentemente, coloro che osano negare a Dante tale merito e riducono tutta la sostanza religiosa della Divina Commedia ad una vaga ideologia che non ha base di verità, misconoscono certo nel Poeta ciò che è caratteristico e fondamento di tutti gli altri suoi pregi.

    Dunque, se Dante deve alla fede cattolica tanta parte della sua fama e della sua grandezza, valga solo questo esempio, per tacere gli altri, a dimostrare quanto sia falso che l’ossequio della mente e del cuore a Dio tarpi le ali dell’ingegno, mentre lo sprona e lo innalza; e quanto male rechino al progresso della cultura e della civiltà coloro che vogliono bandita dall’istruzione ogni idea di religione. È, infatti, assai deplorevole il sistema ufficiale odierno di educare la gioventù studiosa come se Dio non esistesse e senza la minima allusione al soprannaturale. Poiché sebbene in qualche luogo il « poema sacro » non sia tenuto lontano dalle scuole pubbliche e sia anzi annoverato fra i libri che devono essere più studiati, esso però non suole per lo più recare ai giovani quel vitale nutrimento che è destinato a produrre, in quanto essi, per l’indirizzo difettoso degli studi, non sono disposti verso la verità della fede come sarebbe necessario.

    Volesse il cielo che queste celebrazioni centenarie facessero in modo che ovunque si impartisse l’insegnamento letterario, che Dante fosse tenuto nel dovuto onore e che egli stesso pertanto fosse per gli studenti un maestro di dottrina cristiana, dato che egli, componendo il suo poema, non ebbe altro scopo che « sollevare i mortali dallo stato di miseria », cioè del peccato, e « di condurli allo stato di beatitudine », cioè della grazia divina [9].

    E voi, diletti figli, che avete la fortuna di coltivare lo studio delle lettere e delle belle arti sotto il magistero della Chiesa, amate e abbiate caro, come fate, questo Poeta, che Noi non esitiamo a definire il cantore e l’araldo più eloquente del pensiero cristiano. Quanto più vi dedicherete a lui con amore, tanto più la luce della verità illuminerà le vostre anime, e più saldamente resterete fedeli e devoti alla santa Fede.”

          1. Alessandro

            peccato che Benedetto XV non abbia mai detto che chi dipinge una crocifissione (o scrive un’opera di soggetto sacro) per questo solo fatto sia un grande artista…

            Ovviamente se interpreti a capocchia le parole di un Papa puoi fargli dire tutte le stupidaggini che vuoi…

  6. “Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano” (sic)
    No, il suo elogio principale è di essere un grandissimo poeta! “Onorate l’altissimo poeta”! Come anche lo fu Machiavelli (un grandissimo autore) di cui è scritto in S: Croce a Firenze, per riprendere le parole sopra del Papa e l’accenno di webmistress: “tanto nomini nullum par elogium”!

    1. Nullum par elogium, davvero…

      «Il 29 giugno del 1440 ci fu gran battaglia ad Anghiari. Presso questa città dell’Aretino, le truppe di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, si scontrarono con quelle della Repubblica di Firenze, fiancheggiate dallo Stato Pontificio. La mischia non fu da poco: i Fiorentini schieravano 9.000 uomini, spalleggiati da 3.000 cavalieri e 500 fanti pontifici. I Milanesi avevano una forza equivalente. Quasi 25.000 uomini, dunque, per ore si scagliarono gli uni contro gli altri, comandati da due famosi condottieri: i Viscontei da Niccolò Piccinino, i Fiorentini-pontifici da Giovan Paolo Orsini. Al tramonto la rotta definitiva dei Milanesi. […] Grande battaglia, certo, con però una singolarità: con 25.000 armati in campo per molte ore, alla fine, facendo i conti, si constatò che c’era qualche ferito, molti contusi e un solo morto. E lo sfortunato era deceduto perché il suo cavallo, inciampando, lo aveva fatto cadere di sella.
      Della “gran battaglia senza caduti” parla, con ironia e disprezzo, Machiavelli: per lui è la riprova che non è possibile far seriamente la guerra con i mercenari. In effetti, ad Anghiari, tutti i “combattenti” (tra virgolette…), erano volontari arruolatisi per il soldo. E’ dunque logico che cercassero di fare il loro lavoro col maggiore fair -play possibile, stando bene attenti a non farsi male. Tiravano gran colpi, ma solo sui punti più solidi della corazza dell’avversario; o, spesso, si limitavano a gridarsi insulti a vicenda, sbracciandosi in gesta di minaccia. Quando uno era stanco, si arrendeva, consegnava le armi e raggiungeva le retrovie “nemiche”, dove tutto finiva in bevute alla reciproca salute e a quella dei potenti che pagavano lo spettacolo.
      Machiavelli parla con sdegno delle “sceneggiate” come quella di Anghiari, vuole sostituire le milizie a pagamento con eserciti di popolo: gente motivata, ben addestrata non a fare spettacolo ma ad uccidere, con odio ideologico. Gente che nell’avversario non vedesse un collega, ma un nemico da mettere fuori combattimento. […]»

  7. Ivana Marzocchi

    Nel mese di aprile Franco Nembrini, invitato da me in quanto membro della Consulta Comunale per le Famiglie di Forlì, nell’ambito di un Progetto di educazione all’affettività per adolescenti, ha incontrato circa 500 ragazzi delle scuole superiori della città: è stato un successo al di là di ogni aspettativa. I ragazzi si sono lasciati affascinare dalla lettura che Franco ha fatto dell’episodio di Paolo e Francesca e dalle considerazioni che ne ha tratto sull’amore. La cosa che più ci ha conquistati è il riferimento che lui fa continuamente alla sua vita e alla sua esperienza, perché, come ci ha spiegato, Dante sa parlare a ciascuno di noi e alla nostra personale umanità e ci aiuta a stare davanti alle grandi domande, a “farci le domande”: quelle domande esistenziali che i ragazzi hanno dentro e che oggi troppo spesso soffochiamo in loro, come inutili e scomode. I ragazzi hanno accolto e capito, si sono lasciati provocare, hanno sentito un’umanità grande e profonda che, attraverso Dante e usando le sue parole, si metteva in contatto con loro.
    Ho saputo poi da una mamma che la figlia le aveva detto, commentando l’incontro: “Che belle cose ho sentito oggi! Quelle sì che erano parole vere!”.

    A questo punto, chiedo a qualcuno di quelli che seguono questo blog se mi può dare una mano e spiego in che cosa. Voglio portare avanti nella mia città di Forlì il Progetto cui ho accennato sopra e ho pensato, insieme a una insegnante che collabora con me, di invitare Costanza Miriano. Le ho scritto da tempo due volte all’indirizzo email indicato nel blog, ma non ho ancora ricevuto risposta: qualcuno sa dirmi come contattarla? Ringrazio chi potrà aiutarmi, perché ci terrei proprio tanto a un suo intervento, sia con i ragazzi delle scuole superiori, sia in un incontro pubblico che organizzerei per il Centro per la Famiglia in cui opero come consulente della coppia e della famiglia.

  8. paulette

    Che si arriva in Paradiso per desiderio l’avevo letto anche in The Mist of Mercy by “Anne” a lay apostle. www. directionforourtimes.com

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