Elogio della lavatrice e fine delle vacanze

di Costanza Miriano

Mentre scrivo manca ancora un giorno di mare alla fine della vacanza vera e propria (poi si parte alla volta di Medjugorje), per cui non vorrei trarre conclusioni avventate, tirare somme in modo frettoloso, sbilanciarmi, ma arriverei a dire – sottovoce, incrociando le dita, con la testa nascosta da un cuscino per rendere irriconoscibile la mia voce – che tutti i bambini sono sopravvissuti.

Grazie a turni straordinari dei loro angeli custodi sembrerebbero illesi, senza punti di sutura, incredibilmente privi di ferite significative, nonostante scogli, tuffi da rocce, da moli e pontili ignoti, attraversamento di sottili passerelle di legno, affacci su cascate e laghi, cadute da ponti di navi e barche, ricci e frammenti di conchiglie insidiosamente appostati sui fondali. Le mie coronarie sono ancora al loro posto solo perché nel caso che il padre li avesse autorizzati a pratiche particolarmente spericolate io ho adottato la mia abituale, equilibrata e serena tattica consistente nel mettermi un telo da mare in testa per non vedere. Tutto questo, come ho detto, quando manca ancora un giorno al traguardo, giorno per il quale è in programma, grazie a una votazione di cinque contro una, la visita agli scivoli d’acqua, infernali altissime strutture sulle quali sono stata costretta a salire anche io, contemplata da cinque loschi individui che da sotto urlavano “arriva la bomba”, alludendo non so perché a una mia presunta scarsa eleganza ed agilità nel lanciarmi.

Sopravvivenza a parte, un bilancio della vacanza posso dunque provare a tirarlo, e vorrei dire che davvero ogni momento trascorso in famiglia è una grazia e una gioia di cui non si può che ringraziare Dio: grazie per la vita, per il dono delle persone che abbiamo intorno, per quello che la vacanza ci permette di vedere e gustare, per ogni momento.

Io non sono un’amante dei viaggi, lo confesso, e se non fosse per mio marito me ne starei sempre a casa, e, se proprio dovessi viaggiare, andrei in città, oppure in un monastero. Ma il mio saggio consorte è molto più capace di me di capire e organizzare le esigenze “viaggiatorie” dei figli, e così io, propositiva come una valigia, vado, provvedendo comunque, ci tengo a precisarlo, alle necessità di base (igiene, compiti, set da ricamo e simili).

Però, ovunque mi trovi, so gioire del privilegio di stare tutto il giorno con le persone care, senza vincoli di orari e impegni, senza niente che non sia il piacere di stare insieme.

Ci sono anche due cose importanti che ho imparato. La prima. Gli elettrodomestici sono invenzioni fantastiche, da premio Nobel, altro che acceleratore di protoneutroqualcosa. In particolare la lavatrice. La casa qui ne è priva, e di lavanderie a gettone non c’è alcuna traccia in tutta l’isola di Krk (è stata la prima cosa che ho chiesto alla ragazza dell’agenzia turistica, inducendola a ridere di gusto per vari minuti). Ho così appreso, è vero, come vengono puliti i panni con il vecchio pezzo di sapone e il famigerato olio di gomito. Tutto ciò, ben lungi dal provocare in me romantiche riflessioni sui bei tempi andati e il profumo di pulito e la cura e la dedizione un tempo necessarie a pulire per bene i panni, ha solo maturato in me la salda decisione di andare, come prima azione appena arriverò a Roma, a baciare la mia onesta Ardo, a darle una pulita al cestello in segno di imperitura riconoscenza per tutto il tempo che mi regala ogni giorno, per la liberazione che ha portato nelle nostre vite.

Non sono certo una fanatica del lavoro fuori casa, ma credo che il tempo migliore sia quello passato con le persone che amiamo (e a volte che ci sono affidate), e non quello devoluto alla causa di una casa pulita, e tutto quello che ci libera a quel fine è benedetto.

La seconda. Ho cercato di trovare spazi speciali per la preghiera e la lettura della Parola. Dio solo sa sia stato un tempo che ho bene utilizzato, se avrebbe potuto essere di più, o meglio speso. Quello che qui conta, e che vorrei condividere con voi, è che ho capito ancora una volta che per noi laici che non abbiamo orari scanditi comunitariamente, il tempo per Dio, anche in vacanza, anche quando non si lavora, va sempre cercato e pazientemente strappato a tutte le cose che ogni giorno ce lo contendono. Non si può aspettare che si crei il vuoto, ma dobbiamo cercarlo noi, inseguirlo, desiderarlo. È tutto qui il segreto. Il desiderio. Perché se non lo si vuole con tutto il cuore e la volontà ci sarà sempre qualcosa che sembrerà più urgente, importante, stringente da fare prima di pregare (per esempio i panni). E perché c’è il Nemico che sempre, instancabile, lavora per portarci lontano da quello che ci salva.

30 pensieri su “Elogio della lavatrice e fine delle vacanze

  1. Silvia

    Sopravvivenza a parte, un bilancio della vacanza posso dunque provare a tirarlo, e vorrei dire che davvero ogni momento trascorso in famiglia è una grazia e una gioia di cui non si può che ringraziare Dio: grazie per la vita, per il dono delle persone che abbiamo intorno, per quello che la vacanza ci permette di vedere e gustare, per ogni momento…..Condivido pienamente!!!! Buon proseguimento di vacanza!!!

  2. paolopugni

    Come sempre acutissimo. E’ vero, la lotta per la difesa del tempo “elevato”, che trascina in alto. Per questo apprezzo la richiesta di rispettare un piano di vita con i suoi appuntamenti fissi giornalieri, settimanali, mensili, annuali. Una indicazione che pur non essendo un obbligo, invita e richiama alla responsabilità, e accompagna nella giornata così da suggerire un ordine che diventa trama, filigrana, colonna sonora: apparentemente lieve, in trasparenza, quando dovrei dire fondamento.

  3. A me piace un casino la foto. Con questa calura avrei voglia di essere al posto dell’impavido e fortunato ragazzo. Bentornata/i.

  4. Giuseppe

    ” per noi laici che non abbiamo orari scanditi comunitariamente, il tempo per Dio, anche in vacanza, anche quando non si lavora, va sempre cercato e pazientemente strappato a tutte le cose che ogni giorno ce lo contendono” Condivido, ma poi penso agli ortodossi ebrei e al loro rispetto del sabto e mi angoscio…non so proprio come facciano, o forse metter delle regole, come al solito, è utile, il sabato: niente di niente delle 647 (o quante sono le azioni che non si possono fare) .
    Per ora, ogni volta che ci ho provato (p.es. di Domenica non si lavora e quindi domenica non lavorerò) fallisco sempre….forse perchè è il tentativo di un singolo?

  5. 61Angeloextralarge

    Grazie Costanza! Le ferie non hanno scalfiro il tuo stile. 😉
    “Salutami” la Mamma a Medjugorje. Sono stata i primi di agosto al Mladifest e l’ho “salutata” per tutti! 😀

    1. 61Angeloextralarge

      N.B.: sapevo che venivi al mare a … ma non sapevo di “moli e pontili ignoti, attraversamento di sottili passerelle di legno, affacci su cascate e laghi, cadute da ponti di navi e barche”: hai cambiato posto o è molto che non ci passo? 😉

  6. giacomo

    E’ vero.. per noi laici trovare nella vita rutilante della famiglia e del lavoro un tempo per la preghiera, la lettura della bibbio è cosa molto difficile e va conquistata…

  7. E’ vero che è importante riservare degli spazi solo per Dio. Ma (penso che una volta tanto Pugni sarà d’accordo con me 😛 ) la sfida del laico, rispetto al monaco o alla suora, è riuscire a far diventare ogni cosa preghiera. Anche lavare i panni a mano! E quel “piano di vita” serve appunto a questo. Serve a me per ricordarmi di fare poi ogni altra cosa insieme a Gesù.
    Ieri uscendo dalla messa mia figlia mi ha chiesto se è peccato grave distrarsi durante la messa pensando alle cose che le piacerebbe fare una volta a casa. Le ho risposto di no, ma certo non è una cosa bella. E quando lei si è mostrata dispiaciutissima le ho suggerito di pensare a quelle cose insieme a Gesù. Di prendere l’abitudine di raccontare a Lui tutti i suoi pensieri, le sue idee geniali (ogni tanto si inventa e progetta giochi o oggetti di ogni tipo) così potrà nello stesso tempo pregare e pensare alle cose che le piace fare. Anche perché cos’altro è preghiera se non condividere con Dio la nostra vita?
    Un abbraccio a tutti!

    p.s. io nella casa al mare prima ancora di comprare il guardaroba ho comprato non solo la lavatrice ma anche la lavastoviglie. Se potessi me le porterei dietro anche quando vado in vacanza in posti diversi

    1. 61Angeloextralarge

      Fefral: abbraccio gradito e ricambiato. 😀
      Geniale proprio tua figlia!
      Concordo sul “riuscire a far diventare ogni cosa preghiera” ma non credo che sia una “sfida del laico, rispetto al monaco o alla suora”, perché anche il monaco e la suora devono imparare a fare questo, Chi l’ha detto che siano diversi dai laici? Nei conventi mica si prega soltanto? Nemmeno in quelli di clausura che sono più contemplativi. 😉
      Chi fa le lavatrici? Chi cucina? Chi stira… pulisce convento, chiesa, giardino… etc.?

    2. paolopugni

      No, non sono d’accordo. Al contrario sono d’accordissimo al 1000% con quello che ha scritto Fefral: anche detto molto bene. Approvo e apprezzo

      1. …come scrive (mi sembra, a me, molto giustamente) Claudio Magris, oggi, sul “corriere della sera”:
        “La preghiera, è stato detto, è attenzione, attenzione amorosa, rigorosa e SILENZIOSA alle cose.”
        (il maiuscolo è mio)

      2. 61Angeloextralarge

        Paolo: quello che intendo dire è che è bene che il laico impari a fare quello che Fefral dice, ma che non è una sfida con monaci, etc. perché la “vita pratica” delle faccende domestiche e quant’altro ancora è anche dentro i conventi. Parlo per esperienza personale: sai quante ore di stiro, cucina, lavatrice e altro ho sulle spalle di quando facevo parte di una comunità religiosa? In cinque anni, tantissime! 😉 Ovviamente alternate ai ritmi di preghiera quotidiana comunitaria e personale. Ti garantisco che se queste cose pratiche non le vivi unita al Signore (e il convento non ti garantisce l’unione perfetta al Signore), le vivi come un dipendente in attesa del salario mensile.
        Se poi parliamo di cose diverse vuol dire che sono ancora rintronata dal caldo.

        1. non è una sfida con i monaci e le suore, AngeloXL! E’ semplicemente la sfida della vocazione del laico alla santità. Che è quella (e Paolo anche stavolta credo converrà con quanto scrivo) di mettere insieme Marta e Maria. Non quindi cercare Dio “nonostante” gli impegni quotidiani (lavoro, pulizia della casa, spesa, birre con gli amici, pannolini, ecc.) ma attraverso di essi. Lungi da me mettermi in competizione con le vocazioni religiose! Ma le cose “del mondo” per me non sono un intralcio al rapporto con Dio. Piuttosto sono la prima occasione del mio incontro con Dio. Io quando sono in ufficio e parlo con un cliente, cercando di mettere in asset un portafoglio, discutendo di spread o di dividend yield non sto togliendo tempo al mio rapporto con Dio, ma (se lavoro con passione, onestà, spirito di servizio, correttezza, amore al prossimo e con la consapevolezza che sto mettendo al frutto un talento che mi è stato donato con quello scopo) mi sto santificando, sto già pregando. I momenti di “sola” preghiera mi servono principalmente per mettere a fuoco questo. Qualunque cosa faccio, anche un bagno a mare, può essere preghiera, e non c’è bisogno che mentre nuoto dico un’AveMaria perché lo diventi. Poi se dico anche l’Avemaria ben venga! La sfida è riuscire a trasformare ogni attimo della mia vita in orazione. Ma non è una guerra contro chi ha una vocazione diversa dalla mia.

          1. 61Angeloextralarge

            Fefral: concordo in pieno con quello che hai scritto. Sei tu che hai scritto “sfida del laico rispetto…” (non guerra – nessuna di noi due ne ha parlato). E’ da quella frase che è partito tutto. Niente guerre, scherziamo? Ce ne sono già troppe in giro. 😉
            Marta e Maria dovremmo incarnarle tutti ed entrambe, come hai detto. Parlo di nuovo per esperienza personale, ma diffido molto di quei monaci e suore che “orano” solamente. A meno che non riescano a vivere di sola aria e non abbiano necessità di cambiarsi almeno la biancheria.
            Battutacce a parte, da quando ho lasciato la comunità di preghiera, ho le stesse problematiche che hai tu: conciliare Dio ed il quotidiano a volte diventa difficile e solo se il cuore e lo spirito sono “amanti” ed “amati” da Dio, anche attaccare un bottone alla camicia diventa preghiera, ma solo se fatto con Lui, cioé con amore.

          2. ho scritto “rispetto” al monaco o alla suora perché, che io sappia, l’approccio del religioso alle faccende del mondo è un po’ diverso. Le volte che mi sono avvicinata (sempre un po’ a distanza a dire il vero) ad una mentalità religiosa (nel senso di “consacrata”) mi sono sempre sentita un po’ a disagio per l’atteggiamento di distacco dalle cose normali che è richiesto a chi ha quel tipo di vocazione. Che poi nei conventi non si viva scollegati dalla realtà è un altro discorso. Tuttavia il modo di raggiungere la santità per un religioso passa per una strada diversa dalla mia. Per questo io non considero distrazioni da Dio i miei impegni quotidiani ma piuttosto occasioni per incontrarlo una volta e poi una volta ancora. Spero di essere stata più chiara.

            1. 61Angeloextralarge

              Fefral: adesso mi è più chiaro il concetto che avevi espresso. Paolo c’è arrivato senza la tua spiegazione… 😉

              Dedicato a tutti:

              “Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordinatissima processione di persone che avanzavano lentamente verso il Giudice Supremo. Man mano che si avvicinava alla mèta, udiva sempre più distintamente le parole del Signore.
              Udì così che il Signore diceva ad uno: «Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull’autostrada e mi hai portato all’ospedale, entra nel mio Paradiso».
              Poi ad un altro: «Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova, vieni a ricevere il premio eterno».
              E ancora: «Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgiche molto difficili, aiutandomi a ridare la speranza a molti, entra nel mio Regno». E così via.
              La povera donna venne presa dallo sgomento perché, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale. Cercò di lasciare la fila per avere il tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile: un angelo sorridente ma deciso non le permise di abbandonare la lunga coda.
              Col cuore che le batteva forte, e tanto timore, arrivò davanti al Signore. Subito si sentì avvolta dal suo sorriso.
              «Tu hai stirato tutte le mie camicie… Entra nella mia felicità».”
              (Don Bruno Ferrero, C’è qualcuno lassù)

  8. “Io non sono un’amante dei viaggi, lo confesso, e se non fosse per mio marito me ne starei sempre a casa, e, se proprio dovessi viaggiare, andrei in città, oppure in un monastero. ”

    Come ti capisco!! Noi partiamo sabato e sto già guardando il divano con la lacrima appesa…

    “credo che il tempo migliore sia quello passato con le persone che amiamo (e a volte che ci sono affidate), e non quello devoluto alla causa di una casa pulita, e tutto quello che ci libera a quel fine è benedetto.”

    Parole sante, e aggiungerei che oltre a lavatrice e lavastoviglie meriterebbe una menzione d’onore anche il microonde…

    “se non lo si vuole con tutto il cuore e la volontà ci sarà sempre qualcosa che sembrerà più urgente, importante, stringente da fare prima di pregare (per esempio i panni). E perché c’è il Nemico che sempre, instancabile, lavora per portarci lontano da quello che ci salva.”

    Sono frasi come queste che mi consolano… penso sempre che ho qualcosa di più urgente da fare della preghiera, vedere che non sono l’unica mi aiuta davvero… grazie Costanza, è sempre bello leggerti!

  9. E’ davvero un miracolo per me trovare il tempo di dedicarsi a Qualcosa che vada oltre la concretezza dei panni…
    Anche se non ho famiglia, e Dio solo sa quanto vorrei averne una, che non mi è concessa, fosse anche solo per lavare a mano tutti i panni e poter fare qualcosa per loro!
    Chiedo venia per la riflessione del tutto personale, ma quanto un post è bello innesca metariflessione…

  10. Ciao, è la mia prima volta qui. Condivido il post. Siamo anche noi sei in famiglia e per anni siamo andati in vacanza in appartamenti senza la lavatrice. Un incubo (e stupidi noi a prenderli!). Quest’anno mi sono impuntata e ho avuto il mio elettrodomestico :-))
    Riguardo alla preghiera, io e mio marito abbiamo preso l’abitudine di alzarci prima che si alzino i bimbi, così riusciamo a dire le lodi. Rinunciamo al sonno mattutino, ma ne vale la pena! Senza il Signore non c’è combattimento che tenga: si perde in partenza. Ti abbraccio!
    Elisabetta

  11. Marco De Rossi

    http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20110622_it.html

    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 22 giugno 2011

    [Video]

    L’uomo in preghiera (7)

    Il popolo di Dio che prega: i Salmi

    Cari fratelli e sorelle,

    nelle precedenti catechesi, ci siamo soffermati su alcune figure dell’Antico Testamento particolarmente significative per la nostra riflessione sulla preghiera. Ho parlato su Abramo che intercede per le città straniere, su Giacobbe che nella lotta notturna riceve la benedizione, su Mosè che invoca il perdono per il suo popolo, e su Elia che prega per la conversione di Israele. Con la catechesi di oggi, vorrei iniziare un nuovo tratto del percorso: invece di commentare particolari episodi di personaggi in preghiera, entreremo nel “libro di preghiera” per eccellenza, il libro dei Salmi. Nelle prossime catechesi leggeremo e mediteremo alcuni tra i Salmi più belli e più cari alla tradizione orante della Chiesa. Oggi vorrei introdurli parlando del libro dei Salmi nel suo complesso.

    Il Salterio si presenta come un “formulario” di preghiere, una raccolta di centocinquanta Salmi che la tradizione biblica dona al popolo dei credenti perché diventino la sua, la nostra preghiera, il nostro modo di rivolgersi a Dio e di relazionarsi con Lui. In questo libro, trova espressione tutta l’esperienza umana con le sue molteplici sfaccettature, e tutta la gamma dei sentimenti che accompagnano l’esistenza dell’uomo. Nei Salmi, si intrecciano e si esprimono gioia e sofferenza, desiderio di Dio e percezione della propria indegnità, felicità e senso di abbandono, fiducia in Dio e dolorosa solitudine, pienezza di vita e paura di morire. Tutta la realtà del credente confluisce in quelle preghiere, che il popolo di Israele prima e la Chiesa poi hanno assunto come mediazione privilegiata del rapporto con l’unico Dio e risposta adeguata al suo rivelarsi nella storia. In quanto preghiere, i Salmi sono manifestazioni dell’animo e della fede, in cui tutti si possono riconoscere e nei quali si comunica quell’esperienza di particolare vicinanza a Dio a cui ogni uomo è chiamato. Ed è tutta la complessità dell’esistere umano che si concentra nella complessità delle diverse forme letterarie dei vari Salmi: inni, lamentazioni, suppliche individuali e collettive, canti di ringraziamento, salmi penitenziali, salmi sapienziali, ed altri generi che si possono ritrovare in queste composizioni poetiche.

    Nonostante questa molteplicità espressiva, possono essere identificati due grandi ambiti che sintetizzano la preghiera del Salterio: la supplica, connessa al lamento, e la lode, due dimensioni correlate e quasi inscindibili. Perché la supplica è animata dalla certezza che Dio risponderà, e questo apre alla lode e al rendimento di grazie; e la lode e il ringraziamento scaturiscono dall’esperienza di una salvezza ricevuta, che suppone un bisogno di aiuto che la supplica esprime.

    Nella supplica, l’orante si lamenta e descrive la sua situazione di angoscia, di pericolo, di desolazione, oppure, come nei Salmi penitenziali, confessa la colpa, il peccato, chiedendo di essere perdonato. Egli espone al Signore il suo stato di bisogno nella fiducia di essere ascoltato, e questo implica un riconoscimento di Dio come buono, desideroso del bene e “amante della vita” (cfr Sap11,26), pronto ad aiutare, salvare, perdonare. Così, ad esempio, prega il Salmista nel Salmo 31: «In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso […] Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa» (vv. 2.5). Già nel lamento, dunque, può emergere qualcosa della lode, che si preannuncia nella speranza dell’intervento divino e si fa poi esplicita quando la salvezza divina diventa realtà. In modo analogo, nei Salmi di ringraziamento e di lode, facendo memoria del dono ricevuto o contemplando la grandezza della misericordia di Dio, si riconosce anche la propria piccolezza e la necessità di essere salvati, che è alla base della supplica. Si confessa così a Dio la propria condizione creaturale inevitabilmente segnata dalla morte, eppure portatrice di un desiderio radicale di vita. Perciò il Salmista esclama, nel Salmo 86: «Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre, perché grande con me è la tua misericordia: hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi» (vv. 12-13). In tal modo, nella preghiera dei Salmi, supplica e lode si intrecciano e si fondono in un unico canto che celebra la grazia eterna del Signore che si china sulla nostra fragilità.

    Proprio per permettere al popolo dei credenti di unirsi a questo canto, il libro del Salterio è stato donato a Israele e alla Chiesa. I Salmi, infatti, insegnano a pregare. In essi, la Parola di Dio diventa parola di preghiera – e sono le parole del Salmista ispirato – che diventa anche parola dell’orante che prega i Salmi. È questa la bellezza e la particolarità di questo libro biblico: le preghiere in esso contenute, a differenza di altre preghiere che troviamo nella Sacra Scrittura, non sono inserite in una trama narrativa che ne specifica il senso e la funzione. I Salmi sono dati al credente proprio come testo di preghiera, che ha come unico fine quello di diventare la preghiera di chi li assume e con essi si rivolge a Dio. Poiché sono Parola di Dio, chi prega i Salmi parla a Dio con le parole stesse che Dio ci ha donato, si rivolge a Lui con le parole che Egli stesso ci dona. Così, pregando i Salmi si impara a pregare. Sono una scuola della preghiera.

    Qualcosa di analogo avviene quando il bambino inizia a parlare, impara cioè ad esprimere le proprie sensazioni, emozioni, necessità con parole che non gli appartengono in modo innato, ma che egli apprende dai suoi genitori e da coloro che vivono intorno a lui. Ciò che il bambino vuole esprimere è il suo proprio vissuto, ma il mezzo espressivo è di altri; ed egli piano piano se ne appropria, le parole ricevute dai genitori diventano le sue parole e attraverso quelle parole impara anche un modo di pensare e di sentire, accede ad un intero mondo di concetti, e in esso cresce, si relaziona con la realtà, con gli uomini e con Dio. La lingua dei suoi genitori è infine diventata la sua lingua, egli parla con parole ricevute da altri che sono ormai divenute le sue parole. Così avviene con la preghiera dei Salmi. Essi ci sono donati perché noi impariamo a rivolgerci a Dio, a comunicare con Lui, a parlarGli di noi con le sue parole, a trovare un linguaggio per l’incontro con Dio. E, attraverso quelle parole, sarà possibile anche conoscere ed accogliere i criteri del suo agire, avvicinarsi al mistero dei suoi pensieri e delle sue vie (cfr Is 55,8-9), così da crescere sempre più nella fede e nell’amore. Come le nostre parole non sono solo parole, ma ci insegnano un mondo reale e concettuale, così anche queste preghiere ci insegnano il cuore di Dio, per cui non solo possiamo parlare con Dio, ma possiamo imparare chi è Dio e, imparando come parlare con Lui, impariamo l’essere uomo, l’essere noi stessi.

    A tale proposito, appare significativo il titolo che la tradizione ebraica ha dato al Salterio. Esso si chiama tehillîm, un termine ebraico che vuol dire “lodi”, da quella radice verbale che ritroviamo nell’espressione “Halleluyah”, cioè, letteralmente: “lodate il Signore”. Questo libro di preghiere, dunque, anche se così multiforme e complesso, con i suoi diversi generi letterari e con la sua articolazione tra lode e supplica, è ultimamente un libro di lodi, che insegna a rendere grazie, a celebrare la grandezza del dono di Dio, a riconoscere la bellezza delle sue opere e a glorificare il suo Nome santo. È questa la risposta più adeguata davanti al manifestarsi del Signore e all’esperienza della sua bontà. Insegnandoci a pregare, i Salmi ci insegnano che anche nella desolazione, nel dolore, la presenza di Dio rimane, è fonte di meraviglia e di consolazione; si può piangere, supplicare, intercedere, lamentarsi, ma nella consapevolezza che stiamo camminando verso la luce, dove la lode potrà essere definitiva. Come ci insegna il Salmo 36: «È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vedremo la luce» (Sal 36,10).

    Ma oltre a questo titolo generale del libro, la tradizione ebraica ha posto su molti Salmi dei titoli specifici, attribuendoli, in grande maggioranza, al re Davide. Figura dal notevole spessore umano e teologico, Davide è personaggio complesso, che ha attraversato le più svariate esperienze fondamentali del vivere. Giovane pastore del gregge paterno, passando per alterne e a volte drammatiche vicende, diventa re di Israele, pastore del popolo di Dio. Uomo di pace, ha combattuto molte guerre; instancabile e tenace ricercatore di Dio, ne ha tradito l’amore, e questo è caratteristico: sempre è rimasto cercatore di Dio, anche se molte volte ha gravemente peccato; umile penitente, ha accolto il perdono divino, anche la pena divina, e ha accettato un destino segnato dal dolore. Davide così è stato un re, con tutte le sue debolezze, «secondo il cuore di Dio» (cfr 1Sam 13,14), cioè un orante appassionato, un uomo che sapeva cosa vuol dire supplicare e lodare. Il collegamento dei Salmi con questo insigne re di Israele è dunque importante, perché egli è figura messianica, Unto del Signore, in cui è in qualche modo adombrato il mistero di Cristo.

    Altrettanto importanti e significativi sono il modo e la frequenza con cui le parole dei Salmi vengono riprese dal Nuovo Testamento, assumendo e sottolineando quel valore profetico suggerito dal collegamento del Salterio con la figura messianica di Davide. Nel Signore Gesù, che nella sua vita terrena ha pregato con i Salmi, essi trovano il loro definitivo compimento e svelano il loro senso più pieno e profondo. Le preghiere del Salterio, con cui si parla a Dio, ci parlano di Lui, ci parlano del Figlio, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), che ci rivela compiutamente il Volto del Padre. Il cristiano, dunque, pregando i Salmi, prega il Padre in Cristo e con Cristo, assumendo quei canti in una prospettiva nuova, che ha nel mistero pasquale la sua ultima chiave interpretativa. L’orizzonte dell’orante si apre così a realtà inaspettate, ogni Salmo acquista una luce nuova in Cristo e il Salterio può brillare in tutta la sua infinita ricchezza.

    Fratelli e sorelle carissimi, prendiamo dunque in mano questo libro santo, lasciamoci insegnare da Dio a rivolgerci a Lui, facciamo del Salterio una guida che ci aiuti e ci accompagni quotidianamente nel cammino della preghiera. E chiediamo anche noi, come i discepoli di Gesù, «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1), aprendo il cuore ad accogliere la preghiera del Maestro, in cui tutte le preghiere giungono a compimento. Così, resi figli nel Figlio, potremo parlare a Dio chiamandoLo “Padre Nostro”. Grazie

  12. Mario G.

    Cara Costanza,

    Bellissimo post, con la tua sagace ironia e commossa fede.

    Ps.: sto per terminare il libro della Croissant. Non ti nego che e’ stata una vera e lieta sorpresa (ti faro’ sapere per altra via, al mio ritorno dalle vacanze)

    Ti chiedo una preghiera…

    Con stima

  13. Raffaella

    beh, anche fine della lavatrice ed elogio delle vacanze era carino, ma questo sarebbe un articolo scritto da un uomo!

  14. Roberta

    Grazie per tutto quello che hai scritto, è vero trovare il tempo per la Preghiera è fondamentale.

  15. Ti è andata a pennello con i 4 eroi e con la collaborazione del silenzioso consorte (da’ fagli scrivere un libro, magari mezzo tu e mezzo lui). Per fortuna il tempo non è cambiato radicalmente a mezzagosto, se no frebbii per infreddature: capitava così a me e a mia moglie all’Isola Rossa dal 1971 in poi. Sei fortunata per i pupi tutti indenni.Bene anche la recensione del libro della femminista americna, hai fatto al caso mio, in compenso troverai la tua bella fotografia! Oh, non chiedermi i diitti, ti cito il blog e pace fratelli! D’altra parte con 70 visitatori al giorno da tutto il mondo ne godi in fama. Più tardi ti ruberò anche il pezzo sulla lavatrice. Comunque la scrittura rapida e chiara mi va, più complicato trovo il libro con queste benedette lettere e successive riflessioni. Un febbrone da cavallo, quasi 40, mi ha impedito di ultimarne la lettura, visto che dopo sei giorni ad antibiotici sono ancora vivo. Che vuoi 75 anni non sono pochi, mentre sto consumando velocemente il 76 esimo. I tuoi racconti e la cronaca delle vacanze mi hanno fatto ricordare le ferie con i 4 figli al mare. La matriarca ci governava tutti, io leggevo dall’alto di un bar i giornali ed ero pronto per ogni evenienza anche se quel mare popolato di bambini e mamme era rassicurante. Adesso preferisco la quiete del mio Clermont (Chiaramonti) con un panorama mozzafiato e le corse pazze dei colori di Van Gogh, mentre la sera lo scampanellio delle pecore, l’abbaiare dei cani e l canto dell’assiolo ci fanno compagnia. I figli chi a destra e chi a manca. La vita è fatta così. Regala una macchina con l’autoscatto così vediamo anche il saggio padre dei tuoi quattro monelli!

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