Mania di perfezione

di Paolo Pugni

Atelofobia: sembra la malattia dominante nella nostra società. Il terrore di non essere perfetti. Un terrore diffuso e radicato su fatto che ormai abbiamo preso possesso della nostra vita, ne siamo gli unici artefici, non dobbiamo rendere conto a nessuno, perché siamo proprio noi a determinare che cosa sia il bene e che cosa il male.

Troppo facile.

Infatti poi nascono le fobie. Perché uno scopre che questo suo traguardo non è così a portata di mano, anche se si fa sconti a destra e a manca. Perché non sono solo ad attraversare la vita, ma c’è chi senza volerlo si costituisce metro contro di me.

Lo chiamano il giusto e che la sua presenza fosse un disturbo per la quiete pubblica l’avevano già capito qualche migliaio di anni fa, racconta la Sapienza(non l’università, quella vera) infatti che i furbetti della sinagoghina pensavano così: “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo
 ed è contrario alle nostre azioni;
ci rimprovera le trasgressioni della legge
e ci rinfaccia le mancanze 
contro l’educazione da noi ricevuta”.

Perché l’uomo comunque sia non tollera di fare il male, quindi è costretto a chiamare bene ciò che è in sé il suo contrario e quindi gli procura un fastidio enorme qualcuno che invece insiste, anche nel silenzio della sua vita, a praticare il vero bene.

È la famosa sindrome della scalata in montagna per il pigro: se in un primo momento ammirerà il volonteroso scalatore, inizierà presto a sentirsi in imbarazzo a starsene sdraiato sul divano mentre quello, svegliatosi presto, si affatica a salire. Comincerà quindi a dire che chi si arrampica proprio tutto giusto non è, passerà poi a dire che arrampicarsi fa male allo scalatore, per finire coll’affermare che ci si arrampica fa male a lui e a tutti quelli che come lui se ne vogliono stare in poltrona e se si trova in Italia aggiungerà che arrampicarsi è una provocazione fascista e clericale e che è un attentato alla libertà dandosi da fare per incarcerare chi si ostina a percorrere le vie dell’ascensione.

Ora questa mania della perfezione colpisce spesso coppia e famiglia e come raccontava di recente Berlicche, non si sa se un clone, una riedizione o solo un sosia dell’originale lewisiano, produce distorsioni violente anche nell’amore e in famiglia, generando tensioni che producono troppo spesso fratture e tagli. Diceva un santo a me caro che l’amore deve essere come le graffe che tenevano insieme i vasi di coccio sbrecciati. Oggi invece se appena si forma una minuscola crepa, meglio buttare tutto via.

Ci induce a riflettere sull’imperfezione e la sua bellezza, non in quanto tale, ma in quanto stato che richiede e produce amore, un nome ben noto ai frequentatori di questo blog: Mariolina Migliarese, psichiatra infantile, madre, nonna e soprattutto saggia esperta di famiglia.

Ci regala due libri –non che sia qui a promuovere testi ma a usarli per chiarire meglio il messaggio- che proprio di imperfezione parlano: per la famiglia e per la coppia.

Perché di atelofobia non si muore, forse, ma si fa morire la relazione con coloro che dovremmo amare.

23 pensieri su “Mania di perfezione

  1. Bellissima la metafora delle graffe per i vasi incrinati (la santa memoria di Zi’ Dima…). E consolante il poter confermare a se stessi che no, l’atelofobia non è cosa nostra 😉
    [Il tono è scherzoso ma la condivisione dei contenuti è profondamente convintissima…]

  2. alessandra

    Sull’altare pensiamo che il nostro sposo sia un santo, un angelo mandato dal cielo per amarci; poi scopriamo che e’ un peccatore da amare (a volte meno peccatore di noi!).
    Ti accorgi che la sua imperfezione, il suo difetto e’ proprio proprio la cosa che piu’ ti ferisce. A questo punto si aprono davanti a te due strade: la prima e’ picconare col giudizio la sua mancanza (che spesso e’ causa di una tua mancanza!!!) e distruggere definitivamente quel bel coccio che avevate costruito insieme e che ti appartiene; la seconda e’ ribaltare la questione e lasciare che un santo dubbio si insinui “E se fosse una grazia?! Se fosse un’occasione?!”. Da qui la pietra di inciampo puo’ trasformarsi in una angolare: tu puoi lavorare e pregare affinche’ la tua ferita sia sanata, puoi chiamarla per nome e accettarla; lui, col tuo aiuto, ha la misura di quanto quello sbaglio fa male.
    La risalita e’ bellissima e l’imperfezione e’ una grazia.

    Alessandra

  3. Questo post mi piace tantissimo! quanto a rimettere insieme i cocci rotti…. bè, io tendo a non buttare mai via nulla senza aver almeno tentato di aggiustare l’aggiustabile. Però dal lato opposto trovo che si possa cadere anche nella tentazione di “rattoppare” gli strappi senza pensare ad utilizzare il materiale giusto. Specialmente noi donne quando avvertiamo che qualcosa non va o facciamo finta di niente e tiriamo a campare, oppure cerchiamo di salvare capra e cavoli a modo nostro, secondo un programmino che abbiamo in testa, senza consultare l’altro, convinte di poter condurre il gioco dove vogliamo noi. Forse è un’altra faccia dell’atelofobia di cui parla Paolo, una sorta di mania di saper aggiustare da sole, perchè “noi valiamo”…..

  4. Come diceva quella felice metafora di Leonard Cohen “C’è una crepa in ogni cosa e attraverso quella crepa passa la luce”.
    L’imperfezione deve diventare occasione di rinascita così come il peccato dev’essere un bagno di umiltà e di riscatto.
    Come la potatura fa riscrescere la pianta più rigogliosa. Ora basta perle di saggezza altrimenti vi vizio troppo.

    1. Di Leonard Cohen non sapevo nulla ma la metafora di cui parla me ne ha ricordata un’altra, contraria. L’avevo letta in P.G. Wodehouse e aveva a che fare con la “crepa nel liuto, che presto s’allarga e fa lo strumento muto”.
      Grazie a google ho appena scoperto che in realtà è una citazione da Tennyson. Chissà se ce l’aveva in mente anche Cohen? Boh, ora basta, mi pare di essere diventata il Dottor Divago 😉

      It is the little rift within the lute / That by-and-by will make the music mute
      There are cracks. There are cracks in everything. That’s how the light gets in.

  5. Velenia

    I vecchi qui da noi dicevano che: rura chiù na quartana ciaccata chi una sana ( dura di più una brocca sbrecciata che una sana). Un tempo non si buttava via niente ed era naturale che di un oggetto non perfetto avessi più cura.

  6. luisalanari

    Io potrei morire alla vana ricerca del perfezionismo…
    Per fortuna il Creatore ha forgiato la mia giara e mi ha tenuto in vita!
    Bel post, Paolo! Grazie.

  7. 61Angeloextralarge

    Paolo: grazie per questo post!
    Spero di non avere anche “questa” malattia. Penso che occorra esaminarsi mooolto bene.
    “Perché di atelofobia non si muore, forse, ma si fa morire la relazione con coloro che dovremmo amare”. bella conclusione! Tra i tanti problemi che abbiamo nel “non amare”, aggiungere anche questo mi pare giusto.
    Prevenzione? Le litanie dell’umiltà possono servire sempre…

    1. 61Angeloextralarge

      Paolo e Margaret: il VORREMMO ha colpito subito anche me, ma “conoscendo” Paolo (attraverso gli altri suoi post), poi l’ho interpretato: a volte vorremmo amare ma non ci riusciamo… 😉

      1. paolopugni

        Ecco, ribadisco il dovremmo argomentando: l’amore è azione, è impegno, è volontà. Un impegno che abbiamo assunto volontariamente (come disse BXVI a Milano: la Chiesa non ti chiede se sei innamorato, chiede se VUOI prenderti l’impegno di amare). Amare non è facile, costa sforzo, fatica.
        E amare diventa un dovere: non verso tutti (se vogliamo non necessariamente rimanere all’interno del comandamento) ma di sicuro verso coloro con i quali ci siamo impegnati a farlo: i figli e il coniuge.
        Quest’ultimo poi ha proprio diritto al nostro amore: siamo noi che glielo abbiamo promesso….
        Per questo ho usato dovremmo, in questo senso.
        Grazie!

  8. “Una fotografia che raffigura il cambiamento radicale della base della società del nostro Paese. E’ quella fatta dall’Istat sulla situazione della famiglia italiana, che secondo i rilevamenti è sempre più in crisi. A leggere lo studio della società di statistica, infatti, continua il trend di crescita di separazioni e divorzi anche se, nell’85,5%, ci si divide consensualmente. In media, secondo l’Istat, un matrimonio dura 15 anni, mentre restano alti i tassi di separazione che riguardano, in media, il 30% dei matrimoni. Se nel 1995 per ogni mille matrimoni erano 158 le separazioni e 80 i divorzi, nel 2010 si è arrivati a 307 separazioni e 182 divorzi.”

  9. Solo una notazione: non sono nè un sosia nè un clone. Diciamo che sono un sequel, di quelli fatti per il mercato home con controfigure degli attori originali…

I commenti sono chiusi.