Grazie di esistere

di Fabio Bartoli

Oggi ho fatto una lunga e profonda chiacchierata con un’amica, quella a cui alludevo tempo fa quando dicevo che per un uomo l’amicizia con una donna è un premio. Come sempre tra noi c’è grande affetto ed emotività e così al momento di salutarci le ho detto “Grazie di esistere”. Poi mi sono fermato un attimo, credo anche di essere arrossito, e le ho detto “non è che ho letto troppi libri di Muccino, sarà anche una frase fatta, ma è esattamente ciò che sento”.

Rimasto solo poi ci pensavo. Cosa di più vero si può dire ad una persona? Cosa di più unico, insostituibile e prezioso ci sarà in un altro se non il suo esserci-per-noi? Qualsiasi cosa ci diano gli altri è sostituibile, di tutto possiamo fare a meno tranne che della presenza, dell’esserci. E alla fine dei conti finché non ho dato a qualcuno il mio esserci non gli ho dato nulla.

Per questo amare è essere umili, perché l’esserci dell’altro non può in alcun modo essere preteso né estorto, ma solo mendicato. Per questo amare è bello, perché è danzare in due al ritmo del dono, in quella espirazione/inspirazione del darsi e riceversi.

Ma quante coppie sposate lo sanno? Maledizione, è mai possibile che siamo diventati così poveri, così egoisti, così induriti che non sappiamo più danzare il dono? È mai possibile che la vita quotidiana nelle sue asprezze ci abbia chiuso il cuore tanto da non essere più capaci di questa gratitudine per la presenza dell’altro? E perché nelle cotte adolescenziali invece lo viviamo? E cosa perdiamo passando alla vita adulta?

Sono le responsabilità di una famiglia che schiacciano il cuore? Sono i figli da crescere e la casa da mandare avanti e la pagnotta da portare a casa? O è la consuetudine del dormire insieme e svegliarsi sempre accanto che ci fa dimenticare che l’altro è un dono di cui ringraziare ogni giorno, per niente scontato? O forse sono io che, da vergine come sono, sogno un amore impossibile, sovrumano? Oppure la grazia del sacramento rende possibile questa sovrumanità e la rende più quotidiana e feriale e magari gli sposi la vivono senza neppure accorgersi?

Ho il sospetto di non essere mai cresciuto in questo, capisco che gli sposi siano più naturalmente concentrati sui frutti che sui fiori dell’amore, mentre per me è diverso perché  la verginità fissa la capacità di amare in una primavera eterna, che fiorisce continuamente senza fruttificare mai (perché il suo frutto è altrove), come se il cuore rimanesse per sempre adolescente, anzi, bambino addirittura.

Ma non sarà che anche in questo vergini e sposi possono imparare gli uni dagli altri? Perché il rischio della verginità è la superficialità e in questa perpetua primavera comportarsi come l’ape che non si posa su nessun fiore a lungo, mentre il rischio degli sposi è di dimenticare i fiori, assorbiti come sono dai frutti, e dimenticare così la bellezza dell’amore.

80 pensieri su “Grazie di esistere

  1. Bella la citazione finale dalla Filotea.
    Complimenti a don Fabio, che ha pure unito libri di Moccia e film di Muccino in qualcosa di tremendamente spaventoso “libri di Muccino”!! 😉

      1. Però ovviamente mi fa piacere che io e S. Francesco di Sales la pensiamo allo stesso modo, cor ad cor loquitur, se mi mandi un riferimento preciso magari è la volta che colmo una lacuna

        1. Antonella

          Penso che il non riconoscere il dono dell’altro sia dovuto al fatto di non riuscire a caricarsi dei suoi peccati, dei suoi egoismi. Appena sposata davo il massimo delle mie capacità per far star bene mio marito, tutto ciò che gli piaceva era pronto come e quando voleva lui . Con il passar degli anni questo ha portato a renderlo molto egoista, chi non è abituato a dare pretende sempre di più e non è mai contento. Ecco che il dono dell’altro a volte può diventare tormento, se non ci fosse la Grazia che ti fa scoprire nascosta dalle miserie umane la forza per andare avanti e dire un altro “eccomi” privo di ogni gratitudine…

        2. la metafora dell’ape che si posa su un fiore senza sciuparlo è propria di San Francesco di Sales. Caro don Fabio, ti consiglio di leggere la Filotea: è davvero qualcosa di prezioso!

          Per Moccia e Muccino: non ti sei perso nulla, anche se effettivamente Muccino (penso a “L’ultimo bacio”) rispecchia perfettamente il modo di vivere i rapporti di oggi (che tristezza!).

          1. uhm per la verità quella metafora la usavo oin senso negativo, come esempio di rapporto superficiale, non perché si debbano sciupare i fiori, ma perché si passa dall’uno all’altro rapporto indifferentemente sena fermarsi davvero su nessuno e questo alla fine porta a non avere nessuna relazione autentica.
            Credo che sia il più grande rischio che corriamo noi consacrati

        3. Mario G.

          Grazie don Fabio per il tuo articolo e su tutto questa indovinata e profonda verità “la verginità fissa la capacità di amare in una primavera eterna”, che apre il cuore quell’amore amicale, come quella particolare amicizia tra san Francesco di Sales e Santa Giovanna Francesca di Chantal…, di san Bernardo ed Ermenegilda…

          Solo chi lo prova, può capirne il valore e la bellezza.

          1. Mario, mi fai arrossire, è una verità che nasce dall’esperienza, ma pagata cara, credimi… anche se valeva la pena, o se valeva…

            1. Caro don Fabio, vorrei mettermi in contatto con te (ho chiesto a Costanza di farti avere i miei recapiti).
              Spero che tu dica di sì.

  2. Pingback: Grazie di esistere | La fontana del villaggio

  3. luisalanari

    Indubbiamente la presenza dei “frutti”, cioè i figli – e tutto l’andirivieni della quotidianità – fa dimenticare alla coppia la bellezza dei “fiori”, che a volte sembrano essere un po’ appassiti, assetati, denutriti…
    Sarà anche il passare degli anni – insieme in una lotta contro l’abitudinarietà che ci trascina – che ci fa sentire di essere sempre meno fiore come singolo (cellulite, rughe, capelli bianchi…) e l’uno per l’altra (difetti conosciuti e consolidati)…
    Il tuo post, caro don Fabio, è per noi concime, fertilizzate e acqua fresca che ci aiuta a riscoprire il dono reciproco che ancora siamo l’uno per l’altra.
    E, siccome mio marito non ha tempo di leggere sempre i post di questo blog, ho pensato bene, oggi di copiare e incollare alcune parti del tuo articolo e mandargliele per email: speriamo trovi il tempo per sbirciare il mio riassunto e meditare 😉
    Grazie don!

    1. luisalanari

      Mio marito ha letto l’email e, dopo una “sfilza” di cose tecniche di cui stavamo parlando, a fondo pagina ha scritto: “PS:ho letto di Don Fabio, grazie”.
      Potrei essere triste di questo relegare l’essenza di coppia ai margini, invece sono felice perché almeno l’ha letto 🙂

      1. “invece sono felice perché almeno l’ha letto” questa è l’essenza! Hai centrato il punto, questo è amare mantenendo vergine il cuore, cioè abbracciare senza voler tenere, ed è esattamente il segreto per coninuare in quella perpetua fioritura, che, credimi, non invecchia mai, non c’è cellulite (o “panzetta” nel nostro caso) che tenga

  4. FLO-FLO

    Bellissimo! L’ho letto e riletto!!!!! Grazie di questo meraviglioso post .
    Sono spostata dal 2005 e io e mio marito Alessandro abbiamo avuto il dono di avere 2 bambini meravigliosi di 5 e 3 anni….frutto di un amore grande che è quello che ci unisce.
    E’ vero le difficoltà quotidiane sono tante, la routine a volte ci stressa….i bimbi a volte sono impegnativi…..ma la nostra coppia, ringraziando Dio, cresce in amore negli anni.
    Un giorno ero a lavoro….un collega si avvicina per un lavoro e a me esce detto ” ho caldo!”…faceva davvero caldo per le temperature estive…..ovvio che scattala battuta “non ti emozionare vicino a me!” . Mi viene spontaneo dire “Io mi emoziono solo per mio marito!”….. Sembrava che avessi detto qualcosa di sovraumano….come fa una donna dopo tutti questi anni di matrimonio e 3 di fidanzamento ad emozionarsi ancora per suo marito??? Tutti mi hanno guardato come uan “matta”…ormai il matrimonio non va tanto di moda, soprattutto se normale!
    E’ così…..nonostante a volte si discute, si battibecca come nelle normali coppie, nonostante il marito non metterà mai i calzini sporchi nella cesta dei panni da lavare, il dentifricio finito non lo butterà mai prima di prenderne un altro e tante cose che a volte fanno uscire di testa me, e purtroppo quando mi innervosisco sono davvero pessima….io quando mio marito si avvicina , mi abbraccia e esprime tutto il suo amore per me…mi emoziono come se tanti anni insieme non fossero mai passati…..in quei momenti dimentico anche di avere dei figli….nonostante sono una mamma abbastanza apprensiva.
    Avevo 22 anni quando ci siamo incontrati….è stato il mio primo e unico fidanzato….che mi ha amato con grande rispetto. Il SIgnore ci ha donato un fidanzamento di 3 anni nella castità e ci sta donando un matrimonio meraviglioso in cui stiamo crescendo insieme!
    Sicuramente stasera tornerò a casa e gli dirò “Grazie di esistere!”…non fa mai male ricordarselo!
    Non fa mai male concimare questa piantina che è la nostra unione, per il nostro bene, ma anche per il bene dei nostri figli. Avere dei genitori che si amano credo sia molto molto importante per la serenità dei propri figli e questo amore va coltivato ogni giorno.

    1. Cara Flo-Flo (mi ricorda uno dei personaggi preferiti dei cartoni animati! La piccola Flo ;-)), condivido quello che dici, specialmente l’ultima frase: “Avere dei genitori che si amano credo sia molto molto importante per la serenità dei propri figli e questo amore va coltivato ogni giorno”. Lo dice spesso anche il mio ragazzo: “Il regalo più bello che un papà può fare ai suoi figli è quello di amare la loro mamma”.

      =)

  5. 61Angeloextralarge

    Grazie don Fabio! Smack! 😀
    “come se il cuore rimanesse per sempre adolescente, anzi, bambino addirittura”: quan to è vero. 😉

  6. lidia

    Scusate non c’entra niente, ma forse può interessare (admin, decidi tu se è congruente o no!):
    Stasera Paola Binetti (senatrice UDC, numeraria dell’Opus Dei) sarà su La7 a Piazza Pulita per parlare del libro di Nuzzi, della situazione attuale della Chiesa, etc. Chiede preghiere e, in caso, per chi ne ha tempo e voglia, di intervenire attivamente in trasmissione (con sms, mail, telefonate) per porre domande intelligenti e non lasciare tutto lo spazio a chi criticherà e basta.
    Comunque anche le preghiere bastano 🙂 Grazie!

    in tema invece il post è stupendo, e lascio la parola a chi nel matrimonio ci vive da anni, io spero bene di arrivarci un giorno 😉

  7. Sapete, io scrivo soprattutto per me stesso, nel senso che per me scrivere su un blog, sia qui che sul mio, è anche un modo per capire meglio ciò che penso e che sento, e dal mio punto di vista il concetto più importante dell’articolo è la sua chiusura, cioè indagare il nesso tra verginità e primavera del cuore e anche capire se è possibile (io credo di sì) vivere una verginità del cuore anche da sposati.
    I vostri commenti mi aiutano molto in questo senso, grazie.

  8. Miriam

    Caro Don Fabio,
    mi ricordo molto bene di te e con tanto affetto e gratitudine per per quel pezzettino di strada che abbiamo fatto insieme anni fa. Ogni tanto ero anche a S. Angelo in Pescheria, ricordi?
    Rincontrarti qui è sempre una gioia ed un sempre nuovo abbeverarsi alla stessa fonte.
    Quel di cui tu parli è l’amore teologale ed è un grande dono e un bellissimo esempio. Mi fai venire in mente le tenerissime, delicate, teologali lettere che San Francesco di Sales scriveva a Giovanna di Chantal. Un balsamo per il cuore e per l’anima.

    1. Sai Miriam… senza offesa, ma avrei bisogno di qualcosa di più del solo nome per identificarti, perdonami, ma di Miriam ne conosco più d’una, a partire da una compagna di liceo fino ad altre amicizie più recenti…

  9. Da quando siamo sposati, quasi 27 anni fa, mio marito ed io ci facciamo reciprocamente una crocetta sulla fronte con l’acqua benedetta. La mattina per augurarci una buona giornata e la sera per ringraziare il Signore per la giornata. Questi due momenti sono “sacri” per noi e mai sono diventati abitudinari. E’ il nostro modo di ringraziare l’un l’altro di esistere. Un ringraziamento va anche alle mamme. 😀

  10. Sul dono gratuito ci pensavo l’altro giorno…
    Oramai la nostra società ha un tantino dimenticata la dimensione del dono. In quasi tutti i rapporti vige la legge occulta dello “e io, cosa ci guadagno?”. Anche nell’amore siamo diventati così, perché, che si dica, noi siamo un tutt’uno. Corpo, mente, cuore, spirito. Spesso sviluppiamo le nostre facoltà in forma squilibrata, ma poi qualche vaso comunicante fa si che se non imparo a controllare la mente, non riuscirò mai a controllare il corpo, se mi faccio battere dai desideri della carne, è dura che io possa controllare le brame del cuore e così via.
    Allora, se ci siamo abituati a chiedere sempre e comunque i nostri diritti, spesso sorvolando i doveri, succederà così anche nell’amore’ che, per sua natura, dovrebbe essere dono gratuito e totale di sé. Questo succede in interiore homine e poi si traduce nella società (e/o vice versa). Non che questa sia una novità, che noi uomini e donne contemporanei siamo “er peggio”, Basta ricordarci un dialogo che c’è nel Vangelo:
    “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?” Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?” Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”.
    Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”.
    Prima di Gesù ci voleva la legge (che dai 10 comandamenti dati a Mosè, era diventato un codice di precetti mica da ridere da rispettare), poi c’è Lui, che vince il mondo e permette che la legge venga superata. Ma se lo lasciamo fuori del matrimonio, ritorniamo alla sola legge. E non c’è legge che tenga se in cuore è duro. Il problema di oggi è che, superata la fase ribelle del “è vietato vietare”, vogliamo pure regolamentare e rendere legale ogni nostro desiderio. A quel punto ci scarichiamo i mattoni della coscienza con l’equazione “è legale, dunque, è lecito”. E da questa vita regolata dalla legge fatta ad personam, torniamo in dietro, a prima dei comandamento dell’amore, a prima addirittura del decalogo. In primo luogo neghiamo ogni comandamento, poi li rifacciamo come vogliamo, abolendo la legge dell’amore con un’infinità di regole e cavilli. Basta seguire le regoline e non pensare (poi parliamone, chi avrà il tempo di pensare con la quantità di decreti, normative, standard e imposizioni che il grande tecnocrate ci impone?). A quel punto ogni rapporto basato su una vaga affettività diventa degno di essere elevato “al pari del matrimonio”. Peccato che il matrimonio prevedeva dei doveri di reciproco impegno “nella buona e nella cattiva sorte”, “nella gioia e nel dolore”… Ah già, impegno, dolore, sacrificio sono parole bandite dal nostro vocabolario politically correct.
    Per stare nel paragone di Don Fabio, se non prevediamo l’impegno e la dedizione, non prevediamo il passaggio dalla legge al discernimento, se pretendiamo che qualcuno ci dica sempre cosa e come fare, basta non prendersi l’impegno, gli oneri e gli onori delle proprie scelte, allora non vedremo dei grandi frutti e vivremo desiderando un’eterna adolescenza. Ma non si può vivere per sempre la primavera dell’amore, quella che gli adolescenti vivono e si buttano, quella gioia e quell’effusione propria dell’innamoramento. Si tenta, buttiamo via la pianta prima di aspettare i frutti e ne prendiamo una nuova, ma sarà sempre così, alla fine appassirà se non ci daremo da fare a coltivarla, queste si sono seccheranno prima di fruttificare. E in tempi di siccità, se non curi per benino il proprio orticello, sempre meno frutti ci saranno. Vero Don Fa?

    1. P.S.: alla fine se hai lavorato sodo, passata l’abbondante raccolta frutti, passato l’inverno, la primavera ritorna sempre e le piante sono molto più grosse e robuste e, dunque, molto, ma molto più belle. Un giardino secolare è sempre più bello di uno appena piantato!
      🙂

    2. Cara danicor, condivido in parte il tuo ragionamento e soprattutto lo spirito che lo anima, ma in questa sede mi interessa soprattutto concentrarmi su di me… in fondo quello che propongo a voi e a me stesso è un’indagine filosofica ed esistenziale sulla sola cosa su cui valga la pena di indagare, cioè sul mistero dell’amore in tutte le sue declinazioni, il resto viene dopo, come una conseguenza e non dico non sia importante, ma non è ciò che in questo momento mi interessa

  11. Il post, soprattutto nella seconda parte è molto bello. L’ho fatto leggere a mia moglie la quale ne ha apprezzato molto la sostanza però si chiedeva come mai sei partito dall’amicizia per arrivare all’amore coniugale? Tu hai questa bella amicizia, le hai detto “grazie di esistere”, poi hai riflettutto sull’amore coniugale quasi che fosse una continuazione dell’amicizia, o si tratta solo di un’impressione errata?

    1. in parte hai ragione, ho riflettuto a lungo su questo blog sul tema dell’amicizia e dell’amore coniugale, a partire da una cosa di Florenskij che pubblicò un paio di mesi fa Andreas se non sbaglio e il tema mi ha intrigato moltissimo, specie in quell’aspetto misterioso che è l’amicizia tra uomo e donna, che non è una relazione coniugale mancata però, ma proprio un’altra cosa, che tuttavia con la relazione coniugale ha diversi punti in comune.
      Non credo che l’amore coniugale sia una prosecuzione naturale dell’amicizia, c’è una differenza sostanziale, a me ad esempio non verrebbe mai in mente di dire alla mia amica “non posso vivere senza di te”, né c’è tra noi alcuna forma di esclusività o gelosia, anzi, più siamo e meglio stiamo, però è vero che avvertiamo quella sintonia profonda, quell’unità di cuore e di anima che assomiglia assai all’unione degli sposi e quindi mi autorizza al paragone

  12. Certo che è possibile la verginità del cuore tra gli sposi! ma non è facile…
    COme hai detto bene tu, don Fabio, siamo molto presi dai frutti e trascuriamo il fiore. Il problema della coppia è che ci si concepisce troppo spesso come due persone che “stanno insieme perchè si sta bene”. Mentre bisognerebbe sentirsi una sola carne. Si fa presto ad andare in chiesa per celebrare, ma il problema è sentire davvero di essere una cosa sola. In fondo ciascuno sta attento a difendere un pezzettino di sè, non si è disposti a morire per l’altro, si è solo due solitudini che si accompagnano finchè la barca va. In fondo non si è ben capito che il matrimonio è un luogo chiuso dove non puoi fare solo per te, ma devi essere disposto a rendere conto all’altro delle cose che scegli e che fai.
    Come diceva Chesterton: “In ogni cosa che vale la pena fare su questa terra, c’è una fase in cui ognuno l’abbandonerebbe, eccetto che per ragioni di necessità o di onore. È da questo punto in poi che l’istituzione sostiene l’uomo e lo aiuta ad appoggiare i piedi sul terreno solido che ha davanti. La coercizione è una forma di incoraggiamento e l’anarchia (o ciò che alcuni chiamano libertà) è fondamentalmente oppressiva, perché è fondamentalmente scoraggiante.”

    La verginità nella coppia è il dono di sè. Sembra una contraddizione, perchè la parola verginità ci fa pensare a qualcosa da conservare gelosamente, ma invece è proprio il contrario, è dare tutto di sè fino alla morte di sè. A quel punto la contemplazione del fiore sarà tanto bella che i frutti li lasceremo godere ad altri.

    1. La verginità è il dono di sé…. esatto! O per meglio dire il non pretendere alcunché, il mettersi in quell’atteggiamento di povertà radcale che ho chiamato “mendicare”, che si traduce in un saper abracciare senza legare, per così dire

  13. A parte i vaneggiamenti mistici di Giuliana, sì, è vero, può esistere persone alle quali viene da dire grazie di esistere,e non solo, ovviamente, mariti e mogli (reciproci) Per quanto riguarda la “verginità” nel matrimonio non ne vedo la necessità. I puri di cuore vedranno Dio e questi puri possono essere sia sposati che non. Pianta che fiorisce poi dà i frutti, e si vede dai frutti che pianta era. Per quanto riguarda la conservazione dell’entusiasmo di partenza (allo stato vergine senza incrostazioni o intorbidamenti o depositi)credo sia un problema per tutto quello che facciamo e non è cosa facile. Si può però trasformare( l’entusiasmo) in pienezza e maturità, come il vino giovane e il vino vecchio (nonpuoiessereserio)c’è un tempo per tutto.Lo dice anche L’Ecclesiaste.

    1. Alvise!
      Sono d’accordissimo con te. Non sono convinta che il punto sia “la conservazione dell’entusiasmo di partenza” ma se questo si possa trasformare in qualcos’altro, tu dici “pienezza e maturità” e a me va benissimo! C’erto è che così facendo con il tempo la primavera può tornare, portando con se ancora entusiasmo, se possibile più grande di quello iniziale. Mi piace il paragone con le stagioni, perché queste sono quattro e sono cicliche e non c’è modo migliore pe apprezzare i fiori della primavera che aver attraversato un duro inverno. Oltretutto, ci sono bellezze in tutte le stagioni, bellezze diverse e spesso contrastanti che ci aiutano a percepire e amare le differenze.

      1. secondo me non si tratta di consrevazione, ma nemmeno di aspettare che la primavera ritorni dopo un’arida estate… io sogno una condizione di estete e primavera INSIEME, fiori e frutti non separati!

        1. Non ti contenti della vita così come trasfigurata dalla credenza e dalla fiducia? Non ti basta? Ti vuoi immedesimare in un tutt’uno con il ciclo etereno delle stagioni e di tutte le cose? Essere inghiottito in tutte le cose restando te stesso ma non restando te stesso? O non è mistica questa? Non che io habbia nulla in contrario, intendiamoci! Cerco solo di vedere le cose dal tuo punto di vista che mi sembra si dissolva nel mistico. Basta dirlo. Ma qui, mi sembrava, nel blog, si stava parlando di “semplici” marito e moglie che si vogliono bene e sono felici insieme. da dove viene fuori quest’altra problematica? Si capisce che te sei uno dotto studioso della mistica giovannea, ma non c’è bisogno di emanarla.
          Ho sempre detto, io, che questo era un blog che rappresentava la banale vicenda degli sposi e dei figli arricchita e trasfigurata e dalla presenza di Cristo (secondo Costanza) (uguale invece a alle vite comuni, secondo me, da quello che appare). Poi uno può facilmente dichiarare di essersi levato in alto , o di volersi levare in alto quanto vuole, o puole.

    2. ça va sans dire, che quando parlo di verginità del cuore non mi riferisco all’astinenza sessuale, semmai a quella virtù cristiana nota come castità, che significa imparare avivere lòa propria sessualità senza alcun egoismo

  14. Da quello che ho capito i fiori stavano per l’entusiasmo, per quella sensazione di gioia di gratificazione che esiste all’inizio di un amore. Quel volere stare sempre insieme, quel cercarsi… Don Fabio, mi domando (e ti domando), ma è così necessario che ci siano i fiori? Non diamo noi troppa importanza ad avere la gratificazione dall’amore? L’animo di Gesù quando pregava nell’orto degli ulivi non credo fosse da fiori… Ma l’Amore c’era, ed era totale, ed era gratuito ed era fino alla morte. Se il dono è gratuito, la gratificazione può mancare. Se mi dici che ognuno è chiamato ad essere grato anche se l’altro non lo è, ovviamente rispondo di si. Ma quello che volevo dire è che non è l’assenza di fiori il problema, è il non saper dar valore a quello che uno ha. Mi domando, è l’assenza di fiori il problema o è il fatto che non riusciamo ad andare avanti se non abbiamo il contentino? La durezza di cuore sta nel non essere sempre frizzanti o nel non riuscire ad andare avanti in una cosa se quella cosa non ci rende più leggeri?
    Mi viene in mente le parole di valentinafantin nel post Trame segrete al gusto cioccolato:
    “appena ho letto la frase “la famiglia è il laboratorio dove prima di tutto si vive il Vangelo: perdona anche settanta volte sette…” dopo un breve esame di coscienza ho esclamato: parole sante! Pensate che mi riesce molto più facile perdonare un’amico piuttosto che i miei fratelli di sangue, pensandoci la cosa è davvero triste, non ero mai riuscita a darmi una spiegazione a tutto ciò fino a che…mercoledì scorso stavo riaccompagnando a casa una bambina che ho a catechismo e parlando del più e del meno le ho chiesto: “tu litighi mai con i tuoi amici?” e lei mi ha risposto :”no ma litigo con mio fratello e tu?” io le ho risposto :”anche io cerco di non litigare mai con i miei amici al contrario mi sfogo a casa con i miei fratelli” e lei con un sorriso (privo di due denti da latte) mi guarda dall’alto dei suoi sei anni mi dice “perché i fratelli non possono smettere di essere fratelli mentre gli amici possono anche smettere di essere tuoi amici no?!”…hai capito i bambini!”
    L’amicizia e l’amore coniugale hanno molti punti in comune, ma non sono per nulla la stessa cosa.
    Per quanto riguarda lo stato di gratitudine (o di grazia?), uno deve averlo nel cuore. Allora anche nel bel mezzo dell’inverno supererà tutto alla grande. A qual punto sono d’accordo con te: fiori e frutti insieme, magari come gemme, pronti a esplodere ad ogni momento.

    1. L’autunno non è forse bello nei suoi variegati colori infiammando il verde degli alberi? L’inverno con la sua coltre di neve che copre per un momento il grigiore di una quotidianità non triste, ma nemmeno accattivante. Se mi dovessero chiedere se amo mio marito come il primo giorno, direi di no. Perché allora ero ancora incosciente della sua infinita preziosità e anche dei suoi tanti difetti, lo stesso vale per lui. Non abbiamo dei figli, purtroppo, ma l’amore cresce e anche se non sono fiori e frutti, ci accontentiamo della pienezza delle 4 stagioni. Ridendo ancora oggi come dei matti, ma ascoltandoci di più. Scherziamo ma sappiamo anche essere seri perché la vita non è fatta di soli frutti e fiori. Ma quell’amore vale molto di più ora che agli inizi. Il donarsi a vicenda è il frutto dell’amore.

  15. Antonella

    Fiori e frutti insieme, tutti. Anche quando il raccolto ,vedendo la fioritura,non è come pensavi . Ma forse nel lungo percorso della vita insieme le fioriture sono molte e diverse così anche i frutti.

  16. angelina

    Caro don Fabio, grazie per questa riflessione. Mi piace il tuo modo di essere-in-relazione, non trascuri mai l’altro che hai (anche virtualmente) davanti, e ci ricordi con efficace poesia che siamo fatti per guardare negli occhi l’altro, per contemplarne la bellezza e per servire alla sua vera felicità. Credo che questo tratto relazionale sia comune al sacramento del Matrimonio come a quello dell’Ordine. Sono suggestive di tante riflessioni sulla vita di coppia, le tue parole, e molti hanno commentato magnificamente sul tema. Ciò che ora, però, in particolare mi sollecita è questa idea della reciprocità tra consacrati e sposati. “Ma non sarà che anche in questo vergini e sposi possono imparare gli uni dagli altri?”… penso proprio di sì.
    E proprio per questo mi è venuto spontaneo rileggere alcune frasi ‘simmetricamente’. Scusa se mi sono permessa, ho sostituito qualche sostantivo, il discorso fila. Pensavo di dedicarle al mio parroco, con tanto affetto.
    A te grazie, grazie di esistere così come sei. (Aggiungo un “in bocca al lupo” per la presentazione, ci sta sempre…)

    “Qualsiasi cosa ci diano gli altri è sostituibile, di tutto possiamo fare a meno tranne che della presenza, dell’esserci. E alla fine dei conti finché non ho dato a qualcuno il mio esserci non gli ho dato nulla.
    Per questo amare è essere umili, perché l’esserci dell’altro non può in alcun modo essere preteso né estorto, ma solo mendicato. Per questo amare è bello, perché è danzare in due (lo sposo e la sposa, il prete e la sua comunità) al ritmo del dono, in quella espirazione/inspirazione del darsi e riceversi.
    Ma quanti sacerdoti lo sanno? Maledizione, è mai possibile che siamo diventati così poveri, così egoisti, così induriti che non sappiamo più danzare il dono? È mai possibile che la vita quotidiana nelle sue asprezze ci abbia chiuso il cuore tanto da non essere più capaci di questa gratitudine per la presenza dell’altro? E perché nel momento giovanile della vocazione invece lo viviamo? E cosa perdiamo passando alla vita adulta?
    Sono le responsabilità di una parrocchia che schiacciano il cuore? Sono le pastorali sacramentali e l’animazione liturgica e il consiglio economico parrocchiale? O è la consuetudine del lavorare sempre con i pochi “impegnati” che fa dimenticare che l’altro è un dono di cui ringraziare ogni giorno, per niente scontato? O forse sono io che, da laica come sono, sogno un amore impossibile, sovrumano? Oppure la grazia del sacramento rende possibile questa sovrumanità e la rende più quotidiana e feriale e magari i preti la vivono senza neppure accorgersi?”

  17. Erika

    Che bella, questa immagine del frutto e del fiore, don Fabio!
    Penso che anche un religioso, in qualche modo, possa arrivare a trascurare “i fiori”, magari quando e’ molto assorbito dai problemi “pratici” dei propri parrocchiani e dimentica di vivere la dimensione “estatica” della sua vocazione.

    1. FilippoMaria

      Erika! Colpito e affondato! Almeno per me il rischio c’è!
      Comunque don Fabio ha dimostrato ancora una volta una “finezza” spirituale fuori dal comune… GRAZIE!!!

    1. Marco De Rossi

      Congratulazioni …..
      PS
      Super Admin.
      Ma che daverodavero riesci a leggere tutti tutti i commenti ai post?

  18. Innanzitutto mi scuso per aver abbandonato la discussione anzitempo, ieri sera ero impegnato nella noiosissima presentazione di un libro (il mio)… devo francamente dire che per come lo hanno presentato io non lo avrei comprato! Però mi hanno fatto molto piacere i complimenti del padre Scaglioni, che è un importante biblista e quindi mi ha giustamente inorgoglito…
    Detto questo raccolgo qui tutte insieme alcune risposte:

    @Alvise delle 16:55
    Sì sono un mistico, è vero, (e ti rinrazio di riconoscermelo, è un gran complimento per me) ma la mistica non è mica una roba eterea da iniziati, una cosa da lasciare lassù nei cieli, anzi, deve entrare nella vita quotidiana, se davvero vogliamo, come diceva S. Ignazio, buscar Dios in todas cosas, perché la fede è incarnazione e Dio sta nel quotidiano feriale. Mistica è il vero nome della vita, se per vita intendiamo una vita ad occhi aperti

    @Danicor: io credo che Dio ci abbia creati per farci felici, non solo nella vita futura, ma anche in questa, altrimenti perché il mondo sarebbe così bello? Certo, inseguire il brividino adolescenziale è sciocco, innanzitutto perché cambiamo noi e pretendere di fissare il flusso dell’amore in un solo istante è ucciderlo, però non si può nemmeno ridurre l’amore a un dovere ed è vitale che tra gli sposi continui sempre il darsi e riceversi.

    @Erika e Angelina
    Colpito e affondato! Avete beccato in pieno la grande tentazione di ogni prete, me compreso. Però c’è una piccola differenza: il rapporto con la maggior parte delle persone è più paragonabile a quello con i figli che a quello di coppia, dato che con pochissime persone hai quella reciprocità. Fatemi fare i conti… nel mio caso direi che sono cinque, un monaco di clausura, due suore, un laico sposato e un altro parroco, solo a questi cinque mi sentirei di applicare queste categorie, per tutti gli altri il rapporto è diverso

    1. Fabio:
      hai PERFETTAMENTE ragione, la mistica è vivere questa vita come non fosse questa vita pur essendo questa vita ma un’altra: Essere nel mondo, ma non essere di questo mondo. Per questo, credo, mi danno noia i discorsi degli sposi “mistici”, ma non per via del sesso eccetra, ma proprio perché chi si sposa e fa o non fa figli fa una vita più vicina alla vita cosiddetta normale della maniera mistica di vivere anche fosse vivere uguale. Non si può avere in questo caso la moglie piena e la botte (la vita) ubriaca. Per questo penso che il monaco il sacerdote il bonzo l’eremita eccetra siano più verosimilmente adatti alla mistica che non le famiglie mistiche a colori. Credo che alle famiglie basterebbe volersi bene tra sé in casa che fare tanti altri versi e sfringuelleggiamenti goffamente misticheggianti. Come anche credo non si possa essere mistici un mese l’anno nei ritiri quali che siano. Ora c’è anche le SPA alberghiere che offrono settimane di misticismo!!!

      1. Anche io temo molto il misticismo alla moda, ma la vita mi ha insegnato a mirare in alto, non a puntare al ribasso e in questi tempi così sguaiati e volgari è molto ma molto meglio sforzarsi di elevare la propria vita coniugale verso un di più, per questo sono affascinato dal tema della mistica coniugale…
        sai che una volta avevo vagheggiato perfino di scrivere una sorta di kamasutra cristiano? (Il kamasutra, come saprai, è tutto fuorché un libro erotico, al contrario è proprio un esercizio spirituale, il tentativo di rendere mistico il rapporto sessuale) Ovviamente non ho nemmeno mai osato scrivere una riga su questo, ma mi piacerebbe che qualcuno avesse il coraggio di farlo.

        1. Il kamasutra è l’arte della congiunzione sessuale tra gli amanti, arte nel senso più alto e profondo, ricerca del godimento e dell’estasi erotica, in due o tre persone, forse potrebbe essere adottato anche dai cristiani nell’intento di imparare cosa significa diventare una sola carne e “perdersi in questo incantesimo” per sempre.

    2. angelina

      Don Fabio, credo di capire quel senso di reciprocità e speciale complicità e tacita intesa che si può avere solo con poche persone veramente amiche. Ma non penso che tu intendessi dire davvero che ti relazioni con tutti gli altri con modalità esclusivamente “genitoriali”. Immagino che una tua penitente sia felicissima di considerarsi tua “figlia”, ma …una catechista, o un responsabile Caritas, chiunque svolga un servizio parrocchiale, genitori a loro volta e comunque adulti: perché il rapporto con loro dovrebbe essere ‘più paragonabile a quello con i figli che a quello di coppia’?
      Il sacerdote è sì pastore, anche paterfamilias, e guida in senso spirituale in quanto genera alla vita soprannaturale, d’accordo, ma non mi pare relazione-che-fa-crescere-entrambi quella che non sia tra due adulti che si pongono sullo stesso piano di comunicazione ed ascolto reciproco.
      D’altronde, se l’immagine sponsale è riferita al rapporto tra il Cristo e la sua Chiesa, ben esprime anche la relazione tra il sacerdote e la sua comunità ecclesiale. Non la “adotta”, la sposa, beninteso con tutte le conseguenze riguardo la sottomissione e il dare la vita che qui sono arcinote. 😀

      1. Ovviamente ogni metafora è riduttiva e non la si può intendere in senso letterale, pena falsarne il senso.
        Quello che rende paterna la relazione è l’auctoritas, che ogni sacerdote è chiamato ad esercitare, auctoritas nel senso nobile della parola e per questo lo dico in latino (da augeo, far crescere, l’autorità è l’attitudine a far crescere gli altri).
        Per me quello che qualifica il rapporto di amicizi è il dirsi l’intimità, io la mia intimità la dico a pochissimi, anche perché facendolo rischierei molto di perdere di auctoritas, inevitabilmente il rapporto non sarebbe più finalizzato alla crescita dell’altro, ma diventerebbe appunto un darsi e riceversi.
        Non è divertente credimi, nel senso che significa saper essere totalmente empatico, ma al tempo stesso anche totalmente povero, mi piacerebbe molto a volte potermi appoggiare di più, ma so che la maggior parte dei miei interlocutori non è questo che cercano né del resto sarebbero capaci di sostenermi, anzi, se lo facessi si sentirebbero smarriti.
        Questo non toglie che nel rapporto la dignità e la stima dell’altro sono un must assoluto, esercitare l’autorità non significa esercitare il potere.
        Avendo studiato un pochino di psicologia ho cercato di far mie le caratteristiche rogersiane del rapporto: empatia, congruenza, verità, e quindi di avere sempre un approccio centrato sull’altro (come direbbe Rogers centrato-sul-cliente). In questo tipo di rapporto però io con i miei bisogni e la mia umanità praticamente scompaio e sono felice di scomparire, perché ciò che davvero voglio è che l’altro cresca, capisci però che con questa impostazione resta assai poco spazio per l’amicizia, che per questo motivo riservo a pochissime persone con cui per grazia ho stabilito un rapporto diverso.

        1. angelina

          ‘rischierei molto di perdere di auctoritas, inevitabilmente il rapporto non sarebbe più finalizzato alla crescita dell’altro, ma diventerebbe appunto un darsi e riceversi.’
          Non so, sarei più portata a pensare che in ogni relazione, anche in quella genitore-figlio, la crescita è per entrambe le parti. Direi che dare e ricevere è ciò che fa crescere.
          E che, comunque, anche per chi esercita l’autorità condividere i propri sentimenti e sapersi appoggiare non è né una diminuzione né mettere a rischio la crescita dell’altro. Anzi. Poter essere d’aiuto al padre, anche questo fa crescere un figlio. E poi il rischio non potrebbe semmai essere quello di rimanere “intrappolati” in una sorta di sé-professionale? Ti ringrazio per aver condiviso questi pensieri molto interessanti 🙂

          1. La vita vera non è mai così schematica per fortuna, a volte è chiaro che mi accade anche di condividere qualcosa di me, anche perché sono per natura molto trasparente e “fisico” nel manifestare le emozioni, quello che voglio dire è la finalità che mi anima è diversa.
            Quanto al rischio di restare intrappolati in un ruolo c’è eccome, quanti sacerdoti lo vivono! Il solo modo per evitare il rischio è fare tutto per amore, darsi per amore e ritrarsi sempre per amore, avere come solo orizzonte ciò che serve a far crescere l’altro. Anche in questo hai ragione a volte condividere qualcosa di sé può essere utilissimo a far rescere, ma ancora una volta l’intenzione è diversa, è solo il bene dell’altro che interessa e non cercare qualcosa per sé

  19. Paola

    Dono. In questi giorni mi ha fatto riflettere su questa parola la mia amica Daniela. Suo marito lavora nel modenese e mi ha detto “Sai, saluto Piero ogni mattina cosi, un pò col groppo…ti rendi conto di quanto sia tutto un dono…di quanto spesso diamo tutto per scontato”.
    Un Frate che incontriamo spesso in queste pagine virtuali ha detto un giorno in una delle sue fantastiche Omelie(dono dello Spirito, non ti inorgoglire Frate!) “Vivete ogni giorno come se fosse il Primo, come se fosse l’Unico, come se fosse l’Ultimo”. Che sia questo uno dei segreti della vita e della vita di coppia? Daniela e Piero stanno facendo davvero un grande atto di fiducia in Dio, Signore di ogni giorno. Che Maria, madre buona consoli le loro paure.

  20. Don Fabio,
    io sono profondamente convinta che siamo fatti per la felicità! Quello che volevo dire è che a volte c’è la desolazione (c’è quella spirituale, quella fisica, ci sarà anche quella dell’amore). Perché? Ci sarà pure una ragione didattica in tutto ciò, a causa del nostro cuore duro? Per la nostra caduta? Non mi interessa ora esplorare le ragioni. Dico solo che a quel punto la felicità risiede nella fede e nella speranza: nel gettare il cuore oltre all’ostacolo mantenendo la testa, la ragione e la volontà fissate sulla rotta decisa prima. Se uno attraversa la tribolazione insieme alla persona che ha scelto per essere la via per la propria salvezza, colui/colei che sarà una sola carne con te, allora li trova la forza. Forse i fiori non ci sono, ma poi, dopo tutto, tornano in un’esplosione di profumi e colori mai visti prima. Quello che dico è che spesso la mancanza di quel contentino, se vissuta con decisione, con consapevolezza, rafforza il legame. L’errore è diventare cinici, è andare avanti per inerzia è rimanere in un inverno perenne e non avere nel cuore la voglia di primavera oppure, al contrario, tagliare tutto e ricominciare cercando un’eterna primavera.

    1. del tutto d’accordo, l’importante è evitare una concezione giansenista del matrimonio dove si dimentica che uno dei due fini dello stesso è il reciproco bene dei coniugi.
      Hai detto molto bene: l’errore è diventare cinici, è un errore molto frequente purtroppo

  21. Lillina

    Potete rigirarla come vi pare ma secondo me non c’é via di fuga: é l’eterno ritorno del figlio alla madre. O non vuole crescere e resta adolescente (leggasi scapolo, prete, playboy..) o fa finta di crescere, tiene famiglia ma comunque si rifugia nella donna (e suoi succedanei) come madre. La rende madre per vedere la madre. In ogni caso lei é un oggetto. Della persona-donna-adulta l’uomo non sa assolutamente che farsene. E meno ancora della creativitá della donna dalla quale si sente solo minacciato come Cronos e i suoi figli.
    E questa donna che non sa leggere l’uomo, che si fa condiscendente, perpetua il modello. Forse é ripetizione/ matrice o forse é vendetta: “qui tornerai nei secoli dei secoli”. Poi certo tutti sublimano e se la vendono incartata ma non son la carta e il fiocco che cambiano le cose.

      1. stavo per scrivere la stessa cosa don Fabio: che amarezza. La vita è ben altro e l’amore pure. Mi dispiace che ci siano persone che siano (state) così prosciugate da non avere più se non questa visione cinica e arida della vita.

    1. A voler essere proprio cattivi, il commento di Lillina sa di fuffologia quanto quelli firmati Mara Nada, al post dell’altro giorno sul buddismo. Un pizzico di Joseph Campbell, una manciata di Clarissa Pinkola Estes…

      1. Ci lo sa come cosa c’è davvero in fondo al cuore degli uomini/donne. Magari nulla di speciale, solo le solite cose che sappiamo tutti e alla fine banali per quanto idealizzate e infiocchettate (come dice Lillina) e nient’altro.

  22. Emidiana:
    a proposito dei cristiani versus fuffologia, un detto toscano, che ho trovato all’Archivio di Stato, P.za Beccaria (FI),un detto detto in uso nel contado di Certaldo: “cencio dice male di straccio!”

        1. Alessandro

          Ma fammi il piacere!

          Anacoreta (vocabolario Treccani): “Chi, abbandonando la vita attiva e il consorzio degli uomini, si ritira in solitudine per dedicarsi alla preghiera e alla vita ascetica”.

    1. Diamine, vista la sua veneranda canizie mi sarei aspettata che lo avesse trovato all’Archivio di Stato quando era ancora agli Uffizi 😉
      p.s. per pignolare un po’, comunque non Piazza Beccaria ma Viale Giovine Italia…

        1. Diamine sì (a tutte e due, l’aggettivo e l’affaccio) e anch’io avrei detto piazza B., fino a lunedì scorso, quando ho scoperto l’indirizzo ufficiale (e in effetti l’entrata del mostruoso edificio è un centinaio di metri a sud della piazza).

          A proposito, solo ora ho fatto il doveroso collegamento… l’hanno chiamata Beccaria perché una volta ci facevano le esecuzioni capitali. Che tocco di classe, aveva ragione Malaparte: solo a Firenze si fa così! 😀

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