Figli di nessuno

di Paolo Pugni 

Abbiamo strappato via il nostro cognome dalla faccia e lo abbiamo gettato al vento, perché lo sentivamo come una gabbia.

Mi chiedo se non ci sia la medesima ribellione nella proliferazione dei nickname, e mentre lo scrivo vedo già la vostra faccia che s’impenna e ostenta sofferenza.

Lo so, lo so, è esagerato, è provocazione: ma per un solo istante, provate a non farvi strattonare da qui pregiudizi che sono la difesa di noi stessi e lasciatevi guidare da queste istigazioni che hanno lo scopo di liberare la mente, scatenarla dai legami dell’abitudine, darle vento alle vele e lasciarla solcare il mare aperto.

Che nome e cognome potranno essere auspicio, ma sono soprattutto identità.

E se il nome impone una individualità, soggetto riflessivo anche se dato, il cognome inchioda ad una appartenenza, ad una stirpe, ad una famiglia.

Questa poi è l’epoca che ciò che tollera sono solo i nomi propri, avendo sventrato ogni famiglia e con essa il legame che ci teneva ancorati ad una storia che scorre nella trama dei secoli.

Ma se il nome afferma “io” invece che “noi” siamo ormai andati oltre al punto da volerlo possedere con violenza, perché se io sono mio (anche al femminile) e se io esiste, e se io posso scegliere il gender allora perché non risalire fino a quelle radici e laddove nego la natura negare anche quel marchio che i genitori mi hanno impresso facendo di una creatura un Alessandro o una Francesca?

(E per la verità alcuni ne avrebbero donde per rimediare a quell’ubriacatura, o peggio pre-coma etilico o tossicodipendente, che li ha assaliti per affibbiare, con vigliacco egoismo, sequenze di lettere che nomi non si possono nemmeno chiamare, etichette che se pesano su chi li porta come macigni graffiti, come catene da ergastolani di vecchi film e più antichi libri, stanno ad indicare come maschere che deridono e insultano, proprio i genitori che con generosa idiozia li hanno partoriti).

Contro questo nome, mio eppure no, vogliamo sparare quando in un mondo nuovo, questo sì nostro, ci presentiamo identificati da un appellativo ricorrente, e fantastico, che afferma tanto quanto nega. Non è così?

No, probabilmente no, e lo so bene, ma questa sfida andava lanciata perché ognuno potesse riemergere dal tuffo con una certezza vivace e smaltata.

Perché questa è l’epoca del rifiuto, che per affermare se stesso come radice, vuol dire tagliare i fili che non ci sottraggono il movimento, ma ci sorreggono nelle debolezze.

Abbiamo rinunciato al nostro cognome, ma non l’abbiamo sostituito con nulla, perché non c’è un altro cognome sotto il cielo nel quale riconoscersi, e senza nome di famiglia vagheremo come lupi l’un per l’altro, ostili e bramosi, opponendo libertà a libertà.

Infatti non ci sono sconti: non c’è ragione per considerarci fratelli se non fossimo figli di un medesimo Padre.

Se non avessimo quindi il medesimo cognome.

50 pensieri su “Figli di nessuno

  1. Alessandro

    ” Non a caso, infatti, ogni battezzato acquista il carattere di figlio a partire dal nome CRISTIANO, segno inconfondibile che lo Spirito Santo fa nascere «di nuovo» l’uomo dal grembo della Chiesa.”

    (Benedetto XVI, Angelus, 9 gennaio 2011)

  2. Alessandro

    “A questo punto dobbiamo tenere presente che non parliamo di persone del passato.
    Dio, il Signore, ha chiamato ognuno di noi, ognuno è chiamato con il NOME suo. Dio è così grande che ha tempo per ciascuno di noi, conosce me, conosce ognuno di noi per NOME, personalmente. È una chiamata personale per ognuno di noi. Penso che dobbiamo meditare diverse volte questo mistero: Dio, il Signore, ha chiamato me, chiama me, mi conosce, aspetta la mia risposta come aspettava la risposta di Maria, aspettava la risposta degli Apostoli.”

    (Benedetto XVI, Lectio divina, 4 marzo 2011)

  3. Vaneggiamenti!!!
    E, per esempio, Benedetto XVI, non è anche quello un a specie di nomignolo,
    che vuole segnare una svolta nella vita di Ratzinger?
    E così, forse, faranno anche altri allo stesso modo.Quando il nomignolo prenda il posto del nome.
    Perché sempre dubirare delle intenzioni degli altri?

    1. 61angeloextralarge

      Alvise: anche suore e frati cambiano il nome (adesso per alcuni ordini non è più obbligatorio, se ho capito bene), o aggiiungono accanto al loro il nome di Maria. Tutto questo ha un profondo significato spirituale e non assomiglia per niente al nickname. Non ci sono paragoni! E’ il passaggo a una “vita nuova” in cristo, con Cristo e per Cristo.

  4. Alessandro

    “Quest’oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù.
    Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica.

    Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “NOME” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore. Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2) – esclama il salmista.

    Parlando del “NOME” la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il “tessuto” di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all’Amore. “In lui – disse san Paolo nell’Areòpago di Atene – viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28).

    La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore.”

    (Benedetto XVI, Angelus, 7 giugno 2009)

  5. lidiafederica

    A me i nickname non sono mai piaciuti, tanto che non ne ho (tranne su youtube, ok). Però sinceramente mi sfugge alla grande il senso del post….

    1. Alessandro

      a me sembra che il post non muova guerra al nick ma sollevi il tema del nick come spunto per riflettere sul senso dell’avere un nome e un cognome (“Contro questo nome, mio eppure no, vogliamo sparare quando in un mondo nuovo, questo sì nostro, ci presentiamo identificati da un appellativo ricorrente, e fantastico, che afferma tanto quanto nega. Non è così? NO, PROBABILMENTE, e lo so bene, ma questa sfida andava lanciata perché ognuno potesse riemergere dal tuffo con una certezza vivace e smaltata.
      Perché questa è l’epoca del rifiuto, che per affermare se stesso come radice, vuol dire tagliare i fili che non ci sottraggono il movimento, ma ci sorreggono nelle debolezze”).

    2. fefral

      il senso del post sfugge anche a me, che invece il mio nome non lo dico al primo che passa e che uso i nick nei blog che frequento

  6. Alessandro

    “Il Pastore chiama i suoi per nome (cfr Gv 10,3). Egli mi conosce per NOME. Non sono un qualsiasi essere anonimo nell’infinità dell’universo. Mi conosce in modo del tutto personale. Ed io, conosco Lui?”

    (Benedetto XVI, omelia nella solennità degli Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2011)

  7. 61angeloextralarge

    Paolo! mi piace sto post! Smack! 😀
    Scherzo su questa tua frase: “Che nome e cognome potranno essere auspicio, ma sono soprattutto identità”, perché Il mio cognome è fatto su misura per me! 😀

  8. graziellamarrosu

    Io ci tengo tanto sia al mio nome che al mio cognome, perchè il nome significa “grazia”e il cognome ,dal dialetto:”zappa in sù” per sradicare il male dico io.Non so se ho capito il post?!Ognuno dovrebbe rispettare il nome perchè è stato dato dai genitori,da chi ci ha partorito;è così per continuare il progetto d’amore incominciato prima della nascita per ciascuno di noi.Quando aiuto i nipoti a svolgere i compiti in analisi grammaticale figlia:nome comune di persona di genere femminile di numero singolare;figlio:nome comune di persona di genere maschile di num……ecc….Dovremmo cambiare anche i libri di grammatica perché in italiano esiste solo maschile e femminile.Perchè rinnegare le origini,la maternità?La mamma mi chiamò Graziella,Grazia che faccio cambio nome mi chiamo superbia o invidia come nomignolo sono brutti stonano proprio!!!!!!Si diceva chi campa migliora.Questi pensieri li ho scritti apposta così perchè vanno bene anche per i non credenti,fatemi sapere vi prego cosa ho sbagliato.

  9. Un post è fatto di una quarantina di righe, leggerle tutte con attenzione aiuta a capirne il senso.
    Che peraltro è decisamente esplicitato nelle ultime sei righe.
    Non è un test per vedere chi risponde giusto e chi sbagliato.
    Né per accanirsi a provocare manipolando con malizia così da affermare, come sempre, quello che si vuole.
    Di nuovo buona domenica a tutti,
    con affettuoso pensiero ad ogni amico lettore del blog di Costanza.
    Paolo

    1. lidiafederica

      Ma chi è che manipola con malizia?Magari Paolo vedi malizia là dove davvero non ce n’è…Alvise tanto fa sempre e cmq il bastian contrario 🙂
      Tra parentesi dice una cosa giusta, secondo me, cioè che il cambiamento del nome non significa sempre uno strappo, o un negare le proprie radici. Significa, a volte, dare una svolta alla propria vita, non per rinnegare, ma per cambiare. Giustamente Benedetto XVI non è Jospeh Ratzinger, o meglio:lo è, ma ora, come B16, è padre di una moltitudine di credenti, cosa che JRatz non era. Anche io quando mi sposerò (speriamo:) ) cambierò cogome (almeno nella vita quotidiana, magari nella pratica scientifica no):non rinnegando Lidia Mazzitelli, anzi.
      Per i nickname, io credo che alla fine qui non c’entri il discorso dei nicknames: in Internet, si sa, a volte è molto meglio scegliere l’anonimato, e finché lo si fa in buona fede, lo capisco (anche se io uso sempre il mio nome).
      Quanto all’ansia di sradicamento della società moderna, forse c’è, ma io non l’ho mai vista in merito al rinnegare il cognone. Né ho mai visto gente iper vogliosa di cambiare nome, anzi…non ho mai conosciuto nessuno che volesse cambiar nome. Chiamarsi “principessadellenevi” o “gigantesolitario” in un log non lo vedo neppure come un volersi sradicare: anzi, mi pare che siaun modo per esprimere qualcosa di sé che va oltre il nome e cognome. perché Lidia Mazzitelli mi identifica, ma non mi esaurisce.
      Sicuramente cmq c’è una voglia di “autodeterminarsi” che prima non c’era. Da una parte è bene (alla fine chi vive la vita sono io, e non la mia famiglia – grazie a Dio in Italia almeno il tempo delle monache di Monza è passato), dall’altra è sicuramente male (quando l’autodeterminazione significa rinnegamento, come in buona parte del famoso ’68).
      Io però mi chiederei anche perché pensi sempre che qualcuno voglia fare commenti maliziosi…a me sembra che ti stanchi inutilmente, vedi! Oggi è domenica, riposiamo (con la NEVE!) 🙂 Io cmq mi ricordo che hai una situazione difficile sul lavoro, prego perché si risolva!

      1. 61angeloextralarge

        Se dici di aver perso, per il commento di Alvise, lascia perdere. trova il tempo che trova e lui lo sa quanto noi. Di solito nelle “discussioni” di argomenti ci sono i moderatori, lui, invece è il provocatore. Se lo fa apposta o no, non mi interessa, perché, (e gli voglio ormai bene), non dobbiamo cercare di cambiare gli altri quanto piuttosto noi stessi. A volte mi fermo a pensare su di lui e altri che capitano nel blog (e nella vita) proprio come gli insetti con il pungiglione: “Perché, Signore, questa cosa mi da fastidio? Perché la prendo come un fatto personale?”, etc… Mi accorgo spesso che, finché non sono serena su alcune cose, con il mio pensare ed agire, sono simile a chi mi sta criticando. E’ li che devo correggermi.

  10. “Babilonia, che nel corso della storia si è data molti nomi, è la città degli uomini che vogliono farsi un nome da sé (cfr. Gen. 11,4), che chiedono a se stessi la definizione della propria identità. Babilonia è il simbolo di ogni umanesimo concepito a prescindere da Dio e dal senso che Egli ha dato al creato. Babilonia cresce in altezza e in larghezza, è la città delle conquiste, è la città che aggredisce lo spazio per sottometterlo.”
    Fabio Bartoli Le due città
    http://uscitepopolomiodababilonia.wordpress.com/2012/01/28/le-due-citta-della-pace/

  11. Solitamente nel web viaggio con un nick name formato da metà del mio nome e metà del mio cognome… stefmanf… può andare come compromesso, Paolo?:-) Scherzo, ovviamente! Quando lo coniai era per pure ragioni pratico-tecniche, vorrei solo sottolineare la tua frase:

    “Infatti non ci sono sconti: non c’è ragione per considerarci fratelli se non fossimo figli di un medesimo Padre”

    perché la ritengo un “must” dell’esperienza cristiana: figli dello stesso Padre e fratelli nella fede. E pensare che il nome che pronuncio per chiamare te, Paolo (e tutti gli altri ovviamente…) è lo stesso nome con cui ti chiama Dio. Poco fa, durante la messa parrocchiale, ci sono stati due battesimi, quanta solennità nelle parole del sacerdote “Aurora, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”! Entriamo a far parte della comunità cristiana assieme al nostro nome… sembra una banalità, ma non lo è.

  12. A me questo post invece è piaciuto molto, l’ho riletto più volte perché Paolo è sempre molto profondo e quindi si espone al rischio di essere frainteso (ma meglio così Paolé, credimi, se l’alternativa è scrivere come Fabio Volo…).
    Il nome non è semplicemente un’etichetta, una sigla che serva ad identificarci.
    Nella mistica ebraica il nome indica l’essenza, così per esempio Giacobbe diventa “Israel” (il lottatore di Dio) e Abram diventa “Abraham” (il padre di molti). Così Gesù trasforma Simone in “Kefa”.
    Fin dall’inizio della Creazione l’uomo viene invitato da Dio a dare un nome a tutte le cose, indicando in questo modo che esse sono affidate a lui e sotto la sua direzione devono svilupparsi. L’uomo così collabora con Dio Creatore perché dando un nome alle cose ne dichiara l’essenza e il significato, ne definisce l’uso e la logica.
    L’azione di dare un nome è quindi altamente umana, spetta a noi dar nome alla realtà per comprenderla, per identificarla, per descriverla e in questo non c’è niente di male, anzi è forse la cosa più nobile che possiamo fare.
    Il problema è che nessuno può darsi un nome da se stesso, perché nessuno può conoscersi così bene da definirsi pienamente. Il nome che abbiamo non è propriamente nostro, ma è sempre un nome-ricevuto. Ricevuto innanzitutto, è ovvio, dai nostri genitori e quindi per questo completato dal cognome che indica l’appartenenza. Non per nulla in Ebraico, come in molte lingue, il cognome è un patronimico, così per esempio Gesù è Joshua Benjoseph (Gesù figlio di Giuseppe): Joshua significa “Dio salva” e indica quindi la sua essenza, la sua missione, Benjoseph invece dice che è figlio di Giuseppe e attraverso di lui figlio di Davide e figlio di Israele e dunque figlio di una tradizione che lo precede, frutto maturo di una storia che Egli compie.
    Vi confesso che ho imparato ad amare il mio cognome solo dopo la morte di mio padre, tanto ci è voluto per far pace con lui, ma adesso sono fiero di portarlo, sono fiero dei miei antenati, credo che in qualche modo porto avanti e compio la storia della mia famiglia.
    Suppongo che fosse suppergiù questo che Paolo intendeva e per tutto questo lo ringrazio.

    1. Come ho già avuto l’occasione di ricordare il senso del post sta nelle ultime sei righe, sulle quali l’attenzione dei più si è concentrata, cui tutto il resto del post tira la volata.
      Il tema della riflessione, per essere ancora più chiari, è la ribellione, il rifiuto, la negazione: il cognome, che segna una appartenenza, strappato dalla faccia.
      Se volete, ll tema è la ripetizione continua del peccato originale: l’affermazione dell’io su Dio.
      Come è scritto con, ritenevo, grande evidenza la vicenda del nickname è una PROVOCAZIONE, una esasperazione del concetto per parlare di ribellione talmente radicale da voler negare anche il proprio nome: è una metafora, una icona, per rappresentare un gesto e la rivendicazione “io sono mio”, cioè mi auto-determino.

      Continuare a voler vedere una mia secca affermazione che nel cambio del nome e ancora di più nell’assunzione di un nickname ci sia un male in sé e che sia questo il sugo di tutta la storia

      a mio parere dopo molto commenti che spiegano ha solo due radici:

      1) ostinarsi nel voler vedere ciò che si vuole vedere, e perdonatemi, con malizia, che sia per sviare dal senso che sia per spu…are pensiero e autore non so,
      2) mostrare una profonda ignoranza della lingua italiana.

      Mi scuso se sono così secco e diretto, ma credo che sia mio diritto alla pari di quello di chi commenta affermare il mio pensiero, senza volgarità, né mancanza di rispetto, ma anche senza reticenze e false cortesia.

      Ovviamente la frase qui sopra è una ipotetica: la seconda condizione si pone solo se la prima è vera. In assenza di prima condizione, la seconda non sussiste.

      Ringrazio don Fabio per il bellissimo approfondimento che vale molto di più delle poche righe che ho messo assieme.

      Nel frattempo ha segnato Juan, e la Roma ci sta facendo neri, per cui prevedo un bel pomeriggio per admin & co….

    2. Denise Cecilia S.

      Grazie per questa ri-lettura di quanto scritto da Paolo; e grazie perché anch’io, don Fabio, “ho imparato ad amare il mio cognome solo dopo la morte di mio padre”.

  13. IIl Papa si cambia di nome e nessuno dice nulla.
    Nel mondo ci si chiama (talvolta)per soprannomi, ma chi ha detto che si rinnega i nostri cognomi.e i nostri padri?
    O è sempre, forse, il solito discorso( vostro, o del papa)) sul tagliare le catene senza accorgersi che erano cordoni ombelicali?
    A parte il fatto che il cordone ombelicale va tagliato,perché uno viva la sua vita da solo, col suo cervello e sulle sue gambe!!!!

    1. Mi sembra che il nome del Papa sia proprio l’unica eccezione al principio che uno il nome non se lo dà da se stesso, per il resto i nomi dei religiosi vengono dati dall’Istituto, perfino il nome-caccia nello scoutismo è dato dal “reparto” (e al termine del rito della promessa, che è l’evento più solenne del percorso scoutistico… io porto ancora con orgoglio il mio: Orso Gentile).
      La sola eccezione del Papa è dovuta all’ovvio motivo che non c’è nessuno superiore a lui che possa dargli un nome e quindi in questo caso non smentisce, ma conferma la regola: dare un nome è un atto di autorità (e implicitamente rifiutarlo nasconde una pretesa di auto-nomia, esser legge a se stessi)

  14. Alessandro

    “Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

    La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale.
    Dio ha chiamato Abram “Abraham” perché doveva diventare il “padre di molti popoli” (Gn 17,5).
    Giacobbe fu chiamato “Israele” perché aveva “combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto” (cfr Gn 32,29).
    I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham.
    Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà rimanere vigilante per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”

    (Benedetto XVI, discorso durante la visita al mausoleo di Yad Vashem, Gerusalemme, 11 maggio 2009)

  15. Alessandro

    “Il rivale, che sembra trattenuto e dunque sconfitto da Giacobbe, invece di piegarsi alla richiesta del Patriarca, gli chiede il nome: “Come ti chiami?”. E il Patriarca risponde: “Giacobbe” (v. 28). Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino. Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare. Quando dunque, alla richiesta dello sconosciuto, Giacobbe rivela il proprio nome, si sta mettendo nelle mani del suo oppositore, è una forma di resa, di consegna totale di sé all’altro.

    Ma in questo gesto di arrendersi anche Giacobbe paradossalmente risulta vincitore, perché riceve un nome nuovo, insieme al riconoscimento di vittoria da parte dell’avversario, che gli dice: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto» (v. 29). “Giacobbe” era un nome che richiamava l’origine problematica del Patriarca; in ebraico, infatti, ricorda il termine “calcagno”, e rimanda il lettore al momento della nascita di Giacobbe, quando, uscendo dal grembo materno, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello (cfr Gen 25,26), quasi prefigurando lo scavalcamento ai danni del fratello che avrebbe consumato in età adulta; ma il nome Giacobbe richiama anche il verbo “ingannare, soppiantare”. Ebbene, ora, nella lotta, il Patriarca rivela al suo oppositore, in un gesto di consegna e di resa, la propria realtà di ingannatore, di soppiantatore; ma l’altro, che è Dio, trasforma questa realtà negativa in positiva: Giacobbe l’ingannatore diventa Israele, gli viene dato un nome nuovo che segna una nuova identità. Ma anche qui, il racconto mantiene la sua voluta duplicità, perché il significato più probabile del nome Israele è “Dio è forte, Dio vince”.

    Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto – è l’avversario stesso ad affermarlo – ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa. E non è la benedizione ghermita con inganno, ma quella gratuitamente donata da Dio, che Giacobbe può ricevere perché ormai solo, senza protezione, senza astuzie e raggiri, si consegna inerme, accetta di arrendersi e confessa la verità su se stesso. Così, al termine della lotta, ricevuta la benedizione, il Patriarca può finalmente riconoscere l’altro, il Dio della benedizione: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva» (v. 31), e può ora attraversare il guado, portatore di un nome nuovo ma “vinto” da Dio e segnato per sempre, zoppicante per la ferita ricevuta.”

    (Benedetto XVI, Udienza generale, 25 maggio 2011)

  16. “la parte che l’uomo in rivolta protegge, egli ha la sensazione di averla in comune con tutti gli uomini. E’ da ciò che essa trae all’improvviso la sua trascendenza”
    Albert Camus
    Il nome che ci hanno dato i genitori è impossibile che non lo abbiano dato e è segnato nei fogli comunali,
    il che non toglie che uno lo ripudi e non lo riconosca più come suo. Per quanto riguarda gli scout sono nomi per gioco, come (importante dirlo) quasi sempre sono per gioco i soprannomi. Se i religiosi danno, o si danno un nuovo nome, è perché anche essi (come altri)vogliono venire via da questo mondo e entrare in un altro (quello per esempio dell’ordine religioso,come un atto di morte civile). E questo (di cambiare di mondo, o di mente del mondo, e nella metanoia prendere un altro nome)
    io lo trovo un fatto importante. Non capisco dunque cosa volesse dire Paolo Pugni se non che viviamo in un mondo superficiale e falso, dove anche “cambiare” nome fa parte di questa superficialità e falsità. (ma evidentemente non per tutti, allora per chi?)

    1. Alessandro

      Perché mi sembrano perfettamente in tema, ciascuno a suo modo, con il post di oggi. E perché – come ti dissi – a me le parole di questo Papa piacciono particolarmente. Ma se a te non piacciono, puoi saltare serenamente i commenti in cui le riporto.

  17. Il senso profondo di ciò che Paolo ha detto e che io sto cercando di spiegare (vanamente a quanto pare) è che come uno non si dà da sé il suo nome così non si dà da sé la propria esistenza, né la propria mission (detto proprio così: nel gergo dei manager), ma la riceve insieme con l’esistenza (che diversamente da Heidegger io interpreto come ex-aliquo-sistere, cioè essere-a-partire-da-un-altro).
    Questo implica una rivoluzione copernicana nella percezione di sé e del mondo, fa sì che non percepiamo più il mondo come rotante intorno a noi e alle nostre scelte, ma al contrario che comprendiamo di essere parte di un sistema più ampio e più vasto, contro il quale possiamo anche lottare, ma al prezzo della nostra identità medesima.
    Inoltre significa anche che le norme morali e tutto ciò che mi definisce come Valori e scelte non sono da me arbitrariamente decisi, ma ricevuti, assieme al cognome che definisce la mia appartenenza.
    Possono naturalmente essere rifiutati, per esempio oggi ho interrotto sul più bello lo spettacolo della mia Roma vincente per parlare con una ragazza cubana che ha chiesto di ricevere il Battesimo, rifiutando così la sua appartenenza e dunque anche il suo cognome, ma mai per restare sospesi nel vuoto di una presunta auto-nomia, ma per entrare piuttosto in un’altra famiglia, in un’altra appartenenza.
    P.S. se chiami “gioco” i nomi-caccia è evidente che di scoutismo non sai nulla.

  18. …a partire dal mio babbo, Giacomo Scopel, e la mia mamma Clarice Pacileo, ora morti.
    filosofiazzero (se vi fa piacere) lo posso anche cancellare, è solo il nome del mio “blog”
    che nessuno guarda mai, per fortuna. Ho un blog che di più pallosi non ce n’è,
    Quanto a Heidegger credo che più pallosi e fumosi di lui ne sia esistiti pochi (me a parte)!!!!

    1. Io pure, Alvi’! Se non te lo segnala il dashboard è un difetto di wp!
      No, non lo cancellare “filosofiazzero”, almeno finché non scopri la philosophia perennis 🙂 : il mio nick non si è minimamente sentito insidiato da Paolo né da altri, e non ci penso neanche a levarmi il cappellaccio (che comunque non mi pare essere ciò che si chiede a nessuno)! 🙂

  19. fefral

    Paolo, sinceramente come non ho capito il post (ma oggi sono particolarmente stanca, quindi non faccio testo) non ho capito neppure perchè ti sei incazzato.
    Non sei una moneta d’oro ecc ecc….

    A me pare chiaro che il discorso del nick non esaurisce il post, anche se non ho colto il senso del post. E la provocazione sul nick secondo me non contribuisce a chiarirlo. Però, come ripeto, oggi non faccio testo, ho il cervello in panne, ho avuto un bel week end ma adesso sono proprio cotta. Buonanotte

  20. In effetti non ho messo il cognome nel nickname…ci sta solo la prima lettera in maiuscolo. Non lo so se ho capito il senso del post.
    Penso solo che ognuno si mette il nick che vuole e che farsi i problemi sui nick vuol dire non avere problemi piu seri a cui pensare. E ci sono dei problemi piu seri….

  21. Denise Cecilia S.

    Spesso gli alias sono altrettanto veritieri, autentici, rispetto al nome (e cognome) proprio.
    Una maschera in senso positivo, non una fuga.
    Ma questo tu lo sai, e lo lasci intendere; come l’abbiamo capito noi lettori.

    E non esclude, anzi rafforza il valore di ciò che rilevi: non è un caso se io, dopo una serie di alias (tutti significativi) sono approdata ad utilizzare i miei due nomi (e a lasciare un’iniziale puntata per il cognome solo per evitare fastidi).

I commenti sono chiusi.