di don Ugo Borghello
Il mio sogno più grande: miriadi di nuclei primari carismatici in espansione. Non c’è altra soluzione per la nuova evangelizzazione. Ed è più facile di quanto possa sembrare.
È impressionante la fecondità dei fondatori di ordini religiosi, di realtà carismatiche anche tra i laici, fiorite nel secolo appena trascorso, ma è bene prendere coscienza che anche nelle comunità evangeliche, nelle sette, di tutti i tipi, nei partiti ideologici si sviluppa una grande efficacia di reclutamento che merita miglior causa: bisogna capire che hanno trovato un modo efficace di proporre una scelta radicale. Perché ciò si diffonda tra tutti i cristiani occorre che i vescovi riflettano su come sia possibile e anche facile proporre in tutte le parrocchie la scelta cristiana che richiede sapersi amati e chiamati da Cristo alla sua sequela, in un cammino di santità, in comunione primaria carismatica e con mandato missionario. Senza questi cinque elementi non c’è Vangelo vivo, ma solo un po’ di religiosità. In una intervista, Mons. Fernando Ocariz, da poco designato da Papa Francesco come prelato dell’Opus Dei, alla domanda su cosa ci vorrebbe nella Chiesa in questo momento, ha risposto: “vivere il Vangelo intero”. Effettivamente, ma per vivere nel Vangelo occorrono le cinque cose dette. Solo che occorre dirlo con chiarezza e proporlo nei fatti, con altri, a chiunque voglia essere coerente con il nome di cristiano.
Ţutti sanno cos’è amore umano, amicizia, comunione cristiana, santità, ecc. poi vai a vedere e rimangono al 5 o 10% se va bene. Come uno che sa di Firenze ma la riflessività è quasi zero e lo nota la prima volta che va in macchina a Firenze senza il navigatore.
È impressionante la poca riflessività dei vescovi e dei sacerdoti sulla comunione cristiana. Non sanno che tutti hanno una appartenenza primaria fuori dalla Chiesa e che questa appartenenza impedisce loro di cogliere nella vita le esortazioni catechetiche. Non sanno che nella Chiesa si può avere appartenenza primaria ma solo socio-sacrale. Non sanno che c’è una differenza abissale tra una appartenenza socio-religiosa e una appartenenza primaria carismatica (quelĺa di Pentecoste, con il comandamento nuovo), e soprattutto che occorre promuovere un cammino reale, anche con pochi, come inizio, proponendo concretamente la scelta della sequela di Gesù in comunione primaria con i fratelli. E ancora non basta: occorre riflessività su come impostare un cammino di santità e su come portarlo avanti in modo che l’istituzione e la responsabilità dei pastori non soffochi la comunione e il primato della persona.
In quasi tutti i miei libri riprendo il problema del paradigma di fondo in cui ognuno si muove, ma posso dire che praticamente è ben difficile trovare chi ne prenda sufficiente coscienza.
Tutti ci muoviamo in una appartenenza primaria, ma praticamente nessuno ne prende coscienza sufficientemente. Un po’ come i pesci che vedono rocce ed alghe, pesci piccoli da mangiare e pesci grossi da evitare, ma non vedono l’acqua!
Questa è la prima riflessività. Da ciò dipende che si possa dialogare più costruttivamente con le “chiese” relativiste che ormai infestano il mondo occidentale. Con i protestanti abbiamo fatto guerra per quattrocento anni. Poi si è capito che occorre rispettare le persone e anche la loro appartenenza, ed è nato l’ecumenismo. La nuova evangelizzazione richiede che tutti si convincano che di fatto pensano non con la ragione ma col cuore, sempre a difesa di un potere personale di immagine dentro una appartenenza primaria, che può essere un partito ideologico, una rete sociale significativa, una setta o comunità religiosa, un gruppo di coetanei tra i giovani, ecc. Il politically correct è dettato dal bisogno di consenso in un gruppo sociale primario (da cui trarre senso della vita).
La seconda riflessività riguarda già l’altro fronte della nuova evangelizzazione: far fiorire il Vangelo dentro la Chiesa. Per ottenere questo occorre riflettere sul fatto che da Costantino in poi la Chiesa istituzionale ha predicato la fede, ma ha offerto solo una pratica cristiana di stampo religioso, lasciando il carisma della fede viva ai voti religiosi e ultimamente a varie realtà carismatiche, di grande fecondità. Eccezioni di santità nel popolo ci sono sempre state, ma sostanzialmente il Vangelo era relegato fuori dal mondo, fuori dalla vita reale delle famiglie e dei popoli. Ne parlo nel libro Il male più grande e nei due libri per le parrocchie sopracitati. Si è realmente abbandonato il mondo, la storia degli uomini. Sembra proprio che essere cristiani sia un proiettarsi su Cristo risorto, dimentichi dei problemi umani. Ma se si guarda come una appartenenza primaria affronta qualunque ostacolo, si può capire che non c’è ostacolo nel mondo che possa impedire di vivere il Vangelo se si vuole seguire Gesù, camminando con tutto il cuore in comunione con i fratelli ben individuati, pur con la normalità della vita laicale che non è compatibile con la visibilità sociale di appartenenze religiose particolari.
Molti cristiani anche praticanti non hanno una appartenenza primaria nella Chiesa, ma nell’immagine sociale, che li rende sensibilissimi ad ogni successo o insuccesso e del tutto ai margini del Vangelo e anche della religione ufficiale come legame primario. Tra coloro che vogliono sinceramente essere cristiani molti hanno una appartenenza di tipo istituzionale, socio-sacrale. Il presbiterio sacerdotale per secoli ha offerto un legame certamente primario ma a livello gerarchico-istituzionale. Il carisma era lasciato al clero religioso e a quei sacerdoti che cercavano alimento alla loro fede, con desiderio di santità. A questo livello il Vangelo non opera la salvezza nel cuore degli uomini. Occorre saper distinguere nel cristianesimo la fede vissuta dalla pratica religiosa, come faccio nel libro Saper di Amore.
Joseph Ratzinger, nel libro Il Cammino pasquale, descrivendo la scena del lavaggio dei piedi ai discepoli arriva a dire: «Gesù dice: se dunque io. Il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Queste parole non sono un annesso morale al fatto dogmatico, ma appartengono piuttosto allo stesso centro cristologico. Si riceve l’amore soltanto amando. L’amore fraterno è in Giovanni inserito nell’amore trinitario. Esso è il “mandato nuovo”, non nel senso di un comandamento esteriore, ma come struttura intima dell’essenza cristiana. In questo contesto può essere interessante rilevare come san Giovanni non parli mai di un amore generale fra tutti gli uomini, ma solo dell’amore interno nella comunità dei fratelli, cioè dei battezzati. I teologi moderni criticano san Giovanni a causa di questo fatto e parlano di un restringimento inaccettabile del cristianesimo, di una perdita di universalità. Certo qui vi è un pericolo, e testi complementari come la parabola del Samaritano e quella dell’ultimo giudizio, sono indispensabili. Ma preso nel contesto dell’unità e inseparabilità dell’intero Nuovo Testamento, Giovanni esprime una verità molto importante: l’amore in astratto non avrà mai forza nel mondo, se non affonda le sue radici in comunità concrete, costruite sull’amore fraterno. La civiltà dell’amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve incominciare dal particolare per arrivare all’universale. La costruzione di spazi di fraternità è oggi non meno importante che nei tempi di san Giovanni o di san Benedetto» (p. 99).
Si pensa, a torto, che una comunione carismatica sia per una elite o per pochi. Invece basta poco per accorgersi che tutti coloro che di fatto hanno trovato il modo di coinvolgere il cuore, sia a livello carismatico con tanti fondatori di ordini religiosi o movimenti, sia però anche a livello ideologico, o di setta, o comunità evangeliche, hanno una enorme fecondità, tra gente di tutti i livelli. I comunisti assoldavano col cuore milioni di giovani, di ignoranti o di intellettuali. Il Vangelo è ben più bello del Manifesto del proletariato. Ma bisogna saper mettere i giovani (ma vale anche per i meno giovani) di fronte alla possibilità di vivere per Cristo, mettendo in gioco tutta la vita, pur nella normalità della vita. Questo si può fare in una scelta con i fratelli, non certo per una esortazione all’ideale astratto.
Sul modo concreto di procedere per proporre a chiunque voglia dirsi cristiano un cammino di santità cliccare qui.
Tutto ciò merita studio e riflessione, dibattito e sperimentazione. Nei miei libri ci sono indicazioni abbastanza concrete e operative.
Infine occorre riflessività su come condurre una cammino di santità lungo il tempo. I grandi fondatori hanno lasciato ottime regole, ma quasi mai sufficiente riflessività su come subordinare l’istituzione al carisma. Il demonio usa la responsabilità gerarchica per soffocare la carità, come spiego ampiamente nei miei libri. Si può vedere la parte finale di Liberare l’Amore e il libro apposito Comunione carismatica in parrocchia. Quest’ultimo testo è preceduto dalla presentazione del vescovo di Brescia, Mons. Luciano Monari, che a seguito riproduco.
(Leggi la presentazione al libro “Comunione carismatica in parrocchia” scritta dal vescovo di Brescia Mons. Luciano Monari cliccando qui. Leggi l’articolo “Un kerigma coinvolgente” cliccando qui).
Nella Amoris laetitia Papa Francesco insiste sull’accompagnamento da intendersi non solo come impegno personale di un sacerdote ma come cammino di comunione che sostiene in ogni difficoltà. Ma da tutti i riferimenti non sembra che ci sia sufficiente riflessività sul fatto che nelle parrocchie normalmente non esiste una comunione reale in Cristo. Si insiste sul fatto di aprire un processo, ma non è per nulla chiaro che tale processo è veramente efficace solo se si invita a camminare insieme, in comunione primaria carismatica.
Una proposta interessante parallela al mio sogno, anche se con importanti differenze, è l’opzione Benedetto.
fonte: ugoborghello.it
Un cammino simile già esiste e si chiama cammino neocatecumenale. Non voglio certo creare inutili concorrenze tra movimenti o cammini , ma certamente il cammino parte dalla esperienza delle prime , piccole , comunità cristiane , per riscoprire passo dopo passo , anno dopo anno, e progressivamente, come si possa tendere a vivere il vangelo nella sua interezza , senza farsi limiti, e vivendo nel mondo di tutti i giorni e non sulla luna. La presenza di migliaia e migliaia di giovani è garanzia della attrattiva che la parola di Gesù ha quando viene vissuta sulla propria pelle attraverso fatti veri e quotidiani, e non solo attravetso elucubrazioni teoriche.
Infatti se vai al link del Kerigma l autore porta come esempio proprio il cammino neocatecumenale, ma anche altre realtà cristiane. La fantasia di Dio è immensa e lo spirito soffia con potenza suscidando l amore a Cristo in mille modi e quindi in tanti movimenti con caratteristiche e sensibilità differenti ma sempre innamorate di Cristo.
insomma ,una specie di “endorsement” per il cammino…
Buongiorno,
Alcune osservazioni sulla proposta di don Borghello.
“Per ottenere questo occorre riflettere sul fatto che da Costantino in poi la Chiesa istituzionale ha predicato la fede, ma ha offerto solo una pratica cristiana di stampo religioso, lasciando il carisma della fede viva ai voti religiosi e ultimamente a varie realtà carismatiche, di grande fecondità”.
Capisco la tesi sostenuta in tutto l’articolo e apprezzo che un sacerdote abbia capito che il cristianesimo va vissuto (perlomeno come inizio) in piccole realtà di base parrocchiali, ma proprio non condivido questo accanimento (tipicamente di stampo protestante) sul povero Costantino, richiamandolo sempre come spartiacque tra due presunti “cristianesimi”.
Credo che tale errore sia dovuto principalmente a carenza di studio storico in favore di uno studio ideologico. Non è poi così diverso da coloro che rigettano il Vaticano II, ergendolo a muro di separazione tra la “vera chiesa cattolica” (precedente) e la “falsa chiesa cattolica” (attuale).
“Eccezioni di santità nel popolo ci sono sempre state, ma sostanzialmente il Vangelo era relegato fuori dal mondo, fuori dalla vita reale delle famiglie e dei popoli”.
Anche qui credo che ci sia un problemino.
Sia guardando alle radici cristiane europee (fondate certo sui pilastri come Agostino e tutti gli altri padri cattolici dopo Costantino, ma anche e soprattutto fondate su un popolo autenticamente cristiano, quel popolo che guidava e si faceva guidare dal cosiddetto “sensus fidei”) – sia guardando alla mia esperienza personale, è stato proprio quel “popolo” sempre escluso e mal visto dai più propagandati movimenti carismatici… è stato proprio quel popolo che mi ha accompagnata nel mio rientro nella CC, oltre alla primaria azione di Gesù Cristo (ovviamente!!), il quale mi “parlava” appunto sia in modalità personale che attraverso le fedi più semplici e popolari (pur essendo io una sfegatata di teologia, biblistica, ecc.).
Se i miei occhi fossero stati rivolti ai gruppi ai quali si fa implicitamente riferimento in questo articolo (occhi rimasti purtroppo per anni su quei ricordi per me traumatici da un punto di vista della fede presentata appunto da quei gruppetti)… Beh, non è un mistero che anche oggi sarei scappata a gambe levate, perché nella maggioranza dei casi non vi riconosco la Chiesa di Cristo… Sì, proprio quella Chiesa là, la presunta “originale” a cui molti si riferiscono… Secondo me la Chiesa originale era imperfetta, tanto quanto quella di oggi.
È solo lo sguardo di Cristo che la rende perfetta nelle imperfezioni dei suoi fedeli… ed è per questo che coloro che si ritengono “perfetti” non mi attirano per nulla.
Ma appunto, qui è questione di esperienze personali. Ed è quindi giusto che nella Chiesa siano presenti diverse modalità di vivere la fede, comprese quelle promosse da questo gentile autore.
L’ostacolo più grande al sogno di Don Ugo Borghello credo che sia proprio il modo in cui queste “comunità carismatiche di appartenenza primaria” si pongono nei confronti della Chiesa di Cristo. Intendo la Chiesa Universale (=cattolica).
Generalmente (e mi scuso per la generalizzazione) non costituiscono propriamente un invito all’appartenere al Popolo di Dio inteso come Chiesa, ma piuttosto un invito che implicitamente dice “se non sei con noi, sei contro di noi”, oppure “se non vieni nella nostra piccola comunità non potrai mai essere un vero cristiano”.
In questo modo, paradossalmente, viene a mancare proprio quell’essere “nel mondo ma non del mondo” che tali comunità carismatiche pretendono di promuovere.
È appunto il mondo (quello pagano) che ragiona così: se non fai parte di un certo gruppo con una certa griffe, sei fuori.
Il cristiano (come evoluzione della concezione del giudaismo) capovolge tutto questo: pur fortemente identitario, vede nel prossimo un potenziale maestro dal quale apprendere, e non solo un allievo al quale insegnare la “retta via” con vari schemi precostituiti.
Proprio in forza della Grazia di Cristo -donata col battesimo a tutti i cristiani oppure donata anche senza il passaggio del segno visibile perché a Dio piace così – proprio in forza di quella Grazia la Chiesa Cattolica continua ad essere nutrita dal Padre, al di là di tutti i nostri schemi, e guardando al prossimo come “fratello che mi converte” ancora prima di “fratello da convertire”.
Ecco, io aggiungerei questo al modello proposto da don Ugo, pur buono negli intenti fondamentali.
Quando l’autore scrive
“Da ciò dipende che si possa dialogare più costruttivamente con le “chiese” relativiste che ormai infestano il mondo occidentale. Con i protestanti abbiamo fatto guerra per quattrocento anni. Poi si è capito che occorre rispettare le persone e anche la loro appartenenza, ed è nato l’ecumenismo”.
… Molto bene (io amo l’ecumenismo), e trovo che non sarebbe male applicarlo anche ALL’INTERNO del mondo cattolico. Troppo spesso ho constatato che i “gruppi carismatici di appartenenza primaria” guardano gli altri gruppi carismatici o i fedeli “non denominati” (ad esempio le vecchiette del Rosario) come non facenti parte del cristianesimo.
È da chiedersi allora a quale “appartenenza primaria” appartengano questi “gruppi carismatici di appartenenza primaria”. …
Altri punti di criticità:
“E comunque si rimarrebbe aperti a tutti per quanto riguarda la dimensione religiosa e la sacramentalizzazione”.
Qua c’è un’impropria divisione tra evangelizzazione e sacramenti… Oltre che una divisione tra cristiani di serie A e cristiani di serie B. … E poi c’è anche, forse, una certa preoccupante svalutazione dei sacramenti… Questo è un punto che ho visto navigare (e fallire) in diverse realtà dove si faceva appunto tale discorso.
Bisogna che ci mettiamo d’accordo se l’azione di Cristo opera ad iniziare dal Sacramento, oppure dalle nostre parole (evangelizzatrici) che parlano del Sacramento. Ovviamente si tratta di et-et, però una gerarchia c’è, e se noi la capovolgiamo va a finire che falliamo.
Riguardo poi la gerarchia, quella ecclesiatica, l’ultimo chiarimento della Santa Sede (Papa Francesco, a conclusione di un lavoro durato anni) è il documento Iuvenescit Ecclesia (spero di aver scritto in latino corretto). In tale documento è ben chiarita la relazione tra doni gerarchici e doni carismatici.
“È impressionante la poca riflessività dei vescovi e dei sacerdoti sulla comunione cristiana. Non sanno che tutti hanno una appartenenza primaria fuori dalla Chiesa e che questa appartenenza impedisce loro di cogliere nella vita le esortazioni catechetiche. Non sanno che nella Chiesa si può avere appartenenza primaria ma solo socio-sacrale. Non sanno che c’è una differenza abissale tra una appartenenza socio-religiosa e una appartenenza primaria carismatica (quelĺa di Pentecoste, con il comandamento nuovo)”
Qui ci sono un po’ troppi “non sanno”… Quindi io temo un po’ lo spettro dello gnosticismo, sempre là in agguato.
E poi, di nuovo, c’è un’indebito giudizio su ciò che è appartenenza socio-religiosa e ciò che è appartenenza carismatica.
Come si distinguono, alla fine dei conti?
In realtà, in molte appartenenze carismatiche vige principalmente un’appartenenza socio-religiosa… spesso spiritualmente più sterile della presunta sterilità della presunta semplice appartenenza socio-religiosa.
A parte questo fatto che è sotto gli occhi di tutti, … è davvero rischioso (intellettualmente e spiritualmente) definire un limite così “aspro” quando abbiamo davanti una persona. Chi mi dice che quella persona nella sua vita possa vantare soltanto un’appartenenza socio-religiosa… ? Perché non posso riconoscere e non posso reputare autenticamente profonda una fede cristiana se quella persona non fa parte di nessun gruppetto di base carismatico?
Il problema fondamentale sta un po’ qui… E mi ha colpita parecchio perché non è la prima volta che sento dare questa definizione da alcuni sacerdoti… Poi magari, i parrocchiani che arrivano nel momento del bisogno sono solo i “socio-religiosi”, mentre i “carismatici” non si vedono… E allora la realtà rimette a posto tutti i nostri pregiudizi.
A parte queste critiche, per il resto l’idea di questo sacerdote va benissimo.
(il ché sembra una battuta ironica da parte mia, ma assicuro a Don Borghello che non lo è 😇😊.
L’idea dei gruppetti rimane buona).
Grazie,
Saluti a tutti,
Shalom,
Pax et bonum,
Francesca
Penso che i vari “cammini” e “movimenti” certamente offrano ai cristiani dei porti sicuri nei quali ritrovare energie, punti di riferimento, orientamento e come tali abbiano un carattere temporaneo, più o meno lungo ma pur sempre limitato e finalizzato a ripartire con la propria “imbarcazione” verso l’unica vera meta che è Cristo e la cui unica Sposa è la Chiesa.
Molte cose mi lasciano perplesso ma la senzazione che più mi rimane dalla lettura di questo articolo è una sorta di confusione tra “cura” necessaria in questi tempi di anti-cristianizzazione e il Bene da raggiungere e custodire.
Sarà per il linguaggio utilizzato (il termine “riflessivita’” disseminato in tutto il testo non mi è per nulla chiaro) sarà che viene completamente ignorata la famiglia come primo luogo in cui vivere ed esercitare il comandamento dall’Amore ma pur rileggendolo continua a non convincermi.
Mi piacerebbe leggere un commento di qualcuno di voi (@Fabrizio DG, @Bariom, @fracentanni, et altri)
Non vedo la contrapposizione tra pratica religiosa e carisma della fede, nè concordo col fatto che la Chiesa in passato abbia proposto solo la prima a scapito del secondo. Tutti i grandi santi erano pieni di spirito santo e devoti nella pratica religiosa che li rafforzava spiritualmente. Il problema di oggi è proprio il fatto che è venuta meno la pratica religiosa e con essa anche la fede e i suoi carismi. La soluzione sta proprio nel riscoprire le devozioni da sempre praticate dai fedeli che la Chiesa del post concilio ha sempre più disprezzato abbandonato rinnegando se stessa e facendo propri i pregiudizi dei nemici del cattolicesimo, rendendo il popolo cattolico sempre più materialista e scettico.