di Costanza Miriano per la Verità
L’isteria collettiva del politicamente correttissimo ormai fa sì che se una preside, Clara Rech del liceo classico Visconti di Roma per fare nomi e cognomi, scrive su un documento di autovalutazione un dato oggettivo – “non ci sono alunni stranieri né disabili” – scatta la damnatio su Repubblica, il ministro Fedeli minaccia provvedimenti perché la scuola deve essere inclusiva e multitutto.
Bene, vorrei dire che il ministro ha ragione, la scuola deve essere inclusiva, cioè dare a tutti le stesse possibilità. Il principio è sacrosanto, ma chiediamoci che significa, in concreto. Inclusivo per me vuol dire che chiunque decida di studiare seriamente, da qualunque paese o estrazione sociale provenga, possa avere le stesse possibilità. È un bellissimo programma, sarei d’accordo. Così davvero si permetterebbe la mobilità sociale, attualmente impossibile in Italia. Se sei figlio di professionista ma sei un deficiente, se sei una capra e soprattutto se non studi, per arrivare all’esame di abilitazione che ti permetterà di occupare il posticino preparato dai tuoi nel loro studio ci devi mettere almeno trentasei anni di studio, cioè ogni anno dei diciotto del percorso scolastico lo devi ripetere. Questa, una scuola che boccia e seleziona, sarebbe una scuola davvero inclusiva, dove anche il figlio del fruttivendolo del Bangladesh se si ammazza sui libri può diventare avvocato, mentre il figlio dell’avvocato che non ha voglia di studiare può comunque trovare posto al mercato; e adesso scatta anche per me l’accusa di essere classista, immagino. Chiariamo: il fruttivendolo è un lavoro nobilissimo, ma non serve studiare tanto. Punto. A essere classista è invece la scuola che vuole la Fedeli, livellata verso il basso, con cicli di studio più corti, e vietato bocciare (queste le sue novità). Questo è il vero classismo, una scuola che vuole tutti mediocri in modo che nessuno, neanche dotato di ottima volontà, riceva gli strumenti per elevarsi dalla condizione di partenza della propria famiglia (le eccezioni a volte ci sono, benché altamente scoraggiate dall’attuale modello scolastico).
La scuola cominci a bocciare senza pietà, e controlli che si faccia anche nelle private (alcune ottime, alcune rifugio dei figli di papà). I professori smettano di fare interrogazioni programmate, la vera piaga della scuola odierna, le scuole ricomincino a far studiare la grammatica, che gli occhi dei nostri ragazzi diventino rossi dallo sforzo di stare chini sui libri dalla mattina alla sera, invece che sugli smartphone (magari anche i genitori si disturbino un po’ a toglierglieli questi telefoni, ai ragazzi: lo so che poi se li ritrovano parlanti e semoventi per casa, ma pazienza). Dalle elementari in poi, si smetta di fare cose che non c’entrano niente con lo studio, si vieti la visione di film, che è l’unica cosa che i ragazzi sanno fare benissimo da soli, si vietino i progetti didattici per “sapere i sapori regionali” e si srotolino paginate su paginate di analisi logica e grammaticale, ché poi magari all’università qualcuno potrebbe persino imparare a usare il congiuntivo (non farò battute sui politici che fanno fatica con l’italiano, ministro dell’Istruzione compresa, perché l’argomento è per me troppo drammatico, e non ci trovo niente da scherzare). Oggi una scuola figlia del ’68 ha inteso la sacrosanta inclusione come livellamento verso il basso, non, come dovrebbe essere, verso l’alto: bisogna tutti aspettare l’ultimo della classe, anche se a febbraio non ha ancora ordinato i libri di testo. E se non hai studiato, non ti metto 2, ti dico che ti interrogherò il 9 marzo. Le mie insegnanti del liceo si rivoltano nella tomba. Il solo pensiero di andare a scuola senza aver fatto la versione di greco mi farebbe sudare freddo e balbettare di paura anche oggi che sono adulta, un solo sguardo e una increspatura di labbra della prof, quella che dava gli 1 meno meno di incoraggiamento, sarebbe bastato a gettare il terrore su tutta la classe. E se i genitori fossero stati convocati, si sarebbero schierati coi professori prima ancora di sentire cosa avessero da dire. Oggi invece i genitori proteggono i figli di questa generazione snowflake, poverini, dalle angherie scolastiche, tante volte dovessero subire dei traumi.
Se vogliamo fare una scuola davvero inclusiva partiamo dai disabili, invece. Da ministro la Fedeli dovrebbe sapere che le ore di sostegno continuano a diminuire scandalosamente, provocando la vergogna di una scuola che lascia i disabili a se stessi. Intanto anche i casi di disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione aumentano vertiginosamente. Se non c’è un insegnante a coprire il divario oggettivo, sì, è vero, la presenza di un disabile, preziosissima per educare i ragazzi ad amare, rallenta l’apprendimento. Conoscendo la sensibilità della preside del Visconti – ho un figlio in quella scuola – sono pronta a mettere la mano sul fuoco sul fatto che abbia fornito il dato solo, appunto, come un dato di fatto. Però non basta dire, come fa la Fedeli, che tutti vanno inclusi. Bisogna fornire strumenti e mezzi perché l’inclusione sia sostanziale. Se c’è un ragazzo che non ce la fa a seguire il ritmo, e non c’è un insegnante che possa stare al suo fianco mentre la classe procede, l’unica cosa che resta da fare è che tutta la classe si fermi.
Io ho cambiato una scuola a uno dei miei figli, alle medie, perché c’erano troppi stranieri. Non mi vergogno a dirlo perché io in quella scuola ce lo avevo messo, sapendo già che sarebbe stato in una classe multietnica. Il mio non è stato pregiudizio, è stato giudizio – nobilissima e doverosa attività umana. Dopo un anno di frequenza ho potuto verificare in prima persona, dati e prove concrete alla mano, che nella scuola italiana per come è concepita oggi, senza insegnanti che aiutino e affianchino i ragazzi con dei ritardi, che siano linguistici, culturali o cognitivi, la presenza significativa di stranieri che non parlavano la nostra lingua (non parlo di quelli nati in Italia) ha oggettivamente e vistosamente rallentato la didattica. È un dato di fatto incontrovertibile. Se fossi ricca e avessi già una strada spianata per i mei figli potrei anche, forse, essere più rilassata sul tema. Ma siccome i nostri figli non hanno niente altro che le loro forze su cui costruire il loro futuro, è nostro dovere di genitori metterli nelle condizioni di studiare più possibile, e con ritmi che li impegnino seriamente. Sarebbe un diritto, anche. Un diritto che la scuola di oggi non garantisce più, perché ci vuole tutti mediocri. Includere nella mediocrità non è un grande programma culturale.
Magistrale!
Condivido ogni singolo pensiero.
Si e’ scambiato il successo formativo con l’accesso universale formativo. Il successo formativo e’ una presa in giro per tutti a cominciare dagli studenti, che sotto l’idea errata della democrazia si ritrovano a non avere un insegnamento idoneo.
Mi ricordero’ per sempre quello che, in questo paese dove vivo, e’ stato detto ad un mio amico e collega: “Il tuo lavoro’ non e’ insegnare, e’ creare “circondiani” felici e con il pezzo di carta”. A mio avviso, non e’ un approccio distante da quello italiano ed e’ classista. E’ classista perche’ non tiene conto del fatto che a negare le classi sociali non siano i popolani pitocchi ma proprio le classi piu’ opulente.
L’istruzione e’ parte di un piano industriale e sociale che le nazioni (intesa come comunita’ di destino) devono avere. La competenza e la conoscenza sono le uniche vere risorse in un regime capitalista. Considerare l’istruzione come spesa pubblica e’ una bestialita’ di questa sinistra liberista. Anche qui si stravolge il vero senso dell’istruzione, che e’ investimento sul futuro.
Altresi’ ,non e’ un caso che , sempre a mio avviso, i ministri italiani dell’istruzione e del lavoro e delle politiche sociali siano dei completi inetti ed analfabeti.
Un’ultima considerazione: l’emigrazione non la subiscono le classi ad alto reddito (ad esempio non ho mai visto, un campo rom o accoglienza ai Parioli) ma proprio il sottoproletariato urbano delle borgate. Il Visconti, liceo della buona borghesia non fa differenza e lo rimarca.
Un saluto
Hai solo ragione..e non una..mille ! Mia figlia sta per dare la tesi, sono nella condizione di aiutarla nella stesura .. io che ho un diploma tecnico conseguito negli anni 80… la Divina Commedia ed i Promessi Sposi, li studiammo integralmente, e le interrogazioni erano a sospesa..ricordo che snocciolavano a memoria e ricordo ancora oggi la tavola degli elementi e i pesi atomici … va beh…roba antica…in allora non si protestava…Non vi erano complessi di inferiorità..o viceversa. Se studiavo bene…altrimenti eri bocciato. Giusto così.
Grazie Costanza del coraggio con cui affronti questa tematica scomoda. Sono una docente di un liceo scientifico. Ho insegnato in diversi istituti nel corso della mia carriera e mi trovo perfettamente d’accordo con te sulla drammaticità del livellamento verso il basso. Il problema non è solamente limitato all’apprendimento delle discipline. La scuola non riesce più a preparare i ragazzi alla vita che troveranno fuori una volta usciti dalle mura rassicuranti di una scuola che offre troppe possibilità di recuperare. La vita non ci offre possibilità infinite di recuperare. Dobbiamo dire ai nostri ragazzi che la fatica e l’impegno portano frutti e ai genitori dobbiamo ricordare che difendere a spada tratta i propri figli non li farà crescere come persone pronte ad affrontare le difficoltà che la vita pone inevitabilmente sul cammino di ognuno.
Bravissima Costanza, condivido in pieno! Sei forte!!
E brava Costanza! Tu sì che vuoi una SQUOLA PIU’ MIGLIORE! Al di là della facile battuta: sottoscrivo ogni tua parola e condivido la tua stessa preoccupazione.
Grazie di cuore.
D’altronde il livellamento verso il basso è una malattia infantile dei sinistri che vogliono il popolo bue… e probabilmente la Fedeli è il Ministro dell’Istruzione che l’attuale scuola italiana, purtroppo, merita… 😦
Che la scuola abbia bisogno di un certo ritorno alla disciplina ed all’ordine è sotto gli occhi di tutti.
Ma la restaurazione del passato non funziona mai, piuttosto occorre recuperare ciò che di positivo era presente nella vecchia scuola, integrandolo con gli aspetti positivi della modernità.
Pertanto sì alla grammatica ,ma non trascuriamo l’informatica e la storia.
P.S. Il figlio di un fruttivendolo non diverrà mai avvocato ma rappresentante di pomodori pelati o impiegato alle Poste.
Conosce il signor Brozzi la storia del cardinal Sarah? Meditiamo…
È un intervento che condivido totalmente. Il politicamente corretto sta diventando un modo di pensare “ottuso” e privo di buon senso. Un trascinamento verso il basso della nostra eredità culturale in nome di un multiculturalismo che non poggia su basi di pensiero solido ma soltanto su slogan.
Per questo discorso della mediocrità e per molti altri aspetti noi abbiamo deciso di non mandarli i figli a scuola e di farci carico di tutta la responsabilità. Ci accingiamo a giugno a fare l’esame di prima elementare del primo figlio e ora mai per noi è chiaro che siamo avanti anni luce. A scuola nessuno chiederebbe la fatica e il lavoro che pretendiamo a casa. E vi assicuro che i miei figli stanno seduti molto meno che i bambini a scuola ma lavorano moooolto di più. E non sono geni.
Il nostro primogenito a dichiarato a 5anni il suo programma di vita “Io non voglio fare fatica”non avrei nessun alleato, a combattere questa sua tendenza, dentro la scuola.
Non ho nulla di meglio da offrire ai miei figli se non la fede e tutta la cultura possibile a fronte di infiniti sacrifici.
Postilla…abbiamo amici con figli disabili gravi che siccome non mandano i figli a scuola e siccome non c’è segnalazione di una maestra non riescono ad avere aiuti che aspettano a chi è iscritto. Il disabile è aiutato sole e se (e è molto male con sempre meno ore) è iscritto e c’è una segnalazione che non si riesce a gestire in classe. Abbiamo visto amici battersi per vedersi riconoscere il minimo per logopedisti educatori ecc…ed a qualcuno neanche la diagnosi è stata fatta. Ma garantita se iscriveranno i figli a scuola
Basti pensare cosa insegnano a sQuola, quali teoremi e verità assurde propinino ai giovanissimi, dalla teoria dell’evoluzione, oramai sorpassata e desueta, all’illuminismo, Voltaire in primis, campione di libertà (!) …non ci siamo…affatto, la Storia è artatamente mistificata, tutto ciò che siamo lo dobbiamo all’esplosione di Fede avvenuta 2.000 anni fa nel bacino del Mediterraneo, grazie ad un gigante di nome Paolo di Tarso, dobbiamo questa civiltà ai Padri della Chiesa, dobbiamo la cultura ai Monaci, ogni arte tramandata grazie alla lungimiranza della Chiesa, Università , Ospedali: Leone XIII precursore illuminato dei “sindacati” moderni…. La Chiesa di Roma, il Cattolicesimo…dovremmo esserne orgogliosi ( io lo sono ) di esserne figli; sento la paura di moltissimi a professarlo, il politicamente corretto è duro a morire, ne siamo infarciti , pieni zeppi. Cristo non lo era affatto ! Egli è Maestro è la Via. Cosa ci costa ammetterlo sempre dovunque, con chiunque ?
Per chi fatica nel’ apprendere, posso dire per esperienza che c’è sostenio e sostenio ….perché guai a fare lavorare un bambino fuori classe, si sentirà diversi e soffre….
in questo ho visto le gare delle maestre confrontare sempre chi con il programma è più avanti delle altre classe.
Certo è facile lavorare con chi è bravo…..ma gli altri ???…..vedo una ingiustizia….
Brutto ricordo.
Stupendo? No, di più, sacrosanto. Anche s ai nostri politici non interessa proprio (avete sentito parlare di scuola nella campagna elettorale in corso?)
Cara Costanza ho letto il suo sfogo e lo condivido in toto.
Anche riallacciandomi a temi recenti di questo blog considero davvero angosciante dover curare la crescita di figli nella società odierna.
Io sono da poco uscito dall’incubo scuola per i miei figli e non invidio affatto chi ha figli piccoli oggi.
E` assolutamente vero che “la scuola ci vuole tutti mediocri” perché il principio di chi raggiunge il potere resta sempre che è meglio avere un popolo mediocre e, aggiungo, senza dignità.
Che fare?
Forse, dico forse, se si sviluppassero le cosiddette scuole autogestite familiari si potrebbe aprire uno spiraglio di soluzione. E` un po’ come tornare al medioevo quando la gente – essendo inesistente e inefficace il potere statale – si riuniva in gruppi omogenei e lì riorganizzava tutta la vita: il culto, la scuola, l’arte, le botteghe… Credo oggi si chiamino Communities.
Ho già espresso il mio apprezzamento di insegnante in un commento a un post precedente avendo letto l’articolo sul cartaceo. Avrei un’infinità di cose da dire a proposito dell’articolo di una persona che è seriamente interessata ai problemi della scuola anziché ad affermare il proprio ego, esprimere preconcetti e propagandare le soluzioni imposte all’alto dai gruppi di potere che contano, come avviene di norma per le grandi firme della stampa mainstream.
Una risposta a Carlo Brozzi però voglio darla. Tra gli amici di mio papà, gente nata tra novanta e cento anni fa, ne ho conosciuti diversi che erano diventati professionisti di successo o funzionari di alto livello essendo figli di barbieri, sarti, contadini e operai. Non è vero che questo non può accadere, accadeva e c’è da chiedersi semmai perché non accada più. Ma affermando che non può accedere in linea di principio, oltre a dire una cosa non vera, si fa il gioco di chi punta a dequalificare la scuola sempre di più.
A Costanza Miriano vorrei dire: ha un’idea di quello che accadrebbe oggi alla sua insegnante che metteva 1- per incoraggiamento? Non perderebbe il posto, certo, perché oggi questo non può quasi mai accadere (per ora); ma sarebbe sottoposta a un mobbing insopportabile. Anche perché per fare una cosa simile occorre avere un’autorevolezza e una reputazione che, oggi, noi insegnanti abbiamo molto difficilmente. Sulle cause di questo ci sarebbe da discutere al ungo e quindi mi astengo.
Un’altra considerazione: mi dispiace sinceramente che l’eroe eponimo di questo trattamento cui la scuola è stata sottoposta negli ultimi cinquant’anni sia un sacerdote cattolico. Anche perché credo (credo soltanto, perché non ne so abbastanza) che ciò sia accaduto ben al di là di quelle che erano le sue reali intenzioni.
In conclusione specifico che mi firmo con un nick, qui come su altri blog, perché non desidero che i miei alunni “googlino” il mio nome e vengano a sapere come la penso su ogni cosa sulla quale intervengo. Di ciò mi scuso, ma non ritengo di poter fare altrimenti.
Ci avrebbero solo dovuto provare a mobbizzare la mia prof. Li avrebbe inceneriti. Oggi immagino che essere i soli a tenere una certa linea sia molto più faticoso…
Infatti Costanza, hai centrato il problema alla perfezione; chi difende le tue stesse tesi (che condivido in pieno) nella scuola di oggi deve fare una fatica enorme e prevedere di affrontare molti ostacoli ideologici; magari in un contesto di lavoro precario e famiglia da mantenere….
Il lavoro di giornalisti come te è molto prezioso perchè può contribuire a ragionare diversamente…e se si iniziano a cambiare le teste…allora si può ripartire.
Tornando alla scuola, io ad esempio sarei favorevole al ripristino del latino alle medie e all’insegnamento non facoltativo della religione cattolica; non si tratta di una imposizione religiosa (nessuno obbligherebbe i ragazzi ad andare a Messa o in generale a vivere secondo il Vangelo), ma di riconoscere che il cristianesimo cattolico ha conformato la nostra società. Sinceramente comprendere la nostra letteratura, la nostra arte e la nostra storia senza sapere nulla di religione cattolica la vedo un pò dura. Tanti saluti.
Ho letto il vostro post e condivido ciò che dite.
Quanto al fatto che oggi non ci sia più una sana e doverosa mobilità sociale,si vede dal fatto che
determinate professioni siano ormai appannaggio di chi è figlio e nipote di un professionista,vedi
i farmacisti , notai ed avvocati.
Se Luigi Enaudi negli anni cinquanta proponeva l abolizione del valore legale del titolo di studio, insieme a quella degli ordini professionali una ragione esisteva.
Poi ci stupiamo se i nostri ragazzi sognano un futuro da calciatore o cronista.
accadere, non accedere ..
Mentre concordo in toto con il contenuto (ed il significato) dell’articolo e con la quasi totalità dei commenti, mi permetto un’osservazione: i livellamenti sono sempre, purtroppo, verso il basso.
Ero solito esemplificare il concetto come segue: se in un cesto di mele sane ne poniamo una marcia, dopo un po’ di tempo le mele saranno tutte marce; se, invece, in un cesto di mele marce ne poniamo una sana MAI E POI MAI esse diverranno tutte sane.
per una volta, non condivido alcuni aspetti.
Primo: abituiamoci a parlare di scuola pubblica statale e non statale, e non di scuola privata, ti prego! L’assenza di parità effettiva e di concorrenza reale tra scuole è una delle vere piaghe italiane (oltre a essere la radice della scuola-indottrinatrice di gramsci a memoria).
Però non condivido neanche il rimpianto per la scuola che fu. Tutt’altro che mitica, spesso popolata da docenti bacucchi e incapaci di relazioni, talvolta inutilmente Crudele e cruda.
Sono per il lassismo? No di certo.
Sono per il buonismo? Dio mi scampi!
Sono per il 6 politico? Giammai, evviva le bocciature (che però sono sempre sconfitte).
Sono per docenti validi, motivati, veri maestri, che sappiano insegnare e farsi ascoltare. E ben venga se – con giudizio – sanno usare le tecnologie, sanno dialogare coi ragazzi, fanno vedere film e serie tv, e così via. Per esempio i prof dei miei figli al Faes hanno fatto un progetto “twitta Manzoni” per coinvolgere i ragazzi parallelamente alla lettura dei Promessi Sposi.
Insomma, la scuola deve trovare modalità sempre nuove per trasmettere saperi vecchi e nuovi.
Scusa lo sfogo
A parte il mio errore, su cui hai ragione – è scuola pubblica anche quella non statale – io credo che la pensiamo allo stesso modo. i miei docenti del liceo erano, tutti tranne uno, un post sessantottino laureato in filosofia – capaci di insegnare e farsi ascoltare. Sono comunque del 70 e non del 1937. Mettevano i 2 ma io li rispettavo non per paura, bensì perché ne riconoscevo l’autorevolezza: percepivo che davano la vita per noi e per le loro materie. Erano innamorati di Erodoto e Virgilio e Gadda e Dante e Manzoni, vibravano quando ne parlavano…
Alcuni erano così. Ma non mitizziamo, c’erano anche tanti fanatici, asociale, forsennati, e anche lavativi.
Credo che i migliori di allora, cercherebbero oggi di usare al meglio le nuove tecnologie, per esempio.
Per questo mal sopporto i discorsi nostalgici, se non su un tema: l’abbassamento del livello culturale, dalla primaria all’Università.
Cmq è vero che la pensiamo sostanzialmente allo stesso modo 😉
Non trovo che una bocciatura sia necessariamente una sconfitta. Secondo me, significa solo che un ragazzo ha bisogno di un po’ più di tempo per assimilare…
E se un paese decide di insegnare la lingua prima di inserirle nella classe, viene definito razzista.
E’ vero, però, il contrario. Apprendere la lingua del posto ti rende libero. Per esempio, ti rende libero dalla necessità di qualcuno che ti faccia da interprete e che, magari, manipoli le informazioni a proprio uso e consumo….
E’ vero, però, il contrario, solo la conoscenza della lingua del posto dove si vive rende liberi (per esempio, dalle manipolazioni che un interprete potrebbe dare….)
Perfetta, complimenti!
Condivido in pieno.
Vorrei aggiungere, cara Costanza, una cosa che ho appena scoperto per caso, nel sentire mio figlio (1° di liceo classico) ripetere la storia e sono rimasta scioccata: una rilettura della cultura greca del periodo omerico completamente stravolta, non più cultura di eroi, ma “cultura della vergogna” e il “padre dell’archeologia” Schliemann diventa un “fortunato imbroglione”.Credo che viviamo in un periodo davvero difficile in cui non vi è più onestà intellettuale.
Infatti ho appena scoperto che oggi si insegna ai nostri figli che la cultura omerica non è fatta di eroi, di uomini che, al primo posto, ponevano la difesa del proprio onore ma è “una cultura della vergogna” cioè, nel mondo omerico – secondo questa nuova visione antropologica – l’eroe non era forte e coraggioso perchè in primo luogo cercava la gloria, l’onore, ma perchè era tormentato dal senso di vergogna. Ora, dico io, è chiaro che in una società che poneva in primo piano l’onore,chi non si comportava in modo onorevole provava un sentimento di vergogna! e il testo così continua così: “la vergogna colpiva soprattutto chi si era reso colpevole di viltà davanti al nemico. Non c’è posto per i vili e per le donne non virtuose: questi comportamenti portano alla perdita della stima e quindi all’emarginazione sociale se non alla morte. Il mondo omerico imponeva dunque un pesante controllo sociale sugli individui , nessuno escluso.L’esempio più celebre è quello di Ettore che sceglie di affrontare l’invincibile Achille e quindi di andare incontro a morte sicura, piuttosto che salvare la propria vita al riparo dalle mura di Troia.” !!!??? Che dire ?
Quindi tutta la civiltà omerica- tutti i suoi valori – onore, forza, coraggio, valore dell’amicizia, rispetto sacro dell’ospite- tutto questo oggi viene ridotto a “cultura della vergogna”. Sono veramente sconvolta perchè subdolamente si trasmette in modo distorto il passato ai nostri figli e alle attuali generazioni: dopo aver gettato discredito sulla civiltà cristiana con – purtroppo – ottimi risultati, adesso si vuole annullare il valore eroico della cultura greca.
Certo perché tutto ciò che non è liquido è percepito come fastidioso e opprimente. Un tempo si insegnava l’eroe che cercava di superare le paure, andare oltre le colonne, e dare la vita per qualcosa di più grande. oggi in una cultura che vuole formare consumatori è un’idea percepita come inammissibile. Posso chiederti chi è l’autore di questa letteratura?
Mi permetto di rispondere perché ho una certa esperienza di libri di testo e di cultura greca arcaica. La lettura della società omerica come “cultura della vergogna” si trova su tutti i libri di testo per liceo da decenni. A seconda del peso che l’autore vuole dare a questa interpretazione può essere confinata in una piccola scheda o essere rievocata in continuazione.
Se invece ci si chiede quando è nata questa interpretazione, l’espressione “cultura della vergogna fu coniota dall’antropologa R. Benedict nel 1946 per descrivere la cultura tradizionale giapponese. Nel 1951 fu uno studioso di nome E. Dodds ad applicarla alla società omerica.
Il fulcro di questo tipo di società è l’onore, in una forma che dipende completamente dal riconoscimento dei pari. Per questo, si dice, Agamennone non può rinunciare al suo “bottino di guerra”, la bella Crideide, senza veder messo in crisi il suo ruolo di capo supremo. E per questo Aiace impazzisce dopo che gli altri capi hanno votato per dare in eredità ad Odisseo le armi di Achille, negandogli il riconoscimento di “miglior combattente dopo Achille”.
Perché la cultura greca elabori una concezione del tipo “posso avere tutti contro ma quello che conta è che io sappia di aver agito bene” ci vorrà un Socrate.
“Se invece ci si chiede quando è nata questa interpretazione, l’espressione “cultura della vergogna fu coniota dall’antropologa R. Benedict nel 1946 per descrivere la cultura tradizionale giapponese”
Non mi permetto di scendere nello specifico della storia antica… però Ruth Benedict e il suo “Il crisantemo e la spada” trovano certo miglior collocazione nella sezione “propaganda&fake news” che in quella “antropologia” (oltre a tutto, penso che certi temi siano piuttosto ostici per una studiosa).
“La nobiltà della sconfitta”, di Ivan Morris, stava e sta su un altro pianeta.
Del resto già lo stesso Bushido è chiarissimo. “Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: lui stesso”. E tutto l’Hagakure si dipana su questo sentiero.
Diciamo che la Benedict, nel ’46, voleva più che altro sovralimentare il già cospicuo senso di superiorità degli occupanti… 😛
Ciao.
Luigi
@Giovanna
Alla domanda di Costanza ne aggiungo se posso un’altra: da qualche parte nel libro viene indicata QUALE cultura è “buona e giusta” ? O tutta l’antichità in blocco è considerata spazzatura?
(non vorrei costringerti a leggere il libro intero ma forse già dai titoli dei capitoli si intuirà quale civiltà viene indicata dall’autore come modello ideale).
Standing ovation a Costanza. Nei commenti sono state dette molte cose, ma mi sembra che latiti o non sia stato compreso a fondo, invece, il problema della tecnologia, pur citato.
Prendo spunto dal commento:
Per esempio i prof dei miei figli al Faes hanno fatto un progetto “twitta Manzoni” per coinvolgere i ragazzi parallelamente alla lettura dei Promessi Sposi. Insomma, la scuola deve trovare modalità sempre nuove per trasmettere saperi vecchi e nuovi.
Comincio a dire che ovviamente sono d’accordissimo con l’ultima frase; solo che bisogna capire come va intesa. Perché nella prima parte del paragrafo c’è il problema.
Premetto che sono tecnologo da sempre: finito il dottorato, mi sono occupato sempre – tra le altre cose – di trasferimento tecnologico nelle aziende; ho lavorato per aziende piccole, medie e grandi (incluso multinazionali della Silicon Valley) in quasi tutti i campi industriali, tranne un paio. La premessa serve a far capire che chi scrive non è certo uno che osteggia la tecnologia.
Tuttavia, quando leggo (perché non ne ho testimonianze dirette) come è organizzata la scuola oggi, mi rendo conto che è totalmente intossicata dalla tecnologia.
Una cosa è imparare ad usare il computer e non obietto. Ma “imparare ad usarlo” per me vuol dire affiancarlo ad altri strumenti, non far diventare tutto l’apprendimento computer-centrico. Io non so quanto siano effettivamente diffuse le lavagne elettroniche super-tecnologiche… ma sono una cosa folle. In vent’anni di professionismo, e in contesti sofisticati, non solo non ne ho mai vista una, ma né io né tutti quelli con cui ho lavorato ne hanno mai sentito l’esigenza. Se è vero che in ambito lavorativo poi i documenti è inevitabile che finiscano in formato elettronico, tutte le fasi di ragionamento e discussione vengono tranquillamente svolte o seduti al tavolo e su fogli di carta, oppure con una lavagna tradizionale (il pennarello meglio del gessetto, anche se esteticamente più brutto, per problemi inerenti alla polverosità del gesso). I metodi di sviluppo del software più sofisticati (quelli che molti neo-laureati sognano di applicare, ma pochi possono, finendo a lavorare in aziende che tipicamente li impiegano come tacchini in batteria) prevedono parimenti un grande uso di lavagne e post-it. Io, che faccio minoritariamente anche formazione aziendale, mi trovo in enorme difficoltà se non ho una lavagna tradizionale. Sempicemente… perché sono lo strumento migliore per il problema.
D’altronde è già provato che più si usa una tastiera per scrivere più si disimpara a scrivere a mano (specialmente in corsivo); più si usa una calcolatrice, più di disimpara a fare calcoli a mente; più si usa Google e Wikipedia per cercare informazioni, più si disimpara a ragionare, valutare le fonti in modo critico, eccetera. In vent’anni, d’altronde, ho costantemente avuto a che fare con le nuove generazioni che entrano in azienda, e ho potuto constatare il veloce decadimento delle loro capacità: persone sempre meno in grado di risolvere problemi autonomamente, incapaci di fare qualsiasi cosa che non sia stato loro insegnato esplicitamente.
E questo per quanto riguarda chi lavora in attività tecnologiche. Le società, per essere guidate correttamente, hanno bisogno di conoscenze classiche, e figuriamoci (ormai sono di fatto disprezzate e poste in modo subalterno). La scuola dovrebbe anche formare cittadini, capaci di volare un po’ più in alto, visto che viene richiesta loro la responsabilità di votare, quindi figuriamoci. È del tutto evidente che c’è un disegno per avere una società fatta di masse di “operai” (magari pure laureati) sempre più automi e sempre più dipendenti dalla tecnologia; in attesa di esserne, in gran parte, sostituiti; manovrati da elite, che usano la tecnologia come nuova versione della frusta e delle catente. Basta vedere anche cosa vogliono venderci sempre di più: macchine che frenano da sole (con allucinanti pubblicità che martellano il concetto che tu puoi anche grattarti la pancia mentre guidi, e vedremo quali saranno le conseguenze, per non parlare dei sistemi per “avvertirti” se stai per chiudere il pupo in auto sotto il sole) e l’ultima recente pubblicità già vagheggia di una società futura “senza più l’errore”, tutto grazie alla maggggica tecnologia. Figuriamoci.
Su un altro piano, è allucinante vedere come la scuola assecondi la privatizzazione di fatto di molte aree sociali, come la comunicazione. Qui sto parlando di Facebook e Twitter. Negli anni ’90, quando accedetti ad internet per la prima volta, si potevano fare già tutte le cose fondamentali che si fanno oggi: ovvero scambiare documenti, discutere in gruppi di persone, eccetera. Certo, con strumenti meno sofisticati e – fatemi dire – meno luccicanti. Ma erano veramente indipendenti, perché quella generazione di informatici – pur se magari per i motivi sbagliati, ovvero idee anarco-comuniste – era quasi ossessionata dall’invadenza delle multinazionali. Vent’anni dopo Google, Facebook e Twitter (et al.) si sono impossessate della nostra comunicazione, al punto che la controllano e la censurano; i nostri governi, invece di opporsi, sono stati complici di questa tendenza, ovviamente non per caso. Noi dovremmo insegnare alla gente (e quindi ai giovani ancora di più) a contrastare queste cose; e invece devo vedere la scuola che propone “esperienze” di lavoro proprio con questi strumenti, che – già detto sopra – non sono altro che catene e palle al piede, solo “luccicanti”?
@Fabrizio, concordo…
Grande Costanza! Condivido pienamente il tuo pensiero!
E grazie a Fabrizio che ha spiegato molto bene il rapporto tra conoscenza e tecnologie!
@ Fabrizio Giudici….buongiorno !!!
Concordo con te quanto hai scritto sopra, mi ricordo ancora della scuola di una volta, …rispetto,prima di tutto per gli maestri / maestra…calcolo mentale, ortografie,calligrafia che oggi con la tecnologia si è perso molto.
Ho letto e sentito che in Francia adottano un medoto diverso, come il Singapore…soprattutto per la matematica e calcolo mentale e questo già alle prime elementare…senza tastiere …e disciplina..serie per l’apprendimento……non so se ne hai sentito parlare …..
Certo il nostro stato, ci vuole asini…..non so…Grazie e buona giornata pace e bene….
Buongiorno a te, marierose.
Di Singapore non so, della Francia qualcosa avevo sentito, ma alla fine non ne so molto. Quello che temo è che rimangano iniziative isolate: perché l’involuzione scolastica – come concludi tu del resto – non è un caso, ma un programma ben definito e scientemente perseguito, sia in Italia che in altri paesi…
Certo a senture tutti i vostri commenti, stimo una fortuna non aver fatto un concorso per insegnante di diritto negli istituti tecnici, concorso a cui pensai dopo la laurea.
Veramente è stato un colpo di fortuna, anche perchè poco dopo trovai lavoro, come dirigetne amministrativo, in una grossa impresa di pompe funebri (dove sono tuttora).
E, vi posso assicurare che i miei “clienti”, sono silenziosi, rispettosi, non si lamentano mai………a “loro” non c’è da fare alcun appunto………..
Tanto d’accordo che da un anno e mezzo a Piacenza abbiamo aperto la scuola parentale “Giovanni Paolo II” (e già questa dedica fa capire tante cose, spero): chi iscrive i propri figli lo fa proprio per le ragioni che porta Costanza, oltre che per motivi valoriali, ma le cose vanno insieme
La misura del tutto forse la fornisce la mia compagna di classe grande K (così rispettiamo la sua privacy) attualmente prof di matematica nel nostro ex liceo classico.
In pratica, per quello che mi dice un 8 di oggi equivale ad un 5 dei nostri tempi …. e non è che son passati molti anni!
Brava Costanza! Quando ho letto l’articolo del liceo Visconti mi sono chiesta che cosa c’era di così terribile nel presentare una scuola in quella maniera.
Per fortuna tu hai avuto il.coraggio di dire la tua e parlare anche per noi.
Un bellissimo articolo che centra perfettamente i “dolori” della scuola dei nostri figli. Ma noi italiani quando ci sveglieremo?
Grazie Costanza, per aver detto così bene quello che penso da un pezzo, da quando, cioè, son tornata nel mondo della scuola attraverso i miei figli.
Finora pensavo di essere una madre ipercritica e arretrata, ma leggere che non sono la sola ad aver notato la mediocrità della scuola un po’ mi rinfranca, se così si può dire.
Cara Costanza,
la mia vicenda professionale degli ultimi anni è la prova provata della validità del tuo pensiero. Nell’ambito educativo in cui già mi trovavo da qualche tempo abbiamo messo in piedi un liceo scientifico paritario con l’intento di offrire una scuola che preparasse umanamente e culturalmente i ragazzi ad affrontare la vita, niente di originale in realtà, ma ciò che dovrebbe qualificare, non solo nelle intenzioni, qualunque scuola.Nel nostro liceo si chiedeva ai ragazzi di lavorare con serietà e con la stessa serietà si cercava di offrire loro ipotesi e strumenti di lavoro. Si studiava? Certo! Ma tutti gli alunni avevano “una vita”, alcuni anche molto piena, erano affaticati come chiunque di noi si affatica nel suo affaccendarsi quotidiano, nessuno piegato dal peso dello studio. Ne parlo al passato perché nel frattempo di quel liceo ne è rimasta solo una classe. Non voglio essere semplicistica, le cause che hanno portato alla mancanza di iscrizioni sono molteplici, ma tante volte ho sentito l’obiezione sul fatto che la nostra fosse una scuola dove “bisogna studiare( molto)”, spesso più comodamente tradotta in “è una scuola per geni” (ti posso assicurare che gli studenti erano sì motivati allo studio, ma tutti geni, no; come in tutte le scuole del regno ve ne erano di più o meno intelligenti, più o meno versati all’aspetto scientifico, umanistico, linguistico, più o meno comunicativi o riflessivi, etcc,,).
Un dettaglio: nel frattempo la Fondazione Agnelli ha pubblicato i suoi studi di settore e il nostro liceo di piccola città di provincia è risultato il migliore della regione, infatti chiude. Anche questa è la scuola italiana.
Fabrizio Giudici ha assolutamente ragione. Bisogna però chiarire un possibile equivoco: non sono gli insegnanti a volere tutto ciò, a partire dalle LIM (lavagne interattive multimediali). Viene imposto dall’alto. Nessun insegnante avrebbe voluto che si investissero milioni di Euro per acquistare simili strumenti anziché, poniamo, per mettere a posto sotto il profilo della sicurezza almeno una parte di quella maggioranza assoluta di scuole che non lo sono affatto.
La scuola delle tre I (inglese, Internet, Impresa) è stata disprezzata quando era uno slogan del leader del centro-destra, ma scrupolosamente attuata da entrambe le parti politiche nei loro governi. Il che fa sospettare, anche ai meno inclini al complottismo, che si tratti di acquiescenza a input che vengono da gruppi di pressione esterni.
Gli insegnanti vengono semplicemente accusati di inadeguatezza se protestano e obiettano.
Due colossali fesserie sono state e sono tuttora propagandate come verità rivelate (mi scuso per l’irriverenza nei confronti di quelle vere). Quella dei nativi digitali e quella della loro mente “multitasking”. Basta trascorrere qualche ora in un laboratorio informatico con ragazzi delle scuole secondarie (personalmente ne ho ormai trascorse centinaia) per rendersi conto di quello che del resto è ovvio: al computer, quello che non gli è stato insegnato non sanno farlo. Per il semplice motivo che, se pure hanno già usato lo strumento informatico per molto tempo, non hanno affrontato quelle logiche, quelle procedure e quei software che sono finalizzati a un impiego professionalizzante (mi scuso per il termine detestabile, ma rende un’idea sia pure approssimativa).
Per quanto riguarda la mente multitasking, cioè la capacità di impegnarsi contemporaneamente in più attività, questa è dono particolare di alcune persone. Sembra che lo fosse, ad esempio, di San Giovanni Paolo II, stando ad alcune attendibili testimonianze. Come lo era, notoriamente, di Napoleone Bonaparte. Ma non è l’assuefazione a spolliciare perpetuamente sullo smartphone che rende capaci di ciò. Le persone con una mente normale, delle quali faccio parte, possono fare una cosa per volta, e quando si distraggono si distraggono. E la diffusione dell’informatica non ha prodotto alcuna mutazione genetica in tal senso.
Eppure su simili presupposti vengono impostate e attuate riforme metodologiche.
Per quanto riguarda l’autentica infamia – a mio parere – che è l’alternanza scuola / lavoro, questa, che ha comportato lo scardinamento del concetto stesso di Liceo come era stato concepito dall’antichità sino a poco fa, è stata imposta senza discussione parlamentare, con il voto di fiducia sotto il ricatto del “se non lo votate, andate a casa e perdete i contributi versati”.
A questi siamo ridotti.
“Basta trascorrere qualche ora in un laboratorio informatico con ragazzi delle scuole secondarie (personalmente ne ho ormai trascorse centinaia) per rendersi conto di quello che del resto è ovvio: al computer, quello che non gli è stato insegnato non sanno farlo.
Non sono un’insegnante, e tantomeno un’esperta di informatica ma questo fatto ha impressionato anche me. Bisogna dire loro: fai A. Ok adesso fai B. Ok adesso fai C.
Mi sono resa conto spesso che nella pratica conoscono solo l’applicazione che usano. Appena si esce da quella non sanno da dove cominciare… E questo vale per molti altri nessi logici (a loro mancanti) in altre discipline che affrontano. Ad una certa età dei ragazzi noi ci aspettiamo che dicendo A facciano almeno ABC in modo autonomo, e invece no.
Senza offesa a chi realmente ha handicap mentali… ma non di rado mi sono detta che mi pareva di avere a che fare con dei ritardati mentali – nonostante fossero dei ragazzini “normalissimi”. Infatti sono normalissimi per i tempi odierni.
(altro che multitasking. Forse multi-rispondenti agli ordini di chiunque, quello sì).
Noto anche io: i miei figli sono sempre sul cellulare (una lotta continua per staccarli…), ma se devono prenotare un treno o cercare un autobus, non sanno che pesci pigliare….
Tu digli che si può fare da cellulare (perché si può…) 😀 😀
Bariom, lo so che si può fare e lo sanno anche loro, ma, curiosamente, si perdono in un bicchier d’acqua….
😉
Sooo ragazzzzi…
Che ti posso dire, anch’io con i miei tre (oramai grandicelli) spesso intervengo quando penso sia il caso e la reazione più o meno è sempre quella: “Ma papaaaaà, lo so anch’io! Comunque non è così, ma cosà …cosù. cogiù…”
Insomma, fatti li cavoli tui 😀
Poi però: papà, non riesco qui, mi aiuti là, qui come si fa, mi faresti questo qui, questo qua?
Ma ci stà 😉 anche questo è essere padri… diminuire sin che loro crescano.
Alle volte ci farebbe piacere un grazie in più, ma tanto non ci tiriamo indietro lo stesso, giusto? 😉
Giustissimo!
La scuola attuale è frutto di un disegno preciso: produrre persone senza strumenti, senza anima, manipolabili. I potenti non cambiano mai.
Sento continuamente dire che la scuola dovrebbe occuparsi sempre di nuove cose (il bullismo, il sesso, le dipendenze, le disabilità, …) e spaziare in mille temi (più lingue, più tecnologie, più ideologie, …). Questa è la strada percorsa negli ultimi decenni e a quanto pare non funziona: la scuola diventa un minestrone insipido in cui alla fine il ragazzo viene indottrinato a pensare che una cosa vale l’altra ossia niente vale. In questo modo si è anche instillato in molti genitori l’idea che di certi temi se ne debba occupare la scuola e non loro; si è anche creata concorrenza fra genitori e scuola per cui, agli occhi dei ragazzi, il genitore viene licenziato in favore del professionista, a sua volta licenziato in favore dei social media.
In questo contesto, in cui le voci sono tante e contrastanti, non ha senso sperare in un ritorno, per legge, a una scuola secondo l’antropologia cristiana. Non ha senso perché non lo si otterrà. E` lo stesso errore di sperare di abolire oggi la legge sull’aborto per vie politiche. La società è quella che è e occorre operare con le persone che ci sono, genitori, ragazzi, insegnanti.
Io penso che bisognerebbe chiedere che la scuola faccia “di meno”. Che si limiti ai fondamentali. E, contemporaneamente, lo stato dovrebbe dare spazio (cioè tempo e libertà d’azione), o almeno non ostacolare, tutti quegli enti (privati) che completano la formazione: oratori, club, società sportive e artistiche, associazioni, ecc., ciascuno sencondo le sue preferenze. Questo obbligherebbe finalmente ragazzi e famiglie a scegliere da soli come occupare il tempo. Scegliere. Sbagliando anche, ma scegliere.
mi chiedo ancora come sia possibile fraintendere quello che c’è scritto. Chi ha capito che Miriano ha problemi con gli studenti affetti da qualche patologia è proprio in mala fede. Oppure è come quei genitori che menano i professori per un brutto voto (in effetti la violenza verbale usata è praticamente la stessa)
Da Professore di Scuola Secondaria, e da persona che con 2 Lauree ha mangiato fango per 11 lunghi anni fra contratti ridicoli e minacce continue di perdere il lavoro, posso dire che è vera OGNI PAROLA di questo articolo.
E aggiungo anche una considerazione: non si creda che siano i giovani di oggi a mancare all’appello con la storia, perchè su di essi pesano come macigni le responsabilità di 1 o 2 generazioni che hanno distrutto l’io morale, l’impianto familiare, la dimensione spirituale. Ma loro non ne hanno fatto le spese, essendo stati educati con quegli stessi valori che hanno distrutto, e potendo quindi giovare di una certa struttura. I giovani di oggi invece pagano a carissimo prezzo questi colpi del Demonio, e si sentono pure dire, in modo assai beffardo, che “sono poco seguiti dai genitori, sono deboli psicologicamente, sono fragili, sono senza sogni e senza ideali”… se lo sentono dire dagli stessi adulti che ne sono i responsabili. E la politica, per ovviare a ciò,, in modo direi geniale comanda alla scuola di cedere su quasi tutti i fronti. Forse bisognerebbe ripristinare una giusta disciplina, e pretendere su molti aspetti, e forse anche bocciare di più, ma il problema è molto più profondo, e si chiama MANCANZA DI ESEMPI DA SEGUIRE. Perchè non sarà mai nè lo stato nè una riforma nè un libro a educare l’uomo. L’uomo può essere educato e crescere solo grazie ad un altro uomo, che egli ritiene un ESEMPIO. Questo solo EDUCA veramente.