Se Dio fosse veramente il dio che gli atei negano

Da quando nel lontano 2010, in occasione del Discorso alla curia romana, Benedetto XVI propose l’apertura di una sorta di Cortile dei gentili, nella Chiesa sono state numerose le iniziative, di vario livello, volte a promuovere il dialogo con le religioni diverse dal cattolicesimo e con le persone che si professano non credenti, fino ad arrivare all’ultimo Cortile di Francesco organizzato dalla comunità francescana e dal Pontificio Consiglio per la Cultura. Un evento straordinario che ha portato in dialogo ad Assisi, dal 14 al 17 settembre, importanti personalità – dal Card. Ravasi ad intellettuali, politici ed artisti del calibro di Cacciari, Augè, Isgro, Christo – con incontri gremiti di pubblico che si sono svolti, oltre che al Sacro Convento, anche in molti luoghi della città. Ancora una volta credenti di varie religioni e atei si sono incontrati, per confrontarsi senza pregiudizi su temi che interrogano e sfidano la nostra contemporaneità.

Le occasioni di incontro tra credenti e atei, se capaci di un confronto intellettualmente onesto, sono sempre auspicabili e fonte di arricchimento per tutti. Eppure, in alcune di queste occasioni, per quanto si dialoghi su tutto, e si trovino anche punti d’accordo su molti argomenti, spesso si finisce per sorvolare sulla domanda principale strutturalmente sottesa a ogni Cortile dei gentili: come mai diversi uomini e donne dicono di non credere in Dio?

Certo non risponderemo noi a questa domanda, che accompagna la riflessione teologica e filosofica da secoli, e che ha ispirato capolavori della letteratura, della musica e dell’arte in genere. Proviamo solo a offrire qualche spunto di riflessione, consapevoli che senza un’adeguata comprensione dei motivi che conducono alla negazione di Dio non si possa avere neppure una adeguata comprensione dei motivi che portano alla fede.

Nella Gaudium et spes, al n.19, si offre al lettore una specie di fenomenologia dell’“ateismo”, termine con il quale sono designati fenomeni diversi tra loro. Nelle righe di seguito riportate, infatti, troviamo elencate diverse tipologie di ateo in cui può capitare di imbattersi nella vita.

«Alcuni negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l’uomo non possa dire niente di Lui; altri poi prendono in esame il problema di Dio con un metodo tale per cui questo sembra privo di senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive o pretendono di spiegare tutto solo da un punto di vista scientifico, oppure non ammettono più alcuna verità assoluta[…]. Alcuni tanto esaltano l’uomo, […] inclini come sono ad affermare l’uomo più che a negare Dio. Altri immaginano Dio in modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano in nessun modo è il Dio del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire nessuna inquietudine religiosa né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L’ateismo inoltre ha origine non di rado o dalla protesta violenta contro il male del mondo, o dall’aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell’assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio».

Da quest’analisi si comprende come con il termine “ateismo” siano designati fenomeni diversi che hanno però tutti in comune un elemento su cui riflettere: il dio che gli atei negano è quasi sempre un’immagine distorta, parziale, idolatrica di Dio. Questo dimostra come fede e ateismo siano in un rapporto molto più stretto di quanto comunemente immaginiamo. Non è forse evidente che se Dio fosse veramente il dio che gli atei negano, anche i credenti finirebbero per contestarlo?

Quali motivazioni vengono addotte, in linea di principio, per la negazione ateistica di Dio? Si respinge Dio come colui che limita l’uomo e non si vede che è per il rapporto con il Trascendente che l’uomo ha in sé qualcosa di infinito; si respinge Dio come colui che sottomette l’uomo e non si vede che proprio il rapporto con Dio libera l’uomo dalla servitù agli idoli vuoti; si respinge Dio imputando a lui la causa del male e del dolore nel mondo e non si vede che è proprio così che l’uomo si consegna alla disperazione del nulla e dell’insensato. E ancora: per alcuni Dio si presenta nella figura dell’estraneità e dell’alterità, dell’ignoto, e, pretendendo di pervenire alla sua identità solo con gli strumenti della ragione, non si vede che è nell’affermazione della trascendenza che l’uomo trova la sua verità più autentica. Se Dio fosse veramente dispotico, lontano ed estraneo all’uomo, usurpatore della libertà delle sue creature, forse i cristiani crederebbero in Lui?

La tentazione più grande è quella di costruire delle maschere di Dio: un’immagine distorta, parziale, idolatrica del vero Dio. Ricordiamo come Adamo ed Eva non avessero alcun motivo per credere alla tentazione del «serpente», eppure si lasciarono convincere che Dio Padre fosse un despota rivale dell’uomo. Il pericolo di ridurre Dio a un idolo, prodotto delle nostre interpretazioni e dei nostri schemi mentali, è una tentazione anche per i credenti. Ricordiamo la reazione di Pietro all’annuncio della passione e morte di Cristo (Mc 8,31-33). Pietro si ribella: Gesù rappresenta Dio e – pensa – Dio non può essere sconfitto. I credenti non sono immuni dal pericolo di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza; spesso sono anche i primi a dare una cattiva testimonianza, con la loro incoerenza, nascondendo così agli atei il vero volto di Dio.

Fede e ateismo stanno in un rapporto molto più stretto di quanto comunemente si pensi e sarebbe interessante creare occasioni di confronto sul tema dell’idolatria, ovvero sul vero peccato contro il vero Dio, radice di ogni negazione del divino. La questione resta quella, per atei e credenti, di indicare il vero volto di Dio, per verificare appunto se il dio che gli atei negano non sia altro. La domanda su Dio è inesauribile, ma è necessario riformularla continuamente e richiede una continua purificazione dalle nostre interpretazioni. La Rivelazione è un invito rivolto all’uomo perché converta la propria idea di Dio – spesso confusa con gli idoli – verso i tratti dell’unico vero Dio.

Credenti e atei si incontrino, e dialoghino su tutto, senza sorvolare sull’unica domanda che riguarda gli uni quanto gli altri: «A chi dunque avete lasciato che Dio somigliasse?» (Is 40, 18).

fonte: La Porzione

 

 

14 pensieri su “Se Dio fosse veramente il dio che gli atei negano

  1. Eh si, il problema alla base è solo uno: la non-conoscenza di Dio, o quanto meno del vero volto di Dio.

    Ma “Dio nessuno lo ha mai visto…”

    Però “…proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.” (Gv 1, 18).

    Purtroppo anche la rivelazione di Cristo, per un ateo – e non di rado anche per un credente – non è così univoca o diciamo di semplice e immediata comprensione (e c’è bisogno di aderire alla Conoscenza e Sapienza della Chiesa per pervenirvi in pienezza).

    Vero che Cristo dice “chi vede me, vede colui che mi ha mandato.”, ma ci vogliono occhi per vedere, occhi limpidi e innocenti…

    Così Dio, che pure è Creatore di tutto ciò che ci circonda e senza il quale nulla sussisterebbe, rimane questo “grande sconosciuto”…

    E’ quindi forse più facile rispondere alla domanda: «A chi dunque avete lasciato che Dio somigliasse?» che non a: «chi è Dio?»
    Se esuliamo dalle risposte pre-formulate, è domanda che talvolta mette in crisi anche il credente, perché la risposta più semplice: “Dio è Padre (Dio è mio Padre)”, è tutt’altro che semplice.

    Alla fine ciò che conta, seppur il confronto tra atei e credenti può essere interessante, non è tanto il confronto di idee – io sono ateo e questa è la mia idea di ateo, io sono credente e questa è la mia idea di credente – ma la domanda “…e voi chi dite che io sia?” che anche se formulata al plurale, era una domanda personale a ciascuno dei Discepoli.

    Tu, Giovanni, Marco, Anna, Francesco, Elena… chi dici che io sia?
    Perché è la risposta personale che paradossalmente ti interroga, perché conta cosa credi tu, nel tuo profondo ed è anche l’occasione perché la risposta sincera ed esperienziale, si faccia testimonianza nel credente o apertura alla ricerca nel non-credente.

    (Poi, ovviamente, come ricordava Fabrizio un commento addietro, c’è chi semplicemente se ne frega, ma a costoro il confronto semplicemente non interessa).

  2. Mario

    Catechismo della Chiesa Cattolica capitolo III, 153: “La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da Lui infusa”.

  3. giuseppe

    “intellettuali, politici ed artisti del calibro di Cacciari, Augè, Isgro, Christo”
    è ironico, vero?

  4. Antonio Spinola

    Dice Claudia Mancini
    Ricordiamo come Adamo ed Eva non avessero alcun motivo per credere alla tentazione del «serpente», eppure si lasciarono convincere.

    Ma a mio modestissimo avviso, la pericolosità del cosiddetto “dialogo con i non credenti” sta tutta qui, è un’esperienza direi primordiale, ne siamo stati avvisati:
    se persino Adamo e Eva (che erano senza peccato… e senza intellettuali!) si lasciarono convincere dal serpente (che non era certamente ateo), figuriamoci le masse dei cristiani confusi e peccatori d’oggi.
    Sta bene il “cortile dei gentili”, con l’accortezza che quei dialoghi restino debitamente “recintati”, rimanendo accademici per accademici, e non vengano costruiti pericolosi ponti per seminare ulteriore relativismo laicista nelle povere vigne del Signore che già di loro danno spesso ben poco frutto.

    (Poi, anche tra credenti… non è che non manchino i rischi!)

    1. Francesco Paolo Vatti

      Francamente non credo affatto che il serpente fosse ateo. Perché avrebbe dovuto esserlo? Era ribelle a Dio, questo sì, ma non penso avesse neppure la possibilità di negarne l’esistenza…

        1. Certo che il serpente non era ateo, conosceva la sapienza di Dio , ma il suo era per indivia, voleva essere Dio….ecco il male, e tutte le tentazione d’idoli. ( penso cosi ) ciao e grazie…

        2. Francesco Paolo Vatti

          Chiedo venia, ho letto male! Mio padre lo diceva sempre che la fretta è cattiva consigliera!

  5. sabino

    Quando si parla di dialogo, credo che bisogna sempre partire dalla Rivelazione. Qual’è il mandato che Gesù prima di salire al Padre ha lasciato agli apostoli e ai discepoli? quello di annunciare la buona novella a tutti i popoli (Mt. c.28, 19-20, Mc. c.15,18, Lc. c.24, 46-48. Gv. c.20, 29).Questo è un mandatp che riguarda ogni cristiano, che deve però sempre ricordarsi che chi evangelizza non è lui, ma il Signore, se il Signore vive in lui e nella misura in cui vive in Lui. Altrimenti sono solo chiacchiere.
    .E allora il dialogo? Il dialogo si può fare nell’evangelizzazione, come ci insegna Paolo ad Atene (Atti, c:17, 20,23). Egli ricorda agli ateniesi prima l’altare dedicato a Dio Ignoto, un Dio che lui è venuto a svelare, e poi il verso dell’Inno a Zeus, che non è il dio della mitologia, ma la concezione della Divinità cui è pervenuta la più alta speculazione filosofica greca, una Divinità, di cui, secondo quel poeta, tutti sono progenie.
    Paolo cosa ha fatto? Ha utilizzato quei semi di verità che Dio ha donato ad ogni uomo prima dell’Incarnazione e prima dei profeti (v.Rm. c.1, 19-20) e che nonostante il peccato non sono andati perduti e che i giusti hanno ascoltato nel loro cuore. Sono semi perciò che possono germogliare e fiorire al contatto con la Rivelazione.
    Ma allora il dialogo è in qualche modo a senso unico? No, perchè il cristiano, se è tale, non si sente il soddisfatto possessore di una verità, ma se mai il posseduto di una Verità, che, se ha ricevuto, lo trascende infinitamente e che egli perciò non deve stancarsi di farsene possedere in modo sempre più profondo e più totale.Ognuno di noi, se è onesto con se stesso, sa quanti aspetti della Verità trascura o dimentica e che il di.logo con il non cattolico, il non cristiano, il non credente può fargli ritrovare ed amare in modo più vero e serio. Quanto la Chiesa cattolica deve non solo al convertito, ma anche all’anglicano Newman? quanto don Barsotti deve all’ortodosso Dostojewski, alla spiritualità della Chiesa Orientale e perfino all’ateo Leopardi? Edith Stein nella sua conversione non ha molti debiti con i coniugi luterani di cui era amica e presso i quali trovò l’opera di S.Teresa d’Avila che cambiò la sua vita?
    Il vero problema è che nel dialogo si deve partire dalla Verità e alla Verità si deve tendere. Se invece si parte dall’errore , si finisce in un errore maggiore.

      1. E Pilato chiese…che cos’è la verità ??…penso che ogni uno cerca nel suo cuore questa verità anche un ateo,…. a volte è più coerente di un credente….sono doni espresso nella vita, di ciascuno….

      2. Francesco Paolo Vatti

        Cosa oggi più difficile, data la confusione che regna sovrana un po’ ovunque….

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