di Antonio Gurrado Il Foglio
Accogliere i voti perpetui di una monaca di clausura italiana è un evento raro nella carriera di un vescovo (accadrà mediamente una volta, due per quelli di lungo corso, spesso mai) nonché ottimo termometro per la salute del cattolicesimo popolare. L’ho capito assistendo alla professione di una giovane clarissa: nella modernità frivola e un po’ rozza di una cittadina della Murgia barese, ecco un lampo d’eternità fondato sulla certezza che per ogni donna che scelga di entrare per sempre in monastero la professione sarà ripetuta fra cinquecento anni con le stesse parole di cinquecento anni fa. Cambia il contesto tuttavia perché la modernità evolve e oggi s’acquatta nello spettacolo, nel tentativo di cogliere l’attimo per creare l’evento, con le mani che svettano sulla folla nel Duomo di Altamura per scattare foto con l’iPad e il pulpito, ormai deserto dalle prediche, utilizzato per le riprese della tv locale culminanti nel momento in cui la professa viene cinta di una corona di spine e scatta un applauso giulivo, parossistico. Ripeto: applauso; ripeto: corona di spine.
“La modernità è buona”, scriveva Fogazzaro, “ma l’eternità è migliore”. La perdita di questa gerarchia è diventata la cifra del cattolicesimo popolare italiano. Volete farvene un’idea? Guardate Tele Radio Padre Pio nella mezz’ora di diretta dalla cripta di San Giovanni Rotondo (alle 15 ogni giorno), contate quanti nel flusso continuo di pellegrini salutano verso l’obiettivo o fotografano il cadavere, magari con in primo piano la faccia pasciuta e tronfia del figlioletto, poi moltiplicate per le ore di apertura e disperatevi per l’abisso di contingenza in cui è piombato il senso eterno della nostra religione.
A che serve infatti una monaca di clausura? I preti rispondono: a ristabilire una media, a pregare mentre noi non ne abbiamo il tempo. Ciò causa mugugni perché anche quei pochi rimasti fra i banchi delle chiese sono vittime del luogo comune per cui qualcuno è utile se agisce, se va in missione, se cura ammalati e sfama poveri. Va bene, agiamo, ma a Dio chi parla? La nostra religione è basata su un libro in cui Gesù dice cose tremende inappellabili come (Giovanni 15, 5) “senza di me non potete far nulla”: ci ricordiamo che qualsiasi azione benefica, sceverata dal sacro, diventa fine a sé stessa cioè inutile? Poi, magari, a furia di voler fare e fare finiamo in fila per tre quarti d’ora allo stand del Nepal all’Expo perché sentiamo un bisogno di spiritualità da soddisfare sedendoci due minuti davanti a un Buddha di plastica. A che serve una monaca di clausura? A pregare mentre noi la riprendiamo stupefatti.
Nelle inquadrature delle nostre moderne scatolette, da testimone dell’eternità la monaca diventa fenomeno inconsueto di cui acchiappare una testimonianza per curiosi: com’è strano che una giovane donna scelga di sacrificare tutto alla preghiera! Invece è normale che una ragazza lavori in un call center o una mamma faccia turni di notte. Serpeggia fra i banchi lo scandalo non tanto per la clausura e nemmeno, figuriamoci, per la castità: ci scandalizza l’irreversibilità, questo martellante “faccio voto per tutto il tempo della mia vita, perseverando fino alla morte” che la professa scandisce in promesse eterne. Fa scandalo una scelta che davvero non finisce mai (echeggia il Belli: “E’ un penziere, quer mai, che tte squinterna”) oggi che tutto viene misurato in ragione delle opportunità quindi ovunque fioriscono scappatoie professionali e sentimentali che ci precludono il coraggio di dire: basta, restiamo qui. E scandalizza sentir parlare della morte come presenza concreta che non spaventa perché l’eternità della promessa la supera e la vince, mentre la modernità – “Mo faccio un selfie a mio marito”, proclama una nella bolgia delle ultime file – serve solo a distrarci. Aveva ragione Pascal: arriverà il Giudizio e solo un’incommensurabile misericordia eviterà che la salvezza sia per singole anime scelte fra migliaia, mentre le masse batteranno le mani allo show dell’apocalisse e si faranno un selfie col diavolo che se le porta.
fonte: Il Foglio
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Triste ma verissimo questo articolo, di Antonio Gurrado, ripreso da Il Foglio…
“La modernità è buona”, scriveva Fogazzaro, “ma l’eternità è migliore”. La perdita di questa gerarchia è diventata la cifra del cattolicesimo popolare italiano. Volete farvene un’idea? Guardate Tele Radio Padre Pio nella mezz’ora di diretta dalla cripta di San Giovanni Rotondo (alle 15 ogni giorno), contate quanti nel flusso continuo di pellegrini salutano verso l’obiettivo o fotografano il cadavere, magari con in primo piano la faccia pasciuta e tronfia del figlioletto, poi moltiplicate per le ore di apertura e disperatevi per l’abisso di contingenza in cui è piombato il senso eterno della nostra religione.
Eh già. Prima ci si raccoglieva attorno al vitello d’oro in preghiera, ora col vitello d’oro ci faremmo una foto. Sono d’accordo con Pascal pure io. Solo la Misericordia di Dio potrà salvarci. Confidiamo nel Suoi occhi di Padre,che possano guardarci con pedagogica tenerezza,appuntando le nostre mancanze come frutto di miseria umana. La vedo dura pure io, ma qualcuno tempo addietro pregando l’aveva quasi convinto a salvare un’intera città facendo leva sulla presenza di una manciata di giusti.
E’ importante però non dimenticare quel “quasi”. La città, poi, è stata spazzata via da una pioggia di fuoco. Anche la pioggia di fuoco è misericordia, soprattutto per quelli che restano.
“Vivere la volontà di Dio nel presente con perfezione è trovare la via della propria santificazione. Non tutti, infatti, possono consacrarsi a Dio, non tutti possono praticare pesanti penitenze, digiuni, veglie, non tutti possono dedicare ore e ore alla preghiera. Tutti, invece, possono fare la volontà di Dio. Il fare la volontà di Dio è la carta d’accesso delle folle alla santità”….“Tante volte molti pensieri ci tormentano considerando ciò che potrà avvenire… Ma «a ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 34): domani si volta pagina per la pena di domani! E non c’è mai motivo di turbarci, perché tutto è nelle mani di Dio ed Egli non permetterà che si compia nient’altro che la sua volontà”. (Chiara Lubich)
http://www.cittanuova.it/pensiero_del_giorno/?mese=2
Fare la volonta di Dio è la carta d’accesso alla santità per tutti! Vedi i coniugi Martin… e quanti come loro!
Buona giornata a tutti
Grande articolo! Bravi ad averlo messo in evidenza.
bastava non esporre il cadavere di San Giovanni Paolo II al pubblico ludib…pardon al pubblico telefonino.
Anch’io ero rimasta sbigottita dal fatto che dopo un’intera giornata di processione (credo 12 ore, mai umanamente avrei pensato di farcela) le persone una volta arrivate davanti alle spoglie del Santo Padre utilizzassero i pochi attimi concessi per una foto….. Voglio pensare che catturare quegli attimi sia servito nella vita di ciascuno ad una nuova conversione
Io di foto non ne feci ma nel caso specifico suggerirei prudenza, temperanza e compassione: i selfie non erano ancora stati inventati e la foto alle spoglie può pur essere una sorta di reliquia ex contacto.
all’insegna dell’et-et 🙂
Non capisco: perché sarebbe preferibile dire “basta, resto qui”? Perché il santino comprato fuori dalla basilica sarebbe preferibile alla foto ricordo fatta col telefonino? Perché il “per sempre” del matrimonio dovrebbe essere inferiore a quello della clausura?
Se il prezzo per non avere neanche una “monaca di Monza” deve essere quello della decimazione delle vocazioni – ben vengano poche suore, ma granitiche!
Siamo sicuri, sig. Gurrado, che cinquecento anni fa le professioni di fede fossero più libere e consapevoli di oggi?
Però ho un dubbio: alla fine della cerimonia di consacrazione, non si applaude? Non è una festa? Francamente non so.
Ma del resto ci siamo abituati ad applaudire ai matrimoni, ai funerali, agli aerei che atterrano: ripensandoci, tutte espressioni di sollievo – anche stavolta, c’è l’abbiamo fatta, non è toccato a noi…
A proposito, Antonio: quand’è che ti sposi?
applaudire al termine della consacrazione e’ un abominio.
gli applausi in chiesa? segno che non si pensa a Chi abbiamo davanti, presente, ma alla superficie del fatto occasionale “nostro”. Non credo che Gesu’ Cristo sia mai stato applaudito…
Perché non dovrei applaudire Gesù?
Invece davanti alla Sua presenza dobbiamo essere seri, mogi mogi. Non sarà il vostro caso, ma puzza di ipocrisia lontano un miglio …
Mi sa che avete la sindrome del collo torto oppure quella di Mikal (2 Sam. 6.16 ss)
Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Poiché grande Dio è il Signore,
grande re sopra tutti gli dei. salmo 94/95
Beh, c’è quella vecchia storia dell’entrata trionfale a Gerusalemme
https://asinoumbro.files.wordpress.com/2012/04/maesta_duccio-ingresso_a_gerusalemme.jpg
… seguita peraltro dal “Crucifige, crucifige”
https://collegara.files.wordpress.com/2011/04/duccio-gesu-pilato.jpg
Per cui, sì, mi asterrei dagli applausi in chiesa…
https://www.youtube.com/watch?v=2qPrgYxjNLo
Pasolini è profeta di oggi. “Difendi, conserva, prega”.
Ma anche, più pianamente, il caro Camillo
https://ecologiadelverso.wordpress.com/2013/10/19/camillo-langone-manifesto-della-destra-divina-difendi-conserva-prega-vallecchi-2009/
Oppure, per non finire a ‘destra’, la lettera-appello dei cosiddetti marxisti ratzingeriani sull’emergenza antropologica.
Eh, caro Pierre, qua fra Camillo Langone e Pierre Chaunu, a destra ci siamo già finiti, non so se basta la tua lettera-appello a controbilanciare. A69
Verrà l’Apocalisse e tutti applaudiremo facendoci un selfie con il diavolo
se rimarrà ancora qualcuno…
Chi sarà l’ultimo bambino a nascere in Italia? un paese condannato all’estinzione,dove ci sono più bare che culle.
di g. meotti Il Foglio di oggip.1 e 4.
intervista a Blangiardo ordinario di scienze statistiche all’università di milano.
” ..è mai esistito un precedente nella storia della civiltà?
“a quanto è stato possibile ricostruire,l’impero romano è crollato per la stessa debolezza demografica” Lo studioso della sorbona pierre chaunu, analizzo il crollo demografico del tardo impero,il passaggio dai 55 milioni di abitanti dell’epoca augustea a 25 milioni.
e ci scrisse sopra un libro formidabile: ” un futur sans avenir.histoire et population”(1979)
il presente italiano.dove ci son più bare che culle.
Sulla stessa patetica linea e più vicino alla quotidianità di tutti noi, è anche l’applauso ad un feretro che esce dalla chiesa alla fina della cerimonia funebre. Già la sola idea del silenzio, dell’essere più o meno soli con l’Eterno mette i brividi. Grande articolo!