A che cosa servono i social

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di Paolo Pugni

Noto sempre più spesso che sui social media si discuta, con toni appassionati che talvolta diventano accessi fino all’esagerazione, di vicende d’attualità. Ad esempio in questi giorni si dibatte sul neonato delle “mamma dell’acido” sottrattole appena nato, senza neanche permettere un abbraccio materno. E noto che ci si accapiglia sulla vicenda.

Personalmente non lo trovo interessante, anzi lo trovo un errore –parere mio ovviamente- perché non conduce da nessuna parte. Innanzitutto non possediamo mai gli elementi in toto per poter esprimere un parere, figuriamoci un giudizio; per questo trovo pericoloso mettersi a discettare di fatti di cui si è soltanto sentito parlare, come fanno opinionisti di pochi scrupoli che non controllano neppure le fonti. E se questo, a mio avviso, è una mancanza di rispetto, se praticato da chi si definisce giornalista, lo ritengo una grave mancanza etica e professionale, facendo la figura di chi scaglia un sasso perché qualcuno glielo ha messo in mano, senza sapere a chi e dove lo sta tirando.

A volte poi il tutto avviene senza la minima coerenza di pensiero. Senza nemmeno essere coerenti con sé stessi: si commenta e si strilla per il gusto di farlo, per alimentare polemiche, per dare addosso. A chi? Prendi ad esempio il polverone sollevato dalla 27esimaOra e dall’Huffington, per nominarne due a caso, contro chi ha sottratto il neonato, all’atto stesso del parto, alla madre “dell’acido” (infelice descrizione, peraltro crudelmente precisa).

Urlano contro i diritti del bambino, e della mamma. Peccato che siano testate accanitamente attive nella difesa della pratica dell’utero in affitto per dare figli alle coppie omosessuali, in quel caso non esistono diritti del bimbo? La cosa è talmente scandalosa che è scesa in campo Marina Terragni che, con grande lucidità, ne ha scritto così: “sono alcuni commenti a lasciarmi sconcertata. Per esempio, Gianna Schelotto, Corriere di oggi: “I bambini durante la gravidanza assorbono tensioni, ansie, gioie“. E Daniela Monti, sulla 27 ora: “a quel bambino abbiamo già tolto il diritto al primo sguardo materno, alla prima poppata, al primo rapporto esclusivo – visivo, gestuale, di nutrimento – con la madre su cui tanti studi insistono, rintracciando proprio in quei primi istanti amorevoli le basi per un corretto equilibrio psichico e relazionale“.
Mi domando se questo non valga anche per quei bambini nati da donne-contenitori, o uteri in affitto. Loro forse non assorbono dalla madre “tensioni, ansie, gioie”? Loro non sono forse privati di quel “diritto al primo sguardo materno, alla prima poppata, al primo rapporto esclusivo” e a tutto ciò che dovrebbe seguirne?”

Ciò detto a me interessano i fatti per poter risalire di livello, astrarre e ragionare di ciò che ci può insegnare qualche cosa: non dunque di Marina, quanto piuttosto della maternità e se sia giusto/sbagliato sottrarre ad un neonato l’abbraccio con la mamma a prescindere (a prescindere dal fatto che poi sia meglio per il piccolo stesso essere affidato ad altri ); se sia necessario possedere una patente di genitore diplomato per generare e nel caso chi debba attribuire questa patente (e se questo non finisca per portarci dentro un incubo fantascientifico); non mi interessano le vicende di questi ragazzi morti per droga, oppure no, in discoteca o sul lungomare se non per il dolore che la scomparsa di una persona sempre produce specie se giovane, mi interessa parlare di educazione, di genitori, di società, di sballo, di depressione, di (in)felicità, delle cause che hanno prodotto questo.

Secondo me, e ribadisco secondo me, questo diventa interessante, questo diventa utile. Questo è un modo affascinante di sfruttare i social, che di suo può sembrare un bar, di quelli degli anni Cinquanta-Sessanta quando passavi lì prima di tornare a casa, a farti un bianchino con gli amici, e una chiacchierata buttata lì, come se fossi uno statista, come se fossi un intellettuale. Ecco, invece lo si può far diventare caminetto, falò, luogo dove ci si confronta con onestà e vigore cercando di imparare. Perché quand’anche, avendo tutti i dati, fossimo in gradi di esprimere il parere finale, imparziale, vincolante, giusto sul figlio di Alex e Martina, che cosa ne avremmo guadagnato? Invece che a me interessa che insieme, grazie al contributo di tutto, in modo socratico, ci sia materiale per imparare, per trovare indicazioni per la prossima volta, per trovare spunti. Per chiedere conto al CorSera ed Huffington Post, delle loro incoerenze, delle loro ideologie. Per aiutare amici a riflettere.

A questo devono servire i social, secondo me.

15 pensieri su “A che cosa servono i social

  1. Stef

    …. Bravo Paolo! Finalmente, ben detto! Che diritto e soprattutto che elementi abbiamo noi x giudicare??
    E, finalmente, a questo servono i social!

  2. Pienamente d’accordo con Paolo.
    In più vorrei aggiungere che:

    – mancando il contatto fisico, spesso, non si capisce quello che si vuol dire/commentare
    – Solitamente chi discute nei social non legge più di 140 caratteri (twitter insegna)

  3. Bri

    In merito al discorso generale a partire dai “polveroni sollevati”, a mio avviso, si tratta di discernere l’obiettivo dalla presumibile funzione di qualcosa
    L’obiettivo dei media è di natura politica o economica non assolvere la loro funzione (magari civile, magari etica).
    Nel loro caso l’assolvimento della funzione è irrilevante rispetto al raggiungimento dell’obiettivo, cui invece è oltre maniera funzionale un polverone

    D’altro canto, un obiettivo dei social media non esiste. La loro funzione nemmeno. Sono strumenti che ognuno è libero (purtroppo) di impiegare come meglio (relativamente) crede (far polemica, trollare, pontificare, distruggere, insultare …) .
    Il risultato è quel che è

    Certo l’obiettivo di costruire (e preservare) oasi in cui si riesce a conferire una funzione positiva, ovvero un’utilità, all’impiego del social media come quelle proPugnate porta già in sè del buono

  4. 61angeloextralarge

    Paolo: grazie per la chiarezza e la lucidità di questo post. Ci voleva proprio.

  5. “Sebastian Franck, un mistico del passato remoto usato per giudicare il passato prossimo: «Franck non avrebbe avuto esitazione nel considerare Anticristo il cosiddetto “papa buono”, Giovanni XXIII, che pensò di convocare un concilio per aggiornare l’insegnamento della Chiesa come se il Vangelo avesse bisogno di adeguarsi ai tempi». E il presente: «Frank non avrebbe dubbi sul fatto che anche oggi la Chiesa, anzi, le Chiese, siano abitate più che mai dagli Anticristi, dal momento che prevalgono in esse il dialogo e la conciliazione col mondo, la ricerca dell’accordo col mondo». Sapendo, stavolta direttamente da Cristo, chi è il principe di questo mondo, ognuno tragga le sue conclusioni: io ho pensato a tutti quei cardinali, Kasper, Marx, eccetera, a tutti quei vescovi, Galantino, Mogavero, eccetera, visibilmente bramosi di benedire il peccato, di chiamare bene il male”

    [Camillo Langone, polemista cattolico] [il Giornale]

    1. Anonimo69

      SI, SI, tutto quello che dite voi, però affidare un bambino ad un madre, di cui una sentenza dice quanto segue:

      Riguardo alla pena di 14 anni inflitta alla «coppia diabolica», i magistrati hanno poi spiegato che Martina Levato e Alexander Boettcher «non hanno mai esternato PENA O DOLORE» per Pietro Barbini, aggredito con l’acido, e si sono dimostrati «insensibili» e privi di «sentimenti». Secondo il collegio presieduto dal giudice Anna Introini, «i due amanti, portando all’attenzione del tribunale la loro totale assenza di empatia, si sono dimostrati completamente centrati su loro stessi, insensibili e del tutto indifferenti ai sentimenti altrui, chiusi nelle loro logiche personali, incapaci di dimostrare sentimenti ed emozioni sincere». I giudici hanno inoltre sottolineato di ritenere «ampiamente la responsabilità penale degli imputati» per il reato di lesioni gravissime, «correttamente qualificato dal pubblico ministero» Marcello Musso e «sussistenti tutte le aggravanti di cui al capo d’accusa, ad accezione della aggravante della crudeltà».

      Se si pensa poi che avevano già tentato di procurare lesioni con l’acido ad un giovane (salvatosi grazie all’ombrello) e di tagliare il pene ad un altro. Sarà, ma per me quei 2 (Martina e Alex), non potrebbero insegnare nulla di buono ad un bambino. A69

  6. Così, per esempio, Bergoglio:

    “…una ricerca, quella che dobbiamo intraprendere, che si esprime in domande sul significato della vita e della morte, sull’amore, sul lavoro, sulla giustizia e sulla felicità. Le esperienze più frequenti che si accumulano nell’animo umano provengono dalla gioia d’un nuovo incontro, dalle delusioni, dalla solitudine, dalla compassione per il dolore altrui, dall’insicurezza del futuro, dalla preoccupazione per una persona cara”. E più oltre: “Perché dobbiamo soffrire e alla fine morire? Ha ancora un senso amare, lavorare, fare sacrifici e impegnarsi? Che cosa stiamo a fare nel mondo?” E infine: “Il mito di Ulisse ci parla del “nostos algos”, la nostalgia, che può provare soddisfazione solo in una realtà infinita”.

  7. Meeting Rimini, “Le coppie omosessuali più esposte a malattie cardiovascolari e suicidio”
    (in Danimarca è stato dimostrato quello che era già ovvio che fosse)

    1. vale

      il risultato di uno studio approfondito sulla popolazione danese svolto da due ricercatori – M. Frisch e J. Simonsen – e pubblicato nel 2013 nell’International Journal of Epidemiology. Si chiama “Matrimonio, coabitazione e mortalità in Danimarca: studio nazionale su 6,5 milioni di persone seguite per tre decenni (1982-2011)”. Lo studio è citato a pagina 65 del libro “Gender – L’anello mancante?”, appunto scritto da padre Carbone, il quale si sforza con questo di spiegare che bisogna partire dalla realtà, dai dati veri, e non dall’ideologia.

      http://www.lanuovabq.it/it/articoli-lombra-di-repubblica-sul-meeting-di-rimini-13625.htm

  8. …esiste anche un altro studio incontestabile dove si dimostra che i non cattolici maschi
    hanno più cancro alla prostata e propensione al suicidio che di quelli cattolici!

  9. …non è che i dati siano veri o non veri, ma che conclusioni trarne da questi dati
    Che di sodomia si muore (dicevo sopra) o ci si suicida? E allora?

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