di monsignor Riccardo Mensuali*
Gentile Costanza,
ti chiedevi, opportunamente, alla vigilia dell’Udienza che Papa Francesco ha concesso ai fidanzati in preparazione al Matrimonio, che cosa mai potesse avere a che fare il giorno di San Valentino col percorso di preparazione al Sacramento del Matrimonio. È evidente, tanto più ai nostri giorni, l’esagerato scarto tra il Sacramento della fedeltà e dell’eternità, cammino quotidiano tra gioie e dolori alla luce della Passione e Resurrezione del Signore e, se va bene, una cena pseudoromatica in un caotico ristorante della durata di due ore, al più.
Grazie a Dio, ascoltate ora le parole del Santo Padre pronunciate a San Pietro, la stessa domanda se la deve essere posta il Papa. Che infatti ha approfittato di un’occasione, mondana ormai, per insegnare qualcosa dell’amore cristiano. Se la Chiesa è magistra lo è soprattutto nell’amore, che si impara. Nell’antica Roma il 15 Febbraio si festeggiavano i Lupercalia, festa pagana i cui riti rimandavano al tema della fecondazione, dunque al rapporto che conduce alla procreazione. I cristiani, come erano soliti fare (e come facciamo anche oggi …) si posero il problema di immettere un messaggio cristiano per rispondere a giorni di festa pagani e idolatri. Scelsero la storia del martire Valentino. Papa Gelasio I avrebbe così istituito la festività di San Valentino, che pare si fosse adoperato anche per favorire l’unione in matrimonio di una coppia che, oggi, si direbbe mista: una cristiana e un pagano. Comunque la data del martirio corrispondeva a quei Lupercalia che bisognava far dimenticare e sopprimere. Mi scuso per la breve introduzione ma, mutatis mutandis, a me pare che una simile operazione sia alla base di ciò che il Papa ha scelto di fare, accettando l’invito del Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e ricevendo 25.000 ragazzi che intendono, a breve, sposarsi in Chiesa.
Rivolgendosi ai vescovi spagnoli nel 2006, il Card. Jorge Bergoglio così si esprimeva:
La vita del cristiano è una continua lotta contro il potere suggestivo degli idoli, contro Satana e il suo tentativo di portare l’uomo all’incredulità, alla disperazione, al suicidio morale e fisico. Dimentichiamo che il cammino cristiano si misura non solo col metro del tragitto percorso ma con quello della grandezza della lotta, con quello della difficoltà degli ostacoli superati e con quello della ferocia degli assalti a cui si è resistiti. Per questo motivo il giudizio sull’odierna vita di fede è complesso. Non è sufficiente considerare le statistiche sociologiche – l’aspetto quantitativo di quanti cristiani, quanti praticanti …– ma bisogna tenere presente la lotta forse drammatica per la fede e il vangelo che un cristiano deve sostenere ogni giorno per continuare a credere, operando secondo il vangelo o, almeno, resistendo contro l’incredulità.
Quest’accento sulla relatività dell’aspetto sociologico, quantitativo, mi pare perfettamente applicabile al numero dei giovani fidanzati che si preparano al Matrimonio e, di conseguenza, alle statistiche relative al Matrimonio come Sacramento. I numeri non sono dalla nostra parte, non ci consolano.
Sconfitta allora? Papa Francesco non ama piangersi addosso, prima di tutto. Non ama lamentarsi. E poi, sembra dire nel 2006, non è tutto là, nei numeri. Bisogna imparare che tutta la vita cristiana è una lotta. Con altre parole lo ha detto anche lo scorso 14 Febbraio, memoria di un martire cristiano, Valentino. Una lotta contro gli doli. E un idolo dei nostri tempi è il provvisorio, l’effimero, il precario. È bello finché dura. Il Papa ha detto, invece:
vi state preparando a crescere insieme, a costruire questa casa, per vivere insieme per sempre. Non volete fondarla sulla sabbia dei sentimenti che vanno e vengono, ma sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio. La famiglia nasce da questo progetto d’amore che vuole crescere come si costruisce una casa che sia luogo di affetto, di aiuto, di speranza, di sostegno. Come l’amore di Dio è stabile e per sempre, così anche l’amore che fonda la famiglia vogliamo che sia stabile e per sempre. Per favore, non dobbiamo lasciarci vincere dalla “cultura del provvisorio”! Questa cultura che oggi ci invade tutti, questa cultura del provvisorio. Questo non va!
E il tema della pazienza, della fatica, emergeva con evidenza il 14 Febbraio:
Il matrimonio è anche un lavoro di tutti i giorni, potrei dire un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria, perché il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito. Crescere anche in umanità, come uomo e come donna. E questo si fa tra voi. Questo si chiama crescere insieme.
In un intenso articolo uscito sull’International New York Times il giorno seguente, dal titolo “Il Matrimonio tutto o niente”, Eli J. Fikel si domandava se i matrimoni di oggi siano migliori o peggiori di quelli di ieri. La risposta dipende molto, secondo l’autore americano, da ciò che ai nostri giorni si cerca in una relazione matrimoniale, dalle aspettative che vi si ripongono. E nell’era dell’individualismo, dell’espressione del “sé”, una volta risolte le necessità di base del cibo e della casa, il matrimonio è il tempo e il luogo del benessere interiore, della cura e della valorizzazione del sé e della sua parte nobile, l’anima, la dimensione spirituale. Ma per realizzare questi “high needs” c’è bisogno di tempo, di attenzioni, di reciproche cure dei due “sé” che si uniscono. La contraddizione è che viviamo in un tempo dove invece tutti corrono, si passano accanto rapidamente e si sfiorano appena. Papa Francesco richiama tutti, non solo evidentemente i fidanzati, a riscoprire la relazione come un’arte, un’ascesi, una salita. E non mi pare poco, davanti ad una generazione che non ha simpatia alcuna per la fatica, la costanza, la fedeltà alla resistenza. Che crede, stolta, di sapere cos’è l’amore. La Croce di Cristo, dunque, si riprende il posto che le spetta, nell’orizzonte del Sacramento, perché il matrimonio non duri il tempo che dura lo scartare di un cioccolatino.
* Monsignor Riccardo Mensuali, Pontificio Consiglio per la Famiglia
Admin, teoricamente, nella penultima riga del secondo paragrafo ci vorrebbero due ablativi, non uno 🙂
al posto di “mutatis mutanda”, “mutatis mutandis” 🙂
Papa Francesco ha parlato della cultura imperante del “provvisorio” già quando ha convocato a piazza san Pietro le famiglie; eppure, i telegiornali hanno sottolineato – e continuano a farlo – solo le tre paroline “permesso, scusa, grazie” che dovrebbero far funzionare tutto (e non solo in famiglia).
Quello che era di sostanza non è stato nemmeno notato: la cultura del provvisorio non può rendere felice l’uomo perché implica che, alla prima difficoltà, l’unica parola che sappiamo aggiungere alle tre di cui sopra è “arrivederci!”. Finché ci si comporta bene, con educazione, tutto ok; ma al primo contrasto, impossibile superarlo (e non solo in famiglia): meglio salutarsi!
E perché questo non può rendere felice l’uomo? Perché l’uomo è a immagine di Dio; e Dio si è giocato tutto per amore all’uomo, non si è tirato indietro alla prima difficoltà, al primo contrasto, al primo rifiuto; il suo amore per l’uomo è così totale che non rifiuta nulla, vuole amare l’uomo tutto intero, compresi i suoi peccati. Questo è l’amore. Assomigliare a Dio è amare così. Questa generazione si accontenta di banali surrogati perché non conosce Dio.
Il titolo del post mi ha ricordato questo libro: “L’amore si apprende. Le stagioni della famiglia”, una raccolta di interventi di BXVI.
( http://www.misterogrande.org/index.php?option=com_sobi2&sobi2Task=sobi2Details&catid=101&sobi2Id=1043&Itemid=1 )
Posso chiedere una cosa? Ma qualche articolo riuscite a mandarlo anche in inglese?…capisco che è una cosa grande, non c’è problema, intanto uso google traduttore 😉
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