di Paolo Pugni
Anche il sorriso. Troneggia dai cartelloni per pubblicizzare non so più se un dentifricio o uno studio odontoiatrico. Tutti hanno diritto al sorriso. Diritto? Ormai è una dittatura. Sì dico, tutto è un diritto. Anche quello al lusso. Lo dice una nota casa automobilistica. È tedesca, vorrà dire che glielo ha concesso la Merkel!
Eppure ci si dimentica in fretta, fa comodo, che il diritto ha un rovescio, che è il dovere. Già, che bella banalità! Così banale che l’abbiamo rimossa. A nostro vantaggio.
Perché non è solo una questione di facce della medaglia, fosse solo per quello. No. È che ogni diritto impone sulle spalle di altri un dovere, e se nessuno vuole prendersela questa responsabilità, è un bel guaio!
Ma la cosa più curiosa è che affermiamo diritti a raffica senza nemmeno provare a spiegarne il perché. Il diritto a sorridere? E in virtù di che? Alla felicità? E come mai? Dove sta scritto? Chi l’ha detto? Io non è una risposta accettabile.
Anche perché se esistesse un “io” che possedesse il potere di affermarlo, dovrebbe per lo meno chiarire che cosa intende per felicità. E qui sono dolori. E allora mi lancio in questa affermazione provocatoria, che trova alleati in un vecchissimo libro di Stangerup, L’uomo che voleva essere colpevole, per simpatia non per diretto collegamento: non ne posso più di diritti! Voglio avere doveri! Voglio sentire la pressione dell’impegno, il calore dell’obbligo. La forza di dover fare, agire. Non per me. Per qualcosa di più grande.
Voglio inventare pubblicità che la smettano di prendermi in giro solleticando le mie passioni più sderenate. Voglio sentirmi dire che la felicità è un dovere, sorridere è un dovere, amare è un dovere. E che qualcuno mi insegni come fare per superare la voglia di non fare nulla ed esigere solo che altri mi concedano diritti.
Perfettamente d’accordo.
Se un pazzo sadico e furioso volesse portare instabilità, incertezza, e crisi nel nostro tempo, probabilmente non troverebbe nulla di più potente e comodo che inflazionare la parola “diritto”, e godersi lo spettacolo delle masse che si autodistruggono a causa del “diritto al piacere”, “diritto ai propri spazi”, “diritto alla salute”, ….. che i diritti veri si disperdano in questa selva, e i doveri non trovino spazio.
Ripensandoci bene, par quasi che il “pensiero dominante” faccia stranamente il gioco di questo ipotetico pazzo.
Concordo, i nostri figli sono immersi in un ambiente dove la prepotenza nell’esigere la soddisfazione delle proprie voglie è diffusa. Poco fa mia figlia diciottenne mi ha mandato a quel paese perché non la mandiamo con altre due compagne di classe a Praga per Natale, dato che nella sua classe tutti hanno libertà di fare ciò che vogliono.
IL problema è che, nella società attuale, si attribuisce una equivalenza tra diritto e desiderio.
E’ come un avviarsi collettivo verso la malattia psichica, dato che solo i malati mentali credono di non avere limiti. E’ un peccato di accidia, che rifiuta la vita e ciò che la sostiene per accogliere solo l’effimero che inganna
Qundo, invece, basterebbe solo, almeno, come minimo, il diritto al Diritto (per imperfetto che sia) e che poi ognuno se la vedesse da solo, con la sua educazione (essere educati, per esempio, da Paolo Pugni, sarebbe per dei giovani, come si usa dire oggi, “il massimo”!) la sua intelligenza, la sua cultura, la sua volontà, la sua fortuna di fare degli incontri proficui, il suo carattere, la sua religione eccetra eccetra…
http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2013/11/15/982573-incontro-antonio-polito-arlecchino.shtml
stasera se ne parla a Bologna.
“Figli in cerca di Padri”, Polito, Ugolini, Leoni.
consiglio vivamente.
E’ tornato Federico II di Svevia!
«[…] volle sperimentare quale lingua e idioma avessero i bambini, arrivando all’adolescenza senza aver mai potuto parlare con nessuno. E perciò diede ordine alle balie e alle nutrici di dare il latte agli infanti, e lasciar loro succhiare le mammelle, di far loro il bagno, di tenerli netti e puliti, ma con la proibizione di vezzeggiarli in alcun modo, e con la proibizione di parlargli. Voleva infatti conoscere se parlassero la lingua ebrea, che fu la prima, oppure la greca, o la latina o l’arabica; o se non parlassero sempre la lingua dei propri genitori, dai quali erano nati. Ma s’affaticò senza risultato, perché i bambini o infanti morivano tutti. Infatti non potrebbero vivere senza quel batter le mani, e senza quegli altri gesti, e senza l’espressione sorridente del volto, e senza le carezze delle loro balie e nutrici».
Per favore, mi puoi dare la referenza di quello che hai appena scritto? La “rincorro” da anni, ne avevo sentito parlare a proposito dei medici nazisti tipo Mengele, ma senza fonti. Credo invece che sia questa l’origine di quel che ho sentito io,ma mi piacerebbe avere una referenza “professionale” per mia utilità. Grazie
E’ la Cronaca di Salimbene de Adam (o da Parma). Io ho copiato dalla traduzione di Berardo Rossi (Radio Tau, Bologna 1997), in cui il brano in questione è a pp. 485-486 e corrisponde alle pp. 509-510 dell’originale latino nell’edizione a cura di G. Scalia (Laterza, 1966).
Non credo che l’edizione Scalia sia in rete ma se ti interessa il testo originale qui trovi l’edizione dei Monumenta Germaniae Historica
http://www.dmgh.de/de/fs1/object/display/bsb00000784_meta:titlePage.html?sortIndex=010:050:0032:010:00:00
@ Cavaliere, a proposito degli esperimenti culturali di Federico e di quel che ne pensava Salimbene, alcune osservazioni utili qui http://www.treccani.it/enciclopedia/salimbene-de-adam_(Federiciana)/
Errata corrige « dalla traduzione di *Padre* Berardo Rossi (Radio Tau, Bologna *1987*)»
http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2013/06/28/911252-padre-berardo-rossi-antoniano-morto.shtml
Scusate se sono fuori tema, ma stamattina su Radio Maria ho sentito il commento di Padre Livio sull’ultimo articolo di Costanza commentando la proibizione del suo libro in Spagna..Ha dato un dieci e lode a Costanza e ne sono felicissima.Non mollare Costanza vai avanti conto corrente.Gli Spagnoli non potevano farti miglior pubblicità
Torno dopo per il post, molto valido come sempre, considerato l’autore.
OT di qualche post fa:
Luigi…
“Le condizioni di Luigi sono ancora stabili con qualche piccolo miglioramento, e i medici dicono che proprio perché non c’è stato un peggioramento, la condizione di stabilità è comunque un qualcosa di positivo. Da un prima TAC risulta una piccola lesione al cervello, ma per sapere l’entità bisogna aspettare che si svegli.
E’ ancora sedato e in coma. I medici hanno detto che fra qualche giorno rallenteranno i sedativi per cominciare a svegliarlo.
A volte ricompare la febbre e ricomplica le cose, poi la febbre si abbassa e tutto ritorna come prima. Luigi ha un po’ di diabete e qualche problemino al cuore, quindi i medici non possono seguire le normali terapie, ma devono tenerlo costantemente controllato ed agire in modo cauto per non creare altri problemi.”
Grazie a tutti coloro che l’hanno “adottato” nella preghiera!
C’è proprio una schizofrenia diffusa su questo argomento, le due cose sono proprio scisse nella mentalità comune. È da quando ero adolescente che vengo trattata un po’ da marziana, quando viene fuori la questione diritti-doveri… Per far capire, una volta mi uscì la strampalata idea che il diritto al mantenimento del proprio posto di lavoro dovrebbe derivare dall’adempimento al mio dovere di fare bene il mio lavoro (o perlomeno a lavorare, cioè, se passo le mie giornate a scaldare la sedia di una scrivania e a perdere tempo su internet, sto rubando dei soldi, e se vado avanti così per tanto tempo il mio capo dovrebbe potermi licenziare…). Eresia. Manco avessi sostenuto il licenziamento indiscriminato di donne incinte… Figuriamoci quando venne fuori la questione DICO/PACS ecc…
Vero, Signor Paolopugni. Voglio solo dare un esempio: Quante volte abbiamo sentito parlare del diritto all’espressione. Mi devo esprimere, mi devo esprimere, costi che costa. Ma, quanti si ricordano che dall’altro lato c’è un dovere di ascolto. Perché, il ‘ho diritto a far sentire la mia voce” significa “gli altri hanno il dovere di ascoltarmi, di considerare ciò che dico”. Ma ci ricordiamo che saprà ben esprimersi chi sa ben ascoltare? Cioè, si gode pienamente del diritto di espressione quando si sa mettere in moto il proprio dovere di ascolto?
io credo che non ci sia un dovere dell’ascolto, ma c’è la cura dell’ascolto. è l’amore che rende l’ascolto come lo ha descritto lei, non un dovere. Il diritto all’espressione, come ben dice, è un falso diritto.
@riyazimana
non ho capito bene: io dovrei avere il “dovere” di ascoltare anche tutto ciò che non mi interessa?( ovviamente se reiterato. finché non l’ascolto almeno una volta non posso sapere se m’interessa o meno).
ma se so già che l’argomento di quanto verrà detto non m’interessa punto ( che so: esegesi del matrimonio klingoniano) devo, per “dovere” sorbirmi ‘sta baggianata?
“Che guaio, la vecchiaia! Del resto, la giovinezza non vale molto di più.”
[Turgenev-Padri e figli.]
e come tutti hanno diritto al sorriso, adesso anche il diritto di diventare vescovi/e o arcivescovi/e:
Il dado è finalmente tratto e il Sinodo che si è concluso ieri ha preso una decisione a suo modo storica: nel 2014 le donne potranno essere vescovi e arcivescovi. L’assemblea che si è riunita nella Church House di Londra ha dato il via libera, con 378 voti a favore, 25 astenuti e solo otto irriducibili contrari.
Fabio Cavalera per “IL Corriere della Sera”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/anglicani-e-angli-gattine-la-chiesa-dinghilterra-dopo-decenni-di-divisioni-dice-s-alle-66950.htm
Paolo Pugni ha scritto:
“Ma la cosa più curiosa è che affermiamo diritti a raffica senza nemmeno provare a spiegarne il perché.”
Per rimanere in tema, leggere questo pronunciamento:
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-06-30/resta-stati-liberta-scelta-080715.shtml?uuid=AYj6ha3B