Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell’atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa.
Papa Francesco
di Emanuele Fant
Pochi giorni fa discutevo sulla necessità di fare apostolato vero, perché una serata di evangelizzazione al teatro dell’oratorio è pleonastica quanto una secchiata nel mare. Lì tutti, bene o male, hanno quotidianamente l’occasione di incrociare una risposta. Invece il mondo vero ospita parecchi deserti screpolati che pagherebbero fior di inutili cammelli per un solo bicchiere di senso.
“Dovremmo fare evangelizzazione al Leoncavallo!” grido entusiasta. Poi il discorso verte altrove, e il mio progetto avanguardistico è declassato a provocazione.
Passano tre giorni e ricevo una e-mail: “Ciao Emanuele, abbiamo trovato un tuo racconto tra quelli distribuiti nella metropolitana milanese nel 2003. Ci è piaciuto ed abbiamo pensato di farne una lettura scenica questo mercoledì. Firmato: il laboratorio teatrale del Leoncavallo”.
“Beh”, mi dico, “Se mi aspettavo un segno dal Cielo, più di così restava solo il meteorite”.
Arriva il giorno. Metto a letto i bambini e vado a prepararmi. Non c’è fretta perché la serata inizia alle 22.45, l’ora oltre la quale, di solito, non ricordo più nulla del film che vedevamo. Esco dal bagno. Mi metto tra Laura e il televisore: “Sono adeguato? Mi si distingue? E’ più alternativo se mi vesto da alternativo o se cerco una alternativa (quindi metto la cravatta)?” La sua risposta è concisa e scioccante, concepita in un attimo col dono della sintesi che a intermittenza è concesso anche alle donne: “Sembri un veget che va al centro sociale”. (N.d.a.: “veget” dalle nostre parti significa “vecchietto”. L’uso dell’idioma locale per descrivermi rende ancor meglio la mia inadeguatezza spazio-temporale). Tolgo il cappuccio dalla giacca, che fa un po’ trentenne che insiste ad essere un ventenne e, convinto di aver risolto il gap estetico, scendo in box. Parto veloce ma senza sgommare perché ho ancora le gomme da neve.
Faccio subito un Rosario per non dimenticare chi mi manda. Mentre guido mi figuro i trenta giovani che incontrerò: ricettivi come spugne, appassionati di vita e di teatro, mi accoglieranno con mille domande e io, senza fretta, saprò indicargli un progetto più invitante dell’annichilimento eterno nella Geenna. Poi ascolto i Baustelle, ripassando le atmosfere dell’altra Milano notturna che facevo fatica a frequentare pure quando non avevo impegni la mattina.
Parcheggio accanto a un muro ricoperto di scritte. Levo dai sedili tutto ciò che può far gola agli sbandati che certamente sono nascosti qua intorno: il sonaglio di Clara, alcuni biscotti ad alta scioglievolezza e l’Ipad di cartone sulla quale Michele finge di guardare Youtube nei viaggi lunghi.
Tolgo il frontalino all’autoradio e attivo la colonna sonora mentale che mi dà sempre molto coraggio, scelgo Enrico Ruggeri: “Sono stato punk prima di te”. Ora niente può farmi paura, nemmeno uno skinhead ubriaco con la bottiglia spaccata, perché io, dalla mia, ho l’esperienza. (E la saggezza della poesia cantautorale italiana).
La prima sala è semibuia, le pareti ricoperte di graffiti e vecchi volantini in bianco e nero. Qualcuno beve una birra sul divano, qualcuno sfoglia un libro alternativo. Nessuno mi nota. Sarà la penombra. Apro una grande porta antipanico e capito in un enorme spazio dove una ventina di ragazzi sta giocando a polo con le biciclette al posto dei cavalli. Guardo in alto in cerca dello Stregatto, ma la visione si ferma lì. Accelero il passo e supero un lungo corridoio variopinto. Vorrei fare qualche foto col telefono ma mi rendo subito conto che il gesto non mi qualificherebbe certo come un habitué. Finalmente trovo il locale dove si terrà la lettura. Non vedo spettatori e sto quasi per uscire. Mi viene incontro una signora accogliente che mi ricorda tanto la direttrice della mia biblioteca: “Tu devi essere Emanuele”. Ma come? Mi ha scoperto subito? Lo sapevo, dovevo tenere il cappuccio.
La signora gentile chiama un altro: “Eccolo, è lui Emanuele Fant!” L’altro ha il basco calato, gli occhialini, capelli lunghi e barba bianca. Diversamente dal sottoscritto è il perfetto ritratto dell’uomo maturo da centro sociale. Lui, però, è maturo sul serio. Subito specifica che è del 1934, l’anno in cui Mao Tse Tung comandò la lunga marcia e successero molte altre cose uniche e rivoluzionarie. Poi mi chiede cosa è accaduto invece nell’anno in cui sono nato io. “1979? Così, su due piedi, mi viene in mente che sono nati i miei coscritti”. La battuta non sfonda, ma il clima si fa comunque piacevole. Per entrare più in confidenza, superiamo alcuni piccoli pregiudizi: “Abbiamo letto in internet la tua biografia e avevamo paura che eri un Ciellino!” “Non appartengo a Cielle, però sono un convertito”, provo a buttare lì. il capocomico taglia corto: “A me basta che non sei un nazista, e poi va bene tutto”. Il mio primo affondo evangelizzante ha meno successo della precedente battuta rompighiaccio.
Inizia la lettura. Le attese non dovevano essere eccezionali, perché le sedie sono cinque. Convincendo qualche straniero alticcio, raggiungiamo quasi il sold out. Io mi accomodo in fondo perché mi imbarazza farmi leggere le mie cose da vicino. Oltre alla signora gentile e al capocomico ci sono due allievi. Ognuno ha un carattere diverso e definito, nella surrealtà che si crea, la cosa funziona. Il testo si compone di cinquanta storielle di un paio di righe scritte per restare su carta, una volta recitate ci regalano un clima di sospesa delusione. Per l’autore presente in sala è uno stillicidio, ad ogni pausa priva di risate i pochissimi presenti aumentano l’attesa e lo fissano in cagnesco come a dire: “E allora? Quand’è che ci fai ridere?”
“Non vi farò ridere per niente. Vengo con cose più importanti da dire. Quando si è certi di avere la Verità in tasca, non sono facili i rapporti con gli altri, sopratutto con chi ci sembra fare cose che vanno in tutt’altra direzione. Per questo ho corso un rischio a venire. Non il rischio dello skinhead con la bottiglia. Non il rischio dell’autoradio da farmi rubare. Ma quello ben peggiore della mia faccia supponente, di entrare camminando sollevato, e di uscire uguale.
Mi piacerebbe farvi una lezione silenziosa sulla parte migliore della fede, quella ancora capace di stupore. Se è vero, come è vero, che tutti voi prodigi respiranti siete imparentati al mio Signore, allora prego, svuotatemi le tasche. Adesso il fulcro torna in centro, nella relazione. A me la Verità è stata mostrata, non per questo mi appartiene.
A ben guardare stasera, altro che orgoglio, sono venuto a mendicare. Porto a spasso il pezzetto di Chiesa che ho in affido. Per quanto potrò far brillare il mio didentro, è volontà del mio Obiettivo che io mi svegli sempre povero comunque, condannato ad incontrare. Non è preghiera, non è ascesi, non è studio. È l’unica arsura che obbliga al sole. Costringe a tuffi spaventosi in tutti i luoghi, pure dove non sai mai bene che porta aprire e che cosa, la porta, contiene. Magari un torneo di bike-polo”.
Cosi avrei detto, se fossi il rivoluzionario che non sono.
Bello, concreto e vero questo racconto…
Chissà cosa aveva in mente il “Paron” quando ti portato là Emanuele? A volte si serve di noi, a volte semplicemente serve… a noi!
L’importante è non tirarsi indietro è mettere il nostro corpo (la nostra mente a volte arriva dopo…) come il buon asino, a chi tira la cavezza.
A volte (e parlo per me…) è rendersi disponibile a fare la figura del “pirla”, perché poi succede che tra 50 o 5 persone che ti stanno di fronte, anche una sola magari si domanda: “Ma a questo, chi gli lo fa fare di fare la figura del pirla? Che oggi si sà, nessuno la vuole fare, la figura del pirla…”
E già la domanda si apre alla ricerca di una risposta 😉
Confermo e sottoscrivo ogni parola del tuo commento. Ammiro Emanuele. Buona giornata, affidàti a N.S. di Fatima
Già fatto… anche se ero a Loreto (ma direi sia sempre LEI ;-))
Buona giornata anche a te.
Anche se fosse servito ad uno solo….il Signore lascia nel recinto le 99 per una pecorella…e se fosse servito a me per capire che i suoi pensieri non sonoip i miei pensieri?…
Deh pero’ dai… non e’ che il Leoncavallo sia necessariamente il luogo primario dell’anti-cattolico. Se lo racconti come tale cadi nello stereotipo. Cmq complimenti perche’ e’ vero, e’ facile andar a convincere i convinti ed e’ sempre piu’ difficile esser se stessi in terra estranea.
grande, bel resoconto e ho pure riso due o tre volte.
OT: L’Ultima Cima a Udine il 31/05 !!!
Dove?
Parrocchia di San Marco, ore 20.45 – scrivi a laultimacima.fvg@libero.it
ottimo grazie.
Ma che bella avventura hai trovato sulla tua stada, Emanuele!
Mi inquieta un po’ che sono tra le categorie non ammesse al Leonka (allora facevo bene a scegliere l’anonimato, quando andavo a sentire i gruppi alternativi!!): no, non Naziskin. L’altra, Cielle. A cui peraltro non si appartiene, è semplicemente il modo in cui Lui mi è venuto incontro e mi ha fatto Suo 🙂
Davvero molto coinvolgente questo racconto. Per me in modo particolare che sono ex punk (ex?), sono stato in un centinaio di centri sociali italiani ed europei, sono un convertito, sono del 78, sono padre di due bimbi. Impossibile non identificarmi. Ma sopra tutte le cose per il finale: le cose che vorrei dire negli incontri ma che difficilmente dico. Partecipo a tanti incontri che nella sostanza sono simili a questo. Cioè, non vado agli incontri che vorrei, a incontrare gente che mi piace, ma a quelli a cui mi chiamano (partecipo a diversi tristissimi incontri parrocchiali dove Gesù e la fede sono importanti ma non tanto quanto organizzare degli svariati eventi e passare un bel momento insieme). Vorrei tanto parlare di Gesù, di fede, di preghiera, di educazione al vangelo, ma lo faccio con moltissima fatica, e probabilmente molto male. Poi mi rendo conto che se riuscisse a dire quello che voglio come lo voglio, conoscendomi, crederei quasi di essere io stesso il Signore. Sicuramente tutto questo non è un caso, il Signore mi ricorda che è lui, non io, a tenere i fili, e mi viene in mente quello che ho letto ieri prima di coricarmi: «Ciò che io faccio non lo comprendi ora; lo comprenderai più tardi».
AhAhAh!
Avete incontrato Giulio Astengo detto Astucha e Marina Boer, suppongo: sono stai miei insegnanti di teatro al Leoncavallo, e, posso assicurare, impermeabili a qualunque discorso teologico (sono “atei praticanti” da moooolto tempo, e per il saggio di fine anno avevano intenzione di farci recitare un monologo estremamente dissacrante su Dio…senza considerare la tendenza alla bestemmia come intercalare di Astucha…).
In ogni caso, quanti pregiudizi sul Leoncavallo! é molto più pericoloso passeggiare per le vie di Baggio alle otto di sera che attorno al leoncavallo: i frequentatori saranno anche sulla via della Geenna, ma sono brave persone, tendenzialmente pacifiche: i miei compagni di teatro, frequentatori di suddetto centro sociale, sono tutti lavoratori o studenti, persone colte, amanti della lettura, dell’arte, della politica, le cosiddette “persone normali” con una vita sociale normale, niente a che vedere con l’idea del pericoloso anarchico che a tratti trapela da questo scritto.
Comunque è ovvio che nessuno abbia accolto l’evangelizzazione: andiamo, se io venissi a una vostra riunione e cominciassi a spiegarvi le motivazioni razionali per cui sostengo la non esistenza di Dio, qualcuno di voi cambierebbe idea?
Probabilmente non cambierei idea, ma personalmente ascolterei con attenzione queste motivazioni razionali. Sicuramente.
@Ashantyr, sarebbe pretendere un po’ troppo visto che io l’ho incontrato… come faresti a convincermi del contrario?
Forse (dico forse) sarebbe più facile per me incuriosire te che non l’hai mai né incontrato, né conosciuto… e a quel punto la tua convinzione che “non esista” sarebbe relativa, nel momento in cui qualcuno ti dicesse: “vieni a vedere con i tuoi occhi…”
Certo un minimo di “apertura mentale” ci vuole ( guarda che – razionalmente – io ragionavo probabilmente come te) 😉
ho tutti i sacramenti e ho fatto tante ore di religione a scuola, senza contare l’aver letto e studiato filosofia, quindi il pensiero dei grandi filosofi del passato che parlavano di teologia; la materia quindi non mi è nuova. Se si parla di “esperienza mistica”, di “illuminazione”, no, non ne ho mai avute, ma non è che incontrando qualcuno “illuminato” io possa cambiare idea.
Il fatto è che voi siete appunto convinti di averlo visto, incontrato… In una delle rsd in cui ho lavorato c’era una signora la cui sorella le parlava tramite il tubo della doccia, o dal pavimento, e le mandava gas mortali attraverso lo schermo della televisione. Ne era convintissima, lei la sorella la sentiva davvero… ma di certo non per questo io credevo alla signora. Il fatto che voi sosteniate di averlo visto e sentito, per me, non è fonte d’avvicinamento, perchè a questo punto potrei convertirmi o avvicinarmi a una qualunque religione, visto che chi crede fortemente in altre religioni ha simili convinzioni relativamente ai propri dei.
@ ashantyr, non è che io gli parlo dal tubo della doccia o ho apparizioni mistiche (che ovviamente credo esistano…).
Se qualcuno ti parla e ti racconta dell’esperienza “più formidabile” che ha mai fatto,o se preferisci dell’amore (e parlo di quello umano) che ha incontrato e di conseguenza dell’uomo, o della donna, più affascinante di questo mondo, non ti senti in qualche modo “coinvolto/a”, attratto/a? Pur sapendo razionalmente che molto probabilmente non tutto è – concretamente – come ti viene descritto…
Certo se parti dal presupposto, che chi ti parla (compreso chi è semplicemente e umanamente “innamorato”) e da “ricovero”, vaneggia e vagheggia, la cosa muore lì. E sarebbe un gran peccato… la vita (tu m’insegni) non è fatta solo di studi teologici, psicologici, filosofici o è comprensibile solo a chi “conosce la materia” (di che materia stimo parlando poi?)
E’ vero in questo senso potresti avvicinarti a qualunque religione… beh, meglio di niente 😉
Battute a parte, tu sei mai stata/o attratta e coinvolta da qualcosa che non è “puramente razionale” e che probabilmente ti a fatto fare cose non “propriamente razionali”, anche solo per una passione, un cosiddetto “hobby”? Mai scoperto un hobby, perché qualcuno ti ha coinvolto nel suo?
Avrai compreso che non paragono la Fede ad un “hobby”, ma sto parlando delle “ragioni del cuore” dell’Uomo.
Concluderei citando Sant’Agostino:
“Ma, essi dicono, queste cose che sono nell’animo, poiché le possiamo percepire con l’animo stesso, non c’è bisogno di conoscerle mediante gli occhi del corpo; quelle, invece, che ci proponete di credere, non le mostrate all’esterno in modo che le conosciamo mediante gli occhi del corpo, né sono interiormente, nel nostro animo, in modo che le vediamo con il pensiero. Questo è quanto dicono: come se si ordinasse a qualcuno di credere nel caso in cui potesse vedere davanti a sé l’oggetto del credere. Di certo, dunque, siamo tenuti a credere ad alcune realtà temporali che non vediamo, per meritarci di vedere anche quelle eterne nelle quali crediamo. Ma, chiunque tu sia , tu che non vuoi credere se non ciò che vedi, ecco, tu vedi con gli occhi del corpo i corpi presenti e vedi con l’animo, poiché sono nel tuo animo, le tue volontà e i tuoi pensieri del momento; ora dimmi, ti prego, la buona disposizione del tuo amico verso di te con quali occhi la vedi? Nessuna disposizione, infatti, si può vedere con gli occhi del corpo. O vedi forse con il tuo animo anche ciò che avviene nell’animo altrui? Ma se non lo vedi, come ricambi a tua volta la benevolenza dell’amico, dal momento che non credi ciò che non sei in grado di vedere? O, per caso, stai per dire che vedi la disposizione altrui dalle sue opere? Dunque, vedrai i fatti e sentirai le parole, ma, circa la disposizione dell’amico, tu sarai costretto a credere ciò che non si può né vedere né sentire. Quella disposizione, infatti, non è né un colore né una forma che si imponga agli occhi, non è un suono o una melodia che penetri negli orecchi, e non una tua disposizione, che sia percepita da un moto del tuo cuore. Non ti resta, pertanto, che credere ciò che non è né visto, né udito, né percepito dentro di te, affinché la tua vita non rimanga vuota, senza alcuna amicizia, o l’amore che hai ricevuto non sia, a tua volta, da te ricambiato. Dove è dunque quel che dicevi, e cioè che non devi credere se non ciò che vedi, all’esterno con il corpo o, all’interno, con il cuore? Ecco, a partire dal tuo cuore tu credi ad un cuore non tuo, e là dove non drizzi lo sguardo della carne e della mente, ci destini la fede. Tu, con il tuo corpo, scorgi il volto dell’amico, con il tuo animo discerni la tua fede: ma la fede dell’amico tu non puoi amarla se, a tua volta, non hai in te quella fede con la quale credi ciò che in lui non vedi. Sebbene l’uomo possa anche ingannare col fingere benevolenza o col nascondere la malvagità o, se non ha intenzione di nuocere, con l’aspettarsi da te qualche vantaggio, tuttavia egli simula perché manca di amore.”