Il regno degli ultimi divenuti primi

di Gerardo Ferrara   (La capannadellozioblog)

Al di là del mare e delle bianche vette dei monti, oltre i confini delle terre conosciute, posto al centro di una ridente valle irrigata da un fiume dalle acque limpide e cristalline, sorge un regno governato da una regina bellissima. La fama della di lei beltà si spande per tutto il mondo e ognuno desidera vederla almeno per una volta nella vita. I suoi abiti sono bianchi e splendenti più del sole, una cintura color del cielo le cinge i fianchi e sui piedi ha delle rose dorate.

Il regno di questa dolce regina, tuttavia, non è come gli altri.

La sovrana, infatti, ha come trono la dura roccia di una caverna utilizzata come discarica e, pur possedendo un castello maestoso, visibile da tutte le estremità della valle, oltre che dalle cime delle montagne, lei preferisce passare le notti all’addiaccio, in mezzo ai suoi sudditi più miserabili. Cosa ancor più bizzarra, la regina non dispone di un esercito di soldati scelti, bensì di galeotti disarmati e vestiti di tutto punto. Il loro capo, Quasimodo, è basso e deforme, oltremodo scontroso ma dall’animo gentile e, con i suoi compagni, si prende cura di un popolo di gobbi, storpi e malati che parlano e cantano in una varietà infinita di lingue e dialetti. Nonostante l’apparente confusione, peraltro, essi sembrano comprendersi e non avere tanta difficoltà nell’aiutarsi l’uno con l’altro.

In questo strano regno non vi è un unico principe né una sola principessa, poiché la sovrana è madre di tutti i suoi sudditi e, di conseguenza, ognuno di loro è erede al trono e di stirpe regale. Tutti, infatti, viaggiano su carri e carrozze che, pur non essendo zucche trasformate magicamente nel cocchio più bello mai esistito, fanno la loro figura. Davanti alla regina ed a suo figlio, i principi e le principesse vengono portati trionfalmente in processione, scortati da paggi, sbandieratori, scudieri e lacché, dinanzi ad una folla festante che si inchina al loro passaggio. Non sono belli, i principi e le principesse: non agli occhi dei viaggiatori di altri regni, almeno. Io stesso, povero viandante giunto per vedere la regina dopo un estenuante viaggio attraverso valli, fiumi, monti e praterie, indignato perché non mi era stata data la possibilità di servirmi del tappeto volante che conduce ognuno di noi, sulle ali della fantasia, in mondi fantastici e lontani, ero stupito di fronte a ciò che avveniva di fronte a me: una moltitudine di gente vecchia, brutta, storpia, deforme, gli scarti dell’umanità e del nostro mondo così selettivo e meritocratico, veniva servita e riverita, celebrata con tutti gli onori, quasi quanto la regina, quasi quanto il re! Com’era possibile? Quale scandalo era mai questo?

Il mio cuore oppresso, stanco e deluso ha trovato consolazione solo quando, davanti al lurido e umido trono della regina, specchiandomi nelle acque del fiume che scorre lì accanto, mi sono visto identico a quella moltitudine: vecchio e affaticato, sporco e deforme, brutto e malato. E’ allora che, magicamente, sulla mia testa è apparsa una corona; è allora che mi sono sentito anch’io un principe, il figlio di un re.

Caro amico viaggiatore, se vorrai giungere in questo regno strano ed incantato, sappi che dovrai sostenere mille fatiche; sappi che dovrai piangere, affrontare le tue mille paure, il tuo perfezionismo e le tue manie di grandezza, il tuo senso d’inadeguatezza; dovrai accettare di essere amato per ciò che sei e non per ciò che sai fare, né per la bellezza del tuo corpo, né per la possanza delle tue membra o per la vitalità del tuo intelletto. Ti troverai nudo, povero e bisognoso. Vorrai scappare, gridare, ribellarti, ma non potrai andare da nessuna parte, poiché quel paese è lontano da tutto e l’unico posto in cui potrai fuggire sarà l’ultimo che vorresti vedere: te stesso. Allora capirai.

Saprai che, per uscirne, dovrai gettare la tua inutile corona d’oro e perle preziose, i tuoi abiti di seta e gli accessori firmati da qualcuno il cui nome sarà, presto o tardi, dimenticato. Tu, non temere! Abbi fede e sii umile! Rivestiti degli stracci che ti daranno, accetta di essere come loro e, abbi fede, tu regnerai! Sì, regnerai per sempre!

Un’ultima cosa: casomai non l’avessi ancora capito, questo regno non si chiama Disneyland, Isola che non c’è, Fantàsia… Non è un’invenzione né la ricostruzione di qualcosa che non esiste e che mai esisterà. No, questo regno è un posto vero, con gente che ha carne ed ossa, cuore, limiti e peccati. Chiedi in giro, ti sapranno indicare la strada: si chiama Lourdes ed è il luogo dove gli ultimi sono già i primi.

fonte: La capannadellozioblog

14 pensieri su “Il regno degli ultimi divenuti primi

  1. Sto leggendo “Berndadette” di Werfel. Questo grandissimo (e sottovalutato) scrittore ebraico ha trovato rifugio a Lourdes, ecco quello che scrive nell’introduzione:

    “In questo modo la Provvidenza mi condusse a Lourdes, della cui storia prodigiosa non avevo fino allora la più superficiale nozione. Rimanemmo nascosti parecchie settimane nella città dei Pirenei. Fu un periodo di angosce, ma fu anche un periodo altamente significativo per me, poiché mi fu dato conoscere la meravigliosa storia della giovinetta Bernardette Soubirous e i fatti meravigliosi delle guarigioni di Lourdes. Un giorno, tribolato com’ero, feci un voto. Se fossi uscito da quella situazione disperata ed avessi raggiunto la costa americana – questo fu il voto che feci – avrei prima di ogni altro lavoro cantato la canzone di Bernardette come meglio avessi potuto.

    Questo libro è l’adempimento di un voto. Un canto epico nel tempo nostro, non può che prendere la forma di un romanzo. “Bernardette” è un romanzo, ma non è un’opera di fantasia. Il lettore diffidente, di fronte ai fatti qui narrati, può chiedere con maggior diritto che per le epopee storiche: «Che cosa è vero? Che cosa è inventato?» Io gli rispondo: Tutti gli avvenimenti notevoli che formano il contenuto del libro sono in realtà accaduti. Essi si sono iniziati non più di ottant’anni fa e si svolgono quindi nella piena luce della storia; la loro verità è attestata, in fedele testimonianza, da amici, da nemici e da osservatori spassionati. Il mio racconto non altera menomamente questa verità.

    Ho usato del diritto della libertà concesso al poeta, solo dove ragioni d’arte richiedevano di condensare cronologicamente alcuni fatti e dove bisognava far scoccare scintille di vita dalla materia trattata.

    Ho osato cantare la canzone di Bernardette, io che non sono cattolico ma ebreo. Il coraggio per questa impresa mi è venuto da un voto molto più antico ed inconscio. Sin dal giorno nel quale scrissi i miei primi versi, giurai a me stesso che avrei reso onore sempre e dovunque, attraverso i miei scritti, al segreto divino e alla santità umana: nonostante che l’epoca nostra, con scherno, ferocia e indifferenza, rinneghi questi valori supremi della nostra vita.”

    Chiedo scusa se vi ho riportato questo stralcio un po’ OT ma vi assicuro che leggendo questo libro sembra di essere un compaesano di Bernadette.
    Personalmente ci sono stato due volte verso i 12 anni in pellegrinaggio e ho un ricordo bellissimo. Mio padre faceva il barelliere e io gironzolavo incuriosito da solo in mezzo ai pellegrini. Ero affascinato.

    1. media-e-midia

      L’ho cominciato a leggere anch’io da poco, “Bernadette”. L’ultima frase dell’introduzione è … beh, non trovo aggettivo giusto 😀

      1. media-e-midia

        OT Messori parla del libro di Werfel in “Ipotesi su Maria” (cap. 27).
        http://www.scribd.com/doc/82115324/50/Capitolo-L

        Probabilmente già lo sai e magari da lì ti è venuta l’idea di leggere il romanzo. Se non l’avessi letta te la consiglio, se non altro per “rinfamare” la povera madre Vauzou, trattata un po’ male da Werfel (e molto peggio dal regista del film con Jennifer Jones…).

          1. media-e-midia

            Io invece confesso di avere da molto tempo su uno scaffale “I quaranta giorni del Mussa Dagh” e ancora non mi azzardo a leggerlo (sono vigliacca e tendo a immedesimarmi nelle cause perse, so che ci starò male 🙁 )

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