di Fabio Bartoli
In una delle loro canzoni più belle (Eleanor Rigby) i Beatles tratteggiano in due versi una storia esemplare, quella di father McKenzie, “writings the words for a sermon nobody will hear, no one comes near” (scrive le parole di un sermone che nessuno ascolterà, nessuno gli viene vicino) che mi sembra una perfetta metafora della solitudine maschile.
Già, perché esiste una solitudine maschile e una femminile, come quasi per ogni cosa del resto, e se la forma femminile della solitudine mi sembra molto ben espressa dall’ansia di abbandono che mirabilmente Costanza descrive nel suo articolo di dell’altro giorno (Adele ma che stai a dì?), quella maschile è invece del tutto differente.
Naturalmente, come in ogni cosa, c’entra il sesso, perché la sessualità della donna è fondamentalmente recettiva mentre quella dell’uomo è oblativa. Per questo la natura offre alla donna un vantaggio scandaloso rispetto all’uomo, visto che ogni donna ha una conferma mensile della sua fertilità, mentre un uomo ha continuamente bisogno di essere rassicurato in materia. Sarà per questo che l’uomo può illudersi di essere virile cambiando molte donne, quando invece l’essenza della maschilità è tutt’altro, è la paternità, che porta inevitabilmente con sé la fedeltà.
Così se la paura della donna è fondamentalmente quella di essere abbandonata, quella dell’uomo è fondamentalmente quella di essere inutile, come father McKenzie appunto. Questo è talmente vero che se una donna perde il lavoro la cosa può essere grave dal punto di vista del menage economico della famiglia, ma di solito non ha contraccolpi esistenziali, mentre se un uomo perde il lavoro molto facilmente con esso perde anche l’autostima e finisce in genere con il cadere in una spirale depressiva da cui è molto difficile riprendersi.
La paura di essere inutile, come la conosco bene! E quanti amici sacerdoti ho visto buttare alle ortiche la loro vocazione, sia lasciando di fatto il sacerdozio, sia anche impiegandolo in progetti e attività che ben poco hanno a che fare con il sacerdozio stesso, per “fare qualcosa di utile”, come se le attività istituzionali del ministero (la predicazione, la celebrazione dei sacramenti, la direzione spirituale) fossero improvvisamente divenute inutili alla società.
La paura di essere inutile è quella che, inutile negarlo, prende ogni uomo quando arriva il momento della pensione, specialmente se è ormai un “empty nested”, come chiamano gli americani i genitori dei figli che sono ormai usciti di casa, e forse l’innegabile mammismo dei nostri ragazzi si spiega anche così, con la paura dei padri di diventare inutili una volta che essi spiccheranno il volo.
Ogni uomo, sotto sotto, sogna di morire in modo eroico, per non dover invecchiare carico di ricordi e nostalgie, come un ferrovecchio messo da parte. Purtroppo, come canta Gaber, “l’occasione di morire simpaticamente non capita spesso” e così va a finire che si muore dove capita e per lo più neanche troppo convinti, vale a dire che si può attraversare tutta la vita sentendosi ancora, fino alla fine, come un progetto incompiuto, un Menez a caso, una grande promessa mai maturata.
Ma allora, se il terrore di un uomo è non servire a niente, la risposta sarà una sola: la vita è servire, servire, servire. Chi non ha mai servito nessuno è come se non avesse mai vissuto.
Per chi fosse interessato qui c’ è un blog di don Fabio e qui ce n’è un altro
Ma insomma che delusione… apro il blog già pregustando il Cyrano del Lunedì e cosa trovo… Ma io questo l’ho già letto, uffa 😉
puoi consolarti pensando alla bella sorpresa che ne ha riportato Cyrano, che questo non l’aveva letto e che per di più non avrebbe mai saputo scriverlo.
ebbé, almeno delle crisi dell’età matura uno di soli cinque lustri, ancorché con le tue capacità, non dovrebbe scrivere…
Cyrano non ti offendere, ma don Fabio ha scritto un post meraviglioso senza farne un papiro lungo quanto un rotolone regina…. 🙂
ti risparmio affondi impietosi sulla tua replica giusto perché sei una signora (e perché «un cavalier qual io mi vanto»… 🙂 ), ma non per nulla avevo già detto che non avrei mai potuto cesellare un post così.
Bellissimo e molto profondo, grazie don Fabio
Polo: ho inviato il link del tuo ultimo post in famigliefelici ad un sito vocazionale-giovanile con il quale collaboro. Bello! Smack! 😀
Paolo, scusa t’ho accorciato-rovinato il nome! 🙁
Grazie don Fabio! Grazie per quest’analisi così drammaticamente vera e per la strada che ci hai indicato…
grazie don Fabio! questo post mi fa sentire un po’ meno sola…. 😉
Anche una donna che non rimane incinta si sente inutile , molto piú di un uomo …
non so se “molto più”, i comparativi sono sempre rischiosi, ma so che è proprio così, ed è ciò che in fondo tra le righe anche io dicevo. La via sarà allora la stessa, come un uomo sublima il suo desiderio di paternità nel servizio, una donna può sublimare il suo bisogno di maternità nell’accoglienza
Hai ragione, don Fabio. Si accogliere in molti modi, per esempio collaborare in una Casa d’Accoglienza per bambini. Ma prima ancora bisogna accogliere il proprio stato di una maternità mancata, offrirla a Dio e credere fermamente che tutto nella nostra vita ha un senso. A volte non comprendiamo, ma accettare si può sempre, sulla fiducia in Dio. Davvero, Alera83.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Grazie Don Fabio! E’bello ritrovarvi Ragazzi, anche se sparisco sempre fino al lunedì. Ho sempre pensato che se dovessi morire oggi e presentarmi dal Creatore, l’unica cosa che mi sentirei davvero di dirgli su quello che ho combinato , sarebbe ” sono stato loro “, della mia famiglia, delle persone che ho amato.
Oggi è santa Bernadette, e mi è capitato dsotto gli occhi questo meraviglioso scritto, che dice quello a cui secondo me ogni donna dovrebbe aspirare (mamma o non mamma):
Testamento spirituale di Santa Bernadette
Per l’indigenza di mamma e papà
per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza,
per le pecore rognose : grazie, mio Dio!
Bocca di troppo da sfamare che ero;
per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie!
Grazie o mio Dio, per il Procuratore,
per il Commissario, per i Gendarmi,
per le dure parole di Peyremale.
Per i giorni in cui siete venuta, Vergine Maria,
per quelli in cui non siete venuta,
non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso.
Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe, per gli oltraggi,
per coloro che mi hanno presa per pazza,
per coloro che mi hanno presa per bugiarda,
per coloro che mi hanno presa per interessata.
GRAZIE, MADONNA!
Per l’ortografia che non ho mai saputa,
per la memoria che non ho mai avuta,
per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie!
Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra
una bambina più stupida di me, avreste scelto quella!
Per la mia madre morta lontano,
per la pena che ebbi quando mio padre,
invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette,
mi chiamò Suor Maria Bernarde: grazie, Gesù!
Grazie per aver abbeverato di amarezza
Questo cuore troppo tenero che mi avete dato.
Per Madre Giuseppina che mi ha proclamata:
“Buona a nulla”.
GRAZIE!
Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura,
le sue ingiustizie, le sue ironie,
e per il pane della umiliazione, grazie!
Grazie per essere stata quella cui la Madre Teresa
Poteva dire :”Non me ne combinate mai abbastanza”.
Grazie per essere stata quella privilegiata
dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano:
“Che fortuna non essere come Bernadette”.
Grazie di essere stata Bernadette,
minacciata di prigione perché vi avevo vista,
Vergine Santa!
Guardata dalla gente come bestia rara;
quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva:
“Non è che questa?!”.
Per questo corpo miserando che mi avete dato,
per questa malattia di fuoco e di fumo,
per le mie carni in putrefazione,
per le mie ossa cariate, per i miei sudori,
per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti,
GRAZIE MIO DIO!
Per quest’anima che mi avete data, per il deserto della aridità interiore,
per la vostra notte e per i vostri baleni,
per i vostri silenzi e i vostri fulmini;
per tutto,
per Voi assente e presente, grazie! Grazie o Gesù!
Santa Bernardetta:
http://filiaecclesiae.wordpress.com/
Davvero molto bello don Fabio.
L’unica cosa che posso dire è che in questo caso non mi convince del tutto l’argomento maschile/femminile.
In parte si, perché una donna che ha figli potrà anche sentirsi sola, ma difficilmente si sentirà inutile.
Però proprio per questo molte donne, come molti uomini, vivono una doppia crisi: solitudine + inutilità.
Perché magari i figli non ci sono, o perché sono grandi e lontani, o perché semplicemente non sono sempre sufficienti,
da soli, a scongiurare una crisi d’identità. E ti assicuro che la perdita del lavoro ha contraccolpi esistenziali (pure pesanti), anche sulle donne.
Invece, per quanto riguarda la risposta, concordo con ogni tua parola. Quando ci assale il senso di inutilità, l’unica cosa da fare è servire, servire gli altri, impegnarsi in una di quelle attività, dal celebrare la Messa, a falciare il prato, a lavare i piatti, che mandano avanti il mondo.
Complimento Don per questo pezzo, la leggo sempre con molto piacere (ad averceli sacerdoti come Lei!).
A proposito delle sue parole: “E quanti amici sacerdoti ho visto buttare alle ortiche la loro vocazione, sia lasciando di fatto il sacerdozio, sia anche impiegandolo in progetti e attività che ben poco hanno a che fare con il sacerdozio stesso, per “fare qualcosa di utile”, come se le attività istituzionali del ministero (la predicazione, la celebrazione dei sacramenti, la direzione spirituale) fossero improvvisamente divenute inutili alla società.”, cosa suggerirebbe ad una parrocchiana che la pensa come quel tal altro bravo sacerdote che ha scritto una libro sulle parrocchie, da lui definite “il grande gigante che dorme”? Grazie! 🙂
p.s. Grandioso il suo “Il piacere di grattarsi”!! 😉
“Naturalmente, come in ogni cosa, c’entra il sesso, perché la sessualità della donna è fondamentalmente recettiva mentre quella dell’uomo è oblativa”
Direi piuttosto che entrambe le sessualità sono oblative (quando sono sane): di un’oblatività recettiva, accogliente, “situata” (cioè: che tende a non essere trasgressiva della situazione concreta in cui vive) quella femminile, di un’oblatività invece, quella maschile, esplorativa, “intrusiva” (in senso non deteriore) e desituante (cioè: trasgressiva rispetto alla situazione concreta in cui giace; si pensi al genitale maschile, che per generare ha bisogno di protendersi, protendersi-oltre il dato).
Sono due sessualità che incarnano insomma due modalità differenti e complementari di donazione.
Grazie don Fabio! Bel post! 😀
“l’uomo può illudersi di essere virile cambiando molte donne, quando invece l’essenza della maschilità è tutt’altro, è la paternità, che porta inevitabilmente con sé la fedeltà”: bella sta cosa, molto realistica. La paternità, come la maternità per la donna, sono la vera essenza!
“impiegandolo in progetti e attività che ben poco hanno a che fare con il sacerdozio stesso, per “fare qualcosa di utile”: cosa c’è di più utile del seguire le anime? penso che se questi ex sacerdoti ma anche tanti sacerdoti super indaffarati nelle cose pratiche, si rendessero conto della SETE che ha la gente e della FAME di cose di Dio, cambierebbero molto il loro punto di vista. “Il mio popolo muore per mancanza di conoscenza”: è vero che la Nuova Evangelizzazione si sta dando da fare, ma quanti sacerdoti riescono ad impegnarcisi? In quanti luoghi non si riesce a trovare un confessore? O una guida? Credo che molti sacerdoti, senza volerli colpevolizzare, si stiano oberando di pesi che potrebbero lasciare ad altri: così facendo, ho l’impressione che trascurino le anime.
Oh mamma, uno si distrae un attimo ed ecco subito quattro commenti anche più belli del post originale a cui rispondere. Metto tutto insieme:
@Erika, è sempre difficile, anzi secondo geniocosmico impossibile, mettersi nei panni dell’altro sesso, quindi figurati se mi azzardo a contestare quello che dici, a mia parziale discolpa dico solo che questo articolo nasce come commento e prolungamento di quello di Costanza citato nel testo, quindi inevitabilmente risente un po’ di questo.
@Claudia una volta avevo scritto un pezzo, che purtroppo nella migrazione della “fontana del villaggio” da splinder a wordpress è andato perduto, in cui commentavo quella frase “ce ne fossero come lei”, un giorno forse lo riscriverò, così ti vergognerai di averla detta 😉
Più seriamente non ho letto il libro che citi, ma il titolo mi pare grandioso, anche se riprende un altro titolo più vecchio in cui si diceva che il gigante addormentato è il laicato cattolico, in realtà è un cane che si morde la coda: i buoni preti formano buoni laici e i buoni laici formano buoni preti (non solo nel senso che sono i preti del futuro, ma anche nel senso che interagendo con dei laici in gamba il prete è più stimolato e va oltre il mero dovere d’ufficio).
@Alessandro concordo, probabilmente è una scelta infelice di termini, “oblativo” non è quello giusto, è chiaro che anche nella dimensione femminile della sessualità c’è una dimensione di dono. Io intendevo oblativo nello stesso senso in cui tu dici pro-tendersi
@AngelaXL vedi sopra il commento a Claudia, se volete preti che facciano cose spirituali fategliele fare. Purtroppo anche io spesso mi devo dissipare in mille cose che non hanno niente a che fare con il sacerdozio perché non c’è nessuno che le faccia al posto mio (e sono comunque necessarie) o perché nessuno mi chiede di fare quelle che davvero mi competerebbero. Ti faccio un esempio: oggi ho dovuto dire di no ad una persona che mi chiedeva un incontro di direzione spirituale perché dovevo assolutamente andare a fare un ora di fila alla posta per una scadenza improrogabile, ma se avessi avuto qualcuno da mandare alla posta al posto mio…
era meglio avere la perpetua di doncamilliana memoria che il consiglio pastorale……quantomeno per la posta.
Don Fabio: hai ragione! Ma ero “rimasta ferma” ad alcuni sacerdoti che conosco che nonostante hanno chi vorrebbe-porebbe aiutarli, non lasciano fare nulla perché vogliono fare loro. Ci sono sempre due facce per una medaglia, no?
Don Fabio: facciamo appello ai romani! Qualcuno di buona volontà che ti aiuti in queste occasioni… Forza romani che ce la potete fare! 😉
Don Fabio: In attesa che i romani rispondano all’appello… eccoti una perpetua!
http://heyse-online.de/spencerhilldb/bilder/dm97_guetta.jpg
E’ un post che darebbe molti spunti, mi soffermerei in particolare sulla sofferenza legata alla solitudine, tema molto attuale che si lega ai suicidi degli imprenditori di questi giorni. Termini giustamente con il servire e credo che questa sia la chiave di lettura anche per i “papà” e i mariti di oggi giorno. Servire la sposa, servire la famiglia questo può aiutare l’uomo, non tanto l’ambizione nel lavoro, e la sposa deve saper chiedere questi servigi al marito. Non so perché ma sono sicuro che a breve uscirà un gran libro su questo tema.
Grande don Fabio! Fine conoscitore dell’uomo oltre che di Dio! Grazie alle tue parole oggi avrò di che meditare…
fra Filippo Maria: Mumble… mumble… mumble… 😉
Oh, ma guardate che mi state a fare tutti i complimenti, ma dovreste farli a Paul McCartney, è lui che ha scritto i versi su father McKenzie, mica io…
“don Fa’: “la vita è servire, servire, servire. Chi non ha mai servito nessuno è come se non avesse mai vissuto”… è di Paul mc Cartney?!?!? Una chicca così l’ha detta lui?!?!? Sarà! 😀
Ti dico di più: LA COPIO!!! 😀
Bhe, diciamo che ho fatto come Michelangelo, ho tirato fuori la statua dal blocco di marmo, ma l’opera d’arte era già lì, nei due versi su father McKenzie
😉
Famo i seri! 😀
Paternità? Eccola!
“Quando il buon Dio decise di creare il padre, cominciò con una struttura piuttosto alta e robusta. Allora un Angelo che era lì vicino gli chiese: “Ma che razza di padre è questo? Se i bambini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai fatto il padre così grande? Non potrà giocare con le biglie senza mettersi in ginocchio, rimboccare le coperte al suo bambino senza chinarsi e nemmeno baciarlo senza quasi piegarsi in due!”. Dio sorrise e rispose: “È vero, ma se lo faccio piccolo come un bambino, i bambini non avranno nessuno su cui alzare lo sguardo”. Quando poi fece le mani del padre, Dio le modellò abbastanza grandi e muscolose. L’Angelo scosse la testa e disse: “Ma… mani così grandi non possono aprire e chiudere spille da balia, abbottonare e sbottonare bottoncini e nemmeno legare treccine o togliere una scheggia da un dito”. Dio sorrise e disse: “Lo so, ma sono abbastanza grandi per contenere tutto quello che c’è nelle tasche di un bambino e abbastanza piccole per poter stringere nel palmo il suo visetto”. Dio stava creando i due più grossi piedi che si fossero mai visti, quando l’Angelo sbottò: “Non è giusto. Credi davvero che queste due barcacce riuscirebbero a saltar fuori dal letto la mattina presto quando il bebè piange? O a passare fra un nugolo di bambini che giocano, senza schiacciarne per lo meno due?”. Dio sorrise e rispose: “Sta tranquillo, andranno benissimo. Vedrai: serviranno a tenere in bilico un bambino che vuol giocare a cavalluccio o a scacciare i topi nella casa di campagna oppure a sfoggiare scarpe che non andrebbero bene a nessun altro”. Dio lavorò tutta la notte, dando al padre poche parole ma una voce ferma e autorevole; occhi che vedevano tutto, eppure rimanevano calmi e tolleranti. Infine, dopo essere rimasto un po’ sovrapensiero, aggiunse un ultimo tocco: le lacrime. Poi si volse all’Angelo e domandò: “E adesso sei convinto che un padre possa amare quanto una madre?”. (Erma Bombeck)
Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana un lungo e caloroso abbraccio al loro papà.
“Non posso farlo”, protestò uno, “mio padre morirebbe”.
“E poi”, disse un altro, “mio padre sa che lo amo”.
“Allora è facile”, replicò il professore. “Perché non lo fai?”.
Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di come fosse stata soddisfacente l’esperienza.
“Mio padre si è messo a piangere!”, diceva uno. E un altro: “Strano. Mio padre mi ha ringraziato”.
(don Bruno Ferrero, C’è qualcuno lassù)
Preghiera di un padre
Grazie Signore, per avermi donato i miei figli,
grazie per avermi fatto provare la gioia di una vita che nasce,
di un bimbo che sorride e dona amore,
di una luce che illumina un mondo grigio.
Grazie Signore, per le notti in bianco,
per le preoccupazioni ed i dolori,
perché ho capito cosa vuol dire amare.
Aiutami, o Signore, ad imparare a far camminare i miei figli,
in un mondo privo di valori veri.
Aiutami, o Signore, ad essere un buon padre,
non perfetto, ma un buon padre.
Grazie, Signore, per ogni ora che passo con loro
e li vedo crescere e cambiare, piangere e amare.
Grazie, Signore, ti sento vicino come un padre al figlio.
Mi aggiungo anche io al coro delle (meritate) lodi, davvero un bel post! Mi ricorda molto la distinzione di Gabriel Marcel tra “servire” e “servire a”. Un vita diventa servizio e donazione di sé quando ci si consacra “mettendosi al servizio di”. “Servire a” invece esprime l’idea corrente secondo la quale l’uomo è un ingranaggio di una macchina, dunque poggia su una concezione strumentalistica e umiliante dell’essere umano. Chiaramente in questa seconda accezione ogni idea di fedeltà e oblatività diventa degradante, quando invece è il dono di sé a rendere la nostra vita veramente degna d’essere vissuta, come dice benissimo don Fabio.
Andreas: smack! 😀
Letto col fiato sospeso… ho tirato un sospiro di sollievo all’ultima frase.
molto carino l’articolo ti invito a leggere la mia sindrome di lavandonia 😀
Carissimo Don,
ooops. Ok, non la dico più quella frase 😀 In realtà credo di aver capito cosa vorrebbe dirmi in merito al “magari ce ne fossero di sacerdoti come lei”. Ad ogni modo, non mi fraintenda: io per prima posso dire di conoscere altri sacerdoti davvero in gamba. Certo, la mia frase di sospiro augurale non voleva essere un “magari ce ne fossero…” perché non si potrebbe far nulla. So che la cosa numero uno da fare è: pregare pregare pregare! 🙂
Quanto alla sua risposta, la ringrazio! Però credo anche una cosa (nella mia – seppure piccola – esperienza): alcuni sacerdoti si sono convinti che è l’iper azione di tipo laicale a fare della chiesa un luogo attraente, mentre Colui che attrae dovrebbe essere solo Cristo. E’ vero, molte mansioni come pagare una bolletta potrebbero essere svolte da altri ma le assicuro che nelle parrocchie alcuni sacerdoti si occupano di cose marginali deputate primarie, al fine di sembrare “moderni”, mentre a mio parere snaturalizzando la vita cristiana si ottiene solo uno strisciante e progressivo allontanamente che può anche essere fatale al credente di debole forza. Tal altri si occupano di cose che sarebbe bene lasciare ai laici. E poi c’è da dire (avendolo sperimentato più volte io in prima persona, essendo membro di un’associazione di laici cristiani) che oggi mi sembra che il laicato sia guardato con certo sospetto dai parroci (per non parlare ahimè, anche di alcuni Vescovi), i quali ostacolano tutto ciò che non sia stato partorito direttamente in Diocesi. E il Concilio Vaticano II? E le parole di santi come Josemaria Escrivà? E il ruolo del laicato cattolico? Grazie 🙂
Cara Claudia, forzateli! Costringeteli ad essere più spirituali! Il sacerdote vive del suo popolo, in goni caso, sempre, anche un “cattivo” sacerdote. Allora voi mostrategli nei fatti cosa volete da lui, cosa amate in lui. Quando ad esempio mi fanno i complimenti per una bella omelia io dico sempre, ed è vero, ne soo convinto, che il merito è di chi ascolta, non di chi parla, perché un ascolto attento e partecipe spinge l’oratore a dare il meglio di sé. Volete che il vostro prete passi tempo a confessare? Chiedetegli di confessarvi e chissà che dalle vostre confessioni non scaturisca anche per lui un’occasione di conversione (l’ho visto accadere più di una volta).
Insomma, ancje nel rapporto laico/sacerdote vale la legge della sottomissione così ben enunciata da geniocosmico 🙂
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Grazie Don! E buon lavoro per tutto (spirituale e non 😉 )