di Raffaella Frullone
Mi aggiro per le strade cercando di passare inosservata. Mi risulta
difficile, direi pressoché impossibile, perché il Natale lo passo nel
mio paesello: poco meno di cinquemila abitanti, poco più di tre
chilometri quadrati, provincia di Bergamo, condizioni del tutto
inconciliabili con il camminare più di 100 metri senza essere fermati
da qualcuno che conosci e non vedi almeno dall’estate. In realtà non
cerco di fuggire dalle persone che incontro, per lo più adorabili, o
resi tali dall’atmosfera natalizia e la serenità del sentirsi a casa,
ma da una domanda che mi perseguita, per la verità da prima di Natale,
in un crescendo di intensità: “Cosa fai all’ultimo?”.
Il quesito mi si presenta in tutte le salse. Sì va dagli amici e i
parenti: “Hai già deciso cosa fare? Resti a Milano o parti? Cena
romantica o festa in piazza? Due giorni in montagna”, al panettiere:
“Questo è il pane. Vuole assaggiare il paté d’oca perfetto per
capodanno? Il cenone con gli amici è sempre il meglio, cosa fa
all’ultimo?”, alle commesse dei negozi: “Questi sono i collant neri,
poi dipende cosa fa a capodanno, come le servono?”, alle mail di
promozione on line: “Scegli il tuo make un in base al tuo capodanno:
fashion, casual, chic”, perfino il gommista chiede: “le gomme da neve
le servono per andar via all’ultimo dell’anno?”.
Evidentemente, pur non essendo stata avvisata, è chiaro che è in corso
un quiz a premi globale, e il super monte premi se lo becca chi
risponde esattamente alla domanda di rito. Ed è altrettanto evidente
che io non sono la vincitrice dell’anno perché la risposta: “Non so”
deve per forza essere sbagliata, poiché la reazione che provoca
generalmente è uno sguardo a metà tra la delusione e la compassione,
poiché la gran parte degli abitanti del pianeta sembra sapere
esattamente dove andrà, cosa cucinerà, come si vestirà, chi incontrerà
il 31 dicembre.
Ok, lo ammetto, anche me piace organizzare qualcosa di carino,
possibilmente con le persone care, possibilmente dove ci si diverta in
compagnia, ma ammetto che ogni anno mi sorprende vedere come questa
ricorrenza mobiliti tutti quanti, perfino gli uomini per i quali la
programmazione esiste soltanto per il calendario delle partite,
perfino i maschi in vista di San Silvestro pensano in anticipo a come
festeggiare, quale vino è meglio comprare, quali petardi verranno
sparati, come e con chi si trascorrerà l’ultimo istante dell’anno.
Perché?
Me lo chiedo da tempo senza riuscire a rispondere: la notte di San
Silvestro affascina tutti, o quasi. Ci si sente in dovere di essere
pronti per il passaggio e lo si prepara con cura. E’ come se tutti
sentissero impellente il bisogno di attraversare la soglia, lasciare
dietro le spalle il vecchio per accogliere il nuovo, dimenticare ciò
che è stato di male e per andare verso il bene, gli animi eccitati si
caricano di attesa nella speranza di una vita migliore. E poi c’è la
curiosità, per quel che sarà, per come sarà, per chi ci sarà e chi si
incontrerà. L’ultimo istante dell’anno vecchio diventa magico perchè
abbraccia il primo attimo di una vita nuova, il primo istante del
nostro futuro, l’ultimo istante vede il nostro presente farsi avvenire
tra le nostre mani e per questo bisogna essere pronti, bisogna
vegliare.
Ecco perché stiamo svegli fino alla mezzanotte, tutti quanti. Molte
mamme, quelle della serie: “Io la sera non esco perché il bimbo alle
21.00 deve dormire, non interrompo le sue abitudini”, in vista della
notte di San Silvestro fanno inversione a U: “Tanto per una sera lo
tengo sveglio, cosa vuoi che succeda…”, la mia prozia, che cena alle
17.30 e alle 20.30 è già nella fase Rem, starà alzata per il brindisi
perché: “almeno l’ultimo dell’anno…”, io per esempio, mi premurerò di
avere a portata di mano due thermos di caffè e di non avere a portata
di mano (leggi a distanza di meno di 500 metri), un divano o un letto,
per evitare di sprofondare inerme nelle braccia di Morfeo.
Mi viene da chiedere come mai per l’ultimo istante di un anno ci
prepariamo così tanto mentre all’istante Ultimo non ci pensiamo mai.
Non ci chiediamo con chi saremo, cosa mangeremo, come ci vestiremo,
non prepariamo la nostra anima a salutare il nostro passato e ad
abbracciare il nostro avvenire, non ci eccitiamo, non siamo curiosi,
non siamo timorosi, semplicemente non ci pensiamo, e di conseguenza
non vegliamo.
Tra Natale e Capodanno si prepara di tutto: dallo zampone con le
lenticchie all’abito di strass rosso, dalle gomme da neve alla serata
in discoteca, dal concerto in piazza alla scarpa col tacco, dal week
end con gli amici al panettone farcito, dai petardi al vino. Tutto per
l’ultimo momento dell’anno.
Ci chiediamo cosa succederà nell’anno che arriva, se incontreremo
l’amore della nostra vita, se ci sposeremo, se avremo figli, se
troveremo un lavoro, un contratto a tempo indeterminato, se faremo
carriera, se guadagneremo, se diventeremo ricchi, se compreremo casa,
se andremo in vacanza, se il mondo finirà a marzo come dicono i Maya
oppure no, se sarà più azzeccato l’oroscopo di Branko o quello di
Paolo Fox.
Per l’ultimo istante della nostra vita invece non prepariamo nulla.
Almeno io. La teoria direbbe, che siccome non sappiamo né il giorno né
l’ora, dovremmo essere sempre pronti, dovremmo sempre vegliare, io
invece faccio come a scuola, non mi porto mai avanti e spero sempre
che qualcuno mi faccia copiare i compiti di tedesco. Insomma, anche
in questo caso, io non ho organizzato nulla, e, sarà perché ho sempre
il divano a portata di mano, ho come l’impressione di non vegliare a
sufficienza. Certo, potrei sopperire con dei caffè, ma qualcosa mi
dice che è un altro tipo di veglia che mi viene chiesta…
Dice Luca: “Tenete sempre la cintura ai fianchi e le lampade accese;
siate simili a quei servi che attendono il padrone, che ritorna dalle
nozze, per aprirgli al momento che verrà e busserà”.
Io anche per questo 2011 avevo preparato il mio personalissimo rito di
fine anno: l’elenco dei propositi che non realizzerò mai: mettermi a
dieta, tenere in ordine la casa, spendere meno, svegliarmi alle 5.00
per le lodi, andare a correre, preparare una torta, fare una doccia,
andare a messa ed essere in ufficio per le 8.30 avendo già letto i
giornali, imparare l’arabo, non rispondere male all’ufficio postale o
all’asl, imparare la differenza tra hardware e software.
Effettivamente, considerano la fine che farà, questo elenco posso
buttarlo prima di scriverlo, certamente mi converrebbe tirar fuori la
mia cintura da tenere ai fianchi, accendere la lampada e stare ben
sveglia.
Mi viene in mente una preghiera di Chiara Lubich: “Gesù, fammi parlare
sempre come fosse l’ultima parola che dico. Fammi agire sempre come
fosse l’ultima azione che faccio.
Fammi soffrire sempre come fosse l’ultima sofferenza che ho da
offrirti. Fammi pregare sempre
come fosse l’ultima possibilità, che ho qui in terra, di colloquiare con Te”.
E voi, cosa fate all’ultimo?
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Sai Raffa,
io è da qualche settimana che ci penso alla “fine”…
Non solo alla mia, cosa che le malattie e perdite dei cari che, guarda caso, dal 2008, mi sono capitate sempre nel periodo delle feste, mi hanno fatto pensare molto.
In quest’ultimo periodo penso alla fine del mondo. Si, perché io che alla domanda “e se i Maya avessero ragione?”, ho sempre risposto “chi se ne importa, tanto di una cosa sono sicura, io prima o poi finisco, se finisce il mondo con me che differenza fa? Dobbiamo comunque essere pronti!”.
In queste ultime settimane invece mi si è accesa una lampadina: NO, non è la stessa cosa! E’ una fregatura se finisce tutto subito! E il purgatorio? Come la mettiamo? E quelli anni per ripulirmi, quelli nei quali i miei cari possono pregare per la mie povera anima (sempre che mi vengano concessi)? E’ vero che non bisogna studiare pensando che, al limite, posso essere rimandata a settembre, ma se succedesse avevo la seconda chance…
Fossero solo i Maya a dirlo, c’è la Madonna a Madjugorie che continua ad avvertire “Vegliate e pregate!”, ed io? Penso sempre che “da lunedì” cambierò tutto…
Questa è – come sottolineava Danicor, di cui condivido in toto il commento – la ‘domanda da fine del mondo’: “E voi, cosa fate all’ultimo?”, nel dies irae, di fronte infine alla Verità. Verità che è luce del cuore dell’uomo, come sottolinea S. Agostino, e sono pregnanti, in merito, le parole del Concilio Vaticano II: “In realtà, solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et Spes, 22).
Giustamente si fanno delle distinzioni fra il concetto biblico ed il concetto greco di verità, e tuttavia sussiste un rapporto costitutivo fra fede cristiana e verità. La pretesa di verità è stata un’esperienza fondamentale e fondativa degli uomini del Nuovo Testamento. Naturalmente questo avviene in una persona concreta, la persona di N.S. Gesù Cristo, e S. Giovanni ha trovato una formula brevissima per dire tutto questo: la formula “Io sono la Verità”, quando Cristo dice: “Io sono la Verità”. Questa è stata anche la base della fortissima spinta missionaria che ha caratterizzato i primi secoli della Chiesa. Anche qui possiamo trovare una piccola formula emblematica, riassuntiva: ad esempio, alla fine del Vangelo di S. Marco: “Chi crederà, e solo chi crederà, sarà salvo”. Questa è stata la Weltanschauung con la quale la Chiesa antica ha potuto evangelizzare il mondo del suo tempo, superando tutte le resistenze d’una storia, d’una cultura, di abitudini di vita che le erano contrarie; scrive, infatti, Tertulliano: “Cristo ha detto d’essere la Verità, non la consuetudine”.
Dobbiamo constatare, tuttavia, come ci sia stato un abbassamento di livello della fede cristiana: dal livello, appunto, della certezza, al livello dell’opinione; opinione che, in quanto tale, è incapace di determinare comportamenti e di saldare appartenenze, in concreto l’appartenenza ecclesiale.
Quando, nel credente stesso, la fede viene declassata a livello d’opinione, pur plausibile, amabile, appetibile, è chiaro che difficilmente determinerà con forza i comportamenti del soggetto e lo impegnerà in un’appartenenza stretta a quel più grande soggetto che è la Chiesa.
Naturalmente, la verità della fede dev’essere mediata culturalmente, e questa mediazione culturale può avvenire oggi solo riproponendo, in primis, la questione stessa della verità, che, nella sostanza, è stata emarginata dalla nostra cultura a partire da Kant.
Per onestà intellettuale bisogna aggiungere, tuttavia, anche un’altra considerazione, in qualche modo dialettica a quella appena formulata. Esiste, cioè, un passaggio dalla certezza umana che possiamo avere della nostra fede a quella che è propriamente la certezza della fede. Certezza incondizionata, e questo passaggio qualitativo è possibile solo ad opera della grazia di Dio. Occorre, dunque, ammettere il soprannaturale, il divino, come qualcosa che operi sulla nostra intenzionalità, che entri a far parte della nostra intenzionalità. In altri termini, dobbiamo essere consapevoli dei limiti che ha sempre la mediazione intellettuale della fede, ma anche della sua necessità, di come essa sia richiesta dalla fede stessa. Diventa perciò chiaro come la mediazione culturale della verità non possa avvenire per via solamente teoretica, in sede filosofica e teologica, ma abbia bisogno di tradursi in un sistema di valori ed in un complesso di modelli comportamentali, giacché “la gloria di Dio è l’uomo vivente”, afferma già S. Ireneo. Perciò il carattere ed il condizionamento soggettivo storico della nostra intelligenza e libertà dev’essere a sua volta interpretato, in modo da non eludere il problema della verità del reale, ossia in modo da riconoscere che l’intelligenza e la libertà umana, pur sempre condizionate storicamente nel loro esercizio, sono caratterizzate da una loro intrinseca intenzionalità ontologica, rivolta alla realtà in tutta la sua ampiezza, e sono, pertanto, in grado di raggiungere una conoscenza oggettiva che si spinga fino alla sorgente dell’essere, cioè a Dio. Conoscenza certo oggettiva, ma, allo stesso tempo, sempre condizionata, imperfetta e perfettibile: questa è la condizione paradossale dell’uomo: si pensi a S. Paolo, a S. Agostino, a Pascal, a S. Tommaso d’Aquino. Non è dunque vero che la fede nella vita eterna renda insignificante la vita terrestre. Al contrario, solo se la misura della nostra vita è l’eternità, anche questa vita sulla terra è importante, ed il suo valore immenso.
Dio non è il concorrente della nostra vita, ma il garante della nostra grandezza. Così si torna al punto di partenza: reductio omnium ad unum. Considerando bene il messaggio cristiano, mi pare si parli d’un gran numero di cose. Il messaggio, alla luce del “rasoio di Occam”, è, in realtà, assai semplice. Si parli di Dio e dell’uomo, e così si dice tutto, dicendo, con Dante, “la Sua voluntade è nostra pace”.
“Perciò il carattere ed il condizionamento soggettivo storico della nostra intelligenza e libertà dev’essere a sua volta interpretato, in modo da non eludere il problema della verità del reale, ossia in modo da riconoscere che l’intelligenza e la libertà umana, pur sempre condizionate storicamente nel loro esercizio, sono caratterizzate da una loro intrinseca intenzionalità ontologica, rivolta alla realtà in tutta la sua ampiezza, e sono, pertanto, in grado di raggiungere una conoscenza oggettiva che si spinga fino alla sorgente dell’essere, cioè a Dio. Conoscenza certo oggettiva, ma, allo stesso tempo, sempre condizionata, imperfetta e perfettibile.”
Questo mi fa pensare all’enciclica “Fides et ratio”:
“61 In primo luogo, è da registrare la sfiducia nella ragione che gran parte della filosofia contemporanea manifesta, abbandonando largamente la ricerca metafisica sulle domande ultime dell’uomo, per concentrare la propria attenzione su problemi particolari e regionali, talvolta anche puramente formali. Si deve aggiungere, inoltre, il fraintendimento che si è creato soprattutto in rapporto alle « scienze umane ». Il Concilio Vaticano II ha più volte ribadito il valore positivo della ricerca scientifica in ordine a una conoscenza più profonda del mistero dell’uomo.
L’invito fatto ai teologi perché conoscano queste scienze e, all’occorrenza, le applichino correttamente nella loro indagine non deve, tuttavia, essere interpretato come un’implicita autorizzazione ad emarginare la filosofia o a sostituirla nella formazione pastorale e nella “praeparatio fidei”. Non si può dimenticare, infine, il ritrovato interesse per l’inculturazione della fede. In modo particolare la vita delle giovani Chiese ha permesso di scoprire, accanto ad elevate forme di pensiero, la presenza di molteplici espressioni di saggezza popolare. Ciò costituisce un reale patrimonio di cultura e di tradizioni. Lo studio, tuttavia, delle usanze tradizionali deve andare di pari passo con la ricerca filosofica. Sarà questa a permettere di far emergere i tratti positivi della saggezza popolare, creando il necessario collegamento con l’annuncio del Vangelo (Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 44).
“82 Questo ruolo sapienziale non potrebbe, peraltro, essere svolto da una filosofia che non fosse essa stessa un sapere autentico e VERO, cioè rivolto non soltanto ad aspetti particolari e relativi — siano essi funzionali, formali o utili — del reale, ma alla sua VERITA’ totale e definitiva, ossia all’essere stesso dell’oggetto di conoscenza. Ecco, dunque, una seconda esigenza: appurare la capacità dell’uomo di giungere alla conoscenza della verità; una conoscenza, peraltro, che attinga la verità OGGETTIVA, mediante quella “adaequatio rei et intellectus” a cui si riferiscono i Dottori della Scolastica.
Questa esigenza, propria della fede, è stata esplicitamente riaffermata dal Concilio Vaticano II: « L’intelligenza, infatti, non si restringe all’ambito dei fenomeni soltanto, ma può conquistare la realtà intelligibile con vera certezza, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata ». (Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 15.)… La teologia, quando si applica a comprendere e spiegare queste affermazioni, ha bisogno pertanto dell’apporto di una filosofia che non rinneghi la possibilità di una conoscenza OGGETTIVAMENTE VERA, per quanto sempre PERFEZIONABILE. […]
Una filosofia radicalmente fenomenista o relativista risulterebbe inadeguata a recare questo aiuto nell’approfondimento della ricchezza contenuta nella parola di Dio. La Sacra Scrittura, infatti, presuppone sempre che l’uomo, anche se colpevole di doppiezza e di menzogna, sia CAPACE di conoscere e di afferrare la VERITA’ limpida e semplice”
“83 […] è necessaria una filosofia di portata autenticamente METAFISICA, capace cioè di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca della verità, a qualcosa di ASSOLUTO, di ultimo, di fondante.
Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal FENOMENO al FONDAMENTO. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge.
Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente INADEGUATO a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione.”
“87. L’eclettismo è un errore di metodo, ma potrebbe anche nascondere in sé le tesi proprie dello storicismo.
Per comprendere in maniera corretta una dottrina del passato, è necessario che questa sia inserita nel suo contesto storico e culturale. La tesi fondamentale dello storicismo, invece, consiste nello stabilire la verità di una filosofia sulla base della sua adeguatezza ad un determinato periodo e ad un determinato compito storico.
In questo modo, almeno implicitamente, si nega la validità perenne del vero. Ciò che era vero in un’epoca, sostiene lo storicista, può non esserlo più in un’altra. La storia del pensiero, insomma, diventa per lui poco più di un reperto archeologico a cui attingere per evidenziare posizioni del passato ormai in gran parte superate e prive di significato per il presente.
Si deve considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l’errore in esse espressi si possono in ogni caso, nonostante la distanza spazio-temporale, riconoscere e come tali valutare.”
(Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Fides et ratio, 1998)
grazie per avermi fatto vedere come si scrive welt….
WOW
scriteriato;,
e mi permetto di aggiungere:
“…non si deve confondere il cristianesimo come reltà storica con quell’unica radice che ricorda il suo nome: le altre radici dalle quali è cresciuto furono di gran lunga più forti. E’ un malinteso senza pari il fatto che con quel santo nome si designino strutture decadenti e deformi come “Chiesa Cristiana” , “fede cristiana , e “vita cristiana”.Cristo che cosa rinnegò? Tutto ciò che oggi si chiama cristiano.”
filosofia0, guarda che lucrezio è morto, nietzsche è morto, e pure feuerbach, le cui tesi atee erano comunque già state smontate dallo stesso engels.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
“Se in questo momento venisse un angelo a dirti che fra un’ora dovresti morire, cosa faresti?”. Il ragazzo rispose: “continuerei a giocare”, ovvero “continuerei a fare quel che sto facendo”.
Ma il ragazzo era Luigi Gonzaga, futuro santo…
Siamo tutti chiamati ad essere santi, cioé “fare bene e con amore” le cose che stiamo facendo. Per questo Giovanni Paolo II ha battuto il record delle beatificazioni e santificazioni. se io fossi una lavapiatti della bettola più degradata o fossi presidente della repubblica, svolgendo bene e con amore il mio compito, di lavaggio piatti nel primo caso e di capo di una nazione nel secondo, sarei santo. Mi piace molto pensare che quando andremo al cospetto di Dio, vedremo il suo Volto faccia a faccia, e edremo tantissimi sconosciuti che faranno la stessa cosa, cioé vedremo i Santi che festeggiamo a Ognisanti.
Grazie di aver rispolverato il mio santo
Nell’omelia per la S. Messa in occasione del compimento degli ottant’anni il card. Giacomo Biffi disse:
“A questo proposito devo dire che, arrivato a questa età, ho imparato a dire meglio, con più senso, l’ultima parte dell’Ave Maria (superando la mia anteriore superficialità e spensieratezza):
“Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen”.
http://www.bologna.chiesacattolica.it/arcivescovi/biffi/omelie/2008/2008_06_13.php
Per alleggerire un po’…
Totò (Antonio De Curtis) disse (nel film (“Chi si ferma è perduto”):
“Ride bene chi ride ultimo! Ed io, da ultimo, mi voglio scompisciare!”
Carinissima!
scriteriato:
Engels “smonta” Feurbach in quanto lo considera ancora fondamentalmente idealista:
“decisamente falsa è l’affermazione di F. secondo cui i periodi del genere umano si distinguono soltanto per mutamenti religiosi”
(per semplificare)
Suggerisco (volevo già chiosarlo l’altro giorno sul relativo post, tuttavia il sistema lo segnalava come ormai chiuso a nuovi commenti, quantunque abbia visto altre penne potervi ancora intervenire) di non basarsi, per quanto riguardi la complessa problematica feuerbachiano-marxista, sul pur certamente ottimo bignami di filosofia aut similia, nonché su quello che il naso di google sappia trovare, bensì di studiarsi prima qualcosina del P. Wetter, SJ, come, ad ex.:
Fondamenti della filosofia marxista,
Dialektischer und historischer Materialismus,
Filosofia e scienza nel marxismo classico,
Alcune considerazioni sull’umanesimo ateo e sull’ateismo postulatorio,
Kommunismus und Religion,
Ateismo e marxismo,
Le matérialisme dialectique
Ri-WOW
Dici a me?
RAFFAELLA FOR PRESIDENT!
yes! She can
“Quando, nel credente stesso, la fede viene declassata a livello d’opinione, pur plausibile, amabile, appetibile, è chiaro che difficilmente determinerà con forza i comportamenti del soggetto e lo impegnerà in un’appartenenza stretta a quel più grande soggetto che è la Chiesa”: Rafaellaaaaaa! Smack!
Buon Giorno Ragazi!
Ok, non ci penso quasi mai a quella fine, forse perchè a 26 anni ti senti quasi …..immortale. Comunque, confortata dal fatto che una parte di me immortale lo è, e che all’ultimo sarà come agli esami, non mi sentirò mai abbastanza pronta, spero di potermi affidare a Lui, che ha visto tutto quello che ho combinato qui giù.
Ok, tutti terrorizzati dalla storia dei Maya, ma loro parlano di ” grandi cambiamenti ” non di fine del mondo, e dato che sono una Paperella positiva, io punto sui cambiamenti, sulla svolta in meglio.
Hai visto mai che nel 2012 siamo davvero tutti più buoni?
Ciao Paperella!
“all’ultimo sarà come agli esami”: credo proprio che non ci saranno esami né giudizi da parte di Dio, perché sarà la Parola che non avremo vissuta a condannarci (scusami ma non ricordo la citazione…). Il Signore dividerà i capri dalle pecore, ma se saremo tra i capri sarà perché lo saremo diventati giorno per giorno con la nostra vita: non sarà il Signore che ci trasformerà in capri. Il Signore sa benissimo che nessuno di noi è perfetto: Lui è perfetto e noi siamo alla ricerca della perfezione che raggiungeremo solo in Paradiso.
E se poi proprio dovesse andare male vorrà dire che dovrò sopportare mia suocera solo per un’altro anno!
Cambia punto di vista: quando la suocera sarai tu, in buona fede ma farai comunque la suocera!!! A parte scherzi: ogni tanto compragli un cioccolatino, così “spanderà dolcezza.
Ciao Angela! Io mi riferivo al fatto di sentirmi cronicamente impreparata ad affrontare le cose. Dio le mie cose le sa, ne sono certa. Per quanto riguarda mia suocera niente negli ultimi quasi 5 anni l’ha addolcita, ma ammetto che quest’anno ci ho provato anche con i cioccolatini…..per l’anno prossimo, come dice un famoso libro
” Io speriamo che me la cavo “.
Ma sì che te la caverai!
Mi succede di essere triste nell’imminenza della festa perché so che il giorno dopo è lunedì. Mi piace più la vigilia e l’attesa.Per quanto riguarda il veglione di fine anno penso sia diventato più che altro nell’immaginario collettivo un punto di riferimento per un festeggiamento particolare durante le festività, è il giorno della scusa per star su fino a mezzanotte e oltre. Posso capire il cambio del millennio ma dal 2011 al 2012 cambia ben poco. Brindo più o meno tutto l’anno, quando sono felice e quando sono triste. Per quanto riguarda l’ultimo istante non credo che mentirò a Dio, sarò quello che sono sempre stato, magari piangerò per commuoverlo un po’, per presentarmi come un mendicante della sua misericordia.
Se sapessi di dover morire domani? Mi fermerei ad esaminarmi beeeene e cercherei le mancanze più o meno gravi, nella serenità. Poi chiederei perdono a Dio e ai fratelli vicini, mentre ai lontani lo chiederei solo con il cuore, sicura che gli arriverà comunque il beneficio della mia richiesta. Poi continuerei a fare quello che ho sempre fatto. Siccome sono “umana” avrei anche un po’ di paura, quella paura dell’ignoto che ognuno di noi ha dentro: è inconscia e non la si può cancellare. Però avrei anche una grande certezza: il Signore sa che sono extralarge di taglia ma piccolissima e fragile di fronte al peccato!
E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.
Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. […]
Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha attraversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attraverso l’oscurità.”
(Benedetto XVI, Udienza generale, 2 novembre 2011)
In questi giorni avevo deciso di staccare un po’ dal mondo virtuale, dovendomi occupare molto concretamente del mio mondo reale, fatto di bambini, compiti, svaghi, partite a Risiko,ecc…: faccio dunque una pausa nella pausa natalizia per lasciare un commento.
Capodanno per me, come per alcune decine di famiglie, è – dall’anno 2000 – legato al nome di un caro amico scomparso: Enzo Peserico.
Enzo era un uomo di grande intelligenza e cultura, ma aveva capito che in quest’epoca di scristianizzazione dilagante si può ricostruire un tessuto sociale orientato verso Dio solo partendo dalla cellula più piccola della società, che è la famiglia.
Sapeva che per incarnare i più grandi ideali gli uomini hanno bisogno anche di gruppi umani che accolgano e facciano propri tali ideali.
Enzo organizzava ogni anno, a cavallo di Capodanno, alcuni giorni di preghiera, formazione e amicizia. La mia famiglia ha avuto l’onore di parteciparvi più volte.
Per chi non l’abbia conosciuto, è difficile descrivere il modo in cui Enzo si occupava non solo dell’organizzazione pratica, ma di tutti e di ciascuno, facendoci sentire davvero una famiglia di famiglie.
Enzo aveva il dono di far sentire ciascuno importante, dedicando a ogni persona tempo e attenzione in misura generosissima. Non si trattava dell’importanza umana che diamo al prossimo in quanto più o meno rilevante socialmente, ma di un’espressione di amore per le anime.
L’1 gennaio del 2008, quando eravamo ormai quasi tutti saliti in macchina per rientrare alle nostre case al termine di uno di questi incontri, Enzo è morto a soli 49 anni, lasciando la moglie e 4 figli giovanissimi.
Oggi sono alcuni dei suoi amici più cari che continuano l’organizzazione dei Capodanni: quest’anno l’incontro è a Napoli e la mia famiglia non può partecipare per motivi pratici, ma certamente saremo lì con il cuore e gli affetti.
Per il resto, al di fuori di questo contesto così ricco e profondo, per me il Capodanno non ha un significato particolare, mi va bene un Te Deum, un film, una partita a carte in famiglia, anche una bella dormita, al limite. Mi fanno orrore invece cenoni, trenini, animazioni, ecc…
Quanto a non sapere né il giorno né l’ora… condivido ogni parola di Danicor.
Daniela…
tra le perdite che dal 2008 mi sono capitate, c’è in primis quella di Enzo.
Se uno non crede non crede (potrà credere forse un giorno ma per ora no)
E’ come innamorarsi, non ci si può innamorare solo volendolo o uno si innamora o non si innamora.
Pre quanto riguarda ancora il credere o è una esperienza DECISIVA o non è.
Non si puo essere credenti totali e pensare al capodanno all’anno nuovo al natale al lavoro eccetra, Non c’è più né natale né anni né giorni né notti non c’è più nulla ve lo dice uno che soffre tanto di tutto questo suddetto e gli piacerebbe (fosse) trovare “qualcosa” che lo risucchiasse via da “ogni” cosa (Bignami inclusi, degli altri)
Non e’ vero Fil…per restare al tuo paragone con l’innamoramento, ci sono anche i matrimoni combinati, in cui l’amore non c’era prima, ma cresce giorno per giorno se antrambi hanno la voglia di coltivarli.
La fede non e’ per tutti come qualcosa che ti “fulmina” e poi ti cambia del tutto, ad un tratto sei forte ed invincibile e hai una fede incrollabile.
Per la maggior parte delle persone e’ fatta invece di difficolta’, impegno quotidiano, anche momenti di dubbio, di sconforto, per poi riprovare ancora.
Riprovare che?
“Non si puo essere credenti totali e pensare al capodanno all’anno nuovo al natale al lavoro eccetra, Non c’è più né natale né anni né giorni né notti non c’è più nulla”
Alvise, non ho capito questa tua affermazione. Cioè, non ho capito che significhi per te essere “credenti totali”.
Ubi maior…
E quindi…
Nel nostro caso…
Una volta c’erano le preghiere per la buona morte… Roba sorpassata ormai!
PS Cosa faccio l’ultimo? Ovvio! Non so!
Sorpassata? Quando mai! Ogni volta che si recita l’Ave Maria si chiede la buona morte. La devozione alla Divina Misericordia? Quella Coroncina recitata accanto ad un moribondo produce per quell’anima un fiume di grazie! Etc., etc. etc.! Sai quante volte chiediamo la buona morte senza nemmeno accorgercene?
nn so bene dove sarò all’ultimo, cosa cucinerò, come mi vestirò, con chi starò..nn lo so.. nn mi importa molto.. voglio solo NON portarmi nel 2012 quella “brutta bestia” che si è presentata nel 2011.. vero cara che nn mi seguirà?
Ho una domanda da farvi: mio padre si dichiara ateo, nonostante io abbia provato innumerevoli volte a parlargli di Dio, per lui sono stupida o credulona.
Io continuo a pregare per lui ogni giorno. Ma secondo voi, o meglio secondo la dottrina cristiana che non conosco nel dettaglio bene come molti di voi purtroppo, quale sara’ il destino dopo la morte per un ateo che muore da ateo convinto, ma i cui parenti cristiani continuano a pregare per lui, anche dopo la sua morte?
Il mio parroco in Brasile mi diceva che se muore ostinatamente negando Dio, non puo’ aver parte al Paradiso…e’ vero?
Io non sono un’ esperta in teologia, ma credo che se muore una persona, anche atea, ma che nella vita è stata buona e un buon padre, Dio guarderà quello che ha fatto qui. Spero davvero che in Paradiso ci vada anche chi pur non credendo ha avuto una vita nella quale ha donato amore.
Sì, è vero, niente Paradiso per chi non crede, peggio ancora per chi NON vuole credere. Mi permetto io di rispondere: non vedo come alcuni possano essere più qualificati di altri per rispondere a questa domanda.
Sì, è vero,, niente Paradiso per chi non crede e non vuole credere.
Allora per chi è nato prima della nostra fede e Credeva in qualche altra cosa, fosse stato pure un Santo, non ha diritto ad essere felice nell’aldilà?
E chi a Dio ci crede ma non nel nostro e lo chiama con un’altro nome?
Anche noi non conosciamo davvero il suo nome, io lo chiamo Papà ( più confidenziale di Padre ), ma devo dire che mi ascolta lo stesso.
Abbà vuol dire appunto ‘babbino’ (o paparino, per chi non parla come Dio comanda 😉 )
e io la trovo una parola molto dolce.
Domande antiche, per la risposta c’è da aspettare …
«Che tu dicevi: un uom nasce alla riva
Dell’ Indo , e quivi non è chi ragioni
Di Cristo , né chi legga, né chi scriva:
E tutti suoi voleri ed atti buoni
Sono , quanto ragione umana vede,
Senza peccato in vita od in sermoni:
Muore non battezzato e senza fede;
Ov’ è questa giustizia che ‘1 condanna?
Ov’ è la colpa sua se el non crede?
Or tu chi se’ che vuoi sedere a scranna ,
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d’ un spanna?»
(Paradiso, XIX, 70-82)
Se Alvise non giudica che Dante sia meno qualificato di lui per rispondere a siffatta domanda, Emidiana, penso che Silvana possa contentarsi di questa risposta. Io non oso toccarne neanche una virgola.
Giusto!!!
babyduckling, è un estratto un po’ lungo e complicato, ma cito la dichiarazione Dominus Iesus (della Congregazione per la Dottrina della Fede, 2000), che spiega IN CHE SENSO (che va capito bene) non c’è salvezza fuori dalla Chiesa (extra Ecclesiam):
“Per coloro i quali NON sono formalmente e visibilmente membri della Chiesa, « la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo ». [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 10] Essa ha un rapporto con la Chiesa, la quale «trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre». [Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 2]
21. Circa il MODO in cui la grazia salvifica di Dio, che è sempre donata per mezzo di Cristo nello Spirito ed ha un MISTERIOSO rapporto con la Chiesa, arriva ai singoli NON cristiani, il Concilio Vaticano II si limitò ad affermare che Dio la dona «attraverso vie a lui note». [Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 7.]
La teologia sta cercando di approfondire questo argomento. Tale lavoro teologico va incoraggiato, perché è senza dubbio utile alla crescita della comprensione dei disegni salvifici di Dio e delle vie della loro realizzazione. Tuttavia, da quanto fin qui è stato ricordato sulla mediazione di Gesù Cristo e sulla «relazione singolare e unica» [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 18] che la Chiesa ha con il Regno di Dio tra gli uomini, che in sostanza è il Regno di Cristo salvatore universale, è chiaro che sarebbe CONTRARIO alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi sostanzialmente equivalenti ad essa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico.
Certamente, le varie tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio, e che fanno parte di «quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni». [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 29.]
Di fatto alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all’azione di Dio. [Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 29; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 843.] Ad essi [elementi] tuttavia non può essere attribuita l’origine divina e l’efficacia salvifica “ex opere operato”, che è propria dei sacramenti cristiani. [Cf. Conc. di Trento, Decr. De sacramentis, can. 8, de sacramentis in genere: Denz., n. 1608].
D’altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21), costituiscono piuttosto un OSTACOLO per la salvezza. [Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55.]
22. Con la venuta di Gesù Cristo salvatore, Dio ha voluto che la Chiesa da Lui fondata fosse lo strumento per la salvezza di tutta l’umanità (cf. At 17,30-31). [Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 11.]
Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista « improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l’altra” ». [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 36].
Se è vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che OGGETTIVAMENTE si trovano in una situazione gravemente DEFICITARIA se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici. [Cf. Pio XII, Lett. Enc. Mystici corporis]
Tuttavia occorre ricordare « a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati ». [Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14]
Si comprende quindi che, seguendo il mandato del Signore (cf. Mt 28,19-20) e come esigenza dell’amore a tutti gli uomini, la Chiesa « annuncia, ed è tenuta ad annunciare, incessantemente Cristo che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sé tutte le cose ». [Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14]
La missione ad gentes anche nel dialogo interreligioso « conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità ». [Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 7].
In effetti, « Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria ». [Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 851; cf. anche nn. 849-856].
Grazie, mi è molto utile questo trascritto.
Vorrei chiedere, a te ed a chiunque sia in grado di rispondere, degli esempi di riti che costituiscano ostacolo alla salvezza:
D’altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21), costituiscono piuttosto un OSTACOLO per la salvezza. [Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55.]
E’ forse il caso di riti di comunione di altre confessioni?
La citazione paolina cui si rinvia (1 Cor 10,20-21) è questa:
“e la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa?
No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni.”
Quindi, rimandando a Paolo si additano come ostacoli per la salvezza i riti nei quali si sacrificano animali, perché tali sacrifici non sono graditi a Dio: pertanto possono essere graditi solo ai “demòni” e fare entrare “in comunione con i demòni”, non con Dio.
In genere, i riti di ostacolo alla salvezza sono quelli indicati dal Catechismo:
– riti idolatrici (nn. 2112-13-14): “La Scrittura costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono « argento e oro, opera delle mani dell’uomo », i quali « hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono… ». Questi idoli vani rendono l’uomo vano: « Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida » (Sal 115,4-5.8)”
– divinazione, magia, stregoneria, spiritismo (nn. 2115-16-17), praticati, oltre che da noi, anche nelle “religioni tradizionali africane”, come lamentò Benedetto XVI il 29 ottobre 2011 ricevendo i vescovi dell’Angola:
“Un secondo scoglio nella vostra opera di evangelizzazione è il cuore dei battezzati ancora diviso fra il cristianesimo e le religioni tradizionali africane. Afflitti dai problemi della vita, non esitano a ricorrere a pratiche incompatibili con la sequela di Cristo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2117). Effetto abominevole di ciò è l’emarginazione e persino l’uccisione di bambini e anziani, a cui sono condannati da falsi dettami di stregoneria”
Già il 21 marzo 2009, a Luanda, nell’omelia Benedetto XVI disse:
“Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini.
Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr Ef 1, 19-23; 6, 10-12)?
Qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità». Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna.”
Okay, grazie.
Il Catechismo (nn. 1033ss) insegna che va all’inferno chi:
muore “in peccato MORTALE senza essersene PENTITO e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio”
“sino alla fine della vita rifiuta di credere e di CONVERTIRSI”.
Andare all’inferno “è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste SINO ALLA FINE”
Inoltre:
“1861 Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia.
Se non è riscattato dal PENTIMENTO e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili.”
In sintesi: va all’inferno chi muore in peccato MORTALE, cioè chi persiste FINO ALLA FINE in peccato mortale SENZA PENTIMENTO (SENZA CONVERSIONE)
Che è il PECCATO MORTALE (morendo nel quale si precipita all’inferno)?. S’è accennato che è “una avversione volontaria a Dio”.
Inoltre
“1857 Perché un peccato sia MORTALE si richiede che concorrano TRE condizioni: « È peccato mortale quello che ha per oggetto una MATERIA GRAVE e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso ». (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 17).
E qual è la MATERIA GRAVE?
“1858 La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre » (Mc 10,19)”
Che significa che il peccato è MORTALE se e soltanto se “viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso”?
“1859 Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena consapevolezza e pieno consenso. Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono”
Si badi che è difficilissimo per un uomo sapere se 1) Tizio, che sembra essere in stato di peccato mortale, lo sia veramente; 2) Tizio, che sembra essere morto in stato di peccato mortale, non si sia in qualche modo pentito, scampando così dalla dannazione.
Perciò il Catechismo al n. 1861 precisa che “anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio”.
Alessandro, grazie, è bello sapere che c’è speranza per tutti. Un bacio!
Grazie a te, a presto!
Io lo so cosa farò! :)) con degli amici e il mio fidanzato, facciamo la fonduta di formaggio. E per l’anno nuovo la mia lista dei propositi l’ho fatta, speriamo che almeno la metà sarò capace di portarla a termine.
Se il mondo finisse domani, e vabbè, ci sarà il Giudizio universale. però un po’ mi dispiace di non essermi ancora sposata e aver passato così poco tempo con il mio fidanzato (siamo a distanza ahimé, e, stupidi Maya a parte, ancora per un annetto lo sposarsi lo vedo difficile 🙁 ).
PS: Raffaella, da quanto so, ‘hardware’ è il computer in quanto macchina (plastica, metallo, etc.), ‘software’ sono le indicazioni di programmazione che lo fanno funzionare (tipo Windows, o DOS). Così un punto del programma l’hai fatto 🙂
Lidia, io mi sono sposata 3 mesi dopo essermi trasferita per lavoro, e ho vissuto a distanza da mio marito per un bel po’ di tempo. E’ stato difficile ma bello. Coraggio, ti auguro di non dover aspettare troppo!
Scusatemi ragazzi, ma se potessi ricevere una risposta ” a voce da Lui ” non la sprecherei mai chiedendogli quando morirò. Per come sono fatta vivrei nell’angoscia di quel momento. Trovo giusto non conoscere l’ultima data, altrimenti non vivremmo la vita.
Mesdames et messieurs, avendo visto qui sopra citati i Maya per ben cinque volte vi rimando all’inesauribile Introvigne (che se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo)
http://www.cesnur.org/2009/mi_maya_2012.htm
sulla bufala più o meno maya è bene soprassedere, ma conviene ricordarsi pure che la fine del mondo prima o poi arriverà, cioè conviene ascoltare quello che dice Introvigne:
“Papa Benedetto XVI nell’enciclica del 2007 Spe salvi lamenta che non se ne parli abbastanza, perché la prospettiva della fine del mondo e del Giudizio Universale, dove i sacrifici dei buoni e la malizia dei malvagi emergeranno agli occhi di tutti e saranno definitivamente giudicati, illumina l’intera storia umana. La Chiesa, però, ha sempre condannato il millenarismo, che pretende di detenere un sapere dettagliato, che va oltre la Sacra Scrittura e l’insegnamento del Magistero, sul “come” della fine del mondo e di poterne determinare anche il “quando”. La Chiesa annuncia la parola del Vangelo di Matteo (25, 13): “Non sapete né il giorno né l’ora”. E chi afferma di saperli s’inganna, e inganna chi gli presta fede.”
Ma per favore!!!
ke ppal… i maya.chi è in vena di profezie si andassero a rileggere San Malachia Vescovo di Armagh.
su tanta scienza marxista mi son sorbito ai tempi sia il manifesto che il capitale-volutamente minuscoli-( per non parlare dei trotzkisti e degli anarco-comunisti alla Kropotkin. e dei filonazisti che diventarono comunistalla Célinei -alla fine,o antisemiti divenuti filocomunisti alla Bocca(ma si può?). et satis est.
talvolta oscillo tra l’arte del ben morire del Bellarmino ed il misterium iniquitatis di Quinzio. e non mi consolo.
Ma spero.Poco fa è nata la speranza di un senso della vita.
Un po’ di pace. anche a tutti voi per l’anno che arriva.
per capodanno, come l’autrice del post, andrò alla ventura.
vale
p.s .ki sa perchè,post grappam, sfugge sempre qualche lettera in più…..
scriteriato:
“…oltre che il materialismo Marx accettò da Feuerbach, come problema fondamentale, la sua nozione di alienazione. ma invece di limitare tale questione al campo religioso, la considerò nel suo aspetto sociale, ritenendo che l’alienazione della essenza umana fosse determinata non tanto dalle concezioni religiose, quanto dall’organizzazione sociale esistente e che per abolirla era necessario, oltre che sopprimere la religione, trasformare radicalmente la società: ciò che lo indusse a rifiutare (con Engels) l’umanesimo sentimentale di Feurbach”.
Bignami vol.III
Alessandro.
credenti totali: quelli che lasciano tutto e vanno, come i Matteo, Luca, Giovanni, Giacomo.
andare, via, senza nulla, se ne era già parlato anche qui, mi sembra….
Io non ne sono capace, per esempio.
Vivo, l’ho già detto, come tutti, la casina, la macchinina, il lavoruccio, i progettucoli, le cosce, talvolta, di qualche donna, il canino, il vino, la finocchiona, la matriciana, l’abbacchio, la porchetta, il parmigiano, i librini, le scarpucce, i calzini, le mutande, il letto, il cuscino, il giornale, la tele, le disperazione….
Ho capito, lasciare tutto e andare…
“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano…. Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”
ma questo lasciare tutto non è necessario per essere cristiani autentici… la sequela di Cristo può concretarsi anche avendo una famiglia, un lavoro ecc. La radicalità del “contemptus mundi” non è richiesta per la santità.
Meglio ribadirlo… e d’altronde i Pietro ed i Paolo della storia non sono credenti più “totali” di altri; nella fede non c’è una misura da riempire a vari livelli!: sempre umani siamo, più e meno degni.
Alvise, t’ho chiesto una cosa, sopra, la riscrivo qui:
“Non si puo essere credenti totali e pensare al capodanno all’anno nuovo al natale al lavoro eccetra, Non c’è più né natale né anni né giorni né notti non c’è più nulla”
Alvise, non ho capito questa tua affermazione. Cioè, non ho capito che significhi per te essere “credenti totali”.
Ok, m’hai risposto mentre ti riscrivevo la domanda
credo che Alvise si aspetti la folgorazione, tipo san Paolo, forse per questo pensa che i credenti siano tutti un po’ svalvolati
No, all’incontrario, troppo poco
beh, ma essere svalvolati non sembra male
Silvana.
scusami per le mie brutte risposte di prima
Io sono SICURO che se il Paradiso esiste è per TUTTI!!!
E quindi anche per il tuo babbo.
Credi a me!!!
Silvana, ascolta me, in Paradiso non ci vanno tutti.
Continua a pregare, le preghiere sono così forti che possono strappare le anime all’inferno!
Abbi fiducia! Le vie della infinita misericordia di Dio sono spesso imperscrutabili per noi uomini ma giungono sempre a destinazione!
E’ vero Silvana, Alessandro ha ragione: se hai provato con la ragione e non l’hai convinto resta solo un’arma, ma che è la più potente di tutte: la preghiera. Io ho la medesima afflizione e con entrambi i miei genitori: coraggio, più insistenti della vedova del Vangelo nei confronti del giudice iniquo, e saremo i genitori dei nostri genitori! Noi li strapperemo alla dannazione, a costo di trascinarceli dietro a forza, tenuti per i capelli. Basta acciuffarli anche all’ultimo istante utile, essere sempre pronti e vegliare per cogliere la più piccola fenditura nella quale poterci infilare, con la cintura ai fianchi come ci ha ricordato Raffaella.
E’ bellissimo ciò che scrivi, Roberto.
So anche che è vero.
Ma sento di aver fatto e stare facendo così poco per loro!
Io mi sono proposto lo scorso 19 marzo a iniziare la devozione delle 15 orazioni di Santa Brigida. 😀
http://digilander.libero.it/rexur/preghiera.htm
Che sono molto belle e grazie alle quali ho scoperto una Santa attualissima, che con le sue Rivelazioni mi ha molto colpito. Lasciamoci catturare da Cristo e sono certo che il resto ci verrà dato in aggiunta.
Grazie.
Io devo sciogliere un voto……
sarò qua :
http://www.santuariodivinamaternita.com/
Buona Notte Ragazzi, vado a fare due chiacchiere con il mio ragazzo prima di crollare. Domani pomeriggio parto e torno domenica: altro che discoteche trenini e casini, me ne vado nel nostro piccolo angolo di mondo in riva al mare, stacchiamo i cellulari e ci facciamo una cenetta romantica a lume di candela.
Mi fai un’invidia tu e i tuoi weekend romantici col tuo moroso, io queste cose non le faccio da una vita e la possibilità di congiungermi alla mia amata senza un marmocchio tra i piedi è pari all’allineamento di tutti i pianeti del sistema solare.
Anche mio fratello mi ha sorpresa, io credevo che andasse in discoteca ed ero già preoccupata, lui e i suoi amici invece affittano una sala e ci vanno solo con il gruppo di sempre.
Ai pochi che non lo conoscano consiglio “Scommessa sulla morte” di Vittorio Messori (1982, svariate ristampe)
http://www.et-et.it/libri/SSM/SSM_main.html
io x il 31 vado a nanna alle 00.30 dopo il brindisi. ho rifiutato tanti inviti e tutti perchè non reputo una festa questa festa. per girare l’anno aspetto i compleanni, se non altro lì possiamo ringraziare di avere un anno in più, nostro o delle persone care.
Pensare alla morte, prepararsi – più che all’istante in sè – ad essere “in ordine” nei propri rapporti è qualcosa che mi sto abituando a fare. Non un asettico (ed inevitabilmente falsato, improprio) bilancio, ma uno sguardo ponderato su come stiamo conducendo la nostra esistenza; che da appuntamento periodico con fatti e misfatti quotidiani diventi coscienza radicata e continua del proprio agire.