Libertà in gabbia?

Questo è il testo del mio intervento al convegno “Libertà in gabbia?” organizzato dall’associazione Nonni 2.0 a Milano.

C’è effettivamente una sorta di egemonia del pensiero unico, grazie alla saldatura  tra le classi dirigenti, politiche, intellettuali e mediatiche. Anche negli esiti delle ultime elezioni, per esempio la Brexit, c’è stato uno schieramento totale dei media. Anche lo schieramento mediatico contro Trump, che ha avuto un esito, come sappiamo, opposto, ci dimostra che la cooptazione del pensiero non è ancora compiuta. Non voglio dire che siano giuste né le elezioni di Trump né la Brexit, non è il luogo per esporre il mio pensiero in merito, ma che comunque c’è ancora la libertà di pensare, secondo me,  nonostante questo tentativo di indottrinarci continuo, anzi forse c’è una reazione a esso.

Per esempio, leggevo che lo show più visto in America in questo momento è quello di un comico, il più visto su Netflix. E’ un comico che si chiama Dave Chapelle. Fa battute politicamente scorrettissime e la gente finalmente può ridere e anche sentir dire ad alta voce quello che pensano tutti. Lui dice che a New York ormai gli spacciatori neri del Bronx si mettono i tacchi alti perché se sembrano dei trans la polizia non li tocca. E questo è qualcosa che cerca di scardinare la narrazione  sulla omosessualità che fonda la sua base più forte, la base principale, sulla narrazione vittimistica, quindi su un presunto dilagare dell’omofobia.

Il vittimismo sembra funzionare sempre. Per esempio, leggevo ieri che, dopo che Zingaretti si era pronunciato contro l’utero in affitto, la senatrice Cirinnà ha subito detto: “non devono pagare i bambini nati in un altro modo”. Ovviamente nessuno ha mai detto questo, noi non siamo contro i bambini nati dall’utero in affitto, ma siamo contro il fatto che ne nascano altri, cioè che altri bambini vengano privati della madre.

A questo proposito credo che sia molto utile l’indicazione dell’Avvocato Respinti sul fatto di basarci sulla realtà, cioè raccontare la realtà. Io mi ricordo che quando lessi il libro di Mario Adinolfi ‘Voglio la mamma’ non è che avessi un’opinione molto chiara sul tema, non me l’ero neanche tanto posto il problema, però mi ha colpito tantissimo il racconto di come avviene questa pratica e quindi di ciò a cui vengono sottoposte le donne. Diceva che le donne vengono sedate – invece di solito si ha questa immagine romantica della madre che si offre generosamente -, ma quando uno vede la carne, il sangue, i soldi, la sofferenza che ci sono dietro questa cosa, i bambini concepiti e poi uccisi nei tentativi, cioè tutti gli embrioni sacrificati, le donne che vengono sottoposte ad anestesia totale e che non di rado riportano  danni permanenti… Questa parte non viene raccontata, viene raccontata solo la parte romantica di una donna che si offre generosamente, ma dietro c’è una storia proprio concreta, anche medica, terribile.

Le mie figlie, purtroppo, sono appassionate di una serie che si chiama ‘Friends’ e che io vent’anni fa vedevo con mio marito con un occhio diverso, divertendomi, ridendo. Adesso ho un’altra consapevolezza e anche con tutta la storia che c’è stata dopo mi sono resa conto che ha messo i semi di tante correzioni politiche del pensiero. Per esempio, anche lì c’è una dei protagonisti che porta nel grembo tre gemelli per un fratello e questa cosa è raccontata in modo molto allegro, carino. Tutte le volte che le mie figlie la vedono io mi metto lì con loro e faccio la contronarrazione. Infatti mi dicono: “mamma, ti prego..ce l’hai detto mille volte…..”. Allora io dico: “Se la volete vedere, vi dovete sorbire anche la mamma che predica..”

Per esempio, la senatrice Cirinnà che è a favore dell’utero in affitto, quando era assessore al comune di Roma e si occupava anche degli animali, aveva stabilito un’ordinanza per cui i gattini non dovevano essere separati dalla mamma prima dei sessanta giorni dal parto, mentre per i bambini questo è permesso. Questo perché tutto viene raccontato con questo colore di vittimismo dal punto di vista dei poveri genitori che non possono avere un figlio.

Anche la strage di  Orlando da cui parte poi il libro di Padre Martin “Building a bridge” sul fatto che la Chiesa dovrebbe costruire un ponte verso le comunità Lgbt (che già avrei da ridire su ognuna di queste parole perché Lgbt secondo me è un’espressione offensiva dal momento che definisce le persone in base al loro orientamento; pure sui ponti avrei da dire qualcosa). Comunque, a proposito dell’episodio della strage di Orlando, che è stata raccontata come una strage omofoba perché è avvenuta in un locale frequentato da scambisti omosessuali, si è poi scoperto che invece era uno di loro che si vendicava per una storia d’amore andata male.

Il modo di raccontare tutte queste vicende è sempre fatto senza la tara della realtà. Occorre raccontare che spesso le relazioni sono promiscue, volatili, raccontare quello che succede veramente in questi locali.

Un altro modo secondo me assurdo di raccontare da parte di noi giornalisti: quando viene aggredito qualcuno, se manifesta tendenze omosessuali, si dice sempre che è stato aggredito perché gay. Molte volte poi si scopre che non era vero. Recentemente, qui a Milano, uno è stato derubato e il fatto che fosse omosessuale era un dato accidentale. E’ stato derubato come veniamo derubati tutti noi. Anche a me,  sulla metro, non perché etero,  hanno rubato il portafogli,  punto e basta.

Oppure, una storia che a Roma ha tenuto banco per tanto tempo perché raccontata da siti di attivisti: il ragazzo con i pantaloni rosa che si era suicidato in un liceo scientifico romano e poi si è scoperto che era un ragazzo probabilmente respinto da una ragazza e che comunque non era quello il motivo del suicidio. Poi bisogna andarci con i piedi di piombo.

E’ fondamentale raccontare con correttezza e rispetto questi temi. Tutto quello che non aderisce ad una narrazione messa insieme da questa saldatura tra le classi dirigenti politiche, intellettuali, soprattutto mediatiche, tutto ciò che non aderisce alla versione ufficiale dell’ infocrazia è percepito come violento.

Ieri sentivo la dichiarazione dei neo-ministri spagnoli che dicevano che ai genitori omofobi bisogna togliere i figli perché i bambini hanno il diritto di essere educati secondo i principi riconosciuti dall’infocrazia. Secondo me questa è un’affermazione di una gravità inaudita, e, soprattutto, chi definisce l’omofobia? Credo che nessuno di noi abbia niente da obiettare sulla vita privata delle persone, non possiamo però essere costretti ad aderire a quella narrazione, pena addirittura vederci presi i figli. Cioè le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso possono ovviamente fare quello che vogliono, ma non possono imporre a me di avere un’opinione al riguardo, se espressa con rispetto.

Io non faccio statistiche, per cui il mio punto di vista è assolutamente personale, però quando vado in giro raccolgo esperienze. Sono stata da poco in un liceo, io ero andata perché pensavo che avrei parlato. Invece poi i professori, che non erano contenti di avermi lì, hanno trasformato la cosa in un dibattito con gli studenti. Io dovevo parlare di amore per sempre, ma a un certo punto una ragazza ha preso la parola, un po’ seccata e ha detto: “io comunque sono lesbica” e i ragazzi hanno fatto un applauso, la ola, proprio. Lo racconto per dire che non c’è proprio nessuno stigma sociale in questo momento, almeno da quello che io percepisco. E anzi è stata una condotta violenta e prepotente, come spesso sono quelle degli attivisti lgbt, per prendere la scena e monopolizzare il dibattito, quando invece si doveva parlare di tutt’altro.

I miei figli sono stati educati a un pensiero critico su questo, potranno avere le loro opinioni, ma senza bersi tutto quello che viene loro propinato. Invece mi sembra di capire che i loro compagni di classe, o anche i miei nipoti, hanno proprio il pensiero conformato totalmente al pensiero unico. Non c’è nessuno stigma, anzi, adesso è di tendenza. Avrei voluto dirle: “Tu hai diciassette anni, non sei lesbica, sei una ragazza che, casomai, prova attrazione per il tuo sesso, ma tu sei molto di più, molto altro”.

C’è un famoso libro di Daniel Mattson, ‘Perché non mi definisco gay’. Dice che è offensivo essere definito gay perché una persona non è definita dalla propria attrazione, una persona è una persona con una storia, una complessità. Nessuno di noi si definisce etero. Io sono Costanza e basta, non sono la mia attrazione.

Anche se si raccontano con pose vittimistche, gli lgbt sanno bene che la miglior difesa è l’attacco. E cosi anche se non si devono difendere da nulla, nessuno li accusa di nulla, loro attaccano. Adottano una violenza opposta che mette sotto accusa chiunque. Ricordiamo tutti il caso Barilla, che si era macchiato della colpa “gravissima” di non usare immagini di famiglie, o meglio aggregati di persone, dello stesso sesso. Questa era stata la sua macchia e lui aveva risposto dicendo: “preferiamo la famiglia tradizionale” (io avrei da dire anche sul termine tradizionale). E’ un’affermazione legittima, uno fa pubblicità come vuole. Invece lui è stato costretto – moralmente costretto dalla pressione di opinione – a una serie di passi per scusarsi, e li ha fatti così coscienziosamente che addirittura Human Rights Watch ha trovato che la sua controcampagna di correzione fosse stata proprio massiccia. Barilla  ha fatto degli investimenti molto sostanziosi favorendo anche i dipendenti lgbt, insomma sono anni che combatte per cancellare questa affermazione che, secondo me,  è legittima perché uno con la propria azienda può fare pubblicità come crede.

Un altro caso è quello dello psicologo Ricci, che è stato per fortuna alla fine assolto, però ha dovuto subire un calvario per aver detto che l’uomo ha bisogno  di una figura paterna e di una materna. Tra l’altro lui, a differenza di me, ha tutti gli strumenti per dirlo, perché titolato professionalmente, ha a che fare con le storie delle persone, le ascolta e può dire con cognizione di causa quello che può lasciare l’assenza del padre o della madre nella vita di una persona.

Un altro caso è quello dell’attivista  David Daleiden,  quello che ha smascherato i traffici di Planned Parenthood, la catena di cliniche abortiste americane. E’  andato a registrare colloqui con gli operatori delle cliniche e ha scoperto che c’era un commercio di organi di bambini uccisi e hanno subìto, lui e i suoi colleghi, quando hanno tirato fuori questo caso, 2,2 milioni di dollari di richiesta danni anche se in realtà lui ha detto la verità, tutto quello che ha denunciato è vero, solo che per dimostrarlo a volte ha presentato una patente falsa, che so, per poter entrare in clinica, oppure ha registrato conversazioni senza dirlo. E’ stato condannato, anche se le accuse sono state confermate.

Un’altra, non so se ne avete sentito parlare, è un’ostetrica inglese Lindsey Maccarthy Calvert, che ha scritto che l’Associazione ginecologi aveva ricordato che  ‘il pap test era rilevante per persone tra i 25 e 64 anni con una cervice’.  Lei ha detto: “Io non sono una persona con una cervice, sono una donna. Il pap test lo fanno le donne”. E’ stata denunciata per discriminazione. Dei trans l’hanno denunciata. Le hanno tolto l’incarico di portavoce dell’Associazione Ostetriche inglesi perché aveva detto che solo le donne partoriscono.

Un altro caso è quello di Silvana De Mari. Non posso riportare le sue affermazioni perché è stata condannata, al momento. Però l’ho sentita in altri casi parlare e lei si limita a raccontare,  da medico, da gastroenterologa, chirurga e anche psichiatra, relativamente ai rapporti omosessuali, che il corpo dell’uomo non è fatto per avere quel tipo di rapporti. Tante volte racconta e fa vedere le foto delle lesioni che procura un rapporto omosessuale. Quindi anche questo che viene raccontato in questo modo romantico, ‘love is love’, in realtà è qualcosa che fa male, proprio fisicamente, al corpo dell’uomo e questo toglie ogni dubbio sulla naturalezza del rapporto. Poi non è un giudizio di merito, ma per rimanere alla raccomandazione dell’avvocato Respighi, è un dato di realtà, è un fatto medico.

Il titolo di oggi è ‘La libertà in gabbia?’. Io direi che non tutta la libertà è in gabbia, ma solo quella di esprimere un certo tipo di pensiero.

L’altro giorno ho letto che a Siena un gruppo di persone ha protestato perché c’era un incontro con Antonio Socci e Diego Fusaro, tra l’altro un incontro molto affollato, e fuori c’erano persone che protestavano per questo. Io immagino, con altri esponenti di una diversa appartenenza di pensiero, se qualcuno fosse andato a protestare per l’incontro si sarebbe gridato alla censura. Ci avrebbero aperto i quotidiani, si sarebbe scatenato un finimondo. Giustamente, perché non si può protestare perché delle persone espongono delle idee, civilmente, stando nei limiti del diritto ovviamente, parlando di un loro libro. In realtà è in pericolo un certo tipo di libertà, sicuramente la libertà religiosa.

In Georgia e South Carolina hanno approvato delle leggi sulla libertà religiosa e per tutta risposta alcune grandi società come Paypal, Facebook, Google hanno disinvestito in questi Stati americani e questo ci dovrebbe far capire da che parte sta la verità. E’ che questo modello di uomo senza legami, liquido, che non abbia stabilità è un modello funzionale ad un certo tipo di modello economico. Un uomo, una donna che non hanno radici, non hanno famiglia, possibilmente, sono pronti a un consumo che è immediato. La famiglia, invece, ti incoraggia a risparmiare, a investire in beni più duraturi, a non comprare l’ultimo modello di cellulare, l’ultima trovata tecnologica. Invece, questo è un tipo di modello di uomo senza identità, senza stabilità, il ragazzo ‘Erasmus’.

Io devo dire che già quando facevo l’università, mi sono iscritta nell’ ’89, trovavo assurda questa idea dell’Erasmus.  Studiavo lettere classiche e mi dicevo: “Sto in Italia, ma che vado a fare? Più cervelli di così. L’Italia è la culla dei miei studi, che vado a fare altrove?”.  Effettivamente, credo di aver studiato abbastanza bene, abbiamo università di tutto rispetto, non ho questo mito dell’estero. Ricordo che quando era Ministro dell’Istruzione, mi sembra con il governo Renzi, la Giannini, avevo letto questa esaltazione di ragazzi pronti a partire, pronti a stare un anno o due fuori e poi anche a lavorare per due anni qua, due anni là. Se penso ai miei figli, per esempio, è la prospettiva che mi rattrista di più perché, invece, avere delle radici, un’appartenenza, un legame con la famiglia ma soprattutto la possibilità di costruirne una nuova, stabile è importante. Conosco molti casi di ragazzi che si sono conosciuti all’estero e che poi hanno seguito le diverse carriere continuando a spostarsi, ciascuno seguendo la propria carriera. Come fai ad avere dei bambini? Credo che se ci sono opportunità buone, un motivo serio, valga la pena, ci si può organizzare, probabilmente uno dei due dovrà fare delle scelte. Ma non è che il partire in sé sia un valore, è una cosa che si può fare nonostante il dispiacere di lasciare le radici, ma non è che essere senza radici sia un valore come oggi viene raccontato. Cambiare, sperimentare, non è un valore in sé.

Poi volevo dire che a questa saldatura tra la politica e l’informazione contribuisce purtroppo anche la scuola. Tutti voi, penso, avete figli o nipoti in età scolare. Io sono inorridita da tutto quello che raccontano i libri di scuola oggi. A parte che sono infinitamente più semplificati rispetto a quelli di trent’anni fa, ma, a maggior ragione, immagino, rispetto a quelli di prima. Raccontano una realtà a senso unico. Per esempio, su tutti questi temi caldi, l’ecologia, le migrazioni, la vita, la realtà è raccontata a senso unico. I miei figli, quando mi ripetono la lezione studiata, poi dicono: “e invece?” Perché sanno che dopo c’è sempre almeno qualche correzione di rotta da fare. Qualche complessità da far intuire. Comunque spero di insegnare, e in questo mio marito è sicuramente più bravo di me, un pensiero critico, che è poi quello che dovrebbe insegnare la scuola che solo in minima parte dovrebbe infilare contenuti, ma dovrebbe accendere il desiderio di sapere e lo spirito critico. Nella mia esperienza, questo è totalmente sparito dai libri scolastici. C’è una semplificazione, una caduta a picco del livello di studio impressionanti, sempre al ribasso, sempre inclusivo nel senso deteriore del termine. Tutti devono essere necessariamente promossi anche per rispettare le direttive europee, quindi si rallenta continuamente il ritmo di studio, il livello delle prestazioni richieste.

I miei figli dicono che io sono molto più cattiva dei professori. Tante volte sono andata a protestare per le interrogazioni programmate, perché questi ragazzi studiano solo quando sanno di essere interrogati. I professori annunciano tre mesi prima che interrogheranno, così i ragazzi per due mesi e 29 giorni non studio. “Se non faccio così non mi vengono all’interrogazione” – dicono a volte.  “Ma come non vengono? Lei cominci a mettere 1, 2, 3 al massimo. Vedrà come vengono. Rimandate, bocciate, vedrà che poi si svegliano”.

In realtà, come ha raccontato benissimo Luca Ricolfi nel libro ‘La società signorile di massa’ questo declassamento della scuola è funzionale a un disegno, cioè al fatto che molti oggi vivono sfruttando le ricchezze accumulate dalle generazioni precedenti e poi anche grazie a una struttura che lui chiama ‘paraschiavistica’ di immigrati che forniscono la manodopera a costi bassissimi, per le consegne a domicilio, per tutti i lavori più umili e tutto concorre a quello che dicevamo prima. Un uomo privo di radici, di un disegno a lungo termine, senza dignità, senza stabilità.

Infine volevo citare il caso di Kelvin Cochran, che è stato il vigile del fuoco più noto, addirittura Obama l’aveva chiamato a dirigere i vigili del fuoco di tutti gli Stati Uniti d’America.  Ha vinto mille medaglie, riconoscimenti. Era stato un ragazzino senza padre che una volta aveva visto davanti a casa sua dei vigili del fuoco che portavano in salvo una donna sola e si era innamorato di questo lavoro e l’aveva fatto con questo spirito. E’ cristiano, quindi aveva distribuito al lavoro un libro che esprimeva la sua visione del mondo cristiana; sull’uomo e sulla donna aveva affermato (orrore!) che un’unione è fra uomo e donna dentro il matrimonio. E’ stato prima sospeso e poi licenziato, e solo dopo una lunga battaglia giudiziaria è stato riammesso al suo posto. E tutto ciò, nonostante fosse stato appunto un vigile del fuoco esemplare, eroico e solo per aver espresso le sue idee sulla relazione uomo-donna. C’è veramente un clima difficile, credo forse più all’estero che da noi, ma purtroppo abbiamo imparato già in altri casi che arriviamo dopo, però di solito arriviamo.

Voglio chiudere con un’immagine di speranza perché, come dicevo all’inizio, di questo comico che riempie i teatri, che è il più cliccato su Netflix, c’è anche un sito in America che si chiama Babylon Bee. E’ un sito satirico che non si omologa al pensiero unico e ha fatto un tweet dicendo :” I democratici hanno messo la bandiera a mezz’asta per l’operazione in Iran con l’uccisione di Soleimani” e questa battuta è stata scambiata per una notizia, e quel giorno è stata la più cliccata in America,  più anche degli articoli del New York Times su questo. Era uno scherzo sul fatto che i democratici odiano così tanto Trump che preferiscono i nemici degli usa a lui. Anche qui non voglio entrare nel merito della vicenda, a dire il vero piuttosto complicata. la mia è una riflessione sul fatto che su certe cose non si può neanche scherzare. Babylon Bee è stato sommerso di critiche, c’è stata una levata di scudi, i siti esperti di fact checking sono intervenuti contro questo sito, ma non si può fare il fact checking a una battuta! Sul fatto che anche la CNN è intervenuta gli autori di Babylon hanno commentato: “La CNN non ci vuole perché in rete c’è spazio per un solo sito di fake news, quindi esistono solo loro”.

In generale, questo successo dei siti politicamente scorretti è un segno, mi pare, del fatto che la gente non ne può più di politicamente corretto, quindi quando trova qualche area di libertà la frequenta volentieri per respirare una libertà, anche questa libertà di scherzare. Il sito corrispondente di Babylon Bee, a sinistra, è Onion (la cui battuta più celebre è quella su Sarah Palin, che diceva che riusciva a vedere la Russia dalla sua finestra perché era nota la sua abbondante incompetenza in politica estera). Su Onion c’è molto minore controllo e maggiore tolleranza. Però, controlli a parte, il successo di chi osa scherzare sul politicamente corretto ci dice che la libertà non è morta, anzi ce ne è in giro un desiderio sempre più diffuso.

***

Pubblichiamo qui anche la lettera scritta in occasione del convegno dall’associazione nonni 2.0, poiché trovo fondamentale farsi guidare dallo sguardo dei migliori tra i nonni, che sanno coniugare una formazione solida, un bagaglio di esperienze di una vita lavorativa (alcuni di loro ad altissimo livello), l’aggiornamento (per ciò 2.0) e l’amore per i nipoti.

 

La libertà, il potere e il pesce rosso

Lettera ai nipoti e ai loro amici

Libertà in gabbia? Davvero viviamo in un’epoca in cui la libertà è in gabbia o rischia seriamente di esserlo? Oggi tra le preoccupazioni dei più giovani di solito la prima è quella del lavoro. Seguono da vicino i timori per il futuro dell’ambiente. A prima vista non sembra invece che la libertà manchi, né che sia in pericolo. Sembra anzi che oggi, malgrado tutto, ognuno possa fare ciò che vuole (purché ne abbia i mezzi).

Guardando la situazione più da vicino ci si accorge invece che sempre più spesso quella di cui si gode è la libertà del pesce rosso: libero di guizzare, ma nei limiti del piccolo acquario in cui è stato messo e che qualcun’altro colloca poi dove gli pare. Sempre più spesso insomma ciò che viene spacciato come libertà è in effetti soltanto autodeterminazione, ovvero facoltà di fare scelte secondarie nei limiti di una gamma di alternative definite da altri. È urgente rendersi conto di questo stato di cose, della sua natura autoritaria e di ciò che lo muove.

La libertà, un grande bene.

La libertà è la capacità di aderire al vero e quindi di scegliere tra il bene e il male, di fare propria la scelta fatta e di poterla apertamente testimoniare. Qualcosa dunque di molto di più dell’autodeterminazione. In forza della libertà ciascuno può essere davvero se stesso; essere non un pezzo di natura o un membro anonimo di società, ma qualcuno che dispone di sé stesso. In forza della libertà si è in rapporto con altre libertà, in un incontro che crea il mondo umano delle relazioni.

Si nasce liberi ma della propria libertà si diventa responsabili ricevendone l’esempio e l’esortazione da persone (genitori, familiari, nonni, amici, maestri) che siano già impegnati nel cammino della libertà e partecipando a luoghi di convivenza vera, a comunità di vita. La libertà, insomma, ha bisogno di educazione. Solo nell’ambito di una libertà educata prendono davvero senso le tante libertà derivate: le libertà politiche, sociali, civili.

Come tutto ciò che è prezioso, la libertà è insidiata

La libertà può venire brutalmente tolta (quanti esempi ne abbiamo ancor oggi nel mondo), ma la si può anche, fingendo di promuoverla, deformare e ridurre. Anche laddove astratti principii vengono solennemente affermati, non sempre l’ambiente sociale è favorevole alla libertà. Soprattutto raramente è favorevole all’intera libertà in tutti i suoi aspetti. Non di rado se ne afferma un aspetto mentre se ne negano altri.

Oggi in particolare sempre più spesso quella che viene definita come la libertà personale non è altro appunto che semplice autodeterminazione. Si spaccia per libero chi può decidere a proprio piacimento, senza un bene con cui misurarsi, senza altre libertà con cui rapportarsi, senza vincoli e senza responsabilità; in definitiva, una libertà individualista, ridotta a spontaneità, ripiegata su se stessa.

I temi su cui cominciare a interrogarsi

Molto, se non quasi tutto, spinge oggi all’individualismo e al soggettivismo. Chi però ha un sentimento ristretto della propria libertà può anche non accorgersi di vivere in un ambiente sociale in cui singole persone o singole forze organizzate tendono a “gestire” la libertà di tutti gli altri. Ci si sente liberi e intanto si viene progressivamente gestiti da altri. È importante rendersi conto di questo gioco di potere, che è anzitutto potere di condizionamento della libertà: qualcuno pensa per noi e ci fa intendere come bisogna pensare e fare correttamente.

Oggi un fenomeno assai diffuso insidia in particolare la libertà di opinione e di azione: si tratta del «pensiero unico». Su un numero crescente di questioni fondamentali il dibattito e il dialogo sono chiusi. La cultura dominante e quindi il grosso dei media impongono come “normale” una certa tesi dalla quale non è «politicamente corretto» dissentire.

Eccone alcuni esempi eloquenti:

I temi della vita campeggiano, perché si vuole che sia indiscutibile il disporre ad arbitrio della vita propria (suicidio, eutanasia) e della altrui (aborto, malati terminali, handicappati gravi). Pertanto il sostenere che la vita umana ha in sé qualcosa di indisponibile è bollato come violazione della   libertà di scelta e insensibilità verso la sofferenza.

La sessualità viene interpretata come configurabile a piacere, quasi che il sesso non avesse alcun significato obiettivo da rispettare e valorizzare. In forza della teoria del gender si fa del sesso psichico qualcosa che si può scegliere indifferentemente. Sullo sfondo sta la questione omosessuale, non quanto al giusto rispetto dovuto alle persone di tale orientamento, ma quanto alla pretesa che l’omosessualità vada riconosciuta come nuovo paradigma dell’identità sessuale stessa. E chi non è d’accordo viene accusato di omofobia.

Di conseguenza pure l’identità della famiglia diventa relativa alle diverse identificazioni sessuali; la famiglia come istituzione unica ed esclusiva dovrebbe smettere di esistere a favore dell’irriducibile pluralità delle forme famigliari, per cui la difesa di una specifica e non equiparabile funzione della famiglia eterosessuale monogamica è automaticamente bollata come forma di tradizionalismo passatista irricevibile.

Ci sono poi i temi socio-culturali e politici. Circa la presenza islamica nel nostro Paese e in tutta l’Europa una certa cultura multiculturalista sostiene da anni una disponibilità incondizionata, e accusa di islamofobia, senza accettare alcun dibattito al riguardo, chi ne dissente. Analogo meccanismo scatta a proposito delle politiche immigratorie, la cui discussione è seppellita sotto accuse che vanno dalla discriminazione al razzismo.

Più recentemente si è acuita l’attualità della questione ecologica, in cui il pensiero politicamente corretto ha trovato un campo di applicazione globale. La questione del clima è seria, ma l’origine antropica dei suoi attuali mutamenti non è affatto certa, e la sua interpretazione dal punto di vista scientifico, economico, sociale e culturale è del tutto aperta, mentre centrali di opinione molto influenti le danno per acquisite con censura dei dissenzienti accusati di gravi colpe contro l’intera umanità.

Infine, è importante notare che il meccanismo del politicamente corretto funziona anche in negativo, cioè facendo calare il silenzio su questioni rilevanti ma non in linea con gli obiettivi accreditati. Ad esempio, il tema del grave calo demografico, che ha effetti a catena sulle condizioni economiche e sociali; quello della famiglia, che dà un contributo essenziale e insostituibile in termini di ricambio generazionale, educazione, solidarietà, microeconomia, cultura, e che ha bisogno di riconoscimenti, di protezione, di sostegno; quello di situazioni gravi di crisi come i fallimenti familiari, i femminicidi, l’uso di stupefacenti, ecc., oggetti di informazione scandalistica, ma non di un approfondimento antropologico che metterebbe in difficoltà  gli stereotipi individualisti e libertari del politicamente corretto; quello della libertà religiosa, minacciata in gran parte del mondo,  ma relegata tra gli eventi di cronaca minore.

Che cosa fare allora?

Come mai ci sono questi e altri argomenti su cui la discussione pubblica risulta impedita? Perché non si può dissentire dal «pensiero unico» senza venire perciò messi sotto accusa, senza venire quasi criminalizzati? Sono queste domande che occorre cominciare a farsi.

Per il «pensiero unico» chi non accetta ciò che è “corretto” diviene per definizione “scorretto”; e chi è scorretto non merita un pieno riconoscimento sociale. Perciò, come si è visto, si rifiuta il dialogo con gli scorretti, si toglie loro il credito sociale, li si scredita appunto. Ne derivano una società sotto tutela e una democrazia frenata.

Con quale autorità – ci domandiamo – ci si arroga il diritto di decidere ciò che è corretto e ciò che è scorretto? Questa sicurezza censoria nasce probabilmente dalla presunzione di conoscere quale sia e quale debba essere l’uomo del XXI secolo; e il ritratto che ne risulta è quello di un individualista libertario però solidale, permissivo però moralista, tollerante però rigorista, relativista però dialogico, ecologico però tecnologico, democratico però autoritario. Insomma un soggetto scomposto e ampiamente contraddittorio, che assembla  a modo suo alcune residue certezze della cultura occidentale e le vuole imporre a tutti ad ogni costo. E perciò prende di mira in primo luogo chi invece fa appello alla persona reale, alla comunità naturale, alla nazionalità concreta, alla religiosità sostanziale, cioè a ciò che è fondamentale per la convivenza umana.

È una situazione da cui occorre emanciparsi al più presto. Tenuto conto della pressione psicologica della mentalità comune, nonché della visione delle cose imposta dai media più forti e più diffusi, si tratta senza dubbio di una difficile impresa. Tuttavia non di un’impresa disperata, se si ricercano o rispettivamente si promuovono esperienze di:

1.       incontro con realtà comunitarie, che aiutino i singoli a sottrarsi al risucchio individualista; nelle quali le parole possano diventare esperienza e quindi facciano crescere l’interesse per la vita storica e la convinzione circa il senso umano del vivere e della società.

2.      incontro con casi esemplari di realtà positiva.

III.  formazione personalizzata dell’intelligenza, orientata a ovviare all’attuale “vuoto di pensiero” e a far rinascere la capacità di elaborare giudizi e di prendere la parola sulle provocazioni della cronaca, su linguaggi, fatti, situazioni; sull’idea stessa di libertà e di società; e così via.

1.       volontà di essere protagonisti in un mondo che chiede conformismo a tutti e non offre rifugi neutrali a nessuno; e che perciò esige vigilanza personale, disponibilità al sacrificio, impegno condiviso.

 

Associazione Nonni2.0

18 gennaio 2020

15 pensieri su “Libertà in gabbia?

  1. Rampiconi Maria ristina

    Più ti leggo e più è necessario che ti possa conoscere per stringerti la mano.
    Ogni tuo articolo riesce in maniera sintetica,ma profonda a dire quanto sento ed arrivare al cuore.
    Sei davvero un…Moschettiere del Re!

    1. Pat61

      Concordo, Costanza sei un grande esempio per tutti noi.
      Grazie di queste forti testimonianze che metti nei tuoi articoli che ci sono di grande aiuto, non ci fanno sentire soli e fuori dal coro.
      Non so esprimere bene i miei pensieri ma ho nei tuoi confronti una gratitudine immensa per ciò che sei e che ci testimoni con la tua grande fede. Che il Signore protegga sempre te e la tua famiglia.
      Grazie

  2. Non sono d’accordo sulla presunta reductio ad gaium che deriverebbe dal definirsi secondo il proprio orientamento sessuale.
    Ma, tolto questo, chapeu.

  3. Alessandro

    Il guaio è che la scuola ti dice che il politicamente corretto (PC) che inietta nelle teste è il top del pensiero critico, e che se la pensi diversamente sei tu ottuso e arretrato.

    Quindi lo studente inebetito dal PC è ignaro del proprio inebetimento. E allo sventurato insegnante di filosofia non prono al PC toccherà sorbirsi l’inebetito di turno che, convinto di proferire sentenza da consegnare agli annali, assevera: “Prof, non siamo più ai tempi in cui l’autorità ti dice cosa è bene, ogni cultura ha la propria idea di bene e noi occidentali abbiamo imposto la nostra” ecc. E questo è il primo della classe.

    Allora il prof (stoltamente convinto che la Chiesa Cattolica abitualmente addestri ancora all’uso retto della ragione e alla buona filosofia), chiede aiuto al collega di religione (che peraltro… vabbè che insegna religione, ma ha un’ora a disposizione, quindi non può fare miracoli), ma constata che costui la pensa più o meno come il suddetto studente (al che il prof si domanda chi l’abbia abilitato all’insegnamento della religione, ma tant’è…) .
    Gli altri colleghi sono darwinisti militanti o simpatizzanti, convinti che l’uomo sia una specie di scimmione con meno peli e un encefalo un po’ più evoluto. Quindi il prof realizza che la sua cattedra, se il PC fosse coerente, non avrebbe ragione di esistere, visto che non ha senso fare filosofia morale con uno scimmione evoluto, al massimo puoi fare etologia.

    Quindi il prof o sclera, o si mette il cuore in pace e tira a campare (se dice quello che pensa rischia il posto).
    I genitori degli studenti sappiano che le scuole pubbliche funzionano in gran parte così (quello che racconta Costanza quindi non mi stupisce affatto), e non compiano l’errore – invero comune – di affidarsi alle scuole cattoliche come a salubre asilo portentosamente illeso: mediamente (con lodevoli provvidenziali ma rade e eccezioni, beninteso) il PC non solo s’è intruso anche lì, ma se la spassa alla grande.
    Quindi i genitori si rassegnino a fare anche la parte degli insegnanti. Doppio lavoro, maggior sacrificio, più punti paradiso…

  4. giovi

    Dico una cosa sulla questione delle interrogazioni programmate, benché non siano certo il cuore del discorso, che condivido pienamente.
    Dunque, sulle interrogazioni programmate ho cambiato idea , anche leggendo D’Avenia sull’argomento, perché credo che alla fine sia importante che lo studente sia preparato , non che viva in uno stato perenne d’ansia come succedeva a me da ragazza.
    L’esperienza dei figli mi conferma in questo : la loro preparazione non dipende dalle interrogazioni programmate o meno, ma anche dall’impegno del docente a non lasciarli “tre mesi” abbandonati a se stessi.
    Per esempio, un figlio ha avuto un bravissimo insegnante , molto appassionato della materia, che aveva il metodo di spiegare per due-tre settimane , magari facendo domande qua e là sul contenuto della lezione precedente, ma interrogando tutti i ragazzi dopo una ventina di giorni di lezioni in un’altra decina di giorni, in cui gli stessi ragazzi stabilivano tra loro il giorno dell’interrogazione.
    In questo modo, niente assenze strategiche, niente scene mute, niente umiliazioni , ma comunque il raggiungimento di una preparazione almeno sufficiente per tutti.
    In sovrappiù, ho notato, nel tempo, che alcuni ( pochi) insegnanti hanno una certa tendenza “sadica” a beccare il ragazzino impreparato, non mettendo in condizione la classe di prepararsi , per esempio assegnando compiti gravosi da un giorno all’altro, persino on-line, a sorpresa, o cambiando la destinazione dell’ora, da loro stessi decisa.
    Poi, non metto in dubbio che questa sensazione di lassismo che descrive Costanza sia possibile, ma credo dipenda dalla singola scuola , se non dalla zona : la mia esperienza di mamma ” di provincia” mi dice tutt’altro.
    Infatti, ho riscontrato più spesso rigidità e quando ho riscontrato del lassismo, mi è sembrato esserci per la poca voglia di lavorare , se non menefreghismo, di alcuni professori, non di certo per la volontà di facilitare oltremodo gli studenti nel loro percorso.

  5. Simonetta

    Una foto desolante di questa società. Il problema è che la scuola è quella del pensiero unico, ed è allo sfascio la preparazione dei nostri ragazzi e io non ho la possibilità di mandarlo nella scuola che voglio io (privata). Mi sono confrontata con una mia ex compagna di scuola, che ha figli più grandi dei miei e queste cose di cui già avevo sentore me le conferma. Troppe attività pseudo-istruttive (film, video, uscite, anche su cose che non servono ad una preparazione…chissenefrega di come hanno smantellato la costa concordia se poi non sai che la Sicilia fa parte dell’Italia?)e una marea di compiti a casa. Mi tocca letteralmente fare a casa il lavoro dell’insegnante. Dico solo che a più di 20 anni dalla laurea, un’amica si è rimessa in gioco per cambiare lavoro e ha tentato di entrare ad un corso parauniversitario a numero chiuso. Pur essendo già laureata in una materia scientifica, non le hanno passato gli esami di base perché la laurea era obsoleta. Ha passato il test di ingresso insieme a gente più giovane e più ‘fresca’. Ebbene, è arrivata prima, con la sua laurea obsoleta. Vergogna.

  6. Matteo Tamagnini

    a proposito di quello che dici all’inizio riguardo: “a New York ormai gli spacciatori neri del Bronx si mettono i tacchi alti perché se sembrano dei trans la polizia non li tocca.” Anche in Italia un servizio di Striscia la notizia sul tema similare: FINGERSI GAY PER OTTENERE L’ASILO POLITICO17 FEBBRAIO 2020Rajae ha scoperto che tra tanti richiedenti asilo che hanno diritto alla protezione internazionale c’è chi fa il furbetto ricorrendo a un incredibile stratagemma, fingersi gay, su suggerimento di alcuni avvocati
    RAJAE BEZZAZ https://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/fingersi-gay-per-ottenere-l-asilo-politico_65570.shtml

  7. Rosa

    Costanza! Mala tempora currunt et peiora parantur…
    La organizzi una bella novena a San Rocco?
    Mobiliti un pò sto monastero, perchè contro la peste il protettore è San Rocco!

  8. lumpy

    Cara Costanza, quanto hai ragione. E che male questa ossessione col partire e viaggiare. Una volta i nostri giovani conoscevano bravo ragazzo o una brava ragazza del circondario (chi più, chi meno, naturalmente), si sposavano, andavano a vivere vicino a una delle famiglie d’origine che li avrebbe aiutati con i bambini. Poi, col passare degli anni, sarebbero stati i figli ad occuparsi dei genitori. Ora invece fanno a gara tra chi va via prima, non solo l’Erasmus ma anche l’abitudine di andare all’estero a frequentare il quarto anno di scuola superiore. Quanti ne vedo! E i genitori, come sono orgogliosi! La cosa che mi fa più impressione è vedere quante mamme siano contente all’idea che la partenza possa “allentare” il filarino o la simpatia del figlio o della figlia. “ah, così si allontanano! Per carità, è un bravissimo ragazzo/a, ma sono ancora giovani, ora devono pensare a altro, è un bel primo amore, ma hanno bisogno di staccarsi, sperimentare”. Come fanno a sposarsi giovani, fare tanti bambini, vivere una sessualità esclusiva, se già in famiglia viene dato come presupposto che il matrimonio sia fuori discussione almeno fino ai 30 anni e che – prima di arrivare a quel passo – si debba aver molto “sperimentato”? Ah, e naturalmente bisogna prima aver convissuto, non sia mai. E poi ti trovi a leggere articoli come questo, in cui si dice che, secondo un sondaggio, un genitore su 4 se tornasse indietro non farebbe figli. E che solo il 65% della popolazione ritiene che i figli riempiano la vita…
    https://www.ilmessaggero.it/italia/figli_coppia_sacrifici_tempo_libero_ultime_notizie-5060166.html

    1. Bradamante

      Questi sondaggi secondo me sono fuffa e sono fermamente convinta che vengano messi lì non per fotografare l’opinione degli italiani, ma per dettarla. Impossibile che si sottovaluti così tanto il potere che l’opinione della massa ha sul singolo. Partendo da come vengono presentati i risultati: “uno su quattro si pente di aver fatto figli” e perché non “tre su quattro sono felici di aver messo al mondo dei figli?” Sul pentimento postumo, embrione della vita rovinata, che costituisce le fondamenta della difesa all’aborto, c’è solo da alzare gli occhi al cielo. Siamo (classe 1980) stati cresciuti da una generazione di frustrate, che se hanno messo al mondo figli lo hanno fatto consapevoli di aver rinunciato a chissà che vita brillante (in realtà basterebbe guardare alla parte opposta per rendersi conto che di brillanza c’è poco o nulla) e che sia chiaro a tutti il sacrificio, soprattutto ai figli. Anche in questo spingere compulsiva mente i figli verso il paese dei balocchi dipingendo la vita familiare, soprattutto avviata presto, come l’inferno in terra, quindi sputando fondamentalmente nel piatto in cui si è mangiato, è un’espressione di frustrazione. Confermo purtroppo che i genitori sono il primo ostacolo a una vita familiare propria, magari prima dei 40. Che poi non è altro che un modo per tenere i figli piccoli e dipendenti, anche se a migliaia di km di distanza.

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  10. Maria Chiara

    La cartina tornasole di questo momento storico, descritto perfettamente da Costanza, per me è questa: chiedi ad un ragazzo oggi “Cosa vuoi fare da grande?” Risposta “Boh, non lo so”, e tu “Ma da piccolo cosa sognavi di fare?” Risposta “Non me lo ricordo, credo niente”. Smarrimento, confusione, instabilità, come fossero anestetizzati. Ho 45 anni e da piccola sognavo di diventare una ballerina, faccio tutt’altro, ma un sogno ce lo avevo e cosi anche i miei amichetti, chi il pilota, chi il dottore, chi la maestra, insomma ognuno aveva la certezza del sogno da perseguire. Oggi ogni volta che mi trovo con un ragazzino od un adolescente gli faccio questa domanda e le risposte sono tutte uguali, raramente mi sento rispondere qualcosa di certo, anche se solo un desiderio. Ecco non c’e il desiderio, perché stanno facendo in modo tale da reprimerlo, soffocarlo, in nome della libertà!!!!! Dalla scuola a pensiero unico , ai media e a tutto ciò che con cui vengono in contatto i giovani oggi, tutto è manipolato. CHE FARE? Tocca a noi! Genitori , nonni, zii, amici che abbiamo ancora il Desiderio di sapere, la Voglia di conoscere la Verità, la capacita di essere critici . Come fai tu , Costanza cara, quando le tue figlie guardano friends, non glielo impedisci, perché le lasci Libere, ma “perdi” tempo con loro a fare “prediche”, ovvero a diffondere Verità ed Amore.
    Faticoso , ma indispensabile, con il SUO aiuto Possibile!
    Buona vita a tutti!

  11. Salve Costanza,
    io apprezzo sempre il modo chiaro, ancorato alla realtà con la quale scrivi ed esprimi le tue opinioni. Solitamente i nostri pensieri si rispecchiano, ma in questo intervento ho trovato la prima seria divergenza di opinione e per questo mi sento di dire anche la mia.

    Trovo che sia ingiusta e non secondo il dato di realtà un’affermazione come “Cambiare, sperimentare, non è un valore in sé”. La vita è cambiamento e l’esperienza si fonda proprio sulla capacità di “provare-sbagliare-capire-imparare-ripetere”, quindi valore in sé ce l’ha eccome.
    Poi possiamo questionare giustamente sulle modalità di questo desiderio di sperimentare che non è detto che bisogna andare fin dall’altro capo del mondo, ma come insegnano anche la filosofia e la fede a fare la differenza non è il raggiungimento di una meta ma il viaggio stesso che si intraprende.

    Fatto sta che viaggiare vuol dire allargare i proprio orizzonti e andare a vedere con i propri occhi le realtà di cui, in modo – come affermato anche dai nonni 2.0 – incompleto e parziale parlano i libri di testo o gli stessi giornali. Purché ovviamente sia fatto con l’intento di imparare e incontrare e non con quello di fuggire o allontanare, perché come ben sappiamo ciò che ci portiamo dentro se non lo affrontiamo in noi stessi ci seguirà comunque ovunque dovessimo andare a vivere. Anche questo è un dato costitutivo della vita.

    Inoltre come giustamente notava anche qualcun’altro nei commenti, chi nasce dopo eredita a torto o a ragione ciò che chi lo ha preceduto gli trasmette per cui, ognuno e genitori ed educatori per primi abbiamo la responsabilità di trasmettere un’ immagine della vita e della realtà, così come della famiglia e della vita di coppia, il più coerente possibile e per fare questo si tratta di aver imparato ad accoglierne ed amarne gioie e dolori.

    Scusate se mi sono dilungata, my two cent. E cmq grazie per questo spazio di confronto e condivisione che tanto apprezzo. Una buona giornata a tutti!

  12. fra' Centanni

    Bisogna combattere la battaglia in difesa della libertà cominciando a rifiutare le parole inventate per falsificare la realtà. La parola da smascherare e rifiutare è “omosessualità”.

    Non esiste una sessualità “omo”. La sessualità è, per sua stessa natura, etero. Infatti la parola “sessualità” indica l’insieme dei caratteri biologici che distinguono gli appartenenti ad una stessa specie in maschi e femmine. Quindi la sessualità contiene in se stessa il concetto di distinzione, diversità. I maschi sono diversi dalle femmine e proprio in questa diversità si manifesta e si concretizza la sessualità. La parola “sessualità” indica la diversità. Anteporre alla parola “sessualità” il prefisso “omo” equivale a creare un ossimoro, cioè una parola senza senso, contradditoria. Infatti il prefisso “omo” significa uguale, indistinto. Quindi la parola “omosessualità” dovrebbe significare qualcosa come “uguaglianza diversa”, “diversità uguale”, “uguaglianza distinguibile”, “diversità indistinguibile”. Assurdo. Se noi accettiamo il termine “omosessualità” accettiamo di conseguenza la perdita di significato della parola “sessualità” e, nel contempo, accettiamo un significato in sé contraddittorio, assurdo, con la parola “omosessualità”. Inoltre, accettare un termine significa riconoscerne la legittimità. Quindi accettare la parola “omosessualità” equivale a legittimarne il significato ed a porla sullo stesso piano della parola “sessualità”. L’omosessualità, quindi, designerebbe un particolare tipo di sessualità e, per rinforzare il concetto, si introduce anche il termine “eterosessualità”. Ecco quindi che la sessualità, che non avrebbe alcun bisogno di ulteriori specificazioni, viene scissa in due sessualità, una “omo” e l’altra “etero”. La distinzione contenuta nella parola “sessualità” che serviva ad indicare una differenza reale, di genere, quella tra maschi e femmine, viene sostituita e nascosta da una nuova differenza, stavolta ideologica (non reale), quella che distingue gli omo dagli etero. Questa differenza tra omo ed etero è semplicemente una DIFFERENZA DI COMPORTAMENTO, non una differenza di genere. Perché era necessario sostituire la differenza di genere maschio/femmina con la differenza di comportamento omo/etero? E’ molto semplice: perché è impossibile sostenere che essere maschi equivale ad essere femmine, molto più facile affermare che il comportamento omosessuale equivale a quello eterosessuale.

    Ecco, siamo arrivati al punto: oscurare con un’operazione ideologica la realtà dell’essere umano, sostituire la differenza di genere sessuale maschio/femmina con la differenza di comportamento omo/etero per poter affermare ciò che è falso e cioè che l’omosessualità equivale all’eterosessualità.

    La parola per descrivere quello che succede tra due maschi o due femmine è omoerotismo.

    1. Bradamante

      Con le parole si fa tutto (anche la “scienza”). Molto problematico è l’utilizzo del verbo “essere”: tu SEI così. Benché si riconosca (pur a denti stretti) che sono possibili inversioni di marcia, con il marchio a fuoco dei “SEI omosessuale” si prova a tagliare la testa al toro, a soffocare sul nascere eventuali dubbi e ripensamenti, che vanno attribuiti più che altro a pressioni sociali e morali. Così si tenta di puntellare la bislacca teoria che ci si nasce, ma come è possibile “nascere” con un orientamento/comportamento sessuale, dato che i bambini ne sono privi? Al massimo i bambini possono avere problemi con la propria identità sessuale, ossia con il riconoscersi maschio o femmina (mamma o papà?), ma mai e poi mai “nascere” con un’attrazione o provarla in tenera età. A meno che l’obiettivo non sia proprio quello, tornando all’argomento del post precedente (le due tematiche sono strettamente collegate, inutile negarlo).

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