di Luca Del Pozzo
Alla domanda di una matrona romana su che cosa Dio facesse dopo aver creato il mondo, il rabbino Yosè ben Chalaftà rispose: “Egli unisce le coppie e conclude i matrimoni. Egli stabilisce chi deve sposare la figlia del tale.” L’aneddoto, che come tutta la tradizione sapienziale ebraica esprime la coscienza di Israele della presenza e dell’operare di Dio non solo nella storia universale ma anche in quella concreta delle persone, dice una cosa semplice quanto profonda: con buona pace del sentimentalismo frou-frou oggi imperante il matrimonio non è innazitutto una questione, appunto, di sentimenti.
Prima ancora dell’affetto e del volersi bene, che pure ovviamente contano, c’è una chiamata, meglio un’elezione di Dio che benedice l’unione tra un uomo e una donna. Questa verità, troppo spesso dimenticata anche in certi ambienti cattolici ammaliati dalle sirene della modernità, è uno (non l’unico, come vedremo) dei piatti forti, per così dire, di un libro di straordinaria bellezza da poco nelle librerie. Lo ha scritto, per le edizioni Ares, Rosanna Brichetti Messori, moglie del più noto Vittorio Messori, giornalista e scrittore cattolico di fama mondiale. “Una fede in due. La mia vita con Vittorio”, è il titolo di questa retrospettiva autobiografica che insieme alla storia spirituale dell’Autrice, intrecciata con le vicende della chiesa pre e post Vaticano II, racconta per la prima volta anche un’altra storia, quella del suo rapporto con Vittorio Messori.
Ed è qui, nel progressivo disvelarsi del lato finora nascosto al grande pubblico, quello appunto privato dei due protagonisti che correva parallelo ad una dimensione pubblica all’insegna del successo planetario a suon di milioni di libri letti e tradotti in tutto il mondo; è qui, dicevamo, tra le anse di questo largo fiume che scorreva apparentemente calmo, che emerge il travaglio di una coppia che ha dovuto attendere venti lunghi anni prima di potersi sposare e vedere così il compimento di un “disegno” divino, un disegno – come recita l’Ode XXIV di Salomone – “d’arte ineffabile per ogni uomo”.
Venti anni: tanto infatti dovette attendere Messori, e con lui la futura moglie Rosanna, per vedersi riconosciuta la nullità di un matrimonio precedente. Un vero e proprio calvario, una traversata nel deserto senza una fine all’orizzonte, frutto degli errori commessi dai tribunali ecclesiastici, che ha messo a dura prova la fede di entrambi. Prova che tuttavia entrambi hanno assunto e vissuto accettando la storia che Dio stava permettendo senza ribellarsi, senza inveire, senza rimostranze né nei confronti di Dio né tanto meno nei confronti di quella chiesa il cui volto poteva talvolta assomigliare più a quello di una matrigna che di una madre premurosa. Non solo. In totale controtendenza con quella che allora era forse un fenomeno marginale ma che oggi è più la regola che l’eccezione, i due protagonisti decisero in obbedienza alla chiesa di andare a vivere insieme ma come fratello e sorella, castamente. E non per giorni o mesi, ma per anni. Undici, per l’esattezza. Fino alla decisione, sopraggiunta dopo tre processi e un ricorso finiti male, di separarsi per poi ritrovarsi di nuovo fino all’happy ending che porta la data del 30 novembre 1996, giorno in cui Vittorio Messori e Rosanna Brichetti divennero marito e moglie.
E che il matrimonio, con buona pace della cultura mainstream politicamente corretta, abbia segnato uno stacco, un qualcosa di radicalmente nuovo rispetto alla convivenza, la cui novità – questo il punto – va ben oltre il fatto di poter vivere l’unione anche fisicamente, è la stessa Autrice a spiegarlo con parole di una chiarezza e una profondità che certi teologi (e non solo) farebbero bene ad appuntarsi:
“Ecco, questa è la grande differenza con una convivenza. In quest’ultima ciò che gioca è solo la volontà di due persone che vogliono «provare» a stare insieme, per vedere se la cosa funziona. Nel matrimonio, invece, c’è la volontà, contando sull’aiuto di Dio, di stare insieme per tutta la vita, nella convinzione profonda che quel sacramento significhi qualcosa di molto grande: una unione voluta da un uomo e una donna, ma benedetta e consacrata dall’alto. Due persone in una sola carne”.
Già questo passaggio è più che sufficiente non solo per dire della cifra “teologica” del libro, laddove il termine non ha nulla di accademico ma dice piuttosto di un sapersi sintonizzare sulla stessa lunghezza d’onda di Dio leggendo i fatti alla luce della fede, ma anche per dare la misura dello stato di crisi in cui versa buona parte del cattolicesimo contemporaneo dove la tendenza, sempre per venire incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo che dei precetti di santa romana chiesa non sanno più che farsene, è quella di abbassare l’asticella del Vangelo alla statura della fede delle persone anzichè aiutare le persone ad elevarsi alla statura del Vangelo. Per non parlare della scelta di vivere castamente, se possibile ancora più controcorrente e anticonformista rispetto al costume che va per la maggiore: “So bene – dice l’Autrice – che è un’opzione che oggi molti, anche in ambito cattolico, considerano inutile o, forse, addirittura dannosa per i singoli e per il rapporto. Ma la nostra esperienza non è stata questa. E adesso, a distanza di tanti anni, quando ripensiamo a quel periodo, non lo ricordiamo affatto come una sorta di incubo ma, al contrario, come un periodo, nonostante tutto, felice”. Potevano scegliere un’altra strada, ma non lo fecero.
I nostri due protagonisti scelsero invece di passare per l’evangelica “porta stretta”, ossia “quella croce che, se si ha alla fine il coraggio di caricarsi sulle spalle, ci spalanca, poco a poco, fin da qui e ora, gli spazi infiniti della risurrezione”. E questo perché erano (e sono) innamorati, ovviamente ciascuno secondo la propria misura, innanzitutto di quel Cristo che un giorno preciso della loro vita si manifestò a loro attirandoli a sé in modo irresistibile. Insomma due convertiti – Messori, come lui stesso raccontò più volte, provenendo dall’agnosticismo, e l’Autrice, che era piuttosto una “credente sociologica, che viveva una fede sempre più appannata e che, finalmente, avrebbe incontrato Dio non come un’idea, ma come il creatore vivo e amorevole con il quale intessere un rapporto altrettanto vivo e amorevole” – che proprio in virtù di quell’Evento che avrebbe cambiato per sempre le loro vite accettarono di passare per il crogiuolo della sofferenza, nella certezza che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, come dice l’Apostolo.
In effetti, come già evoca il titolo del volume, è la fede la vera protagonista di questa storia. Seguendo la trama sapientemente intrecciata dall’Autrice, ciò che emerge con forza non è mai la bravura, le doti umane, in una parola l’Io. Sempre, in tutti i momenti, in tutti i passaggi cruciali della vita di Rosanna Brichetti Messori – dalla difficoltà di essere accettata e capita in famiglia negli anni della giovinezza alla sofferenza per la salute precaria, dalla decisione di lasciare la Pro Civitate Christiana di Assisi al “rischio annebbiamento”, come lo chiama lei, del periodo romano, e su tutto ovviamente il travaglio della vicenda dell’annullamento del primo matrimonio di Messori – ciò che le pagine restituscono è piuttosto la ferma convinzione di un operare di Dio in quei fatti, di quel Dio che la stava aspettando ai crocicchi del suo cammino spirituale. A partire dal primo, fondamentale incontro – “sollecitato da un grande dolore” – avvenuto nella cripta del santuario della Madonna delle Lacrime del suo paese, quando all’improvviso “fu luce piena”.
Fede, dunque; e fede vissuta, non teorica nè tanto meno sentimentale, ma ben radicata nella storia, nei fatti della vita. Nè può essere diversamente, quando si parla di un’autentica esperienza di fede, essendosi Dio rivelato, appunto, nella storia, non tra le nuvole. Questo, a ben vedere, è il “segreto” della storia di Vittorio e Rosanna Messori: il fatto cioè che entrambi hanno avuto, con traiettorie e percorsi diversi, lo stesso punto di approdo (e allo stesso tempo di partenza): quel Cristo che è la roccia sulla quale continuano ad edificare la loro unione. E che li spinge ad esserne araldi, a spendere la propria vita a servizio di Colui che disse “Io sono via, verità e vita”.
Annunciatori e testimoni del vangelo che, e questo è un punto importante, hanno saputo raccogliere (e vincere, almeno per chi scrive) la sfida della modernità: lui, Vittorio, cercando e mostrando la “ragionevolezza” della fede, ossia la solidità delle fondamenta stesse del cattolicesimo, con ciò rispondendo non solo ad un bisogno personale ma anche, e soprattutto, ad una precisa vocazione, quella dell’apologeta; e lei, Rosanna, avendo riscoperto e fatta propria, stavolta non per sentito dire ma avendola toccato con mano, esistenzialmente, quella fede che era ridotta a vuoto sociologismo. Ed è proprio la cifra assolutamente moderna della loro testimonianza ad innestare Vittorio e Rosanna Messori nel solco più genuino del Concilio Vaticano II, quello cioè di un rinnovamento nella, non contro né oltre, la tradizione. Ciò in cui consiste lo spirito di ogni vera riforma, fedelmente al detto evangelico secondo cui “ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).
Notevolissimo! C’è molto da imparare!
Non vedo l’ora di leggerlo!
L’ha ribloggato su gipoblog.
Liberiamo il matrimonio dai falsi dogmi dell’innamoramento e della passione. L’unico elemento essenziale del matrimonio è la libera scelta di amarsi. La volontà quindi che, guidata dalla ragione, si realizza e si incarna nella vita, sorretta dalla fede in Dio.
Tutto il resto, innamoramento, passione, ma anche posizione sociale, ricchezza e quant’altro sono beni perfettamente leciti, ma tutti accessori, non essenziali.
Quindi fra’, solo riguardo l’innamoramento, partendo dal primo passo, un Uomo e una Donna, si incontrano (o neppure s’incontrano a questo punto) e prendono una decisione comune: sposiamoci… (?)
Nel mio caso l’innamoramento c’è stato eccome, ma ho sentito di matrimoni combinati che hanno, in effetti, funzionato benissimo.
A tutti quelli che mi dicono che il matrimonio si basa sull’amore io rispondo sempre così: allora, come mai il sacerdote, durante la celebrazione, non chiede mai agli sposi se sono innamorati l’uno dell’altra e viceversa?
Infatti, se fosse l’amore il fondamento del matrimonio, il presbitero dovrebbe accertare la presenza di tale requisito. Invece, la domanda che pone il celebrante è un’altra: vuoi tu sposare….
Ecco, è proprio da tale domanda che si capisce su che cosa si basa il matrimonio: sulla volontà! Non sull’amore.
Ebbene, quando faccio notare questa incongruenza tutti rimangono spiazzati e non sanno come replicare alla mia obiezione.
Sulla volontà, su una decisione, sull’assunzione di un impegno davanti a Dio e agli Uomini, appoggiati in Cristo.
E’ anche risposta alla propria vocazione (che è una chiamata).
Ma a monte – ed è bene che ci sia – esiste un “innamoramento”, una “attrazione” (nel senso più ampio del termine), che chiama l’Uomo e la Donna ad un discernimento (fidanzamento) in vista dell’impegno, della volontà, che si andranno ad esprimere nel Sacramento del Matrimonio.
Anche l’innamoramento, in questa prospettiva, è dono di Dio.
L’innamoramento, si farà Amore, con il tempo, con la fedeltà, con il combattimento, con il reciproco perdono, con l’aiuto della Grazia.
Concordo con Bariom. La questione della volontà è fondamentale, naturalmente, ma si comincia con un’attrattiva, non con una decisione “a tavolino”.
Mettere una cosa (l’attrattiva iniziale) in contrapposizione con l’altra (la volontà) significa non tenere conto del fatto che la vocazione si manifesta attraverso la realtà dei fatti (che comprende anche – non solo – i sentimenti).
Poi, su tutto, c’è il riconoscimento di un dato oggettivo (la vocazione) su cui è necessario il sigillo sacramentale e la Grazia, perché se fosse basato solo sulla nostra volontà…auguri !
Naturalmente nella vita reale sono esistiti ed esistono anche matrimoni che hanno retto negli anni, non “partiti” da un sentimento (personalmente ne ho anche conosciuti) ma sono in generale un’eccezione…
Ciò che è fondamentale chiarire oggi più che mai, è appunto che il “sentimento” o “attrazione”, NON sono assolutamente la base sicura di appoggio per costruire un Famiglia.
Le fondamenta sono altre.
Che non siano le fondamenta sono asssolutamente d’accordo, tuttavia non vanno neppure disprezzati, perché possono essere, a patto che siano guidati da un opportuno discernimento, la base per capire la propria vocazione.
E’ come l’inclinazione naturale verso certe materie di studio anziché verso altre. Un’attitudine naturale è un ottimo indicatore di quale mestiere fare, poi si tratta di usare la volontà per arrivare in fondo.
Una volta i matrimoni erano spesso decisi a tavolino. Non credo che ci sia niente di male in questo, si tratta semplicemente di valutare le opportunità che si possono conseguire convolando a nozze. Insomma valutare i pro’ ed i contro, oppure valutare, tra diverse scelte possibili, quella che risulta essere la più vantaggiosa. Dove sarebbe il problema? L’essenziale è che si decida liberamente di sposarsi” per realizzare la volontà di Dio, il quale non si è mai sognato di chiederci di essere innamorati per sposarci. Anzi, non ha premesso alcuna condizione affinchè sia valido il matrimonio. Ha semplicemente detto: crescete e moltiplicatevi. Per fare questo non è essenziale essere innamorati.
Io ho deciso di sposarmi, anche se non ero innamorato, perché ormai avevo trentasei anni e, se avessi aspettato ancora un po’, avrei finito per non sposarmi e per non realizzare la mia più grande aspirazione: quella di diventare padre.
Ma non è che di questa tua esperienza personale puoi farne regola generale o tornare a ribadire sempre lo stesso concetto quando si è sul tema Matrimonio e Amore (o comunque sentimenti) quasi a voler ribadire che la tua è la scelta giusta e non altre…
Ho conosciuto persone che anche con l ‘avanzare degli anni e certe della loro vocazione, hanno atteso che il Signore mostrasse loro il futuro marito o moglie, partendo da un sentimento che non avevano provato prima per alcuno, senza fare alcun ragionamento o calcolo di “opportunità”.
Che il matrimonio debba fondarsi sulla libera scelta, cioè sulla volontà di amare una donna e che questa volontà debba appoggiarsi sulla fede in Dio e non certo sull’umano sentimento (o altro), questa è certamente la mia personale esperienza di cui sempre mi piace dare testimonianza. Ma è anche la volontà di Dio che ordina ad Adamo ed Eva di crescere e di moltiplicarsi, non di innamorarsi.
Per il resto, non sono io a dettare regole generali, è l’opinione pubblica che oggi vuole il sentimento essere il dogma indiscutibile del matrimonio. Questo è semplicemente falso. Il sentimento (innamoramento, passione) è semplice accessorio; dono prezioso di Dio, ma non essenziale al matrimonio. Se, per un qualunque motivo, capita di non riuscire più ad innamorarsi, ci si può ugualmente sposare, amare e fare più figli di una coppia innamorata.
Chi ha atteso fino a divenire anziano nell’illusione di incontrare “l’amore vero”, o “la persona giusta”, ha mancato di realizzare se stesso nella più comune e forse nella più grande delle aspirazioni umane, quella di dare nuovi figli a Dio.
Scegliere di amare e di sposare una donna è una assunzione di responsabilità che deve fondarsi sulla fede in Dio, non sulle fede nel sentimento o innamoramento o passione umana. Se poi ci sono anche sentimenti e passione, meglio. Se poi ci sono anche i soldi e la solidità di una grande famiglia (per esempio), ancora meglio. Ma tutte queste cose, i sentimenti, i soldi e la solidità di una grande famiglia, sono elementi accessori, non sono essenziali per il matrimonio.
Qualcuno qui ha forse sostenuto che ciò sia buono?
Dispiace che tu passi subito e con facilità a dare giudizi sulle scelte altrui (tra cui ad esempio mia moglie…).
Ti si potrebbe rispondere che (parole tue) ” la tua più grande aspirazione: quella di diventare padre.” non necessariamente poteva concidere con la Volontà di Dio… ma a te questo pareva sufficiente.
Una cosa infatti sono le nostre – pur grandi – aspirazioni, altra può essere la volontà di Dio.
Poi chi ti dà la certezza che dal Matrimonio nasceranno figli?
In fine “Scegliere di amare e di sposare una donna è una assunzione di responsabilità”.
Di sposarla certamente si, l’amore non mi risulta si fatto decisionale.
O lo si ritrova nel cuore (chi lo suscita?) o lo si chiede a Dio come Grazia, perché ce ne ritroviamo decisamente sprovvisti nel nostro umano egoismo.
Ma chiudo qui…il problema con te è sempre in generale il medesimo: mai et-et, ma sempre solo la tua granitica – ma sempre soggettiva – visione delle cose.
Sono d’accordo con Bariom. Tra l’altro, uno degli insegnamenti chiave di mia mamma è sempre stato che i figli, per quanto importantissimi (ne ha avuti tre, un quarto non è mai arrivato a nascere e ha rischiato la vita per due) non sono la base o la raison d’etre del matrimonio, che resta quello della comunione fra i due sposi. Penso che sia un insegnamento giusto.
Io non giudico le persone, io giudico i fatti (o gli atti). Attendere “fino a divenire anziano nell’illusione di incontrare “l’amore vero”, o “la persona giusta” è un fatto, non una persona! Ed è un atto sbagliato! Mi ricorda parecchio da vicino quella parabola dei talenti, in particolare quello che seppellì il talento per paura di perderlo. E per questo, per non aver investito, per non aver rischiato il suo talento non riuscì a dare frutto.
Chi può dire quale sia, nella propria vita personale, la volontà di Dio? Di certo però si può dire che Dio ha ordinato: crescete e moltiplicatevi! Questa è certamente la Sua volontà, nella quale chiunque di noi può sentirsi chiamato a realizzare la propria vita. Come può essere che si senta chiamato a realizzare la volontà di Dio in un altro modo, ovvimente. L’unica cosa che con certezza non realizza la volontà di Dio è seppellire il proprio talento. Seppellirlo sotto gli anni che passano senza conclusione e senza frutto, per esempio. E’ uno spreco Dio ne chiederà conto.
Infine sull’amore. Certo che l’amore è una decisione, una scelta. Altrimenti che merito ne avremmo? E’ vero che si può amare solo con l’amore di Dio, ma questa capacità di amare non c’è senza merito nostro (la fede è il nostro merito, che ci guadagna la capacità d’amare), e non si ama con l’amore di Dio senza averne anche il merito.
Semplici illazioni le tue…
Chi ha detto che parliamo di persone divenute anziane inseguendo una illusione??
Hai un ben ristretto concetto dei talenti, tanto da poter rigirare la parabola a tuo uso e consumo.
Sai ci sono anche altri modi per essere fecondi oltre al cercare moglie con il solo scopo di procreare.
Poi ci aggiungiamo un po’ di eventuale giudizio divino e un discutibile concetto di “merito” e il minestrone in agrodolce è servito…
Buonanotte.
Per quanto riguarda Adamo ed Eva, è appunto Dio che crea e procura una moglie ad Adamo e prima di qualunque ordine impartito, Adamo nel vederla, la riconosce come carne della sua carne.
Ti saluto.