Non ci sono app per la sete d’infinito

di Giacomo Bertoni

Andare al cinema è sempre un’esperienza formativa, anche se il film in questione è “It” (avrei molte domande da fare ad Andrés Muschietti). La sala è piena ma, nonostante il film sia vietato ai minori di 14 anni, l’età media è tremendamente bassa. Non è la sede per interrogarsi sul ruolo dei genitori nella scelta del titolo, e neppure sulla loro assenza in sala. Non è la sede per discutere le scelte commerciali del cinema, anche se la crisi (drammatica) del settore non giustifica la vendita dei biglietti con le fette di salame sugli occhiali 3d.

La cosa che colpisce di quella sala così giovane è il movimento. Continuo, irrefrenabile, incontrollabile. Dalle file più alte l’immagine è quella di una marea solleticata da un impetuoso vento del nord, solo che i pesci hanno tutti lo smartphone acceso. E durante le scene più crude? Non un sobbalzo, non una sorpresa, non un grido. Accanto a me ci sono quattro amici, sui quindici anni. A loro tutta la mia stima: guardando il film contemporaneamente chattano e giocano con lo smartphone, concedendosi ogni tanto una non posticipabile ricerca su internet.

Molto probabilmente hanno seguito il film anche meglio di me, che ho la brutta abitudine di nascondermi dietro il giubbotto quando la musica si fa ansiogena. Ma il punto è: hanno vissuto? Avranno ricordi particolari e unici della serata (no Muschietti, non dico grazie a te)? La battuta dell’amico, lo spavento che si scioglie in risata, il trancio di pizza mangiato in macchina mentre fuori il cielo si tinge di rosso? Perché questo multitasking compulsivo che porta a fare (male) quattro cose in contemporanea, che ci fa credere “smart” perché non lavoriamo più in un ufficio in mezzo a colleghi ma in macchina o in treno, correndo da una città a un’altra, che ci fa parlare cinque lingue senza più cogliere alcuna sfumatura di significato, che ci fa incontrare ogni giorno dieci persone diverse senza conoscerne nessuna, che ci fa sentire una montagna di parole senza ascoltarne nemmeno una, che ci fa sembrare liberi ma poi ci lascia soli con uno smartphone in mano, a me sa tanto di fuffa. Una fuffa però a suo modo efficace, perché capace di spegnere la sete d’infinito che abita nel cuore di ciascuno.

L’adolescenza è una fase delicatissima, perché il cuore è agitato da interrogativi insormontabili, da ferite insanabili, da scommesse inarrivabili. E la ricerca di verità, a volte, può portare anche alla Verità. Per questo il dominio di un mondo digitale prevedibile e guidato sulla realtà quotidiana ha qualcosa di profondamente antiumano. Nega la possibilità dell’incontro con l’altro, impedisce il contagio delle vite altrui. Spegnere i sentimenti è un passaggio fondamentale (anche la paura a volte fa bene). Saziare continuamente la curiosità offrendo una serie infinita di link portatori di “notizie” superficiali, imprecise, ideologizzate, è la strategia più efficace. Ma come accendere un lumicino in un mondo squassato dalla bufera?

Durante gli esercizi spirituali d’Avvento 2016 per i giovani, il vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti, aveva parlato della samaritana, della sua inquietudine e della sua sete: «È sete di bontà, di speranza, di giustizia. Quanti poeti, uomini vivi, hanno parlato di questa sete d’infinito? Pur non credendo, pur non conoscendo il dono di Dio, essi erano mossi da un’arsura profonda, che li spingeva a cercare il senso più profondo della loro vita. È l’incontro con Gesù che placa la nostra sete, ed è solo tenendo viva la nostra inquietudine che siamo mossi verso l’acqua, così da diventare anche noi sorgenti di acqua viva».

La chiave sta proprio qui: tenere viva la nostra inquietudine significa far cadere una goccia (piccolissima ma costante) sui grandi muri di cemento che la civiltà dei diritti sta costruendo. Chiedere, pungolare, andare oltre le rassicuranti bugie quotidiane. E offrire alternative piene di senso ai più giovani (bisogna costruire insieme, genitori, scuole, Chiesa, uomini e donne di buona volontà), perché se i dubbi e le paure vengono coperti dalla confusione crescono nel buio dell’anima e diventano mostri in grado di divorare la speranza. “It” pecca in una cosa (“una”, insomma…): presenta il male come male. Il clown è una cosa bella quindi…? No, il clown del film è qualcosa di sconvolgente: riconosci subito il ghigno demoniaco. Il male oggi non è così. Il male è bello, colorato, affascinante, e non ha nulla di decadente. Ma aguzzando l’olfatto si scopre un malcelato odore di zolfo. Sempre. La verità è scomoda, la verità fa anche paura, perché a volte racconta che stiamo sbagliando tutto, che dobbiamo ricominciare da zero. Ma senza verità non può esserci felicità.

Non ci sono più scuse per trascurare un compito per il quale oggi suona la campana: essere sentinelle d’inquietudine nella calma apparente del politicamente corretto. C’è ancora spazio per costruire, ci sono ancora alleanze imprevedibili da stringere, c’è ancora un residuo di coraggio che può comparire in chi non oseremmo sperare al nostro fianco.

 

 

16 pensieri su “Non ci sono app per la sete d’infinito

  1. 61angeloextralarge

    “C’è ancora spazio per costruire” .la speranza non può morire. Grazie!

  2. Da parte mio non sono nata nel era dello smartphone…anzi non lo so ne anche usare, e non c’è lo….ma posso dire una cosa sapevo ridere con i miei amici, parlare ed incontrarci anche al cinema, ma era una cosa semplici pure di stare insieme la domenica pomeriggio d’avanti ad una tassa di cioccolate …..bello !!! ci penso spesso…..oggi ???….non è una critica …ma un interrogativo…..buona serata e ancora buona festa dei tutti santi che ci aiutano…..

  3. E io ho condiviso con uozap a tutti i miei figli obbligando con la minaccia dell’interrogazione! Magari sentendo da qualcun altro, detto meglio, quel che noiosamente predica il babbo, il messaggio rimane. Grazie.

  4. Bell’articolo, ampiamente condivisibile. Molto scomodo, in realtà, per chi, come me, ha due figli adolescenti. Forse davvero stiamo sbagliando tutto…

    1. Francesco Paolo Vatti

      Il problema è che spesso non si sa come fare a non sbagliare. Io non ho (e non voglio avere) lo smartphone, ma in casa mia l’hanno tutti. Ho spiegato ai figli diverse cose, ma non riesco a far vedere loro l’assurdità di quello che stanno facendo e di quello che si perdono. Ma loro mi vedono come quello che rompe….

      1. @Fancesco, non credo che la soluzione sia quella di non avere lo smartphone (che è una libera scelta che rispetto) e di conseguenza pensare che i nostri figli non lo utilizzino…

        E’ questione di misura e di uso corretto (e di messa in luce dei pericoli) e credo questo lo si possa insegnare, iniziando da regole precise di utilizzo almeno quando si è in casa e assieme.
        Non voglio prendere me come esempio di padre capace, ma grazie a Dio i miei tre figli, tutti ormai maggiorenni, hanno computer e smartphone e sono moderatamente “social” (già vedere che hanno fatto una scelta di quali “social” e come utilizzarli, mi consola).
        Persino come famiglia abbiamo il nostro gruppo privato e questo talvolta è molto utile, ma sono tanti gli utilizzi validi di questi “attrezzi”, anche per organizzare viaggi che ti consentono appunto di uscire un po’ dal tuo mondo…

        Mia figlia per esempio si è organizzate per il Cammino di Santiago e per quei 10 gg il telefonino è stato utilizzato solo per le “chiamate di emergenza”.

        Se diversamente, nei nostri ragazzi vediamo un utilizzo cronico-compulsivo, beh sarà il caso di prendere provvedimenti più drastici, come faremmo se cadessero in qualunque altra dipendenza, perché di fatto quella dell’uso-abuso di smartphone può diventarla.

        1. Luigi

          “E’ questione di misura e di uso corretto (e di messa in luce dei pericoli)”

          No, continua a non essere così.
          Internet e smartphone fanno male a prescindere, come le droghe anche “leggere” e le armi; a maggior ragione su personalità non ancora formate come sono gli adolescenti.
          Consiglio vivamente la lettura di “Solitudine digitale”, di Manfred Spitzer.
          Non è un testo facile, zeppo com’è di esperimenti, analisi, grafici. Basti dire che la sola bibliografia occupa 70 pagine, un sesto cioè del libro.
          C’è tutto, dai danni alle capacità di ragionamento profondo alla demolizione di quella fantasia perversa che è il multitasking.
          Il multitasking non esiste, nemmeno nelle donne. La regola continua a essere quella solita, vecchia di millenni: si fa una cosa alla volta e si cerca di farla bene.

          Ciao.
          Luigi

          1. E’ questione di uso e di misura (nella quali sta anche l’età in cui consegnamo detti oggetti ai nostri figli e non controlliamo in alcun modo l’utilizzo).

            Anche prima dell’avvento dell’automobile non c’erano morti per incidenti stradali e il gusto per il viaggio e le relazioni, non che la tonicità muscolare erano tutt’altra cosa (forse, probabilmente…)

            Libro molto interessante “Solitudine digitale”.
            (Chissà se lo scrittore o i ricercatori delle cui fonti, non hanno mai usato internet o un qualche moderno devices?)

            Certamenhte i rischi del “digitale” in senso molto ampio, sono di non poco conto e forse siamo solo all’inizio…
            Cmq possiamo sempre farci Amish 😛

            1. Luigi

              “E’ questione di uso e di misura”

              Sì, l’hai già detto 😉

              Perciò anch’io ripeto che non è così. Vale ciò che sta scritto sui pacchetti di sigarette: il fumo uccide.
              Internet rende stupidi. Basta saperlo, in entrambi i casi.
              Per par condicio, possiamo mettere foto di zombies sulle confezioni degli smartphones. Certo andrebbero a ruba lo stesso (forse, probabilmente…).

              Certo poi che Spitzer usa Internet. In Occidente, o si sceglie una vita da eremiti o Internet deve essere usato.
              Ma che c’entra?
              Forse che a un drogato si deve impedire di ricordare come la droga faccia male?
              Oppure non hai elementi migliori a favore della tua tesi?

              Quanto all’automobile, scusa ma ti sei proprio dato la zappa sui piedi. Zappa digitale, eh…
              Intanto perché forse non hai idea di quanti incidenti occorressero con l’impiego della locomozione animale, di quanti feriti, storpiati o morti fossero provocati da cadute da cavallo, manutenzione di carri, etc.
              E poi perché, prima di usare un’auto legalmente, almeno in teoria bisogna avere la maggior età, aver sostenuto un esame di abilitazione, rispettare (in teoooriaaaa…) un Codice della Strada… ecco, mi sembra sia evidente la presa d’atto della pericolosità delle auto.

              Infine, non c’è necessità di farsi Amish.
              Cominciamo col dire che tutto il mondo digitale non è un obbligo, non è una legge di natura inalienabile e inoppugnabile…

              Ciao.
              Luigi

        2. Enrico Turomar

          Concordo. Certo è difficile sapere se veramente lo usano in modo corretto quando non li vediamo (parlo per le mie figlie che sono adolescenti), ma ci sono tante cose che possono fare in modo corretto o meno. E’ il rischio educativo. Anche noi abbiamo il nostro gruppo ‘famiglia’ e francamente mi pare utile. Mia figlia che fa il liceo ha solo una compagna che sta a circa un km da casa nostra, le altre stanno a minimo 10 km: per fortuna che c’è uozap. Certo quando le cose indispensabili da dire saltano fuori dopo le 10 di sera magari l’intervento dei genitori è opportuno.
          Se sei su twitter o fb c’è sempre qualcosa di nuovo, il rischio di farsi prendere la mano è notevole, questo è vero. Ci sono anche giochini che vanno per la maggiore che praticamente non finiscono mai, tanto è lontano l’obiettivo da raggiungere, e in cui devi essere sempre lì altrimenti perdi quello che hai guadagnato (non necessariamente in soldi): una schiavitù di cui i ragazzi non si rendono nemmeno conto.

  5. Francesco Paolo Vatti

    Sicuramente il problema è quello di un corretto dosaggio. Ma è tutt’altro che facile da raggiungere. Sono riuscito a imporre che non si usi il cellulare a tavola e a letto, ma non molto di più. All’inizio avevo anche posto un divieto da subito dopo cena (finita la cena, un ultimo controllo, poi si spegne), ma non ha funzionato, perché, per non perdere qualcosa, andava a influire negativamente sullo studio dei due adolescenti… Ho letto un bellissimo libro di un prete americano che vive a Roma (qualcosa come “Il profumo dei limoni”) che parla di queste cose e credo che nei prossimi giorni, approfitterò di un pasto per riprendere l’argomento tutti insieme. Vedremo cosa riuscirò a ottenere….

    1. Buon “combattimento” Francesco 😉

      I nostri figli in generale non sono degli stupidi… ribelli magari sì, ma stupidi no. Mostrando il vero, il bello e il buono a confronto di tutti i risvolti negativi, anche se ci sbattono il naso e “sanno tutto loro”, ci arrivano prima o poi e il vero, quando è Verità, nella loro coscienza risuona.

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