Giacomo Bertoni ha seguito domenica 24 settembre come inviato per Radio Mater l’ingresso di Mons. Delpini a Milano
Milano è spesso un passo avanti rispetto alla maggior parte delle città italiane. Non lo è solo per la moda, per l’editoria, per l’informazione, per la cultura, per le aziende. Che Milano sia italiana eppure diversa lo si capisce anche solo facendoci una passeggiata distratta, camminando fra monumentali vetrine luminose e personaggi bizzarramente agghindati. A Milano si respira quel mix tra passato iconico e futuro psichedelico che solo nelle grandi capitali europee si è già imposto pienamente. Negli ultimi decenni è forse la parte psichedelica che ha preso il sopravvento, una confusione estetica che è anche interiore, con una forte perdita della dimensione spirituale e religiosa dell’individuo.
Camminando verso piazza del duomo ieri tutte queste considerazioni si rincorrevano nella testa, portando a una inevitabile domanda: può ancora l’ingresso di un arcivescovo incidere su una domenica pomeriggio milanese? Può un pontificale di due ore catturare l’attenzione di una città sempre intenta a spostare lo sguardo un po’ più in là? Alle 15 la situazione in piazza era abbastanza mesta: poche le persone vicino alle transenne, ancora meno la curiosità dei passanti per i maxi-schermi. Qualcosa è cambiato, improvvisamente, quando la voce dell’arcivescovo si è diffusa per la piazza. La sua riflessione nella basilica di S. Eustorgio è stata una fotografia di Milano. Il ritmo lavorativo sempre più forzato e caotico, le domande di senso che non trovano risposta, le nuove dipendenze che corrodono la vita di tante persone, ma: «Noi che ascoltiamo la parola di Gesù rispondiamo che c’è una voce che chiama e fa della vita una vocazione e una missione, e ci mettiamo in cammino per essere un popolo che cerca pace e verità e ci mettiamo a cantare perché accogliamo con stupore e gratitudine la speranza che questi giorni siano solo un inizio di quella comunione perfetta e felice che chiamiamo vita eterna». La gente si ferma, ma non è solo curiosità, è sorpresa di ascoltare parole antiche eppure nuove.
Poco più tardi, l’ingresso nella cattedrale gremita (oltre 6000 fedeli e 1000 sacerdoti). I giornalisti sono tanti, troppi: la postazione davanti all’altare non contiene tutti: “Chi scrive o fa collegamenti in radio dietro la colonna”. Così ci si ritrova seduti per terra, con le gambe incrociate, a prendere appunti. L’altare è coperto dall’immensa colonna, lo sguardo è chiamato prepotentemente verso l’alto. E l’invito dell’arcivescovo arriva presto: «Solo vorrei invitarvi ad alzare lo sguardo, ad accogliere l’invito di uno dei sette angeli… “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (Apc 21,9)».
Lo sguardo è chiamato oltre le brutture quotidiane, perché l’uomo è chiamato a qualcosa di più grande, perché l’uomo vale più dei suoi errori e delle sue debolezze. E così ha continuato l’arcivescovo: «Forse c’è chi pensa: è impossibile, io sono cattivo, io ho fatto del male, io non riesco, io non voglio rinunciare ai miei vizi, io merito solo castighi e condanne. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore misericordioso. Forse c’è chi pensa: è impossibile, io mi sono ribellato a Dio, io sono arrabbiato con Dio, io ho insultato Dio, io mi sono dimenticato di Dio. Ma io ti dico che Dio non è arrabbiato con te, Dio continua ad amarti e ad avvolgerti della sua gloria, del suo amore paziente e discreto».
Un’omelia lunga (da leggere, assolutamente) e appassionata, che ha pescato più volte nel campo semantico del futuro: sperare, costruire, camminare, sognare. Sì, anche il sogno ha trovato spazio, perché il sogno è aspirazione, il sogno è giovane eppure non ha età, il sogno è di tutti e aiuta a scoprire che c’è altro oltre al visibile. Al termine del pontificale l’abbraccio della gente al suo nuovo pastore era incontenibile. Un vociare misurato ma gioioso, nel quale si riconosceva lo splendido dialetto milanese, perfetto richiamo alla diocesi più grande del mondo. Monsignor Delpini ha guardato alla Milano che è specchio delle speranze e delle contraddizioni della società contemporanea e le ha fatto il regalo più grande: indicare la speranza, che rischia di diventare vuota retorica se lasciata sola, ma è capace di salvare l’uomo se è unita a Cristo.
Se ogni parola acquista una nuova luce, allora ogni futuro è davvero ancora tutto da scrivere: «La gloria di Dio è l’amore che si rivela e che rende possibile l’impresa inaudita, la trasfigurazione impensata, l’evento sorprendente. La gloria di Dio conduce là dove nessuno avrebbe potuto pensare di arrivare, là dove nessuna audacia di pensiero umano ha potuto spingere lo sguardo. Infatti la gloria di Dio è l’amore che rende addirittura capaci di amare!».
«Solo vorrei invitarvi ad alzare lo sguardo, ad accogliere l’invito di uno dei sette angeli… “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (Apc 21,9). Vi invito a guardare la Chiesa e l’umanità in una contemplazione più pura, più penetrante, meno preoccupata di quello che dobbiamo fare e più disponibile a riconoscere l’opera di Dio e la dedizione dell’Agnello a rendere bella la sua sposa, come una sposa adorna per il suo sposo (Apc 21,2)
Pertanto, in questo momento così solenne ed emozionante io voglio dire solo una parola che ritengo essenziale, necessaria, incoraggiante e benedetta. Voglio confermare la profezia stupefatta di Isaia: tutta la terra è piena della sua gloria. Voglio confermare l’inno di lode che si canta in ogni liturgia eucaristica: Santo, santo, santo, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria! Voglio condividere l’inno del Te Deum: pleni sunt caeli et terra maiestatis gloriae tuae.
La proclamazione può suonare una espressione di euforia stonata nel nostro contesto contemporaneo incline più al lamento che all’esultanza, che ritiene il malumore e il pessimismo più realistici dell’entusiasmo, che ascolta e diffonde con maggior interesse le brutte notizie e condanna come noiosa retorica il racconto delle opere di Dio e del bene che si compie ogni giorno sulla faccia della terra. Ma il pensiero scettico e una specie di insofferenza nei confronti della rivelazione nascono forse da un malinteso. Infatti: che cosa si deve intendere per “gloria di Dio”, secondo la rivelazione cristiana? La gloria di Dio non è una sorta di irruzione trionfalistica. Chi si aspetta questa manifestazione della gloria di Dio, volgendo lo sguardo sulla desolazione della terra dichiara impossibile pensare che la terra sia piena della gloria di Dio: la vede piuttosto piena di lacrime e rovine, di ingiustizie e di idiozie.
Eppure io vi annuncio e testimonio che la terra è piena della gloria di Dio. Che significa gloria di Dio? Significa manifestazione dell’amore, tenacia dell’amore, ostinazione dell’amore di Dio che nel suo Figlio Gesù rivela fin dove giunge la sua intenzione di rendere ogni uomo e ogni donna partecipe della sua vita e della sua gioia.
Ecco che cos’è la gloria di Dio: è l’amore che si manifesta. Perciò io sono venuto ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio. Non c’è nessun luogo della terra, non c’è nessun tempo della storia, non c’è nessuna casa e nessuna strada dove non ci sia l’amore di Dio. La gloria di Dio riempie la terra perché ogni essere vivente è amato da Dio.
……………
La gloria di Dio è l’amore che si rivela e che rende possibile l’impresa inaudita, la trasfigurazione impensata, l’evento sorprendente. La gloria di Dio conduce là dove nessuno avrebbe potuto pensare di arrivare, là dove nessuna audacia di pensiero umano ha potuto spingere lo sguardo.»
http://www.radiomater.org/P/NewsDetails.aspx?id=7a308bbb-8696-4c8b-935f-51b3d0bbe02c
Questo è un vero Annuncio, non un mero discorso “socio-politico-religiorso” di circostanza.
L’ incoraggiamento del Vescovo a guardare in alto mi aiuta a vivere la Speranza La Fede in Dio pensando all’AMORE che DIO ha per me è la sua grande misericordia verso di me continuamente
L’ha ribloggato su l'ovvio e l'evidente.
Come Montini nel ’53, anche il Delpini è stato nominato arcivescOvo senza ricevere il galero……..
Strano, Milano solitamente ha un cardinale quale arcivescovo…
Pingback: MILANO – Date inizio al futuro | Sopra La Notizia
che concentrato di luoghi comuni! (ps milano è una cloaca, esattamente come qualunque affollata citta’ italiota)
@giuseppe che concentrato di luoghi comuni!
Grazie. Non credo che il “più avanti” nel discorso riferito alla città indicasse che è meglio delle altre, anzi, mi pare ironico.
Il punto è su tutto il senso del discorso, inquadrato nel contesto. Visti i tempi, è lecito – anzi, doveroso – chiedersi chi sia il “Dio” a cui certi prelati si riferiscono. San Paolo, quando spiegava il discernimento degli spiriti, ricordava che il criterio è vedere a chi ci porta Gesù vivo. Vivo e incarnato, nell’Eucarestia. Visto che siamo sotto assedio dal protestantesimo, che nega questo fatto, la cosa è di primaria importanza. Ora, il fatto è che mons. Delpini si è prestato a gravi abusi liturgici come quello documentato qui sotto (ha invitato, durante una messa in Brasile, vari giovani a posizionarsi dietro all’altare e ad alzare i calici contemporaneamente ai celebranti). La cosa è ben documentata e provata, non solo dalla foto, ma dalla risposta stessa del responsabile diocesano per la pastorale liturgica (che ovviamente ha minimizzato); poco dopo i riferimenti dell’evento, in testo e in foto, sono stati tolti dal sito dell’arcidiocesi dove erano stati pubblicati, evidentemente fonte d’imbarazzo. Ma il prelato che ha causato imbarazzo è stato, come al solito, premiato con una nomina vescovile.
Che senso ha quella cosa? Che insegnamento ai giovani da’ quel gesto assurdo? Gli comunica il senso vero Gesù Cristo, realmente presente nell’Eucarestia, Persona della Trinità fonte di quell’amore di cui si parla? O semmai una squilibrata idea di protagonismo personale, che può portare ad idee del tutto distorte su Dio e sul suo amore? Quale sarebbe questo “futuro” a cui dare inizio?
http://blog.messainlatino.it/2013/07/horror-missae-in-brasile-la-risposta.html
Certamente l’alzata dei calici di cui sopra non è una cosa troppo bella, ma non direi che trattasi di una gravre violazione di un precetto di fede, o di qualche norma di diritto divino.
È semplicemente una cosa inopportuna, ma non un grave peccato o un eresia. Mi sembra poi che a tale questione possa applicarsi in pieno Col. 2:16 e sgg. (Soprattutto 22 e 23)
Se mons. Delpini ha fatto cosi’, vuol dire che lo ha ritenuto opportuno…conosco un missionario operante in Burundi, colpito al volto da un colpo di kalashnikov per aver difeso degli hutu rifugiatisi nella sua parrocchia dalla furia dei tutsi e scampato miracolosamente; egli mi disse che la liturgia “devia” un poco dall’ortodossia richiesta, poiche’ occorre lasciare un certo “margine” al flolklore locale, o meglio al modo caratteristico che gli indigeni hanno nell’adorazione eucaristica.
Grazie….. ho ascoltato l’Omelia….visitato il blog messainlatino….visto che siamo in sotto assedio dal protestantesimo non comments ….
è meglio essere cristiano senza dirlo che proclamare e di non essere. Spesso il silenzio porta i suoi frutti… ma veri.
@Roby
La Chiesa non è una cooperativa di volontariato e nessuno può permettersi di improvvisare su cose che non ricadono sotto la propria autorità. In particolare, la liturgia non è proprietà di nessun prete o alto prelato (anche se è stato colpito al volto da un kalashnikov: ma che c’entra?). Ci sono delle regole che sono stabilite dalla Chiesa stessa e dai suoi organismi; e queste regole vanno rispettate da tutti. Quindi non esiste che uno improvvisi, altrimenti addio cattolicità.
Faccio presente che non esiste un’unica forma del rito: a Milano c’è quello ambrosiano, per esempio; così come da altre parti ci sono quelli orientali: è un modo per essere più vicino alle culture locali. Ma anche queste forme non sono improvvisate da chicchessia. Anche volendo comprendere certe esigenze missionarie (peraltro lì eravamo in Brasile, e in zona urbanizzata, non in Burundi) non si può andare a stravolgere tutto.
Oltretutto, sarei proprio curioso di sapere per quale motivo non possiamo apprendere quali fossero le opportunità di far alzare ai laici il calice: invece di fornire spiegazioni la notizia è stata fatta sparire dal sito ufficiale dell’arcidiocesi. Ma è noto che fare domande, di questi tempi, non porta bene.
Il card. Sarah, parlando delle derive liturgiche, ha commentato così:
“Si corre il rischio reale di non lasciare alcun posto a Dio nelle nostre celebrazioni. Incorriamo nella tentazione degli ebrei nel deserto. Essi cercarono di crearsi un culto alla loro misura e alla loro altezza, e non dimentichiamo che finirono prostrati davanti all’idolo del vitello d’oro”.
Un poco di elasticita’ per dar modo ai locali di esprimere coi loro costumi la devozione a Dio (anche in Chiesa), non e’ di alcun nocumento a chicchessia, ma tutt’altro: non possiamo pretendere che quelle popolazioni siano conformate alla ns. mentalita’, devono potersi esprimere coi loro modi che non sono e non potrebbero essere i nostri; viceversa, imponendo un certo “modus operandi” si rischierebbe seriamente di compromettere l’attivita’ missionaria ed evangelizzatrice che verrebbe vissuta come una forma di “colonializzazione”. Inopportuna.
@Roby
Primo punto: ma tu sei un liturgista? Perché mi fa piacere sentire la tua opinione, ma rimane la tua opinione (io non sto esponendo la mia opinione, infatti non sto dicendo se una certa cosa “secondo me” si può fare o no: sto dicendo che la Chiesa ha sempre gestito la liturgia in un certo modo, e così deve rimanere). Pare che tu non abbia colto l’affermazione “la Chiesa non è un’associazione di volontariato”.
Secondo punto: la tua opinione mi pare alquanto peregrina. Perché in duemila anni la Chiesa ha evangelizzato popoli interi. Ripeto quanto già detto prima: in certi casi adattando la propria liturgia (p.es. quella di Cirillo e Metodio). Ma lo ha fatto sull’iniziativa di qualcuno che, prima di proseguire, si è fatto approvare la cosa dalle autorità di Roma. Invece, da quando è iniziato il “fai da te” le cose sono gravemente peggiorate (anche in campo missionario). Quindi “non è di nocumento” non è solo un’opinione, ma una cosa assolutamente sradicata dalla realtà. Ti consiglio di leggerti tutto il pezzo del card. Sarah da cui ho preso la citazione precedente: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351068.html . Se pensi di avere dei suggerimenti da dargli, puoi sempre scrivergli. Io credo che lui sia uno di quelli che risponde.
Terzo punto: mi sembra di aver già detto chiaramente che non si parlava del Burundi. Siccome ogni azione razionale ha una spiegazione, vorrei sapere quali sono le spiegazioni razionali per quel gesto, intendo quel preciso gesto. Visto che l’arcidiocesi non ce le ha volute dare, mi va anche bene una tua opinione.
Piccola nota, tanto per dare la giusta prospettiva a questa discussione… Due altre citazioni di Ratzinger:
Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia ci sono modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell’uomo con Lui.
[…] la crisi ecclesiale, in cui oggi ci troviamo [dipende] in gran parte dal crollo della liturgia.
Ecco perché non mi entusiasma una predica di un vescovo, se poi vedo che liturgicamente fa cose strane.
Circa 25 anni fa’, in visita di cortesia presso un monastero di clausura, conobbi un sacerdote missionario in India, credo nell’Uttar Pradesh. Dialogando, mi disse che era tornato in Italia per raccogliere i fondi mancanti al fine di ultimare la costruenda Chiesa, assai dispendiosa: occorreva pagare il conto dei marmi pregiati di Massa Carrara (proprio cosi’) e molto altro, tutto extra-lusso; allorche’ chiesi al padre: ma e’ necessario tutto quel lusso per la dimora del Signore?- Egli rispose: “Per noi sicuramente no, ma se non lo facessimo, i fedeli diserterebbero le funzioni, perche’ considererebbero il Dio “cristiano” miserabile e quindi non degno di venerazione…purtroppo non si puo’ fare altrimenti, nonostante questa Chiesa che stiamo costruendo ci stia “dissanguando” finanziariamente e distogliendoci i fondi per opere umanitarie.
Capito cosa intendo? Bisogna trovarsi sul posto per comprendere certe realta’…
Capito cosa intendo? Bisogna trovarsi sul posto per comprendere certe realta’…
Guarda che quei fedeli indiani erano molto, molto più avanti del missionario, specialmente se la sua priorità erano le “opere umanitarie”. Infatti è una banale considerazione logica che la Casa di Dio deve essere adeguata al rango del Padrone di Casa. È qui da noi che qualcuno, da qualche decennio, si è inventato il pauperismo, arrivando persino a raccontare che Cristo era “povero” (cosa non vera), e proponendo la costruzione di chiese che fanno vergognare.
Comunque, non c’entra niente con quello che stavamo dicendo: non ha a che fare con la liturgia.
La lettera uccide, lo spirito vivifica…
ho cercato di seguire il vostro dibattito e – cosa che non succede spesso – sono in accordo con Fabrizio.
Oltre a ricordare che la Liturgia è “fonte e culmine della vita della Chiesa” – cosa che dovrebbe far riflettere molti ministri sacri che celebrano in modo indegno (un cardiologo che opera sul cuore deve seguire una corretta procedura se non vuole causare la morte del paziente) – è bene ricordare che il rito della celebrazione eucaristica ammette delle parti che possono essere vissute in modi che tengano anche conto della cultura del luogo e anche una certa variabilità (lo dimostra l’evoluzione stessa della liturgia), ci sono parti che non sono assolutamente modificabili né nelle parole, né nei gesti e neppure nella persona cui compete quella parte del rito. E pertanto è indisponibile all’umore del celebrante. I testi in questo sono chiarissimi. Il rischio è quello di inficiare la validità del sacramento.
Certa fantasia liturgica è, spesso e volentieri, più fonte di disgusto e sdegno che elevazione a Dio.
“il rito della celebrazione eucaristica ammette delle parti che possono essere vissute in modi che tengano anche conto della cultura del luogo e anche una certa variabilità” che credo sia proprio ciò a cui si riferiva Roby (e che rimane in accordo con i Documenti del CVII – ma guai a nominarli…) e non a qualunque tipo di fantasioso abuso che tale rimane.
Roby scrive: “Se mons. Delpini ha fatto cosi’, vuol dire che lo ha ritenuto opportuno…conosco un missionario operante in Burundi […] egli mi disse che la liturgia “devia” un poco dall’ortodossia richiesta, poiche’ occorre lasciare un certo “margine” al flolklore locale, o meglio al modo caratteristico che gli indigeni hanno nell’adorazione eucaristica”.
@Bariom
non sono d’accordo con te. Basta rileggere il primo post di Roby che ho riportato, per accorgersi che il senso non è quello che intendi tu, visto che il contesto in cui ci stiamo muovendo riguarda l’episodio riportato da Fabrizio (il vescovo che invita dei laici ad elevare i calici). Da come si è espresso, mi pare di capire che per lui un sacerdote può scegliere a propria discrezione cosa e come variare nella liturgia.
Cosa pensa nello specifico, io non lo so. Se poi vogliamo parlare di cosa a ognuno “sembra” é altro discorso…
Ad ogni modo tornando ai Documenti per ciò che personalmente intendevo sottolineare:
COSTITUZIONE CONCILIARE SACROSANCTUM CONCILIUM SULLA SACRA LITURGIA
D) Norme per un adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari Popoli
37. La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nel costume dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico.
38. Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente presente questo principio nella struttura dei riti e nell’ordinamento delle rubriche.
39. Entro i limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, spetterà alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 – 2, determinare gli adattamenti, specialmente riguardo all’amministrazione dei sacramenti, ai sacramentali, alle processioni, alla lingua liturgica, alla musica sacra e alle arti, sempre però secondo le norme fondamentali contenute nella presente costituzione.
Progressivo adattamento liturgico
40. Dato però che in alcuni luoghi e particolari circostanze si rende urgente un più profondo adattamento della liturgia, che per conseguenza è più difficile:
1) Dalla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 – 2, venga preso in esame, con attenzione e prudenza, ciò che dalle tradizioni e dall’indole dei vari popoli può opportunamente essere ammesso nel culto divino. Gli adattamenti ritenuti utili o necessari vengano proposti alla Sede apostolica, per essere introdotti col suo consenso.
2) Affinché poi l’adattamento sia fatto con la necessaria cautela, la Sede apostolica darà facoltà, se è il caso, alla medesima autorità ecclesiastica territoriale di permettere e dirigere, presso alcuni gruppi a ciò preparati e per un tempo determinato, i necessari esperimenti preliminari.
3) Poiché in materia di adattamento, di solito le leggi liturgiche comportano difficoltà particolari soprattutto nelle missioni, nel formularle si ricorra a persone competenti in materia.
Nutro una sincera pietà cristiana per tutti voi, che cercate un motivo per attaccare un buon prete ambrosiano con mons. Delpini.
Grazie a mons. Delpini molte persone hanno imparato ad amare Cristo e la Chiesa, e di questo tutti ne siamo grati.
Per voi che lo attaccate: non mancherà la nostra preghiera per tutti voi e, ne sono certo, l’orazione premurosa del nostro nuovo arcivescovo a cui va la nostra obbiedenza filiale da cattolici quali siamo.
In Pace.
Caro Emanuele, sei sincero: la superbia sta in chi giudica il fratello e spara sentenze senza appello….
la superbia sta in chi giudica il fratello e spara sentenze senza appello
Cosa che voi, i “Puri” Roby ed Emanuele, avete appena fatto…
Ma cosa ci fate ancora qui? Non andate a predicare agli uccelli ed ad ammansire lupi?
Trovo che la “Sindrome da San Francesco” sia tra le cose più disgustose nei bergogliolatri…
Devi solo vergognarti. E basta
Devi solo vergognarti. E basta
Associandomi a Kosmo, ti posso solo ringraziare per aver dimostrato, per l’ennesima volta e davanti all’assemblea, cosa vuol dire “dialogo” nel vostro schieramento.
PS Permettimi di dirti che uno che ironizza sui cognomi altrui, al termine di una discussione in cui non ha saputo portare altri argomenti che le proprie opinioni, mostrando disprezzo – perché non tenerle in considerazione è disprezzo – non tanto degli argomenti altrui, ma di quelli di papi, cardinali, nonché di un documento del CVII che ti è stato presentato anche per esteso, già fa una brutta figura; se con queste premesse poi accusa gli altri di valutare solo il proprio “io” ne fa ancora una peggiore, quella del lupo con l’agnello, oltre che cadere nel ridicolo; e se poi lo fa uno che non si presenta neanche con nome e cognome, ma con un nick anonimo, è un capolavoro.
https://it.aleteia.org/2017/08/24/papa-francesco-riforma-liturgica-irreversibile/amp/
http://querculanus.blogspot.it/2017/09/riforme-e-controriforme.html
La lettera uccide, lo spirito vivifica…
E non ci sono più mezze stagioni, e le benzine sono tutte uguali… e quando uno non sa più cosa dire, si rifugia nelle frasi fatte.
Grazie Luigi per la citazione “fonte e culmine della vita della Chiesa”… citazione che viene… da dove? Dalla Lumen gentium, del CVII. Quel CVII che tutti sono sempre pronti a difendere a spada tratta dai cattivoni tradizionalisti, rigidi e inflessibili, ma che poi sparisce magicamente dall’orizzonte in altre discussioni. Chissà come mai.
@Emanuele
I tuoi toni potrebbero essere sinceri o no, non lo so: certo che “pace e bene” è facile da scrivere. Però tutta la tua frase tradisce una certa ostilità nei confronti di certi, me incluso, che a qualcuno potrebbe far suonare un po’ ipocrita quel “pregherò per voi”. Dici che “attacco” mons. Delpini. Ho riferito un fatto, ben documentato. Riferire un fatto è attaccare qualcuno? E ho fatto delle domande. Fare delle domande è diventato “attaccare”? Evidentemente sì, ne deduco. Certi prelati di riferimento sono talmente sacri ed intoccabili che non si possono neanche fare domande sul loro operato. Come i farisei che stavano ben attenti a non toccare gli impuri, nella neochiesa ci si guarda bene dal rispondere a chi osa fare domande. Guarda che equivale a sbattere una porta in faccia o alzare un muro: bella coerenza. E la collegialità e la misericordia fraterna? Infine noto che però non ti interessa minimamente sapere cosa è successo al Sacramento, o come è stato presentato in quella circostanza, e al Sacramento dovresti essere molto più affezionato che a mons. Delpini.
Ma queste scene ormai sono roba nota.
Per quelli che seriamente sono interessati all’argomento, indico solo un ultimo riferimento:
“Introduzione allo spirito della liturgia”
http://www.collationes.org/annus-fidei/item/241-introduzione-allo-spirito-della-liturgia-guido-marini
[… N]on è difficile rendersi conto di quanto alcuni modi di fare siano distanti dall’autentico spirito della liturgia. A volte, in effetti, con il pretesto di una male intesa creatività si è arrivati e si arriva a stravolgere in vario modo la liturgia della Chiesa. In nome del principio di adattamento alle situazioni locali e ai bisogni della comunità ci si appropria del diritto di togliere, aggiungere e modificare il rito liturgico all’insegna della soggettività e dell’emotività.
Ecco, in proposito, quanto affermava il Card. Ratzinger già nel 2001: “C’è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse oggetto della nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da se stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente il frutto dell’inventiva di un pugno di persone abili e capaci. Ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono; ciò in cui mi imbatto è solo l’abilità di un pugno di persone. E allora ci si accorge che non è quello che si sta cercando. E’ troppo poco e insieme qualcosa di diverso. La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste. Rinunciare a cercare in essa la propria autorealizzazione per vedervi invece un dono. Questa, credo è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà dell’uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro” (da “Dio e il mondo”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2001).
Affermare, dunque, che la liturgia è sacra significa sottolineare il fatto che essa non vive delle invenzioni sporadiche e delle “trovate” sempre nuove di qualche singolo o di qualche gruppo. Essa non è un circolo chiuso in cui noi decidiamo di incontrarci, magari per farci coraggio a vicenda e sentirci protagonisti di una festa. La liturgia è convocazione da parte di Dio per stare alla sua presenza; è il venire di Dio a noi, il farsi trovare di Dio nel nostro mondo.
Una forma di adattamento alle situazioni particolari è prevista ed è bene che ci sia. E’ il messale stesso che la indica in alcune sue parti. Ma in queste e solo in queste, non arbitrariamente in altre. Il motivo è importante ed è bene riaffermarlo: la liturgia è dono che ci precede, tesoro prezioso che ci è stato consegnato dalla preghiera secolare della Chiesa, luogo in cui la fede della Chiesa ha trovato nel tempo forma ed espressione orante. Tutto questo non è nella nostra disponibilità soggettiva.
Talune persone credono fermamente in Dio, ma subito dopo viene il loro “Io” e nient’altro. Si arroccano su posizioni assolutiste, erigendosi a GIUDICI dei fratelli e sentenziando contro questo e quello, dimentichi che “chi giudica il fratello cammina nelle tenebre”…
si giudicano gli atti non le persone. se no che senso avrebbe il “vagliate tutto e trattenete ciò che vale ( vale ,non Vale.eh
🙂 “?
Ruby. Dialogare significa prima di tutti ascoltare e poi rispondere alle tesi altrui e non fare affermazioni che riguardano non il merito della questione ma le persone degli interlocutori e i loro supposti difetti. Se mai e’ assolutista chi non discute e si limita ad affibbiare giudizi sugli altri.
Mah! Cmq mi chiamo Roby…ok?
Sig. Giudici, non voglio fare polemiche sterili e non mi nascondo certo dietro un nickname, in quanto essendomi registrato al pregevolissimo blog di Costanza, ho fornito una email veritiera a cui corrispondo. La invito solamente a contare quante persone ha giudicato…le conti! E faccia una bella riflessione….
Saluti.
Faccia così: le enumeri lei, davanti a tutti. Così vediamo.
Ok chiudo io. Pace. Se si e’ ritenuto offeso dalle mie dichiarazioni Le chiedo scusa. Facciamo un passo indietro e comportiamoci da buoni cristiani.
Un abbraccio e un augurio di ogni bene.
Non mi sono mai sentito offeso, e mi pare chiaro. Non ho altro da dire, solo che tutti i punti sono rimasti aperti: e sono più importanti di tutte le questioni personali.