di Costanza Miriano
A volte i santi te li vedi arrivare così, con una giacchetta nera di taglio maschile, le mani indurite dalla vita all’aria aperta, le guance arrossate dal freddo. Gabriella mi è venuta incontro ad Amatrice senza tanti convenevoli. Cercavo qualcuno che mi parlasse di come si può vivere la spiritualità senza chiese, nella devastazione più totale. Immaginavo una donna emotiva e comunicativa – ero lì per fare delle riprese per la notte di Natale, e si sa che la lacrima si porta molto bene in video. Invece lei fa poche concessioni alle emozioni, ma dice la cosa giusta.
Quest’anno Natale avrà il senso che deve avere davvero. Noi non abbiamo più niente, non abbiamo le nostre cose, non abbiamo il calore di una casa, abbiamo perso delle persone. Noi la aspettiamo questa nascita.
Gabriella vive la condizione del credente, quello vero. Quello che ha davanti al cuore e alla coscienza la consapevolezza della sua totale dipendenza da Dio. Scorticato delle sue certezze, inciso nella carne, il credente sa che se Dio c’è o non c’è cambia tutto, tutta la sua storia.
Io faccio lo sforzo di fare memoria di Dio ogni giorno, cerco di capire se mi parla, di entrare in dialogo. Ma non sono (ancora) nella condizione di chi lo cerca come chi cerca l’aria quando sta risalendo in superficie da una lunga apnea, e se non respira affoga.
Ho provato a immaginare. Lei un giorno è uscita di casa all’improvviso e non ci è più potuta rientrare. Non può vedere in che condizioni sia. Non può entrare a prendere le sue cose. Libri creme biancheria foto ricordi, che so, la storia della famiglia, il quadro della nonna, la sedia della prozia, le vecchie lettere. Io che esco con due borse anche per andare in farmacia, e che – cambio di mutande a parte – potrei tranquillamente stare fuori tre giorni a partire da qualsiasi momento – la mia borsa contiene apporto calorico e novene e cosmetici e reliquie e diari e libri per emergenze di media portata – se dovessi uscire senza niente e senza poter rientrare, ecco, non so come sopravviverei. Sarei davvero nella condizione del povero, del mendicante, di chi dipende. E forse non è poi così male, ma devi fare un passaggio.
Gabriella l’ha fatto, si vede, e lo aveva fatto anche prima del terremoto. Io non andavo in chiesa, racconta. Poi ho incontrato don Savino. Non è per qualcosa che lui ha detto, ma per quello che fa, per come è. Don Savino è il parroco della conca che quella notte tirò fuori in salvo tutti i vecchietti dall’ospizio, poi si mise a scavare tra le macerie del paese.
Qualche giorno fa ho dimenticato il cellulare a casa. Me ne sono accorta due minuti dopo essere uscita, ma dovevo accompagnare un figlio, mi sono fiondata a scuola con lui certa che sarei tornata indietro a prenderlo. Ovvio. Senza cellulare non si vive. E poi dovevo chiamare il sindaco di Amatrice e organizzare una serie di incastri. Be’, piano piano mi sono accorta che forse potevo anche sopravvivere senza, il traffico era tanto, il ritardo pure, e così ho passato una mezza giornata (parte della quale fuori della redazione, quindi senza possibilità di chiamare nessuno) senza il feticcio. Ho scoperto che si sopravvive, soprattutto se si possono rompere le scatole al marito una trentacinquina di volte per farsi dare i numeri in rubrica e leggere i messaggi. Dipendere da qualcuno non è poi così sbagliato.
Il paragone è offensivo, me ne rendo conto, ma questa è la mia piccola mancanza. Ecco, quelli di Amatrice la stanno vivendo moltiplicata qualche miliardo di volte in intensità e serietà. Eppure, o forse chissà, proprio per questo, per strada – quello che rimane della strada – vedi solo facce sorridenti, gente che si incoraggia come se stesse correndo una maratona, che si dà pacche sulle spalle. È gente che sta costruendo cose – reti, comunità, muri – che sta lavorando, che vede risultati, magari piccoli ma tangibili, ogni giorno. Quanti di noi occidentali sazi da morire possiamo dire lo stesso? È gente che dipende da qualcun altro ogni giorno, ogni pasto, per ogni necessità. Eppure, come racconta Michele, ogni bisogno è soddisfatto, la rete di solidarietà è impressionante. Carabinieri, Polizia, Esercito, Polizia locale, Finanza, protezione civile e chissà chi altri, tutti a lavorare dalla stessa parte, per i coraggiosi che sono rimasti, sono 1020 in tutto, intorno al sindaco che tutti adorano (io lo metterei ad allenare la Nazionale, o almeno se rimanesse disoccupato lo assumerei come motivatore ufficiale di casa al momento dei compiti).
Claudia, anche lei terremotata, con un figlio diventato uomo quella notte del 24 agosto, quando si è trovato a tirar fuori cadaveri dalle macerie, ha chiesto a Gesù bambino di poter aprire gli occhi la mattina di Natale, e accorgersi che è stato tutto un sogno, che la sua casa e la sua amata chiesa della Madonna Passatora sono ancora in piedi. Ma non è così, ha detto, io lo so che è tutto vero. Eppure credo nella risurrezione, anche di Amatrice. Crede nella risurrezione solo chi passa dalla morte.
Io sono fiduciosa che, tra otto mesi, tutta Amatrice sarà in piedi esattamente come era prima del terremoto…
“Crede nella resurrezione solo chi passa dalla morte”: bellissimo e verissimo! Come dire che si cerca disperatamente l’aria solo quando si sta affogando. Forse proprio la (presunta) autosufficienza e la (vera) sazietà dell’uomo occidentale è alla base del processo di scristianizzazione. Riteniamo di non aver bisogno di Dio e solo quando la vita ci dà delle batoste costringendoci a fare verità su noi stessi, ci ricordiamo delle Sue parole “Senza di me non potete far nulla”!
Grazie Costanza!
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
A volte i santi te li vedi arrivare così, con una giacchetta nera di taglio maschile, le mani indurite dalla vita all’aria aperta, le guance arrossate dal freddo…
Eppure credo nella risurrezione, anche di Amatrice. Crede nella risurrezione solo chi passa dalla morte.
L’ha ribloggato su l'ovvio e l'evidentee ha commentato:
“A volte i santi te li vedi arrivare così, con una giacchetta nera di taglio maschile, le mani indurite dalla vita all’aria aperta, le guance arrossate dal freddo. […] Eppure credo nella risurrezione, anche di Amatrice. Crede nella risurrezione solo chi passa dalla morte.”
Solo grazie della testimonianza.
Bellissima testimonianza……mi colpisce la frase …..questo Natale avrà il senso che deve avere…..ha toccato il cuore di Gesù nato in una stalla, con freddo senza nessuno conforto……anche per Maria e giuseppe ….ma Dio Padre provvede sempre, ha mandato in primis i pastori, adorando il Salvatore di tutta l’umanità, portando doni , di prima necessità, latte e altro. Anche per Amatrice Dio provvede,per questo Santo Natale. Pace, Luce, Amore, La precarietà diventa condivisione……Buon Natale .
L’ho girato a tutti gli amici, perché una posizione umana così è la cosa più preziosa che puoi offrire ad un amico…
È gente che dipende da qualcun altro ogni giorno, ogni pasto, per ogni necessità. Eppure, come racconta Michele, ogni bisogno è soddisfatto, la rete di solidarietà è impressionante.
ed incomincia anche un’altra rete di aiuto:
#LAVORO & SOCIETÀ:
FAMILY SERVICE POINT
Un vero e proprio sportello di assistenza offerto dal PdF alle
famiglie su tutto il territorio del capoluogo partenopeo metropolitano
Giovedì 15 dicembre alle ore 17.30
al Corso Amedeo di Savoia sarà
presentato il primo ‘Family Service
point’ di Napoli, iniziativa nata per
fornire servizi alle Famiglie attraverso un
vero e proprio ‘Sportello per le Famiglie’
che fungerà da centro
di assistenza fiscale e
patronale e da centro di
assistenza al cittadino e
al consumatore.
da “la croce” di oggi pag.3