L’uomo ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore

dal DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI  AL II CONGRESSO INTERNAZIONALE DI TEOLOGIA MORALE

Sabato, 12 novembre 1988

Come insegna il Concilio Vaticano II, “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge, che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire . . . L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo e secondo questa egli sarà giudicato” (Gaudium et Spes, 16).

Durante questi anni, a seguito della contestazione della Humanae Vitae, è stata messa in discussione la stessa dottrina cristiana della coscienza morale, accettando l’idea di coscienza creatrice della norma morale. In tal modo è stato radicalmente spezzato quel vincolo di obbedienza alla santa volontà del Creatore, in cui consiste la stessa dignità dell’uomo. La coscienza, infatti, è il “luogo” in cui l’uomo viene illuminato da una luce che non gli deriva dalla sua ragione creata e sempre fallibile, ma dalla sapienza stessa del Verbo, nel quale tutto è stato creato. “La coscienza” – scrive ancora mirabilmente il Vaticano II – “è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” (Gaudium et Spes, 16).

Da ciò scaturiscono alcune conseguenze, che mette conto di sottolineare.

Poiché il Magistero della Chiesa è stato istituito da Cristo Signore per illuminare la coscienza, richiamarsi a questa coscienza precisamente per contestare la verità di quanto è insegnato dal Magistero comporta il rifiuto della concezione cattolica sia di Magistero che di coscienza morale. Parlare di dignità intangibile della coscienza senza ulteriori specificazioni, espone al rischio di gravi errori. Ben diversa, infatti è la situazione in cui versa la persona che, dopo aver messo in atto tutti i mezzi a sua disposizione nella ricerca della verità, incorre in errore e quella invece di chi, o per mera acquiescenza alla opinione della maggioranza spesso intenzionalmente creata dai poteri del mondo, o per negligenza, poco si cura di scoprire la verità. È il limpido insegnamento del Vaticano II a ricordarcelo: “Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato” (Gaudium et Spes, 16).

Tra i mezzi che l’amore redentivo di Cristo ha predisposto al fine di evitare questo pericolo di errore, si colloca il Magistero della Chiesa: in suo nome, esso possiede una vera e propria autorità di insegnamento. Non si può, pertanto, dire che un fedele ha messo in atto una diligente ricerca del vero, se non tiene conto di ciò che il Magistero insegna; se, equiparandolo a qualsiasi altra fonte di conoscenza, egli se ne costituisce giudice; se, nel dubbio, insegue piuttosto la propria opinione o quella di teologi, preferendola all’insegnamento certo del Magistero.

Il parlare ancora, in questa situazione, di dignità della coscienza senza aggiungere altro, non risponde a quanto è insegnato dal Vaticano II e da tutta la Tradizione della Chiesa.

Strettamente connesso col tema della coscienza morale è il tema della forza vincolante propria della norma morale, insegnata dalla Humanae Vitae.

Paolo VI, qualificando l’atto contraccettivo come intrinsecamente illecito, ha inteso insegnare che la norma morale è tale da non ammettere eccezioni: nessuna circostanza personale o sociale ha mai potuto, può e potrà rendere in se stesso ordinato un tale atto. L’esistenza di norme particolari in ordine all’agire intra-mondano dell’uomo, dotate di una tale forza obbligante da escludere sempre e comunque la possibilità di eccezioni, è un insegnamento costante della Tradizione e del Magistero della Chiesa che non può essere messo in discussione dal teologo cattolico.

Si tocca qui un punto centrale della dottrina cristiana riguardante Dio e l’uomo. A ben guardare ciò che è messo in questione, rifiutando quell’insegnamento, è l’idea stessa della santità di Dio. Predestinandoci ad essere santi e immacolati al suo cospetto, egli ci ha creati “in Cristo Gesù per le opere buone che . . . ha predisposto perché noi le praticassimo” (Ef 2, 10): quelle norme morali sono semplicemente l’esigenza, dalla quale nessuna circostanza storica può dispensare, della santità di Dio che si partecipa in concreto, non già in astratto, alla singola persona umana.

Non solo, ma quella negazione rende vana la croce di Cristo (cf. 1 Cor 1, 17). Incarnandosi, il Verbo è entrato pienamente nella nostra quotidiana esistenza, che si articola in atti umani concreti; morendo per i nostri peccati, egli ci ha ri-creati nella santità originaria, che deve esprimersi nella nostra quotidiana attività intra-mondana.

Ed ancora: quella negazione implica, come logica conseguenza, che non esiste alcuna verità dell’uomo sottratta al flusso del divenire storico. La vanificazione del mistero di Dio, come sempre, finisce nella vanificazione del mistero dell’uomo, ed il non riconoscimento dei diritti di Dio, come sempre, finisce nella negazione della dignità dell’uomo.

fonte: vatican.va

40 pensieri su “L’uomo ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore

  1. lucia dallagnese

    Cara Costanza, grazie che ci proponi queste letture buone. Noi amiamo papa Karol e solo rivederlo e solo sentirne le parole semplici e chiare, ci fa vibrare le corde tendinee. Eppure basterebbe cosi’ poco a capire la vita, vero? E noi che ci mettiamo ad interpretare tutto, invece i santi seguivano il vangelo alla lettera, giusto?

    Prima m’e’ venuta in mente questa lettura di Don Tonino Bello “Maria, donna dell’attesa” che ho ritrovato in internet (pero’ la trovi nel suo libro bellissimo “Maria, donna dei nostri giorni”) e ti incollo. Trovo meraviglioso quel passaggio: “Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito.”!

    “Maria, donna dell’attesa La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio. Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere. La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco. Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero. Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno. Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide». Fidanzata, cioè. A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni. Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall’ obiettivo nell’ atteggiamento dell’attesa. Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza. Vergine in attesa, all’inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti. L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo dell’unigenito inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito. Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l’arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d’inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l’acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l’incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla. Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza. Santa Maria, donna dell’ attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa, non ci son tornati mai più, perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita. Riempi i silenzi di Antonella che non sa che farsene dei suoi giovani anni, dopo che lui se n’è andato con un’ altra. Colma di pace il vuoto interiore di Massimo che nella vita le ha sbagliate tutte, e l’unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte. Asciuga le lacrime di Patrizia che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti, e per la cattiveria della gente se li è visti così svanire a uno a uno, che ormai teme anche di sognare a occhi chiusi. Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci un’anima vigiliare. Giunti alle soglie del terzo millennio, ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora. Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell’ attesa. E il Signore che viene, Vergine dell’ avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano.”

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    1. Luigi

      Sono profondamente vere, Lucia, le parole di don Tonino Bello che hai voluto riportare (grazie!)

      Purtroppo l’attesa è ormai del tutto scomparsa dall’orizzonte dell’homo occidentalis; che poi, alla lettera, è l’uomo del tramonto, per cui è già scritto in lui che non provi interesse alcuno per le albe.
      Anzi, le ha in vero orrore; prima fra tutte quell’alba ultima che è la morte.

      Sarà prosaico, ma penso che non poco di questo stato d’animo dipenda anche dall’essere, noi tutti, ormai completamente avulsi dalla natura; intendo quella vera, materiale, del Creato.
      L’abbiamo sostituita con delle rappresentazioni, delle “narrazioni”, apparentemente diverse fra loro ma in realtà accomunate dalla medesima radice (non cristiana, è ovvio).

      Fino a pochi decenni or sono, la maggior parte della popolazione europea non aveva ancora smarrito questo contatto.
      Il culmine dell’attività umana, nell’anno, era concentrato sui mesi caldi; nel quotidiano, sul giorno.
      La notte e le stagioni fredde erano dedicate al riposo e, se mi è concessa la parola, anche alla contemplazione.
      Ma a parte questo, era consapevolezza comune e diffusa che il tempo non è dell’uomo, cui solamente spetta decidere come impiegarlo (Tolkien docet).

      La spiga di frumento non si può fabbricare just in time, on demand, come adesso reputano tutti, o quasi.
      Devi prima seminare il chicco, e prima di questo devi in ogni caso aver lavorato il terreno. Per avere il grano che ti dà il pane, devi cominciare l’opera un anno prima!
      (Ma anche se lo sai e lo fai, poi arrivano le speculazioni finanziarie e scopri che sarebbe stato meglio non seminarlo, quel frumento…)

      Pasolini scrisse, in una sua poesia, che la confidenza con il sole e la pioggia è sapienza sacra.
      Chissà se sapeva di eccheggiare san Bernardo di Chiaravalle, quando affermava che si apprende più dagli alberi e dalle rocce che dai libri…

      Ciao.
      Luigi

      1. @ Luigi: mi fai ricordare una conversazione carpita in treno, un paio di anni fa. Era un inverno molto mite, un signore esprimeva al vicino le sue preoccupazioni per la neve che non voleva saperne di cadere (e io tra me e me “Ma vedi? C’è ancora chi si ricorda che «sotto la neve pane e sotto l’acqua fame» come diceva nonna”).
        E il vicino “Eh, sì, di questo passo dove li porto, i ragazzi, per la settimana bianca?”.

        1. Luigi

          Viviana, dalle mie parti esiste un detto praticamente uguale, solo che invece dell’acqua cita la pioggia. Sempre lì, insomma 🙂
          Marierose, ho recuperato la frase esatta:

          “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”

          Ciao.
          Luigi

      2. mi colpisce la frase dove dice…..si apprende più dagli alberi e dalle rocce che dai libri……che vuole dire la nostra stessa storia cosi com’è….amarla perché dentro la storia dell’uomo nasce un mistero, del bene e anche del male…..nulla è un caso…..penso che una risposta ci sarà, a Dio piacente……Buon Avvento……

  2. pompea cupo

    Bellissimo commento : letto all’inizio della della gionata in questo lunedi della 1^settimana di Avvento mi ha suscitato di chiedere con forza al Signore , mediante Maria donna del silenzio, madre di speranza, un intimo avvento di Lui personale misterioso per me nel mio stesso stupore di questa novità. Un vero regalo alla mia vita ” oggi “. Un oggi , nella speranza , senza tramonto.

  3. Ubaldo

    Gent.ma Dott.ssa Miriano, la ringrazio per questa citazione di San Giovanni Paolo II: non so se era nelle sue intenzioni, ma lo e’ certamente nelle mie mentre scrivo queste righe, evidenziare come queste parole siano una risposta chiara e inequivocabile a quanti, in questi nostri giorni di relativismo, cercano di trovare scusanti, attenuanti ecc… Che deresponsabilizzino il non seguire ostinatamente norme morali intimamente scritte nel cuore dell’uomo.

  4. Bellissimo Lucia…è verissimo Maria è stata la Donna in attesa, con grande umiltà ,,,,Maria la più bella, la tutta pura,la tutta Santa…….Grazie Lucia prendiamone atto per la nostra vita in camino ….Buon Avvento…..con Gesù e Maria…..ciao !!!!

  5. ambrogio

    Seppur velatamente e senza nominare alcuno, vedo che anche Lei infine, si rende conto della deriva cui, quelli che dovrebbero essere nostri pastori, ci stanno portando. Non credo ci sia alcunché
    di blasfemo e/o eretico, sollevare obiezioni su esternazioni e indicazioni lontane dal Vangelo, dalla Dottrina e dalla Tradizione della Chiesa.

    1. Ubaldo

      Ambrogio, come avra’ immaginato dal mio precedente post, sono totalmente d’accordo con lei. In merito poi alla “blasfemia/eresia” del sollevare obiezioni o chiedere chiarimenti su affermazioni non ambigue o equivoche diffuse nella Chiesa, ricordo che e’, al contrario, una facolta’ e, talora, un preciso dovere previsto dal CDC, anche per i laici, (quale io sono) in proporzione alla loro preparazione teologica, sempreche’ venga fatto “sine ira et studio” e il dovuto rispetto per l’autorita’ a cui ci si rivolge. Mi piace ricordare una citazione del Ven. Arch. Fulton Sheen: «Chi salverà la Chiesa? Non pensate ai sacerdoti. Non pensate ai vescovi. Sta a voi, laici. Sta a voi ricordare ai sacerdoti di essere sacerdoti e ai vescovi di essere vescovi». Spero non si arrivi a tanto e confido sempre nello indefettibile assistenza dello Spirito Santo, promessa da Cristo alla Sua Chiesa.

  6. giovi

    Non so se qualcuno vuole leggere questo , soprattutto nella parte finale, dove la dottoressa abortista si sente rassicurata dal fatto che la scomunica per i medici abortisti non c’è più, lei che era cattolica praticante, nientemeno.

    http://www.informazione.tv/it/Attualit%C3%A0/art/64795-a-fermo-non-possibile-abortire-intervista-esclusiva-all-unico-medico-non-obiettore-della-provincia-fermana/

    Si tratta di una testata on-line locale, un tempo, spero non più, sotto la responsabilità della diocesi, ma che comunque un giorno sì e uno no pubblica resoconti delle attività dell’arcivescovo, dei parroci e delle parrocchie.

    1. @ giovi. Uno dei commentatori aveva la stessa perplessità da te espressa in chiusura. Da non perdere la risposta.

      (Commentatore): Ma Informazione TV non era un sito di informazione cattolico?
      (Risposta): L’informazione non ha religione. Il direttore.

      E infatti si capiva benissimo, non c’era bisogno che ce lo dicesse il direttore di Informazione TV.

        1. Alessandro

          La guerra è in corso, quindi minacce, insulti e intimidazioni da parte dei pretoriani bergogliani sono da mettere in conto.

          Ma, se – Dio non voglia! – il Papa intende favorire la diffusione degli effetti nefasti del capitolo 8 di Amoris laetitia, non deve far altro che lasciare le cose come stanno, cioè – una volta fatto capire inequivocabilmente come l’Autore desidererebbe che fosse applicato quel capitolo – lasciare che ciascun vescovo decida come applicare quel capitolo, cosicché uno ammetterà alla comunione eucaristica i divorziati risposati conviventi more uxorio e un altro no. In questo modo, si avrà una estensione senza precedenti (quale già si può constatare) dell’ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati conviventi more uxorio, poiché mai nel passato i vescovi e il clero lassisti hanno potuto contare sull’appoggio esplicito del Papa a questo riguardo.

          Invece, un atto eclatante e traumatico quale togliere la porpora ai quattro cardinali susciterebbe una dura reazione di solidarietà nei confronti dei degradati, convincerebbe a rompere gli indugi i molti vescovi e cardinali che, pur dissentendo da Bergoglio e consci dei gravi errori di Amoris laetitia, non hanno ancora ritenuto opportuno assumere una vigorosa e corale iniziativa pubblica per correggere il Pontefice.

          Inoltre, l’eventuale “declassamento” dei quattro cardinali sarebbe in totale contraddizione con l’immagine misericordiosa, accogliente, magnanima che Bergoglio dà di sé e che gli attira consenso tra i cattolici.

          Alle minacce dei pretoriani non seguiranno le vie di fatto; ma queste minacce testimoniano quanto sia pesante il clima (davvero c’è un’aria che manca l’aria) e che, nonostante il tentativo di propagare la percezione che il dissenso sia marginale e circoscritto a un manipolo di cardinali reazionari e rimbambiti dall’età, il conflitto è in corso, è vasto e profondo, ed è ormai dichiarato.

          Come scrive Pierantoni – lo segnalavo ieri – “questa è appunto la fase in cui possiamo dire di trovarci noi in questo momento. È appena cominciata e si preannuncia non priva di ostacoli.
          Non possiamo prevederne la durata, ma dobbiamo avere la certezza della fede, che Dio non permetterebbe questa gravissima crisi se non fosse per un bene superiore delle anime.
          Sarà certo lo Spirito Santo a donarci la soluzione, illuminando questo papa o il suo successore, forse anche attraverso la convocazione di un nuovo concilio ecumenico.
          Ma nel frattempo, ciascuno di noi è chiamato, nell’umiltà e nella preghiera, a dare la sua testimonianza e il suo contributo. E a ciascuno di noi il Signore certamente chiederà conto.”

          http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351421

          1. Giusi

            Padre Scalese: Il “cambio di paradigma”
            “A nulla serve dichiarare che la dottrina non viene modificata, quando essa non serve piú a dirigere la nostra vita. Il cambio di paradigma la rende del tutto irrilevante. Ha ragione il Card. Kasper quando afferma: «Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto». La dottrina può anche rimanere la stessa, tanto non serve piú; potrebbe essere pure messa in museo e conservata cosí com’è, intatta nella sua purezza. Oggi, per sapere come dobbiamo comportarci, abbiamo a disposizione il discernimento, che è completamente diverso dalla rigida dottrina: esso è piú malleabile, si adatta alle diverse situazioni, può cambiare di volta in volta, diversificandosi caso per caso.
            Non so se ci si renda conto della portata eversiva di questo Paradigmenwechsel: si tratta di una vera e propria rivoluzione, quella “rivoluzione pastorale” di cui parlavo in un post del marzo scorso (alla vigilia della presentazione di Amoris laetitia) e alla quale Guido Vignelli ha dedicato un saggio. Il cambiamento del paradigma non è una variazione di secondaria importanza: cambiando il paradigma, cambia davvero tutto. A questo punto, non saprei come rispondere alla domanda che il Card. Kasper pone retoricamente nel suo articolo: “Rottura o inizio di un cammino?”. A me pare tanto una rottura, la stessa identica rottura che si sarebbe voluta attuare con il Concilio Vaticano II, ma che allora non riuscí (checché ne dica la “Scuola di Bologna”).

            http://querculanus.blogspot.it/2016/11/il-cambio-di-paradigma.html

          2. Alessandro

            Al cardinal Pell è stato chiesto se è d’accordo con le domande poste dai quattro cardinali, e lui ha risposto “come si può essere in disaccordo con delle domande?” e che le domande dei cardinali sono “rilevanti” (“significant”).

            Con evidente riferimento ad Amoris laetitia, ha poi criticato quegli orientamenti teologici che attribuiscono alla coscienza individuale l’ultima parola, anche quando la coscienza è in contrasto con l’insegnamento della Chiesa.

            Ha aggiunto che, se la coscienza individuale dovesse avere l’ultima parola, cioè se bisognasse sempre seguire la propria coscienza anche quando non concorda con il Magistero della Chiesa, allora bisognerebbe farlo non solo quando si tratta di intimità sessuale ma anche quando la coscienza individuale ci dicesse di essere razzisti o di non essere solleciti ad aiutare i poveri e i bisognosi.

            Ha detto che nella Chiesa molti cattolici regolarmente praticanti sono snervati (“unnerved”) da quello che sta accadendo nella Chiesa.

            http://www.catholicherald.co.uk/news/2016/11/29/some-catholics-are-unnerved-by-current-events-in-the-church-says-cardinal-pell/

  7. vale

    @giusi

    non mi scandalizzo per tale eventualità. né per la questione dell’assoluzione- se uno è pentito -da parte dei semplici sacerdoti.

    mi rattrista sempre più quel che pare si voglia fare in cina con la chiesa patriottica ed il regime.
    oppure il sentito messaggio per la morte di un criminale assassino ( castro ,per la cronaca )

    mi viene in mente sempre di più quell’umanitarismo ricordato da Benson ne “il padrone del mondo” o, come ricordava in “paradossi del cattolicesimo”:

    Essa ( la Chiesa) non considera il mondo come principio e fine di ogni cosa; al contrario, mette risolutamente il regno di Dio innanzi a quello del mondo e la pace di Dio innanzi all’armonia degli uomini, Perciò, ogni qualvolta i suoi princìpi soprannaturali vengono in conflitto coi princìpi naturali, essa si vede costretta a divenire occasione di discordia.

    ecco. al contrario mi pare che si cerchi la concordia ad ogni costo. come il protagonista-lo spirito del mondo- Felsenburg.

    1. vale

      e prosegue concludendo-sempre in paradossi del cattolicesimo-:

      Noi desideriamo la pace sopra ogni cosa. ma la pace di Dio, non quella pace che il mondo, dal momento che può dare, può anche ritogliere, non la pace che dipende dall’armonia della natura con la natura, ma della natura con la Grazia!

      Fino a che il mondo o una contrada, o una famiglia o anche una sola anima individuale, si fonderà su principi naturali discordanti dai divini, la religione soprannaturale cattolica porterà non pace, ma guerra. E questo avverrà fino alla fine del mondo, fino alla catastrofe di Armageddon che lo distruggerà

      1. vale

        @giusi

        non mi scandalizza,s’intende, visto il clima e la rotta che ha preso il Pontefice. ( per il bene della Chiesa,si spera)
        come già più volte detto,tale strategia non porterà frutti.secondo me. ed ovviamente spero di sbagliarmi.

        certo mi farebbe piacere vedere che non si usino due pesi e due misure ( com’è che l’abate di montecassino è ancora al suo posto? tanto per esempio). ma questa è la via intrapresa.

        di certo mi pare che una sottile vena di populismo alla sudamericana – e non è un complimento- impregni un po’ troppo, per i miei gusti, parole e gesti di Papa Francesco.

        1. Giusi

          Cioè intendi dire che è ancora al suo posto quello: “Vado a cerca’ ca………”? Non ci posso credere!

        2. Enrico Turomar

          Wikipedia dice che l’abate dello scandalo non è più tale.

          Pietro Vittorelli (Roma, 30 giugno 1962) è un ex-abate e monaco (dal 2014 esclaustrato) italiano. Dal 2007 al 2013 era stato abate ordinario dell’abbazia territoriale di Montecassino.

              1. vale

                il problema è come un tale personaggio sia stato tollerato così a lungo. e non mi si venga che non lo si sapeva da tempo.

                con quelli dell’immacolata ci han messo molto meno.

                http://www.ilgiornale.it/news/cronache/sesso-omosex-e-droga-vita-sfrenata-dellex-abate-1194237.html

                http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_12/ex-abate-montecassino-hotel-lusso-ed-ecstasy-viaggi-vescovo-soldi-dell-8-mille-27b08f4c-8904-11e5-9216-e8e41772d34a.shtml

                1. Giusi

                  Senza contare che non hanno mai fatto nulla di tutto questo, se mai qualche penitenza di troppo…..

                2. Fabrizio Giudici

                  “il problema è come un tale personaggio sia stato tollerato così a lungo. e non mi si venga che non lo si sapeva da tempo.”

                  Risposta:

                  “Ma ho iniziato a domandarmi se qualcuno dei nostri leader non sia animato da un desiderio di vedere morta una Chiesa nella quale non credono più realmente.”

                  Presa da qui:

                  http://traditiocatholica.blogspot.it/2016/11/assassinio-delle-vocazioni-al-sacerdozio.html

                  Traduzione di un articolo dello scorso anno, argomento un po’ diverso, ma tutto sommato coerente con quello che stiamo dicendo. Perché dopotutto non ci sono tanti balordi eclatanti come l’ex abate di Montecassino, sono casi eccezionali. I preti incapaci sono la cosa più frequente, e fanno molto più danno: perché sono di più, perché i fedeli li hanno tollerati fino ad abituarsi alle cazzate che fanno. Così alla fine si sono abituati a vescovi, e ora un Papa, che dicono “cose che non stanno né in cielo né in terra” (per citare il recente discorso di mons. Livi).

  8. Fabrizio Giudici

    Tutto è relativo. Da una parte il card. Schönborn richiama alla super-obbedienza su AL:

    Schönborn claimed that The Four Cardinals Letter is “an attack on the pope,” because the cardinals “have to obey the pope.”

    Dall’altro il card. Lehmann invita pubblicamente alla disobbedienza sul celibato:

    “For that matter, what, then, is hindering us from taking married deacons – who perform a great service in the Church – and then ordaining them so that they may also take over priestly duties?” Such is the question, according to a KNA report, that was raised by Cardinal Karl Lehmann, the bishop emeritus of Mainz, in a discussion with the head of the ZDF [German television]. He [Lehmann] invited the bishops, in a provocative way, to use the freedoms which Pope Francis purportedly is granting. With reference to the fact that all religions [in Germany] are now inundated up to the neck, there should finally come some reforms, the cardinal himself stressed.

    http://www.onepeterfive.com/confusion-conflict-and-chaos-increase-in-the-wake-of-the-dubia/

    1. Giusi

      Sono comunque tutt’e due in regola con le norme del concorso. Per loro misericordia come se piovesse!

    2. Alessandro

      A tutti gli zelanti pretoriani paladini di Amoris laetitia (e quindi anche al cardinal Schönborn) i quali ammoniscono e minacciano i quattro cardinali, accusandoli di disobbedienza al Papa, di oltraggio a un documento magisteriale, di renitenza allo Spirito Santo, un breve promemoria:

      1) I quattro cardinali hanno posto delle domande al Papa su Amoris laetitia (AL), e le hanno poste nel modo più tradizionale e rispettoso del protocollo, cioè sotto forma di “dubia”, come si fa sempre quando sorgano seri dubbi sull’interpretazione di un documento.
      In tutto ciò, dov’è la disobbedienza al Papa, dov’è l’oltraggio ad Amoris laetitia, dov’è l’insubordinazione allo Spirito Santo?

      2) Al Papa si deve obbedienza solo ed esclusivamente quando insegna e comanda in conformità al Magistero autentico della Chiesa.
      Come è già stato ampiamente dimostrato anche dagli stessi cardinali interpellanti (e ci provino Schönborn et alii a confutare le obiezioni nel merito, senza usare slogan reboanti ma inconsistenti e senza buttarla sul personale), il capitolo 8 di AL (già nel suo senso manifesto, e poi nell’interpretazione che il Papa stesso ha fatto intendere essere quella che condivide: cfr lettera ai vescovi della regione Buenos Aires) è in contrapposizione con il Magistero autentico della Chiesa, e quindi contiene gravi errori (come potrebbe non essere un grave errore ciò che si contrappone al Magistero autentico della Chiesa?) e non può appartenere al Magistero autentico della Chiesa (sicché criticare il capitolo 8 di AL non può costituire un atto eversivo nei confronti del Magistero autentico della Chiesa, anzi…)
      Ebbene, il dovere di un cattolico (e quindi pure di un cardinale) non è quello di assecondare l’errore grave, ossia di disattendere il Magistero autentico della Chiesa. Quando il Papa commette un grave errore, il dovere di un cattolico (e quindi pure di un cardinale) è quello di non assecondare l’errore e di non obbedire al Papa in tutto ciò che il Papa dispone conformemente all’errore (il cattolico è invece tenuto a obbedire prontamente e cordialmente a tutto ciò che il Papa dispone conformemente al Magistero autentico della Chiesa).
      Chi asseconda l’errore del Papa si pone contro il Magistero autentico della Chiesa: è bene che Schönborn et alii riflettano su questa elementare verità, prima di rimproverare, riprovare, minacciare dei cardinali.

      3) Il Papa (qualsiasi Papa: non si tratta di avercela con Francesco), nel commettere gravi errori, non gode dell’assistenza dello Spirito Santo (diversamente lo Spirito Santo sarebbe ispiratore e complice dell’errore, il che è ovviamente impossibile). Quindi chi contesta il capitolo 8 di AL nei gravi errori che contiene non si pone in alcun modo in contrasto con lo Spirito Santo. Anzi, è chi persevera nel difendere l’errore che dovrebbe interrogarsi sullo stato di salute del proprio rapporto con lo Spirito Santo.
      Ci pensino su tutti i teologi che, difendendo il capitolo 8 di AL, si lusingano di essere istruiti dallo Spirito (nientemeno!) e (nientemeno!) di notificare ai semplici fedeli le freschissime istruzioni che hanno ricevuto dallo Spirito a edificazione del gregge cattolico…

  9. Alessandro

    http://www.marcotosatti.com/2016/11/30/un-vescovo-in-america-divorziati-risposati-per-leucarestia-decidete-voi-la-battaglia-sullamoris-laetitia-non-si-placa/

    “dalla Germania si leva la voce di un professore di teologia dell’Università di Freiburg, Hans Hoping, che sulla Frankfurter Algemeine si chiede:
    “I divorziati risposati possono trovarsi sposati in due matrimoni validi allo stesso tempo? Il testo dell’Amoris Laetitia lascia aperta la risposta a questa domanda cruciale che ha provocato esso stesso”. E dal momento che l’Amoris Laetitia non ha posto in dubbio la questione dell’indissolubilità del matrimonio, “si deve chiarire come il matrimonio dei divorziati risposati si pone in relazione con essa”. L’esortazione apostolica considera “una relazione sessuale al di fuori di un matrimonio esistente non più essere in tutti i casi illecita”.
    Hoping conclude che siamo di fronte a un abbandono “del punto cruciale posto dall’insegnamento di Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia, dove con San Tommaso si tenne saldo a una tradizione magisteriale decisiva”.

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