19 pensieri su “Pecore vagabonde?

  1. Lele

    Democrazia è un agnello e due lupi che votano su cosa mangiare a pranzo.
    Libertà é un agnello armato che contesta il voto.

  2. Ma pecore o apostoli?
    “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura…”
    Fuori tutti! Testimoniare senza paura, con fermezza e dolcezza, non recintati a farsi servire, non avete ricevuto lo Spirito Santo anche voi?
    Sta storia dei muri …dura da abbattere, eh

    Disclaimer
    Non so se predico bene, certo razzolo maluccio

  3. sonia alessandrini

    grazie per questa riflessione! e’ riuscita a mettere in prosa tanti miei pensieri! Sonia

  4. Ebrei 5, 11-14

    «Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Infatti, voi che dovreste essere ormai maestri per ragioni di tempo, avete di nuovo bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi degli oracoli di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido invece è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo.»

    E com’è che stiamo ancora qui a belare come povere pecorelle, timorosa di non avere recinto e pastore?
    Un Pastore lo abbiamo e da tempo (sia nei Cieli che qui in terra)!!
    La Dottrina la conosciamo e da tempo… tant’è che passiamo gran tempo a fare la tara su chi sia ortodosso e chi no nella stessa Chiesa e tra i Suoi Ministi.
    Non sappiamo forse discernere tra il bene e il male?
    Alziamo grandi grida contro i “Nemici”, taluni invocano grida di guerra e poi… facciamo le pecore?
    Qual è il nostro cibo?
    E noi, noi, chi diciamo sia Lui? Chi è per noi il Maestro?!

    Non è forse Lui stesso l’Agnello, ma anche il Forte e l’Eroe? Il Re dei re?!

    E chi è il Cristriano su questa terra e in questo Tempo come in tutti i Tempi, se non immagine delo stesso Cristo Risorto?

    E quindi chi diciamo noi siamo?

    Siamo solo pecore, bisognose e timorose, belanti impaurite, che cercano riparo dietro il solo bastone del pastore (sempre felici se questo bastona gli aggressori…), riparate da un recinto che in realtà segna l’appartenenza ad un Gregge, più che l’invalicabile difesa contro i lupi.

    E’ l’appartenenza ad un Popolo, l’avere un Unico Padre, un unico Spirito che ci fa Gregge e ci dà un Ovile… è la nostra Forza!

    Siamo ancora “pecore vagabonde”? Domandiamoci perché, ma domandiamolo al nostro cuore, non chiediamo sempre conto ad altri, e se ancora lo siamo, prepariamoci a soccombere, perché non saremo Santi Agnelli, ma solo carne da macello.

    «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
    Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.»

    Matteo 5. 13-16

    1. Bri

      @Bariom @Thelonious
      Ah, ecco … cosa volevo dire (più o meno) … ma detto molto meglio 🙂

  5. lele

    “Se mala cupidigia altro vi grida,
    uomini siate, e non pecore matte,
    sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! “

  6. Mario D'Astuto

    “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore” (Gv 10,1-10). Come ritiene anche il mio amico Giuseppe Grana i ladri vogliono invadere le nostre Agenzie Educative.

  7. Massimiliano

    “Il Regno dei cieli è simile a un pastore che avendo cento pecore e avendone perdute novantanove, rimprovera l’ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l’ovile, se ne va all’osteria a discutere di pastorizia” Cominciamo ad applaudire alle novantanove pecore perdute: non è un comune smarrimento il loro, piuttosto è una forma di protesta contro l’idea stessa di ovile.
    L’immagine dell’ovile evoca la recinzione, la chiusura, la segregazione dagli altri. Come possono gli “altri” unirsi al gregge, se a un certo momento nel loro cammino si imbattono in una barriera?
    Senza dire che la vita di ghetto – al riparo dal pericoli, ma anche dalle emozioni dell’avventura – finisce per deformare la personalità e ingenerare dei complessi, di inferiorità o di superiorità a seconda dei temperamenti, da cui difficilmente si guarisce. Meglio per una pecora il rischio del lupo che la certezza dell’avvilimento nell’ovile.
    Può capitare che il pastore non sia sufficientemente perspicace per rendersene conto: in tal caso bisogna avere il coraggio di forzare la mano. L’esodo di massa, registrato nella parabola, è il mezzo più efficace per fare intendere la ragione a chi si ostina a chiudere gli occhi. Una volta smantellato l’ovile, allora si potrà tornare tutti insieme: pecore, lupi e altri animali, e ci sarà un solo branco senza un solo pastore.
    Nella parabola però il pastore capisce la ragione, tanto che si secca per l’unica pecora rimasta.
    Quest’animale – cui va riconosciuto obbiettivamente un certo non conformismo – basta da solo a rovinare l’avvento di un’epoca nuova: finché c’è lui c’è l’ovile, e finché c’è l’ovile, le pecore in libertà avranno qualche inquietudine sulla saggezza della loro evasione. E non è bene: anche ad essere ben divorate giova una certa interiore tranquillità.
    Fuori dunque, o pecora renitente! Ti si deve necessariamente costringere ad essere libera. Anche perché tu, da sola, fai perdere al tuo custode tempo e fatica, e impedisci così il progresso della cultura. Solo quando anche tu avrai preso coraggiosamente il sentiero del bosco, il pastore potrà discutere coi suoi colleghi i mezzi più adatti per far prosperare un allevamento. Solo quando non ci sarà più l’ovile (e neppure le pecore) si potrà elaborare in tutto il suo rigore scientifico – senza compromessi con le condizioni concrete e con la sopravvivenza delle concezioni superate – una vera e compiuta teologia pastorale (G.Biffi,Il Quinto Evangelo)

  8. Alessandro

    In questo Quinto evangelo avventurosamente rinvenuto, e poi commentato, dall’italiano cardinale di felice memoria si trovano frammenti che procurerebbero provvidenziale sollievo a quei Padri sinodali cui riescono d’inciampo le parole esigenti e scabre dei vangeli canonici sulla castità. Si veda ad esempio questo:

    “FRAMMENTO 12

    – Avete udito che è stato detto: non commettere adulterio. Io invece vi dico: Chiunque guarda una donna con desiderio ha già commesso con lei adulterio nel suo cuore (Mt 5, 27-28)

    – Vi era stato detto: Chiunque guarda una donna con desiderio impuro, ha già commesso con lei adulterio nel suo cuore. Ma adesso io vi dico: Non bisogna esagerare. La donna è fatta per l’uomo e l’uomo per la donna. Purché tutto si faccia per amore (Quinto evangelo).

    [Commmento di Biffi:] E’ questo il solo frammento che, richiamandosi esplicitamente a un “loghion” registrato dai vangeli tradizionali, lo supera per approdare a una visione più alta e rasserenante.

    Ed è una fortuna incalcolabile che sia stato scoperto. Il discorso della montagna nella sua forma fin qui nota poteva essere proposto a una società prefreudiana, non alla nostra, che ha finalmente le idee chiare sull’uomo e sulla donna: essa sa che il sesso è una realtà così semplice e innocente, da non meritare l’attenzione ossessiva che da sempre gli ha prestato la morale comune; e insieme è una forza tanto travolgente e fondamentale per l’uomo, che deve invincibilmente assorbire e marchiare ogni suo pensiero, ogni suo impulso, ogni suo momento di vita.

    Con divina intelligenza, Gesù in questo testo non aggredisce dal di fuori l’impulso sessuale per coartarlo con norme oggettive, ma cerca di lievitarlo dal di dentro, facendone essenzialmente un’espressione d’amore e quindi un incontro personale, dove è irrilevante la natura di ciò che si compie, perchè tutto si valuta dalla capacità di comunione che è insita nella reciproca attrattiva e nella reciproca donazione.

    Si arriva in tal modo alla perfetta libertà interiore, che tutto consente, tranne l’ipocrisia o la debolezza di sentirsi attratti da impegni, da vincoli, da considerazioni esterni all’impulso d’amore.

    Una libertà dove ogni timidezza deve essere travalicata da un’audacia autenticamente evangelica: sicché se il tuo occhio destro non ci vede bene, tu guarda con il sinistro, e se la tua mano destra è troppo cauta, adopera la sinistra.

    Tuttavia, nota acutamente il Maestro, “non bisogna esagerare”. L’invito è nel frammento rivolto ai puritani e agli inibiti. Ma noi, coll’equilibrio che ci contraddistingue, lo estendiamo anche all’altro fronte: per una sana attività sessuale, sia pure non inceppata da inutili moralismi, una certa moderazione è salutare.”

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