29 pensieri su “Chi sono io per giudicare?

  1. Secondo che mi risulta il padre della Miriano ha fatto il giudice (e che giudice!) per quaranta anni.
    Provate un po’ a chiedere a Costanza che ne pensa del suo babbo…
    Paragonare un giudice a Cristo non ha nessun senso!

    1. Giusi

      Infatti Alvise non hai capito niente. Don Fabio dice che Gesù è avvocato. Anche la Madonna è avvocata nostra.

  2. Alessandro

    Giudicare significa “formarsi un giudizio” su qualcosa, cioè “distinguere se qualcosa è bene o male”. Giudicare è necessario per essere cristiani : se non mi formassi un giudizio su niente, dinnanzi a una condotta mia o altrui non potrei in alcun modo distinguere se è retta o erronea, e questo non solo 1) distruggerebbe la mia vita morale (agirei a casaccio, cioè senza mai vagliare la bontà o la malvagità di ciò che sto facendo), ma 2) impedirebbe ogni correzione fraterna: se non posso/non voglio sapere se quello che Tizio fa è buono o no, allora non potrò nemmeno sapere in che cosa Tizio erri, e perciò non potrò correggerlo in alcun modo (come correggere sensatamente colui del quale mi è interdetto ravvisare se e in che cosa erri?), e pertanto dovrei limitarmi a dire a Tizio: “chi sono io per giudicare? Fa’ quel che ti pare!”

    A riguardo di questo secondo punto, giudica ( 🙂 ) benissimo don Fabio quando dice: “non giudicare. E’ una faticaccia boia, credetemi. Non è semplicemente alzare le spalle e dire “fa’ un po’ quel che ti pare”.

    Perciò è chiaro che quando don Fabio dice che “un prete non deve giudicare mai”, non usa il vocabolo giudicare nell’accezione in cui la uso io in questo commento.

    Scrive don Fabio: “Sarebbe assai più facile giudicare, sarebbe assai più comodo e riposante: “Qui c’è la legge, la vuoi seguire? Bene son contento, te ne vuoi allontanare? E’ un tuo problema… Molto facile, molto riposante. Assai poco Cristiano.”

    Ecco, stante che giudicare si deve, qui entra in gioco la questione sul COME si giudica.
    Il giudizio cristiano baderà anzitutto a esercitarsi sul giudicante, perché devo prima di tutto fare guerra ai miei peccati (come disse Francesco). Nei confronti del prossimo, occorrerà tenere fermo che, anche di fronte a quello che in tutta onestà a viste umane sembra un peccato grave, è necessario tener presente che, non essendo io onnisciente, mi sono sovente per lo più ignote circostanze, intenzioni, e altri “fattori” – di cui è intessuta la composizione e l’esecuzione di un atto moralmente qualificabile – che possono attenuare la gravità di una colpa se non addirittura annullarne l’imputabilità (“CCC 1860 L’ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l’imputabilità di una colpa grave… Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche”).

    Ma anche se fosse palese che è pertinente e fondato il mio giudizio secondo cui Tizio ha commesso – ipotizzo – peccato grave, il mio dovere di cristiano è quello di non godere della colpa altrui, di non rallegrarmene, di non cessare mai di amare il fratello come Cristo lo ama, e perciò di aiutare il fratello nel modo più efficace a emendarsi dal peccato (difficile precisare che significhi concretamente “efficace”: nessuna persona è identica all’altra, nessuna situazione è identica all’altra). Chi vede il peccato altrui deve ingaggiare una battaglia senza quartiere contro quel peccato e a favore del peccatore, detestando il peccato e amando il peccatore nella misura che Cristo chiede, combattendo in tutti i modi che gli sono possibili per concorrere alla santificazione del fratello: occorre insomma – per dirla con don Fabio – “andare in croce, come Gesù… lottare con il diavolo per strappargli un’anima”.

    In sintesi: giudicare si deve (consapevoli dei limiti del giudizio) e, inscindibilmente, si deve amare il peccatore e impegnarsi senza risparmio per la sua santificazione (con la parole, l’esempio, la preghiera, l’offerta, il sacrificio, i sacramenti…). La Chiesa è operatrice di santificazione, e quindi come si potrà dire di essere nella Chiesa se non ci si dedica senza risparmio, senza riserve alla santificazione propria e altrui?

    1. @Alessandro, ciò che spesso differisce nella pratica dalla tua corretta analisi che parte dal Giudicare significa “formarsi un giudizio” su qualcosa, cioè “distinguere se qualcosa è bene o male” è il fatto che il nostro “giudicare” diviene “emettere sentenza” (altra prerogativa che spetta eminentemente al Giudice), che, altrettanto di sovente, si trasforma in giudizio (sentenza) di condanna (molto spesso senza appello :-|) che dalla “materia” o dall’atto, “scivola” al soggetto, facendo di noi “giudici senza misericordia”.

      E’ a nostro beneficio, ad evitare ci si trovi da “giudicanti” a “imputati” che la Parola ci ammonisce dicendo: “…perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.” E ancora: “Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.” Dove il giudizio sta di nuovo su cosa è trave e cosa pagliuzza e tornerebbe quindi nuovamente alla “materia” più che al “soggetto”.

      Credo che buona regola sarebbe esercitare il massimo rigore prima di tutto verso i nostri peccati, che una vita di Grazia rende sempre più evidenti (tant’è che i Santi consideravano peccati – ciò che li allontanava da Dio – cose che per me sarebbero inezie) e ricordare che nell’altro “vi sono sovente per lo più ignote circostanze…” che ci sfuggono.

      Molto bene hai citato, e ti ringrazio, il Catechismo: “CCC 1860 L’ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l’imputabilità di una colpa grave… Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche.”

      1. Alessandro

        Bariom, concordo, l’evangelico “non giudicare” non è un divieto a “formarsi un giudizio” su qualcosa, cioè a “distinguere se qualcosa è bene o male”, ma è un divieto a “emettere un giudizio” nel senso di divieto a “emettere questa sentenza: tu hai errato, quindi tu sei UN errore, e poiché sei UN errore sei dannato, sei irredimibile”.

        Se anche (fatte salve le debite precisazioni 1) sulla nostra non-onniscienza, che rende fallibile il nostro giudizio 2) sulla ineludibile rilevanza di circostanze ecc. (cfr, il citato n. 1860 del CCC) che influenzano la “moralità” delle azioni di ciascuno e rendono arduo emettere un giudizio esatto sulla “moralità” stessa di un’azione) si pervenisse a un giudizio attendibile sul peccato di Tizio, il monito evangelico ingiunge di non pensare che “Tizio è UN errore, e quindi è dannato, e irredimibile”, ma a capire che, se Tizio è IN errore, Tizio non è UN errore, e quindi va trattato a imitazione di come Cristo tratta il peccatore: operando con amore perfetto (a riuscirci!) perché si purifichi dall’errore.

        Godere dell’errore altrui, godere nella convinzione che Tizio sia più peccatore di me, sono condotte antievangeliche, perché Cristo, che è il contenuto esauriente del Vangelo, è senza peccato alcuno e non gode affatto del peccato di alcuno (e noi, che non siamo certo senza peccato alcuno, dovremmo godere del peccato di alcuno?).

  3. Angelina

    Caro Alvise, tutto qui?
    Don Fabio scrive cose non solo belle, ma anche non convenzionali sulla figura del sacerdote. Mette in gioco se stesso, la sua storia, per avvicinarci ad un’immagine forte di sacerdote che ama e difende e offre se stesso al posto del ‘colpevole’ (come fece il suo “principale” e come tendenzialmente fa, o dovrebbe fare, ogni cristiano).
    E tu te ne esci con il babbo “della Miriano”. Paragonare un giudice a Cristo non ha nessun senso, tu scrivi. Giusto, vabbene, interessante: è da qui che da non credente intendi procedere verso ciò che nell’intimo della tua laica coscienza pensi sia il bene? Ok, se ne può parlare anche senza domande trasversalissime come la tua qui sopra.

    ‘Dovrò mettermi accanto a lui e aiutarlo in un lento e paziente lavoro di recupero, per restituirlo alla Verità e al Bene. E se non riesco a fare nemmeno questo allora dovrò buttarmi al suo posto ai piedi del Giudice, l’unico vero Giudice, ed implorare clemenza.’
    Don Fabio, che meraviglia! Queste sono le parole di un padre per il figlio, di una madre che assiste impotente all’errare (errare nel senso di girovagare senza una direzione, errare nel senso di non riconoscere il proprio percorso) della sua creatura: dopo aver invitato, esortato, enunciato verità e bene, cos’altro posso fare se non ciò che tu magnificamente dici? Buttarmi al suo posto ed implorare. Perché quel figlio, proprio lui, non può andare perduto. Nessun genitore sano di mente potrebbe ragionare: ok, questo testa di legno non torna a casa, ma fa niente, ho gli altri che mi danno belle soddisfazioni. Nessun sacerdote, nessun seguace di Cristo, possono chiudere la porta di casa, la sera, e coricarsi senza pensare a quel fratello, quel figlio là fuori che ancora non ce la fa a voler bussare e rimane lì, nel buio e nel freddo. Può volerci un mucchio di tempo, anche una vita, ma se quello là fuori è parte di me non smetterò mai di intercedere per lui, con insistenza e fiducia. Gesù Cristo è sacerdote e vittima nello stesso tempo, pastore ed agnello. Grazie per avermi ricordato di desiderare il meglio per il mio parroco, per il mio confessore, e per tutti i preti.

  4. Giancarlo

    Ecco! Qui c’è da precisare. Quello che dice l’articolo è giusto, intendiamoci. Ma è incompleto. Va bene non giudicare il peccatore; sempre, invece, dobbiamo giudicare e condannare senza appello il peccato. Cosa vuol, dire nel concreto? Vuol dire che non debbo tacere, magari per quieto vivere, quando vedo un comportamento sbagliato. Anzi, debbo accusare subito l’errore, soprattutto se ho delle responsabilità educative verso dei piccoli.

    Capita a volte, camminando per strada con i miei figli, di vedere dei travestiti che camminano tranquillamente per strada. Non trascuro mai di indicarli ai miei figli e di riflettere, insieme a loro, sul comportamento assurdo e sbagliato che tengono queste persone. Stessa cosa faccio quando capita di vedere delle prostitute per strada. Ogni occasione è buona, anche un automobilista che passa con il rosso, per sottolineare subito il comportamento sbagliato agli occhi dei miei figli.

    E pace, se qualcuno si offende.

  5. Alessandro

    “Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone!!

    (Benedetto XVI, Angelus del 21 marzo 2010)

  6. Intanto osservo che sono piuttosto divertito da alcune reazioni a questo articolo, non avrei mi voluto innescare un dibattito filosofico sul giudizio e neppure per la verità sulla sottile distinzione tra peccato e peccatore… beati voi che avete rasoi così affilati da saper fare queste distinzioni nella vita di ogni giorno, assodato che non capita tutti i giorni di incontrare Hannibal.
    La cosa curiosa è che per me la frase centrale dell’articolo, quella che mi ha spinto a scriverlo, è “questo significa non giudicare”. Cioè, dato per scontato che il Cristiano, e men che meno il prete, non deve condannare nessuno, quello che mi interessava era osservare come il non-giudizio non è una passività, nè un’indifferenza, ma comporta invece un lavoro pazzesco e certamente comporta avere una comprewnsione chiara e lucida del peccato e della sua gravità, nonché del male commesso. Altrimenti di che dovrei intercedere?
    Ho rubato un verso a De Andrè, quello sul dito indice più lungo del medio, per definire tutti quelli che nella frenesia del giudizio dimenticano tutti i passaggi necessari, finendo così per passare dal ruolo di giudice al ruolo più eccitante della legge (sempre per dirla con De Andrè), quello del boia.

    1. Giancarlo

      Don Fabio scusami, la distinzione tra peccato e peccatore non è affatto sottile: è enorme. Ed è enorme non soltanto nella teoria, ma anche nella pratica.

      Poniamo un esempio. Se un giorno mia figlia tornasse a casa dicendomi di essere incinta ed annunciandomi di avere intenzione di abortire, il mio primo dovere di padre e di cristiano sarebbe quello di ricordarle che abortire significa uccidere, quindi violare il quinto comandamento: è un gravissimo peccato, non si deve fare. Ho forse giudicato e condannato mia figlia dicendole questo? No. La condanna, se ci sarà, spetterà a Dio a decretarla. A me però spetta di ricordare che l’aborto è un crimine abominevole; questa è l’unica strada che ho per amare mia figlia, non ce ne sono altre.

      Un altro esempio. Mio fratello, alcuni anni fa, ha divorziato e, in seguito, si è risposato. Di fronte ad un così grave errore non ho potuto fare altro che ammonire mio fratello che quello che stava per fare era un gravissimo peccato. Lui non mi ha ascoltato ed ha violato la promessa che aveva fatto davanti a Dio. Io però non perdo occasione di ricordargli che lui si trova in una situazione di grave pericolo per la sua anima: esprimo forse una sentenza di condanna, facendo questo? No. Io non condanno mio fratello, anzi prego per la sua conversione. Io giudico e condanno il suo comportamento, ma lo faccio per la sua salvezza, non per la sua condanna.

      Lo stesso comportamento, noi cattolici, dobbiamo tenerlo nei confronti dell’ideologia gender e di tutti i presunti diritti ad essa connessi, come pure nei confronti dell’eutanasia e, più in generale, nei confronti di tutte le ideologia anti-umane che, sempre più, si affacciano nella vita di tutti i giorni (diritti degli animali, pacifismo, ecologismo e chi più ne ha ne metta). Dobbiamo cioè insegnare, a questa povera umanità disperata, che c’è un bene che deve essere costruito, ed un male che deve essere evitato. Noi cattolici e, più in generale, la chiesa cattolica, non siamo affatto nel mondo per ascoltare, ma per annunciare, per gridare, per insegnare cosa è bene e cosa è male.

      Questa è la più grande misericordia di cui ha bisogno l’umanità: la verità. E noi siamo i custodi della verità, non lo dimentichiamo. Non possiamo metterci a negoziare con chi non ha fede. Dobbiamo insegnare a chi non ha fede.

      1. @Giancarlo in linea di principio ok… ma permettimi (e non parlo per “sentito dire”), dopo che a questo tuo fratello hai ricordato la realtà delle cose e il rischio che corre la sua anima (se non è stupido o completamente sordo l’avrà capito…), il “non perdere occasione” non credi che finirà solo per inasprire i rapporti tra voi? E quando magari lui volesse parlare con te, tornando sull’argomento, se ne guarderà bene… “Tanto tutte le volte che mi vede mi ricorda che rischio di andare all’Inferno!” 😐

        Anche perché il tornare a ripetere sempre questo concetto (o simile), anche nel momento in cui tu riesca a essere realmente libero dal giudizio (non lo metto in dubbio), all’altro non può che produrre l’effetto di sentirsi giudicato.

        E alla fine, io nei panni di tua fratello, girerei alla larga.

        1. Giusi

          Questo è un campo in cui purtroppo nessuno di noi parla per sentito dire. D’accordo con te. Una volta espresso il proprio punto di vista basta. Si può solo dare l’esempio, pregare e amare. Le prediche reiterate non servono a niente anzi sortiscono l’effetto contrario: fanno allontanare.

        2. Giancarlo

          @ Bariom e Giusi
          Forse mi sono spiegato male. Non è che tutti i giorni telefono a mio fratello per ricordargli che deve andare all’inferno. Quando dico che non perdo occasione intendo che ogni volta che lui critica la chiesa perché non dà la possibilità di risposarsi, io ribadisco le ragioni della chiesa, che sono ragioni, oltre che teologicamente fondate sulla scrittura, anche perfettamente razionali e ragionevoli. Si noti, tra l’altro, che è sempre e soltanto lui a riaprire il discorso (e lo fa abbastanza spesso), probabilmente perché desidererebbe la mia approvazione, ma anche e soprattutto perché, in fondo, sa di avere torto marcio e la sua coscienza non lo lascia in pace.

          Come vedi dunque, Bariom, il mio atteggiamento non solo non allontana mio fratello, ma, anzi, lo spinge a ricercare sempre il dialogo con me. Dialogo di cui io farei volentieri a meno (avendo già dato) e che, contrariamente ai tuoi timori, sono io a pagare con lacrime amare, con tanta pazienza e disponibilità, rubando tempo alla mia famiglia e sonno alle mie notti.

          Io, Giusi, sono perfettamente d’accordo con te. Ho espresso, a suo tempo, le ragioni dell’indissolubilità del matrimonio. Ora sarei ben felice di poter dare la mia testimonianza nella quieta quotidianità della mia famiglia. Purtroppo, come ho già spiegato, non sono io quello che riapre sempre il discorso.

          1. Giusi

            E allora il tuo ruolo è ancora più importante perchè vuol dire che tuo fratello è un’anima in pena. Stando così le cose non puoi comportarti diversamente. E parlarne con un sacerdote per verificare se secondo il Diritto canonico ci siano gli estremi per l’annullamento del primo matrimonio? Ti assicuro preghiere.

            1. Giancarlo

              Cara Giusi, valutare la situazione per vedere se c’era la possibilità di un annullamento fu il primo consiglio che gli detti. Sai quale fu la risposta? Che la dichiarazione di nullità era solo un pezzo di carta e che non aveva intenzione di buttare via tempo e regalare soldi alla chiesa per ottenere un permesso che lui “sentiva” di aver già ottenuto da Dio.

              Questa, purtroppo è la realtà con cui ci troviamo a combattere ogni giorno. Altro che palle, altro che “volemose bbene”. Questi si crederebbero in dovere di insegnare alla chiesa come si ama e come si salvano anime. E’ per questo che mi sale il sangue al cervello quando sento discorsi tipo “la chiesa deve ascoltare…”, “la chiesa deve aprirsi alla modernità…”, “vogliamo una chiesa inclusiva…”. La chiesa non deve né ascoltare, né aprirsi, né includere. La chiesa deve insegnare, deve testimoniare, deve stappare le orecchie a chi non vuol sentire. La chiesa è nel mondo per parlare, non per ascoltare. Perché la chiesa cattolica è l’unica che sa di cosa ha bisogno l’uomo. Se smette di parlare la chiesa, è la fine.

          2. @Giancarlo, sono contento di sentire che il dialogo rimane aperto…

            Varrebbe la pena cercare per tuo fratello un serio percorso nella Chiesa (e ce ne sono) che lo chiami a rivedere le sue scelte, non tanto alla luce del fatto che ha commesso un grave errore e che vive (credo di aver capito) nel peccato, cosa indiscutibile, quanto per scendere nella profondità dei motivi che l’hanno portato a lasciare sua moglie, scoprire il senso profondo del suo male (che è un male fatto ma anche un malessere interiore) e trovare la strada per uscirne con l’aiuto della Grazia.
            Sempre ammesso e non concesso vi sia ancora un minimo barlume di volontà di recuperare ciò che si è perduto, lasciato o rinnegato… dietro ogni matrimonio che va in crisi, vi sono mille sfaccettature, mille motivi, mille sofferenze e a volte non resta veramente che offrire e pregare.

            Credo meglio che non cercare i motivi di una nullità di matrimonio, la cui ricerca a volte nasconde solo i nostri limiti che se non superati, si ripresenteranno anche in un nuovo matrimonio (sempre che la nullità sia riconosciuta). Resto anche perplesso quando si va alla Chiesa a chiedere un discernimento (perché di questo si tratta) vivendo magari già un situazione di palese adulterio… ma questo è un altro discorso.

            Io come te, ho la stessa situazione in famiglia. Ti sono vicino.

            1. Giusi

              Si hai ragione. Infatti lui il discernimento non lo chiede. Io ho quattro amiche che hanno ottenuto l’annullamento dalla Sacra Rota. Smentisco che si paghino un sacco di soldi. Loro hanno pagato solo le spese vive. Non sono andate da un avvocato rotale (in tal caso paghi l’avvocato). Sono andate in Curia dal sacerdote devoluto. Non è un pezzo di carta. Non viene dato a cuor leggero. Ci sono diversi gradi di giudizio, interrogatori, testimoni, è un percorso lungo e doloroso.

              1. Oh Giusi, io non ho parlato di soldi, né di “pezzo di carta”, né di altro che scrivi…
                Ho fatto una considerazione di tipo diverso.

                Per il resto, come ben sai, sulla Sacra Rota ci sono state precise esortazioni Papali.

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