di Paolo Pugni
Giunge un’età in cui cominci a guardare indietro. Non per nostalgia, ma per capire. Forse perché senti, e la statistica ti dà ragione, che il mezzo del cammin di nostra vita l’hai varcato, e magari da un po’, per cui guardi la traiettoria che fin lì hai tracciato per vedere dove va a finire la tua linea e se sei ancora in tempo a correggere la rotta.
Non ricordo più chi diceva che dopo i quarant’anni non si legge più, ma si rilegge. Parlava di letteratura, ed ha una sua qual certa verità, ma penso si possa applicare anche alla vita.
Così negli ultimi dieci giorni ho partecipato a due cene, quella con i compagni dell’università –ed era la prima dopo il 1985- e quella con i compagni del liceo, una delle tante ormai, che poi nel sentire comune sono i veri compagni di scuola, quelli che c’erano quando ti forgiavi, uscivi dal guscio, ti trasformavi da bambino in adulto e cominciavi a mettere basi e primi passi nella vita “vera”, quella fuori dalla bambagia. E per chiudere il cerchio, della vita, a breve cenerò insieme ad un resto dei compagni delle medie.
Non sto qui a tediarvi con i discorsi e le malinconie, con le scoperte –uno già manca al conto- e le sofferenze, che tutti ne abbiamo nella vita, e neppure con le gioie perché in genere scritte qui inducono più invidia che serenità. Vorrei però spendere qualche parola sul senso delle relazioni e di come ti cambiano e come cambiano e perché. E qual è l’effetto che fa. Che se non le coltivi le relazioni si atrofizzano, ma l’aver mescolato insieme sogni e speranza resta. Così ti ritrovi con persone che non vedi da tempo e ricominci come si ti fossi salutato un’ora prima uscendo da scuola e adesso ai giardini ti ritrovi per commentare, giocare a calcio, inanellare idee.
Che cosa scatta dentro? Perché certi legami sopravvivono? Perché resistono ad una lontananza che è diluizione prima e oblio poi, mentre altre non resuscitano più quando dopo gli ardori adolescenziali, quasi senza accorgerti, inizi a mettere tempo e chilometri a separare gli incontri e poi scivoli via? C’è che in quegli anni non avevamo Facebook o anche solo What’s up, e se volevi parlarti dovevi far girare quel disco che gracchiava ad ogni numero e aspettare che di là di ci fosse la persona giusta a chiedere “chi è?” e non come adesso “dove sei?”, variazione di domanda apparentemente irrilevante ma che cambia la realtà.
Che cosa le tiene vive? Me lo chiedevo perché cerco sempre di leggere oltre la superficie, cerco il filo che si allontana, la cifra che tutto tiene insieme. E perché proprio loro, perché io e cosa posso fare per questi che la vita mi rimette accanto.
Non so. Non riesco a dare risposte, ma so che la domanda c’è e pressante e decisiva. E capace di cambiare la vita, un po’ come un quella scritta che una mano saggia ha vergato a caratteri forti su sfondo rosso sopra un muro vicino a casa mia (occhio agli accenti!) “ci sono vite che càpitano e vita da capitàno”. Ecco, capitàno mio capitàno, Tu che vai scritto con la T maiuscola, che cosa mi chiedi? Che cosa mi insegni? Che cosa posso fare per Te? Che questo alla fine è il sugo di tutta la storia, nostra e del mondo. Leggere nel passato la retta che ci deve portare alla felicità, e lottare per tenerla sempre in rotta aiutando nel contempo gli altri a farlo, quegli altri che Tu ci continui a mettere accanto.
grazie della bellissima foto!
Grazie del bellissimo post 😀
Caro Paolo, mi è piaciuto molto ciò che hai scritto. Io tra i 17 e i 29 anni sono cresciuto in un gruppo parrocchiale con altri ragazzi.Quando li rivedo ora, sento che un legame unico ci aveva unito all’epoca…Dopo i 30 anni ho conosciuto e frequentato con mia moglie i focolarini e purtroppo non c’è stata con loro la stessa unità…forse anche per l’impostazione un pò “di massa” di questo Movimento. Ciao e grazie. Massimo – Roma
Mi accodo a Viviana: bellissimo post! 😀 Queste tue domande mi sono familiari… 😉
Mi pare che comunque questo post non abbia “bucato”: 3 commenti e neanche uno smack!
“Tu che vai scritto con la T maiuscola, che cosa mi chiedi? Che cosa mi insegni? Che cosa posso fare per Te?” … Proprio la domanda che mi frullava in testa questa mattina a Messa …… Grazie e smack!
Grazie Elena!
Smack!
Se gli anni passano con queste domande, non passano invano….i miei (dolorosi) 50 mii hanno portato una sola risposta
” Al di sopra di tutto vi sia la carità” – cosa posso fare per questi che la vita mi rimette accanto e che cosa posso fare per Te? – ” Ama e fai ciò che vuoi” “Alla fine della vostra vita sarete giudicati sull’amore”.
Quando incominci a intravedere la fine (non sono moribonda, ma sempre più consapevole dell’irreversibilità del tempo) la vita diventa semplice ( anche se più a dirsi che a farsi. Impressionante a questo proposito il video La Manif Pour Tous: l’ amore non come sentimento, ma sacrificio )
Ho 69 anni, una vita alle spalle intensa, interessante, dice il mio nipotino. Non mi sono mai mossa dalla città in cui abito se non per andare in qualche ospedale un po’ più attrezzato. A scuola eravamo in poche, alla maturità 9, persone con cui ho condiviso tutto, compresi la tavola e il letto. Erano tutte educande dell’istituto di suore che frequentavo da esterna. Sono stati, quelli gli anni più belli e spensierati della mia vita. Ma invano poi ho cercato le mie compagne da cui non pensavo potessi mai separarmi, ma anche quando le ho rintracciate, non parlavamo la stessa lingua. Nel mio lungo pellegrinare attraverso la strada della sofferenza ho sposato le persone incontrate insieme con la loro storia. Sono diventate parte di me. Oggi vivo la nostalgia di uno sguardo, di una parola, il rimpianto per cose non dette, per carezza non fatte, per il tempo che mi sono lasciata sfuggire di mano, mentre era lì in quel momento e in quell’ora l’occasione favorevole per vivere l’eternità. Ma ciò che mi apre il cuore è la gratitudine a Dio che mi ha aperto gli occhi sulla vera amicizia che si radica quando scegli di volere bene.
Che cosa scatta dentro? Perché certi legami sopravvivono? Perché resistono ad una lontananza che è diluizione prima e oblio poi, mentre altre non resuscitano più quando dopo gli ardori adolescenziali, quasi senza accorgerti, inizi a mettere tempo e chilometri a separare gli incontri e poi scivoli via? Succede che… certi legami diventano relazioni, altri no. Pensaci. Una relazione è molto più che un legame. Io ho un legame molto stretto con i miei cani, ma con mia moglie ed i miei figli ho una relazione. Significa che posso guardarli negli occhi e provare l’intima certezza di una condivisione, di una comunione. Ecco, caro Paolo ( ti do del tu perché ti sento molto vicino)cosa scatta dentro: la relazione. Ed una relazione è per sempre. Questo è il sugo di tutta la storia: intrecciare relazioni destinate a durare per tutta l’eternità.