Apologia di una pecora

di Gerardo Ferrara       La capanna dello zio blog

Meglio un giorno da leone che cento da pecora.

Questo è il ritornello che sento spesso ripetere da chi si vanta di essere un anticonformista e pensa di vivere una vita eroica perché dedita all’edonismo, alla competizione, all’ideologia del carpe diem.

Chi è, però, il leone e chi, invece, la pecora?

Il leone è coraggioso, indipendente, forte, non ha bisogno di nessuno. Egli vaga solitario per la foresta e per la savana e tutti gli altri animali lo temono. Il leone, così come il lupo alle nostre latitudini, aggredisce, divide, disperde, impaurisce, confonde, sbrana, divora.

La pecora, al contrario, è debole e mite, vive nel gregge ed è incapace di sopravvivere da sola, ha bisogno delle sue compagne ed ha bisogno di un pastore, essendo preda facile del leone e degli altri animali, compreso l’uomo, al quale, nondimeno, dà, sin dal momento in cui nasce, carne, lana, latte: la propria vita, insomma.

Nella nostra cultura, a volte, la pecora è vista come simbolo di conformismo, del fare per forza come gli altri. Forse è così, ma la mia esperienza è un’altra. Il mio carattere tutt’altro che mite e mansueto, infatti, mi spinge ad identificarmi più con un animale fiero come il leone. Ho realizzato, tuttavia, che i miei tanti limiti umani, spirituali, intellettuali e fisici possono essere superati vivendo in un gregge, con persone simili a me, ovvero una comunità di amici, fratelli che condividono con me qualcosa di fondamentale: abbiamo tutti lo stesso pastore!

Ciò che non si pensa mai delle pecore, invero, è che, pur seguendosi l’un l’altra, esse, tutte insieme, seguono un pastore, qualcuno che abbia cura di loro e che le conduca in salvo, le guidi “sul giusto cammino”.

Il pastore del mio gregge è un leone! Sì, proprio così! E non un leone qualsiasi, bensì il leone dei leoni!

Egli, come gli altri leoni, è forte, maestoso, indipendente. Al contrario di quelli, tuttavia, non ha bisogno di nutrirsi, di divorare, di disperdere e di sbranare. Egli esiste e basta. Ciononostante, ha spogliato sé stesso di tutte le sue caratteristiche di “re della foresta” e si è reso simile alle pecore, è divenuto debole, bisognoso, dipendente dagli altri per le sue necessità e, anziché sbranare i suoi nemici e le sue prede, si è lasciato divorare da queste; si è reso, insomma, somigliante a coloro che egli voleva pascere, cui, poi, ha lasciato un pascolo sicuro, sorvegliato da un bianco cane da pastore il quale, insieme con altri cagnolini che lo aiutano, è stato debitamente addestrato su come prendersi cura dell’ovile.

A volte, nondimeno, non solo certe pecore, ma anche diversi cagnolini non vogliono obbedire al pastore ed al bianco cane con il quale dovrebbero collaborare. Essi, difatti, ritengono di essere più forti, sapienti, scaltri di quest’ultimo, pensando di potersi prendere cura del gregge meglio di come lo farebbero il leone divenuto pecora e il bianco cane da pastore il quale, secondo loro, sarebbe ormai attempato ed andrebbe rinchiuso in una pensione per animali oppure soppresso. Gli agnelli, che sono i membri più piccoli e deboli dell’ovile, si sentono dunque disorientati da così tante voci discordanti e, a volte, si perdono. Essi, difatti, altro non chiederebbero se non di essere guidati secondo la Verità e le direttive del pastore. A loro non interessano le dotte discussioni, le diatribe fra i cagnolini e le pecore più istruite, le divisioni all’interno del pascolo. No, gli agnellini vogliono seguire il leone divenuto pecora e il cane dal pelo bianco come la neve. Essi vogliono rimanere piccoli, fedeli, hanno bisogno che si parli ancora loro della bellezza del pascolo su cui si trovano, dell’abbondanza di frutti, fiori, alberi, acqua ed erba, della speranza di poter rimanere lì per sempre, se seguiranno gli ordini del pastore che ha cura di loro, che dà la vita per le pecore, che essi conoscono e dal quale sono conosciuti. Gli agnellini sanno che, se guidati “sul giusto cammino”, potranno crescere, divenire forti e sani e generare, a loro volta, altre pecore.

Noi, piccolo gregge, non temiamo, eppure siamo stanchi delle voci dei cagnolini rabbiosi, dei lupi solitari che vogliono disperderci e dei ladri; noi vorremmo solo obbedire, che vuol dire “dare ascolto”, alla voce del pastore, che conosciamo, per poterla seguire e andare dietro a lui. Noi sappiamo che il nostro pastore non aveva bisogno di rinunciare al suo essere “re della foresta”, ai suoi attributi regali. Egli, tuttavia, lo ha fatto per amore nostro e gliene siamo grati. Allo stesso modo, siamo grati al bianco cane da pastore, il quale usa la grande saggezza di cui è dotato non per manifestare la propria superiorità sui cagnolini suoi collaboratori, ma per guidare tutto il gregge “sul giusto cammino” che conduce su pascoli erbosi e ad acque tranquille.

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi (1Pietro, 6-9)

13 pensieri su “Apologia di una pecora

  1. 61Angeloextralarge

    Prima alle 12 passate? Incredibile ma vero! 😀
    Ragazzi? Dove siete tutti? ;.)
    Bel post! Credo di essere non una pecora ma un “caprone disperso” e così mi definisco spesso. Nonostante la grazia di Dio abbondi dove ha abbondato il peccato… direi una bestemmia se dicessi di essere finalmente una pecora e che come pecora scolto e riconosco la voce del Pastore Bello! 🙁 Quanto è dura! E quanto è lunga la strada verso il recinto del Pastore! e quanti lupi, quanti rovi, quanto deserto senza nemmeno un filo d’erba! Ma se fino ad ora il Pastore ce l’ha fatta con me… riuscirà ancora! Confido solo in Lui! Le mie forze sono inutili… 😀

  2. Alessandro

    “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.” (Lc 12, 32)

    “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?
    Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta.
    Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.” (Lc 15, 4-7)

    “Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?
    Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
    Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.” (Mt 18, 12-14)

    “Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.
    Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.
    Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
    Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
    Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.
    Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;
    egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.
    Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,
    come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.
    E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.
    Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
    Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”.” (Gv 10, 7-18)

    1. Alessandro

      “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”.

      Le pecore regneranno. Bisogna farsene una ragione. Non i lupi, né i leoni, né i serpenti, né altre bestie. L’agnello di Dio s’è fatto pastore buono, ha versato il suo sangue d’innocente per noi pecore, riscattandole così dal peccato e spalancando loro le porte del Regno.

      “Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
      Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.
      Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele”.
      Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.
      Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.
      E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
      Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.
      E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.” (Gv 1, 29-37)

          1. 61Angeloextralarge

            Ale. te lo metterei ad ogni tuo commento, ma invaderei il post! 😉 Quindi mi “contengo”! 😀

  3. Sarebbe stato bene, però, ricordare, anche, che quelle parole citate sono le parole trovate scritte sui muri vicino al Piave alla fine della Grande Guerra.

  4. Pingback: Pecora appestata e pecora smarrita « Filia Ecclesiae

  5. Alessandro

    “Se il Signore è il pastore, anche nel deserto, luogo di assenza e di morte, non viene meno la certezza di una radicale presenza di vita, tanto da poter dire: «non manco di nulla». Il pastore, infatti, ha a cuore il bene del suo gregge, adegua i propri ritmi e le proprie esigenze a quelli delle sue pecore, cammina e vive con loro, guidandole per sentieri “giusti”, cioè adatti a loro, con attenzione alle loro necessità e non alle proprie. La sicurezza del suo gregge è la sua priorità e a questa obbedisce nel guidarlo.

    Cari fratelli e sorelle, anche noi, come il Salmista, se camminiamo dietro al “Pastore buono”, per quanto difficili, tortuosi o lunghi possano apparire i percorsi della nostra vita, spesso anche in zone desertiche spiritualmente, senza acqua e con un sole di razionalismo cocente, sotto la guida del pastore buono, Cristo, siamo certi di andare sulle strade “giuste” e che il Signore ci guida e ci è sempre vicino e non ci mancherà nulla.

    Per questo il Salmista può dichiarare una tranquillità e una sicurezza senza incertezze né timori:

    «Anche se vado per una valle oscura,
    non temo alcun male, perché tu sei con me.
    Il tuo bastone e il tuo vincastro
    mi danno sicurezza» (v. 4).

    Chi va col Signore anche nelle vali oscure della sofferenza, dell’incertezza e di tutti i problemi umani, si sente sicuro. Tu sei con me: questa è la nostra certezza, quella che ci sostiene. Il buio della notte fa paura, con le sue ombre mutevoli, la difficoltà a distinguere i pericoli, il suo silenzio riempito di rumori indecifrabili. Se il gregge si muove dopo il calar del sole, quando la visibilità si fa incerta, è normale che le pecore siano inquiete, c’è il rischio di inciampare oppure di allontanarsi e di perdersi, e c’è ancora il timore di possibili aggressori che si nascondano nell’oscurità. Per parlare della valle “oscura”, il Salmista usa un’espressione ebraica che evoca le tenebre della morte, per cui la valle da attraversare è un luogo di angoscia, di minacce terribili, di pericolo di morte. Eppure, l’orante procede sicuro, senza paura, perché sa che il Signore è con lui.
    Quel «tu sei con me» è una proclamazione di fiducia incrollabile, e sintetizza l’esperienza di fede radicale; la vicinanza di Dio trasforma la realtà, la valle oscura perde ogni pericolosità, si svuota di ogni minaccia. Il gregge ora può camminare tranquillo, accompagnato dal rumore familiare del bastone che batte sul terreno e segnala la presenza rassicurante del pastore.”

    (Benedetto XVI, Udienza generale, 5 ottobre 2011)

  6. E dico anche: la pecora ha bisogno non solo del padrone e del resto del gregge, ma anche di fidarsi, e oggi non ci sappiamo più educare alla fiducia.
    Stefano
    Forza juve!

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