La fragilità delle passioni e l’arte di perdonare

illustrazione Emanuele Fucecchi

di Emanuele Fant  per Credere

«I pesci rossi dimenticano tutto ogni trenta secondi. Quindi odieranno la nostra famiglia giusto il tempo che ci servirà per gettarli nella fontana vicino al cimitero. Poi amici come prima». I miei figli mi guardano perplessi. Fino all’ultimo hanno provato a escogitare soluzioni per portare con noi al mare Snoopy, Bianchino e Clown. Io ho calcato un po’ la mano. Ho spiegato che le vibrazioni dell’automobile avrebbero gonfiato le vesciche natatorie fino a trasformare i loro amici in palloncini. Che non è vero che liberandoli nel mare si sarebbero trovati bene, perché il sale li avrebbe sciolti come biscottini Plasmon nel tè caldo. Poi l’idea della fontana. «Vi prometto che ogni domenica li andremo a trovare. A ogni compleanno porteremo chili di mangime». Mi osservano di traverso, per capire se si possono fidare. Poi annuiscono: «Va bene».

Mia moglie sostiene che non ho la costanza necessaria per prendermi cura di un animale. Ogni volta tira fuori la vecchia storia delle tartarughine acquatiche: le ho volute, le ho nutrite col prosciutto e poi, quando hanno raggiunto le dimensioni di testuggini africane, abbiamo dovuto trasportarle in un’oasi ecologica in Toscana, dove avrebbero potuto invecchiare nel contesto adeguato e col microchip. Io credo sia tutto un problema di entusiasmo iniziale. Vedi qualcosa di speciale, lo vorresti avere. Poi, nel rapporto quotidiano, scopri che l’oggetto del tuo desiderio passa la metà della giornata a prendere il sole, l’altra metà a nuotare col naso schiacciato su una parete di vetro. È questo un modo per farsi amare?

La triste storia dell’abbandono dei miei pesciolini ha una morale profonda come gli abissi, ancora in via di definizione. Forse è una critica alla fragilità delle passioni nell’epoca del trionfo del capitale. Ma ci devo pensare. In ogni caso non reggo più lo sguardo addosso dei miei bambini. Adesso prendiamo i retini e ci avviamo verso la fontana per un test sperimentale: vediamo se un pesce rosso è capace di perdonare.

16 pensieri su “La fragilità delle passioni e l’arte di perdonare

  1. Christina

    “..vediamo se un pesce rosso è capace di perdonare.”

    Perdonare è proprio un’arte che il buon Dio ci insegna ma che noi non siamo capaci di cogliere subito.
    Quanto è difficile dire “ti perdono”..eppure Gesù con noi lo fa tutti i giorni, in ogni attimo.
    Spesso penso al perdono che Gesù ha avuto nei confronti di Pietro, noi saremmo stati altrettanto capaci? Quel tipo di perdono io l’ho sperimentato, con un cuore contrito ho chiesto scusa.
    Ma se dovessi perdonare il mio prossimo ne sarei capace?!?!

    Si, il perdono è proprio un’arte che si impara solo seguendo Cristo…

    1. @Christina, non so se si possa paragonarla ad un’ “arte”. 😉

      Non so se si può “imparare” come un’arte (e poi metterla da parte).
      Certo è un imperativo che ci viene da Dio e dallo stesso Cristo (quante volte devo perdonare?), ma che più che spingerci a fare uno sforzo che presumibilmente troverebbe prima o poi il suo termine, ci spinge a cercare la fonte del perdono.

      Perché il perdono più che un’arte è una azione e una prerogativa divina… è un Dono che prima di tutto si riceve.
      E’ l’esperienza di essere stati perdonati quando non eravamo meritevoli di perdono, che ci spinge a perdonare, anche se non tutti sanno cogliere l’opportunità.

      Esemplare la parabola e la morale dei due servi debitori (Matteo 18, 23-35).

      1. Concordo, il perdono non è un “Arte”, ma uno stile di Vita (…la “Via”) quella del discepolo che diventa tale seguendo il Messia “senza se e senza ma”. Quella del perdono non è un’opzione ma una scelta necessaria per entrare nella Sua Grazia.

        Solo che a parole si possono fare molti bei discorsi, ma nei fatti molto spesso siamo mancanti.

        Il Padre ci benedice se siamo veramente in Lui attraverso Suo Figlio. Allora perdoniamo anche il nostro collega di lavoro che ci disprezza e non ci chiede MAI scusa, perdoniamo lo scortese al supermercato, L’automobilista indisciplinato che vuole avere ragione lui, etc etc…

        Assistiamo, attraverso i media, ad eventi di violenza inaudita causata per molto molto meno, e questo è un indice della “febbre spirituale” che gli uomini stanno vivendo.

        Questa febbre ci contamina anche a noi, infatti nella nostra stessa quotidianità, nella vita di tutti i giorni, dentro i nostri cuori, celiamo l’irritazione verso il prossimo e la mascheriamo dietro un’apparenza di fintà bontà, tutte le volte che non riceviamo “ciò che ci spetta” di diritto.

        Il problema è che il giudizio non spetta a noi, solo Lui legge i cuori e conosce le esperienze e la vita delle persone. Che dietro un comportamento “cattivo”, può essere il risultato di sofferenze interiori.

        Sospendere il giudizio è un’atto di Fede, che diventa Salvifico.

      2. Non so se si può “imparare” come un’arte (e poi metterla da parte).

        No, ma proprio per questo si può considerare come un’arte – lasciamo perdere il proverbio citato e vediamo la cosa meglio proprio dalla prospettiva dell’apprendimento.

        Dal mio punto di vista, una delle cose che differenziano un’arte da una tecnica è proprio la modalità di apprendimento: la tecnica può essere imparata sui libri e sugli strumenti, senza la stretta necessità di un maestro. Il maestro facilita la cosa certamente, abbrevia i tempi, permette a certi che hanno lacune di colmarle, ma sostanzialmente una persona potrebbe diventare p.es. un ingegnere di successo (intendo dire: che lascia il segno) anche come autodidatta, avendo la documentazione necessaria. Il discorso è certamente semplificato (anche nel mestiere dell’ingegnere c’è una parte che si impara dai maestri), ma portato all’estremo sta in piedi. Viceversa l’arte non può essere appresa solo da un libro, esige di per sé la presenza di un maestro: non esiste un pittore che abbia lasciato il segno che non sia andato a bottega da un maestro, da cui ha appreso “dal vivo”. E proprio perché – come dici – il perdono è un dono che si riceve da Dio, noi non possiamo veramente perdonare se non impariamo dal Maestro; che ci ha insegnato per mezzo di esempi, dandoci il più grande di tutti: un Dio che perdona la propria creatura che lo crocifigge.

        Da questo punto di vista si potrebbe dire che il Cristianesimo è confrontabile ad un’arte, mentre tutte le altre religioni (*) sono confrontabili ad una tecnica, in cui il rapporto con Dio e con gli altri è sostanzialmente codificato in precetti e buone pratiche. Ecco perché le religioni che si basano solo sulle Scritture – a parte la questione fondamentale, che siano quelle vere o no – perdono cose fondamentali, che a noi rimangono perché la Tradizione ci mantiene in connessione con il Maestro vivente. Infatti per noi i precetti e le buone pratiche non servono a niente, se non si fondano sul Maestro.

        (*) Qualcuno potrebbe obiettare: non tutte. Per il Buddismo l’esempio del Buddha è fondamentale; e anche Confucio per il Confucianesimo. Ma Buddha e Confucio erano solo uomini e poi sono morti: come si fa ad andare a bottega da loro? Nei fatti, l’unica cosa che ci rimane di loro sono gli scritti. Nel Buddismo l’importanza del maestro è sottolineata dall’idea che si rincarni nei lama (“dalai lama” si può tradurre con “maestro oceanico”), che – secondo quella religione – sono maestri da cui si può imparare dal vivo. Ma noi sappiamo che la reincarnazione è una cosa falsa, e quelli – al massimo – possono essere considerati degli esperti nelle interpretazioni delle loro scritture.

        L’unico Maestro da cui si può veramente andare a bottega è Cristo.

        1. “L’unico Maestro da cui si può veramente andare a bottega è Cristo.”

          Mi piace questo sunto 😉
          Ed è interessante anche il tuo excursus.

          Resta il fatto per me fondamentale, che non è neppure sufficiente stare con il Maestro e apprendere da Lui (ce lo insegna l’esperienza degli Apostoli), bisogna avere (chiedere, desiderare e avere in dono) il SUO Spirito per operare come ha operato Lui e compiere ciò che Lui stesso ha compiuto (per la verità Cristo arriva a dire “…compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi”).

          Perché questa è la differenza fondamentale.

          Se il dicepolo non ha un minimo di doti sue, può andare a bottega per tutti la vita dal più grande dei maestri, senza riuscire a realizzare nulla che possa anche da lontano definirsi “arte”.

          Grazie a Dio, al Sacrificio di Cristo e all’azione dello Spirito Santo, a NESSUN Uomo (anche il meno “dotato” della terra) è impedito di compiere il Bene e anche opere straordinarie. Opere di Vita Eterna.

          Ecco perché la similitudine con l’Arte è ancora riduttiva.

          Senza lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, all’Uomo è impossibile perdonare… perché qui non parliamo di perdonare chi ti ha “pestato un callo”, ma di chi ti toglie la vita (e ci sono tanti modi di togliere la vita ad un Uomo), di chi ti odia, di chi commette ingiustizia verso di te.

          1. bisogna avere (chiedere, desiderare e avere in dono) il SUO Spirito

            Infatti, infatti. Non per altro un discepolo va da un maestro perché può chiedergli cose, lo vede al lavoro, si entusiasma, nasce il desiderio di imitarlo. Con un libro non puoi interagire in nessuno di questi modi (per carità: un libro può raccontare le gesta di un maestro e in parte convogliare quelle cose, ma sempre nel modo limitato che un oggetto inanimato può avere).

            Non ho intenzione di spingere molto in là il paragone con l’arte, anche per i motivi che dici. Mi interessa solo quella specifica parte che riguarda l’apprendimento e la differenzia dalla tecnica.

  2. La nostra natura umana ci portera’ sempre ad errare o a non fare la cosa giusta al momento giusto, per le ragioni piu’ disparate, ma Dio gia’ aveva messo in conto questo aspetto prima della creazione e, come dice lo stesso Gesù nel Vangelo (Giovanni 5,22), “il Padre non giudica nessuno”. Siamo dunque pure noi piu’ indulgenti verso noi stessi e naturalmente verso gli altri.

  3. Margherita

    Dopo 7 anni, e dopo aver iniziato un cammino sono riuscita a perdonare e a chiedere perdono per aver voluto morta quella persona… Solo con Dio, che è entrato nella mia vita, e con lo Spirito Santo che mi ha aiutato sono riuscita in questa impresa…

    1. Padre ammone, tra i maggiori padri del deserto, ci mise ben 14 anni per vincere e dominare la sua irruenza…quindi si puo’ senz’altro dire che lei ha fatto meglio (LOL)

  4. “Forse è una critica alla fragilità delle passioni nell’epoca del trionfo del capitale.” – Anche una volta le passioni erano fragili…il punto è che oggi fondiamo la nostra esistenza sulle passioni ed emozioni mentre una volta la fondavamo su altri valori. Se scegliamo una donna od un uomo lo facciamo per passione o innamoramento ma questo può e dovrebbe essere l’incipit ma la struttura fondante dev’essere un progetto che più si discosta da quegli elementi più solido rimane e parlo di volontà e sacrificio essenzialmente.

  5. anna maria

    Anni fà, avevo una amica facente parte di una comunità cristiana alla quale appartenevo anch’io. Poi avvennero alcuni fatti per cui mi trovai a giudicarla per il male che mi fece. Per qualche mese soffrii molto per questo fatto perchè non mi sarei mai aspettata un’offesa simile!
    Mi rivolsi a Gesù perchè mi aiutasse a mettere pace nel mio cuore. Allora mi venne chiaro: Tutti i pensieri negativi che avevo fatto su di lei, giudicandola erano “colpe” mie davanti a Dio. Chiesi sinceramente perdono a Dio per i miei giudizi ingiusti (sì, perchè i giudizi umani, sono sempre ingiusti, solo a Dio è dato di giudicare.) Poi pregai per questa mia amica col cuore, e sentii che l’amavo ancora, per l’intervento di Grazia di Dio. Sentii di averla perdonata e di essere stata perdonata, anche se lei non conosceva e non conosce, il mio travaglio per raggiungere questo risultato.
    Dopo un po’di tempo, quando la rividi, mi venne incontro salutandomi, mi diede un bacio abbracciandomi.
    Gesù fà sempre le cose meravigliosamente più grandi di quanto ci possiamo aspettare.
    anna

    1. exdemocristianononpentito

      Quello che dice Fabrizio è cruciale: il cristianesimo non è (soltanto) l’incontro con una dottrina, ma soprattutto l’incontro con una Persona.
      Certamente è un “problemone” dimostrare a chi non ha fede, l’effettività e la concretezza di tale Incontro, ma un cristiano non può prescindere dal considerare l’incontro di che trattasi, come un fatto “concreto” nel vero senso della parola.

  6. PieroValleregia

    salve
    ormai sono in pensione da Sottufficiale MM ma devo raccontarvi un episodio cruciale della mia esistenza successo mentre ero in servizio: Golfo Persico 1991, ero a bordo di un’unità maggiore di superficie nell’ambito della Desert Storm (invasione e massacro di uno stato sovrano, l’Iraq, ma questo lo scoprii poco dopo, all’epoca mi sentivo un “prode”) in qualità di sottordine al capo posto nella specializzazione di Guerra Elettronica.
    Non mi dilungo, dico solo che il mio capo posto, di nascosto con l’ufficiale capo reparto, fece in modo di “segarmi” le gambe al punto che, le mie note caratteristiche scemarono da Superiore alla media (probabile eccellente) a inferiore alla media con, il serio rischio di essere cacciato dalla MM.
    Tentai un ricorso ma, a buon peso, il mio capo reparto era pure il genero del capo di Stato Maggiore delle FFAA quindi, tutte le porte mi si chiudevano in faccia.
    Persi la specializzazione a cui tenevo motissimo e dovetti andare in esperimento come radiotelegrafista semplice in quel di La Maddalena in pieno inverno; vento a 100 all’ora, e solo scogli e gabbiani.
    Neanche la corsa mi dava sollievo, covavo astio e odio …
    e pessimi pensieri però poi … conobbi colei che ora è mia moglie alla quale raccontai tutto.
    Riuscì a fare in modo, lei cattolica praticante a farmi tornare all’ovile e, da lì perdonai entrambi.
    Feci appena in tempo perchè poi, il sottufficiale morì a causa dell’amianto e l’ufficiale, divorziando, cadde in disgrazia presso gli alti livelli e dubito che sia diventato mai ammiraglio .
    Ammetto che, il tutto, mi è costato tantissima fatica ma son ben felice di esserci riuscito …
    saluti
    Piero e famiglia

    1. exdemocristianononpentito

      E chi, sul lavoro, è arrivato alla pensione, senza mai incontrare un collega o un superiore sgradito?

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